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Autore: Angie Mars Halen    17/07/2014    2 recensioni
Fin dal loro primo incontro Nikki e Sharon capiscono di avere parecchi, forse troppi, punti in comune, particolare non indifferente che li porta ad aggrapparsi l’uno all’altra per affrontare prima la vita di strada a Los Angeles, poi quella instabile e frenetica delle rockstar. Costretti a separarsi dai rispettivi tour, riusciranno a riunirsi nuovamente, ma non sempre la situazione prenderà la piega da loro desiderata: se Sharon, in seguito ad un evento che ha rivoluzionato la sua vita, riesce ad abbandonare i vizi più dannosi, Nikki continua a sprofondare sempre di più. In questa situazione si rendono conto di avere bisogno di riportare in vita il legame che un tempo c’era stato tra loro e che le necessità di uno non sono da anteporre a quelle dell’altra. Ma la vita in tour non è più semplice di quella che avevano condotto insieme per le strade di L.A. e dovranno imparare ad affrontarla, facendosi forza a vicenda in un momento in cui faticano a farne persino a loro stessi.
[1982-1988]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SAVE OUR SOULS





Quando riaprii gli occhi mi ritrovai stesa sulla moquette della stanza e, se la mia memoria non mi ingannava, quando la sera precedente avevo perso i sensi ero su uno dei due materassi. Mi guardai intorno piuttosto smarrita, cercando di riconoscere delle sagome familiari nell’oscurità ma, non appena feci per cambiare il fianco su cui ero sdraiata, mi resi conto che non potevo muovermi perché qualcosa di pesante me lo impediva. Allungai una mano per tastare quella massa sconosciuta che mi pesava addosso e al tatto riconobbi che si trattava di una persona. Vince mi dormiva addosso come se fossi stata un cuscino, allora mi feci forza, puntai un gomito sul pavimento e, aiutandomi col braccio libero, lo scansai con poca grazia, facendolo lamentare. Riuscii poi ad alzarmi in piedi e mi accorsi con grande sollievo che non avevo avuto incubi spaventosi né avevo sentito più di tanto gli effetti collaterali della cocaina. Tuttavia qualcun altro sembrava non pensarla allo stesso modo.

“Sharon, potresti andare a dire a quei coglioni di là in salotto di smetterla di urlare?” biascicò Vince con la voce ancora impastata dal sonno e dalla batosta della sera precedente.

Alzai la veneziana e lasciai che la luce del sole invadesse la camera, poi mi inginocchiai sul pavimento accanto a lui. “Non c’è nessuno in salotto.”

Vince mi guardò incredulo poi si portò le mani sulle orecchie e, una volta che le ebbe spostate, passò in rassegna la stanza con lo sguardo. “Hai ragione, non sta parlando nessuno. Torniamo a dormire, ho sonno.”

Diedi un’occhiata all’orologio sul comodino di Tommy e, non appena gli annunciai che erano le undici e mezza, Vince saltò in piedi barcollando pericolosamente e si diresse verso la porta, correndo e inciampando come se portasse ancora gli stivali col tacco che aveva indossato durante il concerto della sera prima. Mentre arrancava sorreggendosi al muro annerito mi spiegò che avrebbe dovuto trovarsi nella sala prove con gli altri alle dieci e mezza e che si sarebbero arrabbiati a morte con lui per il ritardo stratosferico. Dopo aver recuperato le mie scarpe da sotto l’armadio, cominciai a seguirlo per tutta la casa, ponendogli domande su dove si trovasse la sala prove. Solo dopo svariati giri a vuoto del salotto, qualche imprecazione perché nel frigo non c’era più nulla fatta eccezione per un hamburger ammuffito, e altri cinque minuti di delirio generale, scoprii che si trovavano da qualche parte a Hollywood e che, se fosse partito subito e avesse camminato velocemente, Vince avrebbe potuto raggiungerli entro mezzogiorno.

“Vuoi accompagnarmi?” mi domandò prima che finissi di scendere le scale del ballatoio che conduceva al loro appartamento.

