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Autore: VaVa_95    26/07/2014    1 recensioni
Anno 2003.
Il primo tour sul suolo americano porterà i membri degli Avenged Sevenfold, ancora poco conosciuti, alla scoperta del mondo della musica, dei suoi meccanismi, delle sue sfaccettature e... delle persone che vivono in esso (e per esso) da molto tempo.
Ma la cosa che conta davvero è inseguire i sogni, almeno per loro.
Oppure no?
TRATTO DAL SESTO CAPITOLO:
"- Perché questa gente è contro tutto? -
- Perché quel tutto li ha delusi. E ora non credono a niente. -".
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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CAP. 2


 
“Not long ago you find the answers were so crystal clear,
Within a day you find yourself living in constant fear”
Avenged Sevenfold – Welcome To The Family


 
Portland, Oregon
Giugno 2003

 
Lennox stava girando senza sosta fra gli stand, curiosando e parlando a volte con qualcuno.
Avrebbe voluto (o meglio, avrebbe dovuto) studiare, ma con tutta quella confusione era impossibile. Avrebbe dovuto aspettare le sette di sera, quando gli stand sarebbero stati chiusi, in modo da rintanarsi nel suo tour bus e, finalmente, aprire il libro di scienze.
Sempre se suo padre non tornava ubriaco con la biondina di turno, allora sarebbe uscita e sarebbe andata in giro per un po', oppure dalle amiche.
Sospirò: ultimamente quel tipo di vita le stava stretto. Non si era mai lamentata, ma... a volte aveva quei momenti, come li chiamava Iris.
Quei momenti in cui le mancava casa.
Quei momenti in cui le mancava sua madre.
Quei momenti in cui avrebbe voluto andare via e basta.
Quei momenti in cui avrebbe voluto essere una ragazza normale cresciuta in circostanze normali, con genitori normali che facevano lavori normali.
Invece no.
Si era ritrovata incastrata in quella vita, con quel tenore basso e squallido, senza poterci fare niente. L'unico lato positivo era quello dei continui viaggi: aveva girato moltissime città, conosciuto molte persone, a volte aveva addirittura scoperto nuove culture. Era grata per quella opportunità.
Ma si sentiva fuori posto, a volte. E quando capitava, era sempre meglio distrarsi e fare qualcos'altro. O la sua mente sarebbe stata invasa ancora da quei piccoli esserini che continuavano a tormentarla. E se i suoi demoni si nutrivano di tutto quello che lei aveva etichettato come sofferenza, sarebbero cresciuti e avrebbero preso il sopravvento. Come era successo a Iris. E stava succedendo anche Eleanor.
E lei non voleva essere come loro, voleva essere felice e godersi la vita che le era capitata, in qualche modo.
Immersa nei suoi pensieri, non controllò nemmeno dove era diretta. Per questo, quando andò a sbattere contro qualcuno e dall'impatto cadde a terra, si ritrovò a ruzzolare letteralmente dalle nuvole. Per di più, sembrava che fosse andata a sbattere contro un muro, tanto l'impatto era stato forte. Ma come diamine aveva fatto?
- Matt, sei il solito elefante - constatò qualcuno, tendendole la mano (e lei era ancora troppo stordita per dire qualsiasi cosa) - riesci ad alzarti o ti ha distrutta completamente? -
- Ehi, è lei che mi è venuta addosso - esclamò il ragazzo a cui evidentemente era andata contro - non ti sei fatta male, vero? -
- Tutto a posto, sul serio - li rassicurò la giovane, alzandosi in piedi e sbattendo le mani sui pantaloncini di jeans, in modo da scuoterli dalla polvere o chissà cos'altro ci fosse per terra.
Posò lo sguardo sulle due figure che aveva davanti, la prima a cui era andata letteralmente addosso e l'altra che l'aveva aiutata ad alzarsi: erano due ragazzi che facevano palesemente parte di una band (in più uno di loro aveva il badge identificativo che pendeva dalla tasca dei pantaloni), entrambi sulla ventina. Il primo era alto più di un metro e ottanta, in più aveva la stazza di un armadio. Per non parlare dei muscoli: ora capiva perché si era fatta male. Nel complesso era davvero un bel ragazzo: aveva la carnagione chiara, i capelli neri come la pece rigorosamente tinti e gli occhi verdi messi in evidenza con una linea di matita nera. Per quanto sembrasse scontroso e totalmente inaffidabile, era evidente che non sapesse nemmeno far male a una mosca.
Il secondo ragazzo era più basso del primo di circa dieci centimetri, se non di più, e la sua corporatura era nella norma. Anche lui aveva i capelli neri con qualche ciocca bionda qua e là e la pelle quasi lattea. Quello che colpiva erano sicuramente gli occhi, di un verde chiaro, molto particolari. Sembravano brillare. Non aveva mai visto occhi così belli in vita sua, e di persone lei ne aveva incontrate davvero tante.
- Sicura che non ti sei fatta niente? Sembri frastornata - osservò il ragazzo che l'aveva aiutata ad alzarsi, per poi porgerle la mano per la seconda volta in cinque minuti - sono Zacky, comunque. E l'elefante che ti ha buttata a terra è Matt. -
- Ciao - li salutò, cordiale, mentre anche il secondo ragazzo le sorrideva - benvenuti al Warped. Divertitevi e state lontani dai guai. -
- Sembra proprio che tu conosca l'ambiente, per farci questa specie di cantilena. -
- Lo conosco abbastanza, fidatevi - la giovane guardò di sfuggita l'orologio, rendendosi conto che erano le sei e mezza e che avrebbe dovuto sbrigarsi a tornare a casa - beh, è un piacere avervi conosciuto. Godetevi questa serata, domani si parte per Seattle e lì il tour comincerà davvero. Eccitati? -
- Okay, sembra proprio che tu sia di casa - osservò il ragazzo indicato come Matt, non potendo fare a meno di ridacchiare - comunque si, diciamo di si. Ehi, ti va se dopo andiamo a prendere una birra? Ti ho buttata a terra, direi che è il modo giusto per sdebitarmi.
La giovane diede una scrollata di spalle.
- A me sta bene. Posso portare due amiche? -
- Porta chi vuoi, più siamo e meglio è. -
- Perfetto. Ci faremo trovare esattamente qui alle nove, sempre se non avete esibizioni da fare. Non ritardate e non accettate droga dagli sconosciuti. -
L'ultima frase l'aveva detta con un tono tale che fece scoppiare a ridere entrambi. Dopo un cenno di saluto, i due fecero per allontanarsi. Improvvisamente, però, al ragazzo che si era presentato come Zacky sembrò venire il colpo di genio. Si girò di scatto e attirò la sua attenzione muovendo la mano.
- Ehi, biondina! Non ci hai detto il tuo nome! -
- Lennox - urlò di rimando la giovane, pensando al fatto che quello era certo un modo inusuale di presentarsi - e chiamami ancora una volta biondina e ti ritroverai con il naso rotto! -
Si voltò, dirigendosi verso i tour bus dei roadies. Quei due le piacevano, erano le prime persone simpatiche che aveva conosciuto dopo un bel po' di tempo, lì.
Magari ne sarebbe seguito qualcosa di buono.


