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Autore: DomyDeLonge    15/07/2014    2 recensioni
“ciao tesoro, spero che tu possa capirmi, spero che ti prenderai cura di tuo fratello e di tuo padre. Sei grande ormai e non hai più bisogno della tua mamma! Ti abbraccio e ti bacio!”
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge, Travis Barker, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’ultimo anno di scuola non era cosa facile. Non vedevo l’ora di finire per poter dedicarmi seriamente a me stessa. Avevo mille passioni: la chitarra, passione ereditata dal mio famoso padre ; la cucina, eredità di mia madre, la quale da bambina mi trascinava con lei per ore a cucinare dolci, torte salate ecc.. ; la pittura, eredità di mia nonna e infine, ma non ultima, la medicina scoperta con tutti i telefilm e i documentari che avevo visto. Non sapevo a quale delle passioni mi sarei dedicata dopo il diploma, non avevo ancora scelto, ma di sicuro non avrei scelto la cucina: anche se mi piaceva non avevo talento e facevo bruciare tutto!

Mi svegliai la mattina dopo con ancora meno voglia di andare a scuola, ma purtroppo il mio dovere di esempio nei confronti di Jonas ebbe la meglio. Scesi in cucina a preparare un caffè per me e una tazza di cereali per il mio fratellino, che di li a poco fece capolino nella cucina, sedendosi di fianco a me.

“Buongiorno Eli!”, disse, ancora assonnato.

“Buongiorno Jo!”, risposi, regalandogli un sorrisino appena accennato. Lui in risposta mi sorrise a sua volta ed accese la tv in cerca di intrattenimento. Io invece, finì il caffè e mi diressi di corsa su per le scale infilandomi in bagno. Mi feci una doccia veloce e dopo, cerai di domare i miei lunghi capelli (finti) biondi. Quando ci riuscì, notai che era già abbastanza tardi e così mi vestì senza badare troppo a cosa stessi indossando. Il risultato fu accettabile: jeans stretti, camicietta nera e le mie fidate all star nere.  Non mi guardai nemmeno allo specchio perché rischiavo di prendermi un bello spavento, consapevole come ero delle mie infinite occhiaie, data la nottataccia passata a pensare a mia madre!

“Jo, sbrigati o faremo tardi a scuola!”, urlai a mio fratello, che uscì subito dalla sua stanza e con fare goffo scese le scale, rischiando di inciampare nei lacci delle sue etnies. 

“ Sei sempre così rumorosa di prima mattina, sorellina?”, mi apostrofò con il ghigno proprio di mio padre.

“No Jo, solo quando non ho dormito e la giornata inizia già male!”, risposi piccata.

Lasciai Jonas all’ingresso della sua scuola e mi diressi frettolosamente al parcheggio della mia, sperando di trovarci posto. Fortunatamente, fu cosi. Almeno qualcosa era andata per il verso giusto. Raccolsi la mia borsa dal sedile posteriore e chiusi l’auto, mi voltai e mi incamminai verso l’entrata, senza intravedere nessun volto familiare.

“ Ehi Ava!”, mi voltai e vidi Jack Hoppus correre verso di me.

“Ehi Jack! Ciao! Ti prego sai che odio essere chiamata Ava… e..”, mi interruppe posandomi un dito sulle labbra e io arrossì. Dopo chinai il capo.

“ Si hai ragione Eli, scusami!”, e chinò il capo anche lui in segno di pentimento.

Jack era il figlio di zio Mark, non eravamo davvero parenti, ma Mark e Skye erano state rispettivamente la terza e la quarta persona a cui avevo rivolto i miei occhioni azzurri appena venuta al mondo, erano la mia seconda famiglia, la cosa più vicina a degli zii. Jack aveva qualche mese in più di me, quindi eravamo allo stesso anno. Era sempre stato un ragazzino strano, proprio come Mark alla sua età ( come diceva mio padre), troppo alto rispetto a me, aveva preso i capelli biondissimi da Skye e gli occhioni da cucciolo, azzurri ,da Mark. La sua espressione negli anni non era cambiata di una virgola, non riusciva a mantenere un aria triste o sopraffatta per più di trenta secondi. Poteva definirsi il mio migliore amico, colui che aveva asciugato le mie lacrime dalla culla, alle ginocchia sbucciate mentre cercavamo di imitare papà e Mark sullo skate, alle volte che ero caduta dall’albero di mele di sua madre, a quando mia madre se ne era andata. Lui mi era sempre stato vicino, e per questo lo consideravo una specie di cugino molto vicino.

“ Ehi ragazzi aspettatemi!”, sentimmo urlare alle nostre spalle. Era Landon Barker questa volta, il figlio di Travis, batterista silenzioso dei Blink. Era più piccolo di noi, solo al secondo anno, ma era solito passare la pausa pranzo con noi o le ore libere, visto che eravamo tutti molto uniti.

