L’ultimo anno di scuola non
era cosa facile. Non vedevo
l’ora di finire per poter dedicarmi seriamente a me stessa.
Avevo mille
passioni: la chitarra, passione ereditata dal mio famoso padre ; la
cucina,
eredità di mia madre, la quale da bambina mi trascinava con
lei per ore a
cucinare dolci, torte salate ecc.. ; la pittura, eredità di
mia nonna e infine,
ma non ultima, la medicina scoperta con tutti i telefilm e i
documentari che
avevo visto. Non sapevo a quale delle passioni mi sarei dedicata dopo
il
diploma, non avevo ancora scelto, ma di sicuro non avrei scelto la
cucina:
anche se mi piaceva non avevo talento e facevo bruciare tutto!
Mi svegliai la mattina dopo con
ancora meno voglia di andare
a scuola, ma purtroppo il mio dovere di esempio nei confronti di Jonas
ebbe la
meglio. Scesi in cucina a preparare un caffè per me e una
tazza di cereali per
il mio fratellino, che di li a poco fece capolino nella cucina,
sedendosi di
fianco a me.
“Buongiorno
Eli!”, disse, ancora assonnato.
“Buongiorno Jo!”,
risposi, regalandogli un sorrisino appena
accennato. Lui in risposta mi sorrise a sua volta ed accese la tv in
cerca di
intrattenimento. Io invece, finì il caffè e mi
diressi di corsa su per le scale
infilandomi in bagno. Mi feci una doccia veloce e dopo, cerai di domare
i miei
lunghi capelli (finti) biondi. Quando ci riuscì, notai che
era già abbastanza
tardi e così mi vestì senza badare troppo a cosa
stessi indossando. Il
risultato fu accettabile: jeans stretti, camicietta nera e le mie
fidate all
star nere. Non mi
guardai nemmeno allo
specchio perché rischiavo di prendermi un bello spavento,
consapevole come ero
delle mie infinite occhiaie, data la nottataccia passata a pensare a
mia madre!
“Jo, sbrigati o faremo
tardi a scuola!”, urlai a mio
fratello, che uscì subito dalla sua stanza e con fare goffo
scese le scale,
rischiando di inciampare nei lacci delle sue etnies.
“ Sei sempre
così rumorosa di prima mattina, sorellina?”, mi
apostrofò con il ghigno proprio di mio padre.
“No Jo, solo quando non ho
dormito e la giornata inizia già
male!”, risposi piccata.
Lasciai Jonas all’ingresso
della sua scuola e mi diressi
frettolosamente al parcheggio della mia, sperando di trovarci posto.
Fortunatamente, fu cosi. Almeno qualcosa era andata per il verso
giusto.
Raccolsi la mia borsa dal sedile posteriore e chiusi l’auto,
mi voltai e mi
incamminai verso l’entrata, senza intravedere nessun volto
familiare.
“ Ehi Ava!”, mi
voltai e vidi Jack Hoppus correre verso di
me.
“Ehi Jack! Ciao! Ti prego
sai che odio essere chiamata Ava…
e..”, mi interruppe posandomi un dito sulle labbra e io
arrossì. Dopo chinai il
capo.
“ Si hai ragione Eli,
scusami!”, e chinò il capo anche lui
in segno di pentimento.
Jack era il figlio di zio Mark, non
eravamo davvero parenti,
ma Mark e Skye erano state rispettivamente la terza e la quarta persona
a cui
avevo rivolto i miei occhioni azzurri appena venuta al mondo, erano la
mia
seconda famiglia, la cosa più vicina a degli zii. Jack aveva
qualche mese in
più di me, quindi eravamo allo stesso anno. Era sempre stato
un ragazzino
strano, proprio come Mark alla sua età ( come diceva mio
padre), troppo alto
rispetto a me, aveva preso i capelli biondissimi da Skye e gli occhioni
da
cucciolo, azzurri ,da Mark. La sua espressione negli anni non era
cambiata di
una virgola, non riusciva a mantenere un aria triste o sopraffatta per
più di
trenta secondi. Poteva definirsi il mio migliore amico, colui che aveva
asciugato le mie lacrime dalla culla, alle ginocchia sbucciate mentre
cercavamo
di imitare papà e Mark sullo skate, alle volte che ero
caduta dall’albero di
mele di sua madre, a quando mia madre se ne era andata. Lui mi era
sempre stato
vicino, e per questo lo consideravo una specie di cugino molto vicino.
“ Ehi ragazzi
aspettatemi!”, sentimmo urlare alle nostre
spalle. Era Landon Barker questa volta, il figlio di Travis, batterista
silenzioso dei Blink. Era più piccolo di noi, solo al
secondo anno, ma era
solito passare la pausa pranzo con noi o le ore libere, visto che
eravamo tutti
molto uniti.
Finito con i saluti entrammo in
classe, ognuno aveva una
materia diversa alla prima ora. Le mie occhiaie dovevano essere davvero
molto
evidenti perché Karen, mia unica amica, le notò
appena varcai la soglia della
classe, così mi fece segno di sedermi accanto a lei in
ultima fila. Il posto
era quello vicino alla finestra, posizione comoda per chi, come me,
quel giorno
non aveva voglia di ascoltare nulla e desiderava solo aria fresca e
libertà.
