Ottavo capitolo – Emozioni
6 Ottobre 2001
“Tesoro, stai
attenta!” Urlò Bella, mentre Emma la sorpassò di corsa, con in mano una dozzina di palloncini colorati. Alzò
gli occhi al cielo, ma le scappò anche un sorrisino. Non poteva mai dire
di no a quelle due pesti.
Ormai erano passate
più di due settimane, il lavoro al MoMa procedeva alla grande, tanto che aveva instaurato un
buon rapporto con Rosalie Hale. Le bambine
continuavano ad andare ed
odiare la scuola, entrambi allo stesso tempo.
E con Edward sembrava
procedere tutto a… rilento. Le
cose si erano sistemate, non si ammazzavano mai, e se lo dovevano fare
cercavano di stare il più lontano possibile dalle bambine. Ma Bella sapeva che c’era qualcosa che non andava.
Dalla sera che era uscita con Mike Newton, la situazione era cambiata. Edward
era uno zio ed un tutore perfetto: aiutava in ogni
modo, portava sempre le bambine a scuola, e poi le riandava a prendere. Se era necessario si portava il lavoro a casa, per non fare su e
giù dal centro di New York. Eppure qualche volta sembrava cadere dalle
nuvole.
“Questo dove lo
metto?” Appunto.
“Cos’è?”
“Lo striscione con
scritto ‘Tanti auguri Mia.’”
“Oh.” Bella
si guardò intorno, indicando poi due gancetti appesi al muro.
“Lì, davanti alla porta. Così lo vede
appena entra.”
“Ma
se ancora non sa leggere!”
“Hai già
finito di gonfiare i palloncini?” Bella squadrò dalla testa ai
piedi Emma, che sconsolata fissava tutto ciò che la circondava: un
tavolo pieno di regali, palloncini di tutti i colori appesi ovunque, il salone
sgombrato dall’enorme tavolo e lo striscione che augurava buon compleanno
alla sua sorellina. Ecco, il problema era che tutto quello era per la sua
sorellina, e non per lei.
“Ho finito.”
“Vieni qui.” Bella la prese in braccio, solleticandole piano
il pancino sino a sentire la sua risata ilare.
“Quando arriva il
mio compleanno?”
“Il tuo compleanno
è a Giugno, tesoro.”
“Proprio
come il mio.
Faremo una grande festa insieme.” Disse Edward, avvicinandosi a loro due.
“Non
voglio fare una festa con te. Tu sei maschio e vecchio.” Edward assottigliò
gli occhi, mentre Bella cercò di trattenere una risata. Ma fu quasi impossibile, finché il campanello
suonò ed Emma scese dalle braccia di sua zia.
“Divertente,
eh?”
“E’ una forza
della natura, quella bambina.” Edward le diede una lieve spallata.
“E’ una forza
della natura quando prende in giro me. Invece quando spreme l’intera
confezione di dentifricio nei tuoi cassetti, non è
affatto divertente.”
“Che rompipalle.” Bella
sussurrò quelle parole, prima di raggiungere a braccia aperte suo padre.
A Forks
era riuscito a prendere qualche giorno di ferie, prima di Natale. Così
da poter venire al compleanno di Mia.
“Ciao
papà.”
“Ciao
tesoro.” La abbracciò affettuosamente, e a lei le
si inumidirono gli occhi.
“Mi sei
mancato.”
“Anche
tu. Dov’è Mia?” Charlie trascinò dietro di
sé un enorme pacco, incartato con degli orsacchiotti sopra.
“Jake e Leah sono andati a
prenderla a scuola.”
“Leah ancora riesce a muoversi?” Bella rise, guardando
suo padre.
“Sì,
papà. Dovrebbe partorire a giorni, ma si rifiuta di stare a riposo. Però il dottore ha detto che non è a
rischio, quindi può fare tutte le cose che faceva
prima.”
“Povero Jake.”
“Povero Jake davvero.” Edward diede corda al Signor Swan, immettendosi nella conversazione.
“Edward Cullen.”
“Sceriffo.”
