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Autore: Elisa Stewart    22/07/2014    1 recensioni
Dal primo capitolo:
"Comunque, cosa ci fa una signorina come lei in strada con i tempi che corrono?" Disse iniziando a camminare con lei.
"Oh, la prego mi dia del tu e mi chiami Marley."
"Bene, Marley. La stessa cosa vale per te allora. Chiamami Hunter."
Lei annuì sorridente.
"Stavo andando in libreria, a prendere dei libri per mio padre. Mi vuole.. Mi vuoi accompagnare, Hunter?"
Scosse la testa. Da li a poco sarebbero calate le tenebre, e lui doveva cenare. Ah, c'è una cosa, che non vi ho detto. Hunter era un vampiro da ormai 563 anni.
Non so da dove mi sia uscita sta storia. Personalmente non amo molto i vampiri, eppure ho avuto improvvisamente la voglia di scrivere su di essi. Che dire... Passate se vi ho incuriositi :D
BUONA LETTURA!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Dani, Hunter Clarington, Marley Rose, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Finn/Rachel, Quinn/Rachel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6
 
 
Il corpo della ragazza, che qualche secondo prima stringeva tra le braccia, cadde all’indietro, toccando terra con un tonfo sordo. Il ragazzo si leccò le labbra, guardando quel cadavere con aria di superiorità. Certo, non capiva che ci facesse una ragazza in giro nel bel mezzo della notte, ma  la ringraziò mentalmente, almeno aveva cenato.
Si voltò e cominciò a camminare, senza una meta precisa. Si pulì il muso con la manica della felpa. Era arrivato da poco a New York e già se ne era innamorato. Insomma, oltre agli enormi palazzi e ai bellissimi parchi, trovare ragazze in giro durante la notte non era da tutte le città. Forse solo Las Vegas la eguagliava.
In ogni caso, doveva muoversi a trovare un rifugio. Anche se il sole non gli dava più tanto fastidio, non gli piaceva dormire per strada. E poi, se voleva prendere il controllo di quella così vasta città, doveva trovare una base.
Ma forse non era nemmeno il momento giusto per preoccuparsene. Per ora era più giusto controllare prima che non ci fossero altri vampiri a governare la città. E la ragazza di prima, forse poteva aiutarlo. Anzi, sicuramente, poteva aiutarlo.
 
“Hunter?” Il biondino si fermò sull’uscio della porta e si voltò. Incrociò i suoi occhi e colse in essi un piccolo barlume di qualcosa simile alla preoccupazione. Poté intravedere i denti bianchi che mordevano il labbro inferiore, mentre le sue mani, all’altezza del ventre, si torturavano a vicenda. Marley distolse lo sguardo, rivolgendolo alla strada, avvolta dalle tenebre, fuori dalla finestra.
“Io non so se... Se sono pronta a lasciare la città.” Hunter si poggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia al petto, scrutandola con visibile interesse. Non seppe cosa rispondere, così tacque e lasciò che fosse lei a decidere se continuare a parlare. E lo fece, passandosi una mano tra i capelli.
“Non so nemmeno come sta la mia famiglia...”Il suo era un sussurro, ma arrivò forte e chiaro alle orecchie attente di Hunter. Il biondino inspirò profondamente con il naso e si staccò dal legno dello stipite, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi e avvicinandosi a lei con passo lento. Quello che stava provando la ragazza era del tutto normale, lui lo sapeva bene, ma non capiva perché continuare a farsi così tanti problemi. Non sarebbe mica potuta tornare da loro ora che era come lui. Quindi perché soffrire ulteriormente?
“Prima di andare – continuò Marley, sentendolo vicino- mi piacerebbe sapere se stanno tutti bene.” Si voltò e, nonostante non si aspettava di trovarselo così tanto vicino, inchiodò lo sguardo sui suoi occhi dorati. Era certa che lui ci stesse pensando, sebbene non accennava ad interrompere il loro contatto visivo.
“La vostra casa sarà completamente distrutta, dopo quell’attacco. Come pensi di trovarli?”