 
--


 
- Cinquantasei - disse semplicemente Iris, mentre metteva la custodia con dentro il suo prezioso basso a tracolla.
- Cinquantasei? - ripeté Eleanor, con fare interrogativo.
Iris era di poche parole, questo potevano dirlo tutti. Semplicemente non si fidava delle persone. O forse aveva paura. Ma in entrambi i casi, meno parlava meno la gente la disturbava, cosa che in effetti voleva.
Con le sue amiche però non era stato così. Non l'avevano lasciata in pace e non l'avrebbero mai fatto. Tenevano troppo a lei per lasciarla scivolare in uno strano vortice di solitudine, dove si chiudeva nel suo tour bus senza dire una parola a nessuno anche per giorni interi. Ed era capacissima di farlo, loro lo sapevano.
- Cinquantasei sono le persone che, negli ultimi cinque anni, Lennox ha letteralmente rimorchiato al Warped. E quest'anno ha anche cominciato in anticipo. -
L'amica scoppiò a ridere. In effetti era vero: un po' perché era bella e un po' perché aveva il classico carattere che attirava le persone, Lex aveva decisamente fatto tante amicizie... particolari, in quegli anni. Di solito trascinava tutti in una grande uscita di gruppo, dove lei spariva e veniva ritrovata circa un'ora dopo con la lingua in bocca al malcapitato di turno (al quale, ovviamente, la cosa non dispiaceva).
Quella volta sembrava stranamente diverso. Le aveva raccontato che era stata travolta e, per farsi perdonare, erano stati quei ragazzi ad invitarla a bere una birra, non il contrario. Entrambe ci credevano poco, però.
- Fai finta di divertirti. Fallo per lei. -
- Un'ora. Starò qui un'ora e poi me ne andrò a dormire. Ti ricordo che da qui a Seattle non è poi un viaggetto da nulla. E una volta lì, si metteranno tutti al lavoro per sistemare stand e palchi. Per non parlare della varie radio e riviste che mandano i loro inviati a intervistare tutte le band. Comincerà il delirio. -
- Andata. -
Iris non era mai entrata in quel mondo. Era semplicemente una ragazza che viaggiava per l'America e l'Europa con la madre, nulla di più. Non voleva far parte di quello scenario fatto di tutte le schifezze possibili ed immaginabili. Amava la musica, non amava quello che le stava intorno. A volte avrebbe solo voluto scappare lontano, riuscire ad andare via una volta per tutte. Ma dopo dove sarebbe andata? E che cosa avrebbe fatto? Quella era la sua vita. E prima o poi se ne sarebbe dovuta fare una ragione.
La ragazza scostò un ciuffo di capelli ribelle che le era caduto sul viso, indicando poi con un cenno della testa la figura di Lennox che si faceva strada fra le ultime persone che aiutavano i tecnici a smontare gli stand prima di andare a casa. Era seguita da cinque figure piuttosto imponenti, almeno da lontano.
- Ed eccola che arriva - esclamò, alzando gli occhi al cielo.
Accidenti a lei e alla sua innata capacità di conoscere tutti i presenti del luogo.
E accidenti anche al Warped Tour.
 