“Smettila di
chiamarmi così, Edward. Non sei mai venuto a Forks, e non mi hai mai visto in uniforme.”
“Però
mi piacerebbe molto, Charlie. Soprattutto sparare qualche colpo con la tua
pistola.”
“Comportati male
con le mie bambine, e vedrai quanti colpi
sparerò io, Edward.” Anche se il rapporto fra Edward e Charlie era molto
tranquillo ed amichevole, dopo quell’affermazione il primo deglutì
rumorosamente, facendo riprendere le risate di Bella interrotte poco prima.
“ECCOLI!! ECCOLI!!” Emma corse per
tutta casa, trascinando per le mani suo nonno Carlisle
e sua nonna Esme.
Jake intanto stava parcheggiando nel
vialetto, mentre Mia attraversò di corsa tutto il giardino, arrivando
alla porta ed iniziando a sbattere i suoi piccoli
pugni su di essa, perché ancora non riusciva ad arrivare al campanello.
Bella aprì la
porta, trovandosi davanti a Mia, che a malapena arrivava alle sue ginocchia, in
tenuta scolastica. Gonnelina a quadri, camicetta
bianca e maglioncino grigio. Non fece nemmeno in tempo ad
entrare, che tutti quanti urlarono ‘Auguri’,
provocandole una smorfia basita e i suoi occhioni che
si allargavano.
“Hey, tesoro non piangere. Sono solo i nonni ed alcuni amichetti di scuola.” Bella la prese in
braccio, convinta che stesse per scoppiare da un momento all’altro.
Invece Mia tirò su la faccia, la guardò per qualche secondo prima
di fare nuovamente quella smorfia triste.
“Che
succede?”
“Guadda come tono vetita
male!” Urlò fra le lacrime, facendo
scoppiare metà casa in risate rumorose.
La casa era piena di
persone: dopo l’entrata in scena di Mia erano arrivati James e Laurent, portando dietro di loro un cavallo gonfiabile
più alto di Bella. Carlisle ed Esme invece stavano sempre dietro alle loro nipotine, e
così anche i genitori di Jasper. Jake non
aveva perso tempo, ed appena aveva visto Charlie
iniziarono a chiacchierare di tutto ciò che si erano persi; il primo a Forks ed il secondo a New York. Bella stava in disparte,
con un piattino di carta in mano pieno di schifezze varie, fra pizzette e rustici
che aveva preparato lei la mattina stessa.
“Ti devo
parlare.” Edward le strinse il gomito, trascinandola ancora più
lontano da tutte quelle persone.
“Che
succede?” Domandò, ormai lontani da occhiate indiscrete.
“Ti
ricordi quando mi hai proposto quella cosa del calendario? Per far coincidere i nostri
impegni?” A Bella le si illuminarono gli occhi.
“Mr. Cullen, hai per caso un appuntamento?” Lui
alzò gli occhi al cielo, sbuffando silenziosamente.
“No,” disse di slancio, ma pentendosene qualche secondo
dopo. “Okay, forse.”
“Chi è la
fortunata?”
“Per adesso non te
lo dico. Comunque, non è di questo che ti volevo parlare.”
“Allora?”
“Ho
un congresso in Italia, la prossima settimana. Dovrei partire lunedì, e
tornare il venerdì successivo. E’ un
problema?” Bella sorrise guardando il suo viso preoccupato.
“No, che non
è un problema.”
“Ti lascio la
macchina, così potrai portare le bambine a scuola.”
“Mi lasci la tua
Volvo?” Sgranò gli occhi, fingendosi preoccupata. In realtà,
lo era veramente.
“Sì,
Isabella. Ti lascio la mia Volvo. Non me ne far pentire, ti prego.”
“Tranquillo. E non
preoccuparti nemmeno di questo fantomatico appuntamento. Anzi, se questa preda
è libera, puoi uscirci anche stasera.”
“Stasera?”
“Edward, sono
appena le cinque del pomeriggio. Vai, e divertiti. Emma e Mia
alle otto saranno esauste.”
“Sei sicura?”