“Molto tempo fa mio padre ha fatto costruire un bunker per questo genere di catastrofi. E’ progettato in modo che se sono riusciti a mettersi al riparo lì, sarà impossibile aprire il portello da fuori.” Quello che leggeva ora negli occhi della moretta era speranza. Nonostante si conoscessero da pochissimo, lei sapeva che le avrebbe permesso di verificare la sua ipotesi.
“E sia.”

 
Hunter aprì gli occhi. Riconobbe immediatamente il soffitto della sua camera e si rese conto che era un altro sogno. Tirò un sospiro, chiudendo gli occhi per qualche secondo e cercando di alleviare quel senso di nostalgia che gli attanagliava il petto. Era sempre così: ogni volta che sognava il passato, la consapevolezza che tutto era diventato sempre più complicato lo assaliva. E si scopriva ad essere malinconico. Si tirò a sedere, tenendo gli occhi chiusi e massaggiandosi le tempie. Anche se quelli era tempi abbastanza oscuri, avevano la libertà di fare ciò che desideravano. Invece, da quando erano entrati a far parte della famiglia della Sylvester, dovevano seguire gli ordini per non essere fatti fuori. Inoltre era più tranquillo perché Marley allora non correva i rischi che erano costretti ad affrontare ora.
Oh, giusto. Marley.
Si voltò e, al suo fianco, intravide nell’ombra la sua sagoma, sdraiata su un fianco. Gli dava le spalle, ma lui era certo che fosse sveglia. Istintivamente, le accarezzò il braccio con fare paterno.
“Ehi...” Sussurrò, sporgendosi per poterla guardare in viso. Riuscì a intravedere i suoi occhi – ne era certo, erano lucidi - e le sue labbra ridotte ad una linea sottile.  Sospirò, capendo esattamente cosa stesse provando in quel momento. Stava sicuramente ripensando alla sua famiglia. Sebbene fossero passati settant’anni da allora, a volte Marley ne sentiva ancora la mancanza, in solito dopo sogni che li riguardavano, come quello di prima.
“Vieni qui...” Le sussurrò sdraiandosi nuovamente, vicino a lei. Poco dopo, la sentì girarsi e nascondersi tra le sue braccia, poggiando la testa nell’incavo del collo. Le posò un bacio sulla tempia e la strinse a sé, cercando di consolarla.
“Non sei sola, ricordalo sempre.” Le sussurrò dolcemente. Marley non rispose. Semplicemente si aggrappò alla sua maglietta, stringendo il tessuto tra le dita sperando che le fitte allo stomaco che le stava causando il senso di colpa la lasciassero in pace e le permettessero di riprendere sonno.
 
“Buongiorno!” esclamò una Dani tutta raggiante, bloccando per un braccio la sua migliore amica –che stava correndo ad un tavolo con il taccuino in mano-  e attirandola a sé per un abbraccio. Dawn rimase un po’ perplessa dal suo comportamento, ma dopo aver fatto due più due, lo ricollegò all’appuntamento fissato con Santana il giorno prima.
“Buongiorno a te!” Disse ricambiando l’abbraccio. Quando si staccarono, Dani andò a posare il suo giubbotto nello spazio riservato ai dipendenti.
“Hai dormito, stanotte?” Le chiese Dawn non appena tornò dall’altra parte. Lei le sorrise, sistemandosi il grembiule.
“Poco e niente.- Rispose divertita- Ma è come se non ne avessi bisogno, sono in forma smagliante!”
Pronta a crollare sul divano dopo pranzo. La riccia si lasciò scappare una risatina, che non sfuggì all’amica.
“Che ti prende ora?” chiese cominciando a disporre i dolci nelle teche del bancone.
“Oh, niente.” Mentì la più piccola, non togliendosi dalla faccia quel suo tipico sorrisino divertito, consapevole che la bionda era troppo presa a pensare a Santana per insistere.
“Che metterai stasera?” Chiese poi.
“A questo proposito devi aiutarmi. Non so proprio cosa indossare!”  Dawn corrugò la fronte.
“Un vestito?”