Annuii sebbene non fossi convinta della mia scelta. “Se proprio ci tieni...”

Vince scrollò le spalle e si infilò una giacca di jeans. “Non è che ci tenga particolarmente, però sarebbe utile sentire i tuoi commenti. Del resto hai un gruppo anche tu, e siete anche bravi. Poi Steven mi ha detto che–”

Lasciò improvvisamente la frase a metà e lo vidi accasciarsi sul marciapiede, preso da un improvviso attacco di vomito dal quale sembrò riprendersi subito.

“Cazzo, lo sapevo che non avrei dovuto bere dell’altro alcol dopo tutta quella roba che mi sono calato ieri sera,” borbottò.

Lo aiutai a rialzarsi tirandolo per un braccio, dopodiché ci rimettemmo lentamente in cammino, io rassegnata a dovergli fare da sostegno e lui rassegnato al fatto che gli altri si sarebbero inviperiti non appena avesse messo piede all’interno dello studio ridotto in quello stato.

Procedemmo senza parlare per tre quarti d’ora, col sole del mezzogiorno che ci picchiava dritto sulla testa, le gambe a pezzi, e costretti a fermarci ogni cento metri perché Vince doveva sboccare in un cespuglio o, nel peggiore dei casi, nel bel mezzo della folla che camminava frenetica per il viale, attirando gli sguardi inorriditi della gente. Era così distrutto che non ero nemmeno sicura che alle prove sarebbe riuscito a cantare, ma era determinato ad andarci e anche a prendersi i rimproveri da parte dei suoi tre compagni i quali, purtroppo, non erano dalla parte del torto.

Girammo in una traversa sulla sinistra e percorremmo la salita a passo lento finché non ci trovammo davanti a una palazzina grigia e decadente sulla cui porta campeggiava un’insegna di plastica bianca che riportava in rosso il nome degli studi di registrazione. Vince aprì la porta cigolante spingendola con la spalla ed entrammo in una piccola hall col pavimento di linoleum, le sedie di plastica tutte rovinate e un ficus moribondo relegato nell’angolo più buio e umido della stanza.

“Quella laggiù è la nostra sala,” mi informò Vince puntando il dito contro una porticina. Su di essa campeggiava un foglio di carta bruciacchiata con scritto con l’indelebile rosso Mötley Crüe – stare alla larga poi, subito sotto, aggiunto con una biro blu, Chi entra è morto e un paio di teschi e cazzetti stilizzati. Man mano che ci avvicinavamo, i versi primitivi dei suoi compagni diventavano sempre più forti. Nel momento in cui Vince oltrepassò la soglia, gli altri smisero di sbraitare e lo squadrarono dalla testa ai piedi, soffermandosi sulla canottiera strappata che gli era scivolata giù da una spalla mentre correvamo.

“Allora non eri morto!” esclamò Tommy con fare sarcastico, poi l’espressione fintamente giuliva lasciò spazio a una più sadica e gli rifilò uno scappellotto. “Per colpa tua abbiamo perso un casino di tempo. Che ne dici di metterti subito al lavoro? Forse è la volta buona che riesci a provare quel nuovo pezzo che abbiamo scritto la scorsa settimana.”

Mentre il batterista era impegnato a fare la paternale a Vince, Nikki si limitò a fulminarlo con un’occhiataccia, poi si avvicinò a me e mi afferrò per un polso, contento come un moccioso che vuole mostrarti la sua ultima costruzione perché voleva presentarmi il famigerato Mick Mars, il quale, ora che si trovava appollaiato su uno sgabello con la testa insaccata nelle spalle, aveva tutta l’aria di un condor appostato sul ramo secco di un arbusto del deserto. Sollevò appena il capo, si scostò i ciuffi scuri dal viso pallido, tirò su col naso e strizzò gli occhi freddi. “Ancora tu? Perché sei qui? Chi ti ha fatta entrare?”

“Vince voleva che seguissi le vostre prove,” mi giustificai. “Dice che così potrò dare il mio parere.”