Questa volta fu Bella, a sbuffare.
“Sono sicura. Vai a
chiamarla. Vedrai che non te ne pentirai.”
Peccato che
inconsapevolmente, sarebbe stata proprio Bella a
pentirsi di quel dannato appuntamento.
“Hai vitto che
bello il cavallo?” Era la centesima volta che Mia lo ripeteva, seduta su
quel cavallino gonfiabile mentre faceva su e giù da almeno
mezz’ora.
“Tia Bella? Hai vitto che bello il cavallo?” Bella
alzò gli occhi al cielo, cercando di non farsi vedere.
“E’
bellissimo, tesoro.
Stupendo.” Le regalò un sorriso a trentadue denti, e la bambina
felice continuò a dondolare.
“Emma?”
“Che
c’è?”
“Hai vitto che bello il mio cavallo?”
Oh, Dio. Fa che tutto questo finisca presto.
“Sì, Mia. Zia Bella?”
“Sì?”
“Ma
dov’è zio Edward?” Bella sorrise, pensando a Edward che
un’ora prima si era agghindato per il suo primo
appuntamento dopo… parecchio tempo.
“Aveva delle cose
da sbrigare.”
“Oh. Torna a dormire?”
“Veramente non lo so, tesoro.” In effetti era
la verità, Bella non sapeva se Edward sarebbe tornato o meno, quella
sera. “Però è ora che voi due andiate
a dormire, piccolette.” Prese Mia in braccio staccandola da quel cavallo,
mentre Emma le seguì entrambe sulle scale.
“Zia Bella?”
“Sì?”
Sussurrò lei, arrivata finalmente nella loro piccola stanza.
“Mi leggi Harry
Potter?” Bella prese il primo volume di quella
saga dal comodino di Emma, si infilò nel letto con entrambe ed inizio a
leggere qualche capitolo. Mentre la primogenita ascoltava interessata, e la
seconda ad ogni parola interrompeva con un ‘pecché succede questo’ e ‘i cappelli non pallano.’
“Si sono
addormentate?”
“Dopo avergli letto
metà Harry Potter sono crollate.” Bella
si sedette accanto a suo padre, che stava guardando la TV sul divano.
Era riuscito a
convincerlo a restare lì per cinque giorni, perché prendere un hotel sarebbe stato scomodo, e poi quella casa era enorme, e
potevano ospitarlo senza problemi.
“Sono
fantastiche.” Disse Charlie, prima di spegnere la TV e voltarsi verso sua
figlia. “Tu come stai?”
“Benone,
papà. Solo un po’ stanca.”
“Ci riesci? Lo sai
che Esme e Carlisle sono
sempre disponibili.”
“Papà,
è quasi passato un mese. E se non le ho lasciate ad
Esme e Carlisle
all’inizio, non lo farò ora. Ce la faccio. E
Edward mi aiuta tantissimo.”
Charlie le rivolse
quell’occhiata sconsolata che le faceva sempre da quando era bambina, per
lo più quando non era d’accordo con lei.
Nella sua vita Bella ne
aveva prese di decisioni sbagliate, eppure aveva fatto tutto sempre di testa
sua. Ma era pur sempre la sua bambina, e lui doveva
prendersi cura di lei.
“A proposito di
Edward, e chi l’avrebbe mai detto? Mi è sempre sembrato un
ragazzino viziato, e invece…”
“Invece
è un uomo fatto e finito, papà. Aspetta un secondo.” Bella si
alzò, dirigendosi verso la cucina, cioè verso il suo cellulare
che stava squillando.
“Pronto?”
“Bells?” Non aveva visto chi la stava chiamando sul
display, ma aveva riconosciuto subito quella voce.
“Jacob?”
“Sto portando Leah in Ospedale. Le si sono rotte
le acque!”
“Okay, stai calmo!
Due secondi e parto da qui, Jake. Resta
calmo!”
“JACOB
BLACK! POSA QUEL
MALEDETTO TELEFONO!” Bella sentì anche in lontananza le urla di Leah, e capì che Jake in
quel momento non conosceva nemmeno il significato della parola calma.