“Sì, ci avevo pensato anche io, il problema è che non so quale...” La riccia sospirò, alzando gli occhi al cielo: perché si faceva così tanti complessi mentali?!
“Ok, ok.”
“Grazie!” Dani la abbracciò, stavolta con più forza, rischiando seriamente di soffocarla.
“E ora al lavoro!”
 
Il telefono, abbandonato qualche minuto prima sul letto, vibrò un paio di volte, catturando la sua attenzione. Santana uscì dal bagno della sua camera- in mano l’asciugamano con cui si stava sciugando i capelli- e si sedette sul letto, recuperando l’apparecchio.
Non appena lesse il suo nome sul display, sorrise. Aprì il messaggio e il suo sorriso si allargò ulteriormente.

Non vedo l’ora che arrivi stasera!
-Dani
Scrisse velocemente una risposta e, una volta abbandonato nuovamente il telefono sul letto, tornò ad asciugare i capelli. Sì, era la stessa cosa per lei. Era elettrizzata al solo pensiero di passare un’intera serata con lei e non i soliti dieci minuti al bar. Le piaceva davvero, Dani, e semmai le cose si fossero complicate –perché sapeva che sarebbe successo, era normale routine-, non aveva intenzione di arrendersi facilmente come negli altri casi: aveva giurato a se stessa che avrebbe combattuto per tenersela stretta. Era da un po’ che la sua situazione di cacciatrice l’aveva stancata. Ora voleva solo essere felice e tornare a vivere una via normale. Ma sapeva che non avrebbe potuto abbandonare tutto così facilmente, quindi stava cercando un buon pretesto per uscire dai ranghi e tornare ad essere libera. Non poteva attendere che la guerra fosse finita, sarebbero sicuramente passati anni. Si ritrovò a fissare i suoi stessi occhi allo specchio.
Non c’è motivo di essere nervosa... Si disse. Gli altri capiranno e mi lasceranno andare. Quello era uno dei tanti tentativi, quasi sempre falliti, per cercare di autoconvincersi che non era poi così difficile. Aveva deciso di presentare le sue “dimissioni” dopo la prossima missione. Ma prima aveva intenzione di accennare qualcosa a Will Schuester, per vedere come reagiva.
“Santana, ci sei?” Quella che la distolse dai suoi pensieri era la voce del suo migliore amico che, a giudicare dal fatto che l’aveva sentita a malapena, veniva da fuori la stanza.
“Arrivo.” Disse a voce alta. Sospirò, legandosi i capelli in una crocchia e avviandosi alla porta. Quando incrociò lo sguardo del ragazzo, però, capì subito che qualcosa non andava.
“Seb... Cosa...?”
“Schuester ha indotto una riunione. Ora.”
 
 Will faceva saettare lo sguardo su ognuno di loro da circa un paio di minuti. Li aveva convocati tutti, dicendo che fosse un’emergenza, ma ancora non si decideva a parlare. Non faceva altro che sospirare, lanciare occhiate una volta ai presenti, una volta al giornale che aveva davanti, sulla scrivania. Santana cominciava a perdere la pazienza. Se era davvero così indeciso, avrebbe potuto convocarli più tardi. Prese un profondo respiro, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. Sebastian le passò un braccio attorno alle spalle, tirandola a sé.
“Trattieniti.” Le sussurrò, capendo cosa le passava per la testa. Lei annuì, sbuffando. E sospirò di sollievo quando finalmente il capo dei cacciatori si decise a parlare.
“Abbiamo un grosso problema.” Comunicò loro, spingendo il quotidiano in avanti. Finn Hudson si alzò piano, avvicinandosi alla scrivania e prendendo il giornale. In prima pagina, spiccavano una foto, alquanto macabra, e un titolo a caratteri cubitali.
“Ragazza ritrovata morta nei pressi di Central Park...” Lesse il ragazzo, in modo che tutti potessero sentirlo. Santana corrugò le sopracciglia.
“E cosa centrerebbe questo con...”