Finito con i saluti entrammo in classe, ognuno aveva una materia diversa alla prima ora. Le mie occhiaie dovevano essere davvero molto evidenti perché Karen, mia unica amica, le notò appena varcai la soglia della classe, così mi fece segno di sedermi accanto a lei in ultima fila. Il posto era quello vicino alla finestra, posizione comoda per chi, come me, quel giorno non aveva voglia di ascoltare nulla e desiderava solo aria fresca e libertà. Pensai, che, San Diego era perfetta in autunno, la temperatura non era ne troppo fredda ne troppo calda, i colori si facevano più intensi, gli alberi si coloravano di rosso e il mare aveva un profumo tutto suo. Erano bellissime giornate, troppo belle per sprecarle tra i banchi di scuola ,peccato però che questa frase me la ripetevo ogni giorno da un anno e mezzo. Ero sempre stata bravissima a scuola, ottimi voti e comportamento impeccabile, ma da allora avevo perso lo “ smalto” , come le insegnanti ripetevano in continuazione, e il tutto era un po’ calato.

Ad ora di pranzo non avevo voglia di mangiare, quindi sgattaiolai fuori al cortile, cercando un posticino appartato sotto un albero per godere di un po’ di ombra e finire in santa pace il mio libro. Stavo leggendo beatamente quando vidi un ombra avvicinarmisi: era una stronza della mia classe che odiavo che mi guardava come se fossi un aliena! Papà sarebbe stato fiero di me per questa osservazione!!

“ Ciao Ava”, disse la stronza, che per inciso, si chiamava Claire.

“Cosa vuoi Claire?”, risposi acida, non cercando di essere cortese.

“Voglio conoscere tuo padre, è il mio idolo e poi ora che è libero…beh…sai….potrei..”, disse con un ghigno odioso, lo stesso che mi faceva pensare di riscriverle totalmente i lineamenti del viso da anni.

“ Non ti azzardare a continuare, stronza! Mio padre sarà anche libero, ma tu non pensare nemmeno lontanamente di poterti avvicinare a lui. Non ha bisogno dell’ennesima troia che gli gira intorno e poi potresti essere sua figlia e lui non andrebbe mai con una ragazzina!”, dissi tutto d’un fiato. Come osava anche solo pensare quelle cose su mio padre? Volevo sotterrarla! Sapevo della sua reputazione giovanile, la conoscevano un po’ tutti a San Diego, era li che aveva passato la sua gioventù. Ed erano le ragazze di questa città che si era fatto più e più volte, finchè conobbe mia madre. Era mio padre, ma ero stufa di sentirmi parlare di lui come se fosse un dio, per me era solo l’uomo che vedevo soffrire senza ritegno.

“ Questo lo credi tu biondina, la mia amica Jess non mi sembrava insoddisfatta del loro incontro dopo il concerto dei Blink al Soma, l’estate scorsa dopo il tour europeo! Ha detto che tuo padre è stato così impetuoso che non poteva quasi camminare il giorno dopo! Hahahaha!”.

Quella risata era stata la benzina finale su un fuoco già acceso dalle sue parole. Ero talmente furiosa che non vedevo niente altro che la sua faccia divertita nel prendersi gioco di me, come aveva potuto dirmi quelle cose.

“ Non osare mai piu!”, urlai con tutto il fiato che avevo in gola e mi lanciai verso di lei. In un attimo ero passata dallo stare seduta in terra allo spingerla a terra tenendola per i capelli. La odiavo, per quello che aveva insinuato, per il gusto che ci aveva messo nel dirlo. Stringevo con una mano i suoi capelli e con l’altra le assestavo pugni in piena faccia. La colpivo e la colpivo senza pietà, stavo sfogando su di lei tutta la rabbia che avevo dentro. Lei provava a difendersi, ma non le lasciavo spazio. Quando riaprì gli occhi notai l’effetto che le mie urla, probabilmente disumane, avevano avuto sul resto della scuola : una grande folla di spettatori, si era unita intorno a noi per osservare e incitare al combattimento, ovviamente i ragazzi erano tutti in prima fila. Non riuscivo a riconoscere le facce che mi guardavano mentre davo una lezione a quella stronza, non riuscivo a fermarmi e non riuscivo nemmeno a sentire ciò che dicevano quelle voi urlanti.

“Basta! Ora basta Signorine!”, la voce della preside fu l’unica a farsi strada nel mio cervello annebbiato. Ma io continuavo, non riuscivo a fermarmi, prendevo pugni anche io, mi sentivo tirare i capelli dalla stronza, ma non riuscivo a mollare la presa. Era riuscita, infine, a ribaltare le posizioni e a porsi a cavalcioni su di me.

“ Qualcuno le fermi!”, urlò la preside e due giganteschi giocatori di football vennero a separarci, alzando la stronza dal mio bacino e me da terra. In quel momento ripresi coscienza del mondo che mi circondava e vidi Jack fissarmi dal fondo della fila. I suoi occhioni azzurri, mi chiedevano cosa mi fosse presa, non ero la ragazza che era cresciuta con lui, poi si voltò e andò via. Landon, invece, mi si fiondò di fianco porgendomi il suo aiuto. Mi poggiai su di lui finchè non sentì la voce della preside richiamare la mia attenzione.

“ Signorina DeLonge e Signorina Jefferson, subito nel mio ufficio!”.

Chinammo il capo e annuimmo, non potevamo fare altro. Non ci voleva anche questa!  

   
 
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