Salì a due a due
le scale dell’Ospedale, finché non arrivò fuori al reparto
che cercava. Se ne rese conto perché seduti nella sala d’aspetto c’erano Esme, Carlisle, i genitori di Leah,
Edward e… la signorina Jessica?
Fai sul serio, Edward?
“Bella.” Esme si alzò la abbracciò calorosamente.
“Come stai? Le bambine?”
“Tutto bene. Stanno
dormendo, e Charlie è rimasto con loro.”
“Se vuoi vado io. Charlie è come un padre per Leah e Jake. Sono sicuro che gli farebbe molto piacere stare qui.” Bella
valutò l’offerta di Carlisle, poi però decise che era meglio mantenere le cose come
stavano. Suo padre avrebbe passato un po’ di tempo con le bambine, e poi
il giorno dopo sarebbe andato a trovare Leah in
Ospedale.
“Tranquillo. Non è il tipo che…”
“JACOB
BLACK!”
Non è il tipo a cui piace
assistere a certe cose, pensò Bella, sentendo le urla della sua amica anche da lontano.
“Capisco
perfettamente.” Disse Carlisle, lanciandole
un’occhiata comprensiva, prima di andare incontro ad
un suo collega. In fondo quello era anche il suo Ospedale.
“Sono state
brave?”
Oh, mi ero quasi dimenticata di te Edward.
“Bravissime.”
Fece un lieve sorriso di circostanza alla signorina Jessica, poi si sedette
accanto ad Esme, che aveva delle occhiaie pronunciate
e una tazza di caffè in mano.
“Tu invece come stai?”
“Stanca.”
Rispose Esme, ma sempre mantenendo quel sorriso dolce
che riservava a tutti.
Sapeva benissimo che la
stanchezza di Esme era dovuta
da vari fattori, ed anche se era passato quasi più di un mese, aveva
sempre perso la sua bambina. Bella ormai da giorni si era resa conto che la
signora Cullen faceva quasi fatica a restare nella
stessa stanza con le sue due nipotine, che erano il ritratto di Alice e Jasper.
“Perché
non vai a casa?
Ci restiamo noi qui, con Leah.” Le
accarezzò dolcemente i capelli, cercando di confortarla.
“Ti ricordi quando
sono nate Emma e Mia?” Bella sorrise, perché lo ricordava
benissimo.
Ricordava un’Alice
diciannovenne appena incinta, che non sapeva nulla del mondo lì fuori.
Ricordava Esme e Carlisle che non le
avevano parlato per giorni, per poi perdonarla con regalini per la piccola.
Ricordava il volto livido
di Jasper, dopo che Edward gli aveva dato un pugno in pieno viso.
Ricordava il travaglio di
Alice, e le urla che lanciava contro il povero Jasper.
E ricordava perfettamente
gli occhioni grandi e spaesati di Emma, quando
l’infermiera la portò fuori dentro quella piccola culla.
“Non potrei mai
dimenticarlo.”
“Sei
una zia perfetta, Bella. E sarai una mamma splendida, te lo posso assicurare.”
Le si inumidirono gli occhi, ma cercò di non
piangere. Perché sapeva che Edward la stava fissando, tenendo il suo
sguardo puntato su Bella da un po’.
“NON
FARO’ MAI PIU’ UN FIGLIO! TIRATEMELI FUORI!” Ed ovviamente
Leah era riuscita a rovinare quel momento di pace e
calma anche se non era presente, ma meritandoselo tutto.
“Oh, Dio.”
Due piccoli fagottini erano avvolti da una copertina blu e da una rosa. Alla
fine i gemelli si erano rivelati essere una coppia: un maschietto ed una femminuccia. Per la felicità di entrambi i
loro genitori, che ora si tenevano le mani.
Leah con il viso stravolto dalle quasi
nove ore di travaglio, ma Jacob ancora più
stravolto di sua moglie.
“Avete fatto due
capolavori.” Bella continuava a guardarli estasiata. Erano così
piccoli e così ingenui. Non sapevano nulla di ciò che li
circondava, e sarebbero stati amati alla follia da
tutti quanti.