“La vittima presenta due fori alla base del collo. Si presume che sia morta per dissanguamento.” Continuò a leggere Hudson, interrompendola quasi subito. Un silenzio agghiacciante piombò nella stanza. Nessuno si azzardava a parlare, era tutto uno scambio di sguardi stupiti e increduli. Non c’erano mai stati casi del genere prima d’ora. Sebastian prese parola, formulando la domanda che girava in testa più o meno a tutti, in quel momento.
“Pensa siano stati quelli della Sylvester?” Will lo guardò con sguardo grave.
“Non penso. E’ così. Non ci sono vampiri in città, oltre a loro.” Si alzò, il capo dei cacciatori, dirigendosi alla finestra, le mani saldamente congiunte dietro la schiena mentre esaminava con  lo sguardo quel poco di terreno che si poteva vedere da lì. Finn abbassò il giornale, porgendolo poi a Sebastian. Non appena il castano lo afferrò, Santana gli si avvicinò. Osservò la foto. La ragazza sembrava essere sulla ventina. Era distesa a terra – la testa rivolta da un lato, gli occhi chiusi e la bocca spalancata. Non c’era un a goccia di sangue sul terreno. Era sicuramente l’opera di un vampiro, ma qualcosa non la convinceva.
“Non possono essere stati loro.” Diede voce ai suoi pensieri con un tono di voce un po’ troppo alto. Infatti tutti si voltarono a guardarla. Schuester compreso. Quando Santana si rese conto di avere addosso l’attenzione di tutti i presenti, si schiarì la voce.
“Voglio dire, nessun cittadino ha mai saputo della loro esistenza. Perché?” Si affrettò a spiegare, strappando di mano il quotidiano a Sebastian.
“Perché farsi scoprire ora. Non farebbero altro che peggiorare la condizione di tutti, giusto?”
“Non sappiamo cosa frulla in testa alla Sylvester.” Intervenne Rachel Berry. La latina si alzò.
“Sì, ma questo non è il loro stile!” Mano a mano che la discussione andava avanti, William sembrava interessarsi sempre più.
“Non abbiamo mai trovato un cadavere, hanno sempre nascosto tutto.”
“Quindi stai dicendo che è stato qualcun altro.” Ne dedusse Kitty Wilde. Santana annuì. William si portò una mano al mento, come faceva sempre quando pensava. Si accomodò nuovamente sulla poltrona dietro la scrivania.
“Ha senso.” Ammise abbassando la testa. La cacciatrice latina lo guardò. Questo piccolo problema non faceva altro che rallentare il suo piano. Si andò a sedere accanto a Sebastian, nella speranza che Schuester non assegnasse una nuova missione. E invece, fece fatica a trattenersi dall’urlare per la frustrazione quando il capo dei cacciatori distribuì i compiti. Voleva che tutti si concentrassero su questo problema, il che significava metter da parte per un po’ i nemici principali. E così, tutti i piani di Santana si frantumarono insieme alla speranza di uscire una volta per tutte da quella situazione. Quando uscirono dalla sala di ritrovo, Santana si trattenne ancora una volta dall’urlare il suo disappunto. Si diresse quasi pestando i piedi verso la sua stanza e emise un basso ringhio quando qualcuno le afferrò il braccio.
“Accuccia!” Esclamò Sebastian trascinandola poi dentro la camera e chiudendosi la porta alle spalle. La latina si buttò sule letto, incrociando le gambe e recuperando il telefono. Evitò di controllare il display, non volva ancora parlare a nessuno dei suoi piani, ne tanto meno della sua situazione sentimentale. Osservò in silenzio il ragazzo mentre si appoggiava alla scrivania e incrociava le braccia al petto. Colse nel suo sguardo e nel suo sopracciglio alzato poco di buono.
“Allora?” Fece il castano, allungando in maniera quasi esagerata la vocale di mezzo. Santana corrugò le sopracciglia, voltando lievemente la testa alla sua sinistra e guardandolo di sbieco.
“Allora cosa?” Rispose imitando il suo tono. Sebastian sospirò e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi le si avvicinò.