Mick fece una ghignata soffocata. “Come se del tuo parere ce ne fregasse qualcosa!”

Stavo per rispondergli a tono quando Nikki si intromise per riportare la pace tra noi. Mi tornò a prendere per il polso e, dopo aver sibilato qualcosa di incomprensibile a Mick ottenendo un dito medio in risposta, mi fece accomodare su una sedia posta nell’angolo della sala in modo che potessi assistere comodamente alle loro prove. Mi porse una lattina di 7 Up piena solo fino a metà e imbracciò il basso per dedicarsi completamente al gruppo.

Il volume era piuttosto alto, ma a me non importava dal momento che avevo un’indole fin troppo casinista, e mi godetti lo spettacolo mentre scartabellavo un plico di fogli che Nikki mi aveva messo in braccio poco prima. Si trattava di canzoni già complete e abbozzi di testi e musiche scritti sul retro di volantini pubblicitari, su pezzi di cartone strappati da uno scatolone, o addirittura tovaglioli di carta. Alcuni erano lunghi diverse righe, altri erano semplicemente dei pensieri composti da non più di un paio di frasi, scritti forse con l’intenzione di creare un pezzo, ma erano tutti ugualmente interessanti. Riposi tutte le scartoffie all’interno di una cartellina di cartoncino rosso macchiato di caffè e passai un’intera ora ad ascoltare i pezzi della band senza mai muovermi dalla sedia, dalla quale schiodai solo quando Mick ripose la chitarra sul cavalletto.

“Allora, Sharon, che te ne pare?” domandò poi, il tono sempre apatico e leggermente scorbutico come prima.

Incrociai le braccia e appoggiai una spalla al muro per assumere un atteggiamento più arrogante. “Se sono destinati a finire su un disco, prevedo un boom di crescita della vostra popolarità.”

“Questo è poco ma sicuro,” borbottò, poi mi guardò da dietro i capelli scarmigliati. “E poi, sì, sono destinati a finire sul secondo album del gruppo, quando ci arriveremo.”

“Non mi resta che augurarvi buona fortuna,” dissi con un sorriso sghembo prima di aprire la porta, ma non feci in tempo a uscire nel corridoio perché uno di loro richiamò la mia attenzione con un fischio acuto. Mi voltai di scatto e vidi Nikki immobile in mezzo alla stanza che mi fissava con le mani sui fianchi, mentre gli altri tre erano impegnati a raccattare i loro strumenti.

“Vai già via?” chiese. Quando gli risposi che era ora che tornassi a casa mi confessò che, visto che Mick non era intenzionato a farlo, lui era disposto a uno scambio culturale tra chitarristi.

“Mi risulta che tu suoni solo il basso,” risposi.

Nikki si gonfiò, tutto orgoglioso. “Me la cavo anche con la chitarra. Però se non vuoi non importa, non ne farò una tragedia.”

“Non ho detto che non voglio,” ribattei, poi gli feci cenno di seguirmi. “I ragazzi saranno contenti di averti in mezzo ai piedi per un po’.”

Nikki ripose il suo Firebird bianco nella custodia coperta di adesivi e mi camminò dietro finché non uscimmo dallo stabile, dopodiché mi affiancò e non spiccicò una sola parola fino a quando raggiungemmo la palazzina in cui abitavo. Spinsi il portone principale, il quale stridette a causa di uno sfregamento della base con il pavimento di marmo di scarsa qualità, e sbuffai quando mi accorsi che non avremmo potuto utilizzare l’ascensore perché era occupato.

“C’è sempre tutto questo silenzio, qui?” domandò Nikki mentre osservava le scale che salivano fino al terzo piano.

“Di solito si sente qualcuno dei nostri che suona. È strano che non ci siano strumenti che impazzano o voci che strillano,” spiegai, poi aprii la porta dell’interno 4, ritrovandomi di fronte l’appartamento completamente vuoto. Le luci erano tutte spente, il disordine era peggiorato dalla sera precedente e non sentivo nemmeno Steven che russava, episodio alquanto frequente causato dal fatto che nel sonno si girava sempre a pancia in su. Entrai nella piccola sala e li chiamai senza ottenere risposta, allora mi accertai che non ci fossero per davvero facendo un giro di ricognizione dell’intero appartamento. Come volevasi dimostrare, non c’era anima viva. Tornai indietro e alzai le spalle dispiaciuta rivolta verso Nikki, che se ne stava ancora fermo sulla soglia e con la custodia del basso stretta in una mano.