Potevano entrare due
persone alla volta in quella stanza, e loro avevano deciso di aprire la porta a
Bella e Edward. Soltanto che quest’ultimo era impegnato in una telefonata
importantissima, perdendosi quello spettacolo.
“Scusate.”
Edward entrò in quel momento, posando il cellulare nel taschino della
giacca ed avvicinandosi a Bella. La signorina Jessica se ne era andata ore
prima, forse dopo aver capito che era un po’ di troppo, in quella stanza.
Si fermò davanti
alle due culle, ammirando anche lui i figli di Jake e
Leah. Bella lo stava
osservando da un po’, e notò che aveva dischiuso la bocca e i suoi
occhi si erano fatti quasi lucidi.
Hai anche tu dei sentimenti, Edward Cullen?
“Ora vogliamo
sapere la cosa più importante.” Esordì Bella, toccando
lievemente la manina di entrambi. “Come li avete chiamati?”
“Glielo dici tu, o
glielo dico io?”
“L’idea
è stata di entrambi…”
“Ti ho chiesto se
vuoi dirglielo tu o no, scemo.”
“Giuro che se
iniziate a litigare anche ora, me ne vado.” Esordì Edward, con gli
occhi socchiusi. Quei due erano incredibili.
“Edward,
Bella” Annunciò Leah,
prendendo un bel respiro. “Vi presentiamo Mary Alice Black
e Ronald Jasper Black.”
Senza dire una parola,
dietro le culle di Mary e Ronald, le mani di Edward e di Bella si trovarono
contemporaneamente, stringendosi forte.
“Sei
stanca?” Edward chiuse lo sportello della Volvo delicatamente,
cercando di fare meno rumore possibile. Erano quasi le cinque del mattino, e
finalmente erano riusciti ad uscire da
quell’ospedale, concedendosi qualche ora di riposo. Poi avrebbero
svegliato le bambine per accompagnarle da Leah e per
far conoscere i loro cuginetti ad entrambe.
“Emozionata
è la parola giusta.”
Entrarono entrambi in
casa, restando immobili nell’ingresso, mentre l’alba era ormai
incombente e la casa iniziava ad illuminarsi.
“Sono stati
fantastici.” Disse Edward, stropicciandosi gli occhi stanchi e rossi.
Poi, posò di nuovo lo sguardo su Bella. Rimasero qualche minuto in
silenzio, accompagnati dal ticchettio dell’orologio della cucina che
scandiva i secondi che passavano.
“Che
c’è?” Sussurrò Bella, rendendosi conto che Edward la
stava fissando da un po’, senza dire una parola.
E non ci fu bisogno di
parole, quando la tirò per un braccio facendole posare le labbra sulle
sue.
La testa di Bella stava
per scoppiare: non sapeva per quale motivo la stava baciando, eppure non
riusciva a tirarsi indietro. Perché le labbra di Edward erano morbide e
perfette per le sue. Approfondirono quel bacio capendosi immediatamente, mentre
la mano di lui si posò dietro il collo di
Bella, iniziando ad accarezzarlo dolcemente ed attirandola più vicino a
lui.
Si staccarono nello
stesso istante, con il respiro affannato e gli occhi lucidi.
“Co-?” Ma non fece in tempo a finire la domanda,
perché Edward la attirò ancora di più vicino a lui. Poteva
sentire il battito del suo cuore, sotto quella giacca nera.
“Dormi con me,
Isabella.”
Lei rimase in silenzio,
chiedendosi se aveva capito bene o meno. Se tutto
quello che era accaduto in quella giornata stramba era
frutto della sua fantasia, o no.
“Non
me lo far ripetere di nuovo. Dormi con me.” Bella a malincuore si staccò
dal suo petto, dirigendosi verso il piano superiore, senza guardarlo negli
occhi.
Ma con la mano stretta in quella di
Edward, mentre lo trascinava per scale, chiudendo a chiave dietro di loro la
porta della camera di Bella. Insieme a mille altri problemi.