“Ti conosco. So che non sei la persona più paziente di questo mondo, ma sei disposta a diventarlo se si parla  di combattere.” La mora si accorse che aveva maledettamente ragione. Si diede della stupida, menomale che non voleva darlo a vedere. Sbuffò sonoramente, distogliendo immediatamente lo sguardo. Avrebbe dovuto saperlo che al francese non sfuggiva nulla. Si sdraiò sul letto, mettendosi a fissare il soffitto.
“Vuoi la verità, Seb?” Mormorò. Il ragazzo si andò a sedere accanto a lei, poggiando tutto il peso sulla mano destra. Con uno sguardo, invitò l’altra a continuare. Santana sopirò, chiudendo per qualche secondo gli occhi.
“Ho... Incontrato una ragazza... E ho pensato a parecchie cose.” Il francese la guardò, aggrottando la fronte.
“Penso di essere stufa di tutto questo. Voglio abbandonare i cacciatori.” Sebbene Sebastian sapesse dove voleva arrivare l’altra, quasi non si affogò con la sua stessa saliva. Diede due colpi di tosse e si alzò, tenendo il pugno chiuso davanti alla bocca. La latina, aspettandosi la reazione dell’altro, si alzò leggermente, puntando i gomiti sul materasso.
“Ora non iniziare a fare prediche e cose varie, però.” Lo avvisò, o meglio, lo minacciò.
“Tu sei pazza.” La etichettò. Le lanciò uno sguardo sconcertato che fu immediatamente ricambiato con un’occhiata che voleva significare tutt’altro.
“Vorresti mandare a fanculo tutti gli sforzi che abbiamo fatto, tutte le battaglie, i sacrifici... Per una ragazza?”
“Non è per lei, Seb. E’ per me.” Lo sguardo che seguì la sua ultima affermazione racchiudeva la speranza che il castano potesse capirla. E Sebastian lo fece. L’aveva capita fin da subito, sapeva cosa si provava.
“Lo so. Ma non posso lasciarti uscire.” Ammise. Non capiva nemmeno lui il motivo di quella frase. Una parte di lui la voleva incoraggiare, ma l’altra parte, quella che era prevalsa... L’aveva costretto a dire quelle cinque semplici parole, che però sembravano aver avuto un effetto decisamente negativo sull’altra, che ora teneva lo sguardo basso e si mordeva il labbro inferiore.
“Tu non capisci.” Lo disse con le labbra piegate in un sorriso che somigliava più all’espressione di qualcuno che aveva appena ingoiato un boccone amaro. Si alzò dal letto, lasciando penzolare le braccia lungo i fianchi e lottando per trattenere quelle lacrime di rabbia e frustrazione che minacciavano di rigarle il volto. No, non era da lei piangere per queste cose. Ma la verità era che aveva trattenuto quelle emozioni per così tanto tempo, che ormai risultava quasi incapace di respingerle. Si affacciò alla finestra –sotto lo sguardo comprensivo dell’amico – e cominciò a incanalare nei polmoni grosse quantità d’aria, cercando di calmarsi quel poco che le bastava per riprendere a parlare.
“Non ne posso più, Seb. Non voglio più rischiare la vita tutti i giorni, girare per la città non abbassando mai la guardia, preoccuparmi per l’incolumità delle persone che mi circondano.” Lo disse tutto d’un fiato, non staccando gli occhi dai ciuffi di erba verde che circondavano la loro base. Sebastian, che nel frattempo aveva combattuto una guerra nella sua mente, la affiancò e non perse tempo a passarle un braccio attorno alla vita.
“Questa battaglia non mi appartiene.” Concluse la latina, stringendosi a lui. Il francese le posò un bacio sulla tempia, una delle due parti aveva visto la lotta che si era svolta nella sua mente. Passò anche l’altro braccio attorno alla sua vita e la strinse a se in un abbraccio che sapeva di famiglia. Santana ci si buttò dentro, nascondendo il volto nell’incavo del collo.