Pensai, che, San Diego era perfetta in autunno, la temperatura non era
ne
troppo fredda ne troppo calda, i colori si facevano più
intensi, gli alberi si
coloravano di rosso e il mare aveva un profumo tutto suo. Erano
bellissime
giornate, troppo belle per sprecarle tra i banchi di scuola ,peccato
però che
questa frase me la ripetevo ogni giorno da un anno e mezzo. Ero sempre
stata
bravissima a scuola, ottimi voti e comportamento impeccabile, ma da
allora
avevo perso lo “ smalto” , come le insegnanti
ripetevano in continuazione, e il
tutto era un po’ calato.
Ad ora di pranzo non
avevo voglia
di mangiare, quindi sgattaiolai fuori al cortile, cercando un posticino
appartato sotto un albero per godere di un po’ di ombra e
finire in santa pace
il mio libro. Stavo leggendo beatamente quando vidi un ombra
avvicinarmisi: era
una stronza della mia classe che odiavo che mi guardava come se fossi
un
aliena! Papà sarebbe stato fiero di me per questa
osservazione!!
“ Ciao
Ava”, disse la stronza,
che per inciso, si chiamava Claire.
“Cosa vuoi
Claire?”, risposi
acida, non cercando di essere cortese.
“Voglio
conoscere tuo padre, è il
mio idolo e poi ora che è
libero…beh…sai….potrei..”,
disse con un ghigno
odioso, lo stesso che mi faceva pensare di riscriverle totalmente i
lineamenti
del viso da anni.
“ Non ti
azzardare a continuare,
stronza! Mio padre sarà anche libero, ma tu non pensare
nemmeno lontanamente di
poterti avvicinare a lui. Non ha bisogno dell’ennesima troia
che gli gira
intorno e poi potresti essere sua figlia e lui non andrebbe mai con una
ragazzina!”,
dissi tutto d’un fiato. Come osava anche solo pensare quelle
cose su mio padre?
Volevo sotterrarla! Sapevo della sua reputazione giovanile, la
conoscevano un
po’ tutti a San Diego, era li che aveva passato la sua
gioventù. Ed erano le ragazze
di questa città che si era fatto più e
più volte, finchè conobbe mia madre. Era
mio padre, ma ero stufa di sentirmi parlare di lui come se fosse un
dio, per me
era solo l’uomo che vedevo soffrire senza ritegno.
“ Questo lo
credi tu biondina, la
mia amica Jess non mi sembrava insoddisfatta del loro incontro dopo il
concerto
dei Blink al Soma, l’estate scorsa dopo il tour europeo! Ha
detto che tuo padre
è stato così impetuoso che non poteva quasi
camminare il giorno dopo! Hahahaha!”.
Quella risata era
stata la
benzina finale su un fuoco già acceso dalle sue parole. Ero
talmente furiosa
che non vedevo niente altro che la sua faccia divertita nel prendersi
gioco di
me, come aveva potuto dirmi quelle cose.
“ Non osare
mai piu!”, urlai con
tutto il fiato che avevo in gola e mi lanciai verso di lei. In un
attimo ero
passata dallo stare seduta in terra allo spingerla a terra tenendola
per i
capelli. La odiavo, per quello che aveva insinuato, per il gusto che ci
aveva
messo nel dirlo. Stringevo con una mano i suoi capelli e con
l’altra le
assestavo pugni in piena faccia. La colpivo e la colpivo senza
pietà, stavo
sfogando su di lei tutta la rabbia che avevo dentro. Lei provava a
difendersi,
ma non le lasciavo spazio. Quando riaprì gli occhi notai
l’effetto che le mie
urla, probabilmente disumane, avevano avuto sul resto della scuola :
una grande
folla di spettatori, si era unita intorno a noi per osservare e
incitare al
combattimento, ovviamente i ragazzi erano tutti in prima fila. Non
riuscivo a
riconoscere le facce che mi guardavano mentre davo una lezione a quella
stronza, non riuscivo a fermarmi e non riuscivo nemmeno a sentire
ciò che
dicevano quelle voi urlanti.
“Basta! Ora
basta Signorine!”, la
voce della preside fu l’unica a farsi strada nel mio cervello
annebbiato. Ma io
continuavo, non riuscivo a fermarmi, prendevo pugni anche io, mi
sentivo tirare
i capelli dalla stronza, ma non riuscivo a mollare la presa. Era
riuscita,
infine, a ribaltare le posizioni e a porsi a cavalcioni su di me.
“ Qualcuno
le fermi!”, urlò la
preside e due giganteschi giocatori di football vennero a separarci,
alzando la
stronza dal mio bacino e me da terra. In quel momento ripresi coscienza
del
mondo che mi circondava e vidi Jack fissarmi dal fondo della fila. I
suoi
occhioni azzurri, mi chiedevano cosa mi fosse presa, non ero la ragazza
che era
cresciuta con lui, poi si voltò e andò via.
Landon, invece, mi si fiondò di
fianco porgendomi il suo aiuto. Mi poggiai su di lui finchè
non sentì la voce
della preside richiamare la mia attenzione.
“ Signorina
DeLonge e Signorina
Jefferson, subito nel mio ufficio!”.
Chinammo il capo e
annuimmo, non
potevamo fare altro. Non ci voleva anche questa!