Nikki avanzò di qualche passo e scrutò ogni singolo particolare del salotto, soffermandosi di più sul basso nero che Brett aveva lasciato abbandonato sul divano. “A quanto pare non c’è nessuno.”

“Già,” confermai. “Però possiamo suonare lo stesso. Siediti dove ti pare, fa’ come se fossi a casa tua.”

Nikki annuì e prese posto sul tappeto, tra il divano e il tavolino da caffè, senza mai smettere di esaminare l’ambiente ombroso che lo circondava. Aprii la tapparella della portafinestra della sala che conduceva a un minuscolo balcone declassato a discarica, poi mi recai in cucina per prendere un paio di lattine di Coca-Cola dal frigorifero che, per mano di una volenterosa Rita, era miracolosamente pieno delle cibarie necessarie per non morire di fame. Quando tornai in sala porsi la lattina al mio ospite e mi sedetti vicino a lui con l’intenzione di fargli sentire qualcosa di interessante, ma Nikki mi precedette.

“Tu non sei di Los Angeles, vero?” chiese dopo aver ingollato un sorso di Coca. “Da come parli non sembra.”

“Tu lo sei?”

Mi rivolse un sorriso sghembo. “Non si risponde a una domanda con un’altra domanda.”

Appoggiai la schiena al divano e presi a giocherellare distrattamente con le mie stesse dita, leggermente innervosita per dover parlare della mia vita passata. “Ho vissuto a New Orleans fino a tre anni fa, prima di venire qui con Brett. Ho questo gruppo da solo sei mesi, prima ne ho cambiati parecchi.”

“Stai inseguendo il famigerato Sogno Americano anche tu?”

Alzai le spalle. “Non me ne frega dei soldi, a me basta suonare. Finché ho abitato a New Orleans non potevo farlo perché a casa mia era quasi proibito. Erano troppo bigotti per apprezzare i brividi del rock n’ roll, ma io lo sentivo bruciare nelle vene e ho lasciato la mia enorme famiglia per trasferirmi da un ranch in mezzo ai prati a una città caotica e pericolosa come questa. Tu, invece?”

Nikki si lasciò sfuggire una risata carica di nervosismo e appoggiò la lattina vuota sul tavolino, sopra una pila di riviste. “Io vengo da un po’ ovunque.”

Inarcai un sopracciglio senza aver capito il senso della sua risposta. “Intendi dire che hai origini molto particolari?”

Puntò i suoi freddi occhi verdi e spalancati dritti dentro i miei, serio in viso. “Mi sento di Los Angeles e basta.”

“Poi?”

“Poi non c’è altro da aggiungere,” rispose malamente prima di alzarsi in piedi, per poi riacquistare un tono leggermente più calmo. “Vuoi suonare sì o no? Se ti scoccia dimmelo e me ne vado subito a casa.”

Annuii. “Siamo qui per questo, no?”




N.D’.A.: Salve a tutti! =)
Purtroppo per me sono appena tornata dalla Città degli Angeli e, anche se vi sono stata per motivi di studio, ci tornerei all’istante anche perché là l’ispirazione viaggiava a manetta. Per fortuna di chi mi segue, invece, il racconto verrà aggiornato regolarmente ogni mercoledì. Inoltre la trama andrà leggermente addolcendosi, ma non in modo esagerato.
Per ora grazie a chi segue e agli utenti che hanno aggiunto la mia storia tra le seguite! Spero di ricevere qualche recensione, anche critica, per sapere il vostro parere.
Ci si rilegge mercoledì! :D
Glam kisses,

Angie


Titolo: Save Our Souls - Mötley Crüe


   
 
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