“E va bene. – cominciò il ragazzo.- Ti aiuterò a trovare un modo per lasciare i cacciatori.” La mora di allontanò quasi subito, lanciandogli uno sguardo sorpreso ma alla stesso tempo pieno di gratitudine. Dopo averle lasciato un bacio sulla guancia, il francese si avvicinò alla porta, cominciando a meditare per trovare un buon piano.
“Seb? Un’ultima cosa.” Di fermò appena prima di afferrare la maniglia della porta. Si voltò e incrociò lo sguardo della mora.
“Stasera ho un appuntamento... Con quella ragazza.” Colse al volo quello che voleva dirgli la cacciatrice.
“E va bene, Lopez. Ti copro io.”
 
Quando Sue li aveva convocati Marley si stava godendo il silenzio rilassante che albergava nella sua stanza. Era anche sul punto di addormentarsi, quando bussarono alla sua porta. Blaine la avvertì che la Sylvester voleva vederli con urgenza e lei, constatando che il suo momento di completo relax era appena andato in frantumi, si era alzata dal suo comodo letto e aveva raggiunto il ragazzo. E ora, nella sala delle riunioni, mentre aspettavano che arrivassero tutti, si era accomodata in una delle poltrone e aveva iniziato a cercare un passatempo. Hunter le arrivò da dietro, poggiandosi allo schienale della poltrona e sporgendosi per guardarla.
“Ehilà!” Marley alzò una mano per rispondere al saluto.
“Come stai?” Chiese il biondo. Entrambi sapevano che quella domanda si riferiva a una cosa in particolare, ma la ragazza preferì non prendere il discorso.
“Meglio ma non mi va di parlarne.” Rispose lanciandogli uno sguardo che sapeva di supplica. Hunter abbassò la testa e si accomodò sul bracciolo della poltrona, carezzandole poi la testa in un moto di tenerezza. In quello stesso momento, una Sue Sylvester alquanto arrabbiata piombò nella sala e a grandi passi raggiunse il suo “trono”. Si voltò a guardarli e, aspettando che si ammutolissero tutti, si soffermò sugli occhi di tutti i presenti in sala. Uno ad uno, i vampiri, capirono, dallo sguardo a dir poco assassino di Sue, che la motivazione per cui li aveva convocati era grave.
“Qualcuno di voi ha letto il quotidiano di recente?” La sua voce interruppe bruscamente il silenzio che si era venuto a creare nella sala. In pochi alzarono la mano, tra questi c’era anche Hunter.
“Quindi avete visto l’articolo in prima pagina.” Dedusse la donna con occhi indagatori. In effetti il ragazzo lo stava esaminando appena prima di essere chiamato. Aveva deciso di scoprire di più sull’accaduto. Sospettava però che, non appena avesse letto l’articolo, la Sylvester li avrebbe convocati e ci aveva visto giusto.
“Hunter Clarington. –lo chiamò la bionda. Un brivido inspiegabile percorse la schiena di Marley.- Ci vuoi spiegare cosa c’era scritto nel giornale?” Il castano deglutì e cominciò a torturarsi le mani.
“Stanotte – cominciò in tono sommesso – hanno ritrovato il cadavere di una ragazza sulla ventina di anni, nei pressi di Central Park.” Hunter sentiva l’attenzione di tutti su di se, ma non era questo a metterlo in soggezione quanto gli occhi malefici della Sylvester puntati sui suoi. Prese un grosso respiro prima di continuare.
“E’ morta per dissanguamento e si presume sia colpa dei due fori trovati alla base del collo.”
“Esatto.” Intervenne immediatamente Sue. Cominciò a percorrere a piccoli passi la distanza che la separava dagli altri.
“Ora, non vi fanno pensare quei due buchi sul collo della giovane?” Chiese in un tono che non prometteva nulla di buono.
“Sembra l’opera di un vampiro.” Noah Puckerman, capo dei Killer, intervenne con il solito tono di chi la sa lunga. Sue gli lanciò un’occhiata alquanto inquietante.
“Giusto. C’è un piccolo problema, però.”
“Gli unici vampiri di New York siamo noi...” Quello che scivolò fuori dalle labbra di Marley non era altro che un pensiero detto a voce troppo alta. Infatti fu percepito da tutti. Istintivamente, Hunter allungò un braccio verso di lei, tirandola a se in un moto quasi impercettibile non staccando però gli occhi da quelli dorati della Sylvester.
“Già.” Si limitò a confermare la donna. Tornò al suo trono e ci si sedette, accarezzando il legno con le dita. Un silenzio tombale piombò su tutti i presenti, un silenzio carico di tensione. Ognuno teneva d’occhio chi gli stava di fronte, in cerca di un minimo segno di colpevolezza. Ma quel segno non arrivò da nessuno dei presenti.
“Voglio sapere chi è stato. Ora.” Più che un sussurro, era un sibilo, quella frase.
“Sicuramente, non è stata la mia squadra.” Intervenne Noah, lanciando poi uno sguardo carico di sfida verso Hunter, che lo colse al volo.
“Cosa vorresti insinuare, Puckerman?”
“Non so, Clarington. Non siete voi che lasciate tracce ben evidenti quando combattete?”
Il capo dei Warriors si alzò di scatto, in preda ad un moto d’ira.
“E’ vero, ma io li tengo tutti sotto controllo. Non combattono, non agiscono, addirittura non respirano se non lo dico io.” Sibilò a denti stretti, non interrompendo un attimo il contatto visivo con l’altro. Nel frattempo, Sue osservava e ascoltava la discussione, intenta a lasciarli continuare.
“Già, ma che mi risulti una dei tuoi è fuori dal tuo controllo, al momento.” Intervenne Rory Flanagan, altro membro dei Killers. Questa volta fu il turno di Marley trattenere un moto di rabbia.
“Non parlare di Quinn così, Flanagan.”
“Altrimenti ti metti a piangere, Rose?!” Matt Rutherford sorrise beffardo. In un attimo tutti i membri dei Warriors si affiancarono al loro capo e alla più piccola, lanciando sguardi assassini alla squadra rivale.
“Calmiamo i bollenti spiriti.” Intervenne subito la Sylvester, non volendo perdere membri. In quell’istante, una figura, che fino ad allora era rimasta in disparte ad osservare la scena, fece un passo avanti.
“E se fosse stato qualcuno al di fuori di questa famiglia?” Sugar Motta guadagnò l’attenzione di tutti i presenti, che misero momentaneamente da parte i loro litigi per ascoltare la sua teoria. La stessa Sue parve sorpresa da quella affermazione.
“Pensateci. Se non sono stati i Killers e i Warrior... Allora significa che a New York è arrivato un nuovo vampiro.”
“Chi ci dice invece che non sei stata tu?” Chiese Noah assottigliando gli occhi. La Motta scrollò le spalle.
“Io sono stata tutta la notte a curare Quinn. Se volete, potete verificare.” Un nuovo silenzio, che questa volta sapeva più di riflessione, invase la stanza. Marley rimase a dir poco stupita dalla brillante deduzione della castana. Sugar le era sempre sembrata una di quelle ragazze vissute in una ricca famiglia, viziate e incredibilmente stupide. Eppure, da un po’ di tempo a questa parte, ogni volta che apriva la bocca, costringeva la moretta a ricredersi sempre di più.
“Ok, prima di scannarvi a vicenda come tanti cani da guardia, verifichiamo che non ci siano altri vampiri per la città. Killers, andate sul luogo del delitto. Warriors voi farete la ronda notturna.” Detto questo la Sylvester si alzò, attraversò la sala a grandi falcate, e uscì dalla stanza. I presenti la seguirono poco dopo, non smettendo un attimo di lanciarsi sguardi di sfida, e si dispersero subito. Hunter e Marley salirono le scale insieme, per poi fermarsi in cima.
“Cosa hai intenzione di fare ora?” Chiese il giovane. Marley scrollò le spalle.
“Quello che stavo facendo prima del colloquio. Dormire.” Il castano ridacchiò e ficcò le mani in tasca.
“Beh, allora ti faccio compagnia.” 
  
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