 
In poco meno di venti minuti i membri degli Avenged Sevenfold avevano constatato che Lennox era davvero un bel tipo: era sempre entusiasta, sprizzava allegria da tutti i pori e sorrideva sempre. Anche il suo aspetto fisico sembrava essere legato al suo carattere... persino i capelli biondi risplendevano, anche se erano le nove di sera e il sole stava tramontando, dando lentamente spazio all'oscurità.
Quello di Portland non era un bel tramonto, aveva constatato Johnny quando poco prima si era fermato ad osservare il cielo: esso non si faceva di mille colori, non si vedeva il sole abbassarsi piano, come se non volesse lasciare la sua postazione (anche se in realtà stava sempre fermo ed erano loro che si muovevano). No, decisamente non era come il tramonto della loro città.
Gli mancava casa, non c'erano dubbi al riguardo. Ma in fondo era solo l'inizio del tour: ci avrebbe fatto l'abitudine.
- Ragazzi, loro sono Eleanor e Iris - esclamò la giovane, entusiasta, richiamando improvvisamente la sua attenzione - ragazze, loro sono gli Avenged Sevenfold! -
I cinque si ritrovarono davanti due ragazze di circa la loro età, anno più anno meno. La prima era leggermente più alta della seconda, aveva i capelli scuri e due enormi occhi verdi. Il pesante ombretto nero sulle palpebre non sembrava nasconderli, al contrario li metteva in risalto. Sembrava essere completamente fuori posto: la carnagione pallida, i lineamenti delicati, le labbra rosso fuoco... sembrava decisamente una bambola di porcellana. Era come se qualcuno l'avesse lasciata lì e non fosse più tornato a riprendersela.
La seconda ragazza era alta non più di un metro e sessanta, ma era molto proporzionata: indossava un paio di jeans strappati e una maglietta dei Metallica con le maniche arrotolate. A tracolla portava un basso, cosa che aveva catturato subito l'attenzione di Johnny. Tutto quello che riguardava la musica attirava la sua attenzione, in fondo. Aveva i capelli verdi, non un verde che rientrava nei canoni della normalità (se si parlava di tinte per capelli, s'intendeva), ma un verde mela che faceva contrasto su tutto. La leggera ricrescita però mostrava che il suo colore naturale era il castano chiaro, come del resto lo dicevano le sopracciglia perfettamente curate. Aveva la carnagione leggermente più scura dell'amica e forse era proprio quello che metteva in risalto gli occhi nocciola.
Se le si vedeva nel loro insieme, però, quelle tre facevano sicuramente un bel trio. Così diverse, ma al contempo così uguali.
- Ehi, ma si, so chi siete - esclamò la ragazza che era stata indicata come Eleanor - vi siete esibiti ieri sul Main Stage, verso le cinque. Giusto? -
- Eri lì? - domandò Jimmy, leggermente stupido - non sei stata travolta da tutto quel casino, vero? Non ti sarai fatta male! -
Jimmy aveva un innato istinto materno verso tutti, anche se la persona che aveva davanti l'aveva conosciuta pochi minuti prima. La cosa però aveva stupito anche Zacky: in fondo, una ragazza del genere non sembrava essere adatta ad un concerto metal, anzi, tutto il contrario. Il chitarrista scosse energicamente la testa. Stupidi luoghi comuni.
La giovane rise - No, ecco... diciamo che ero lontana da mosh pit, mettiamola così. Che è stato uno dei migliori che ho visto, devo dire. -
- Anche tu di casa allora - constatò Brian, sorridendole e stringendole la mano.
A differenza di Matt e Zacky lui non aveva conosciuto la ragazza bionda (della quale non si ricordava nemmeno il nome, in fondo non importava) fino a poco prima, ma gli amici gli avevano raccontato che, per quanto assurdo, la giovane sembrava essere nata e cresciuta in quell’ambiente, tanto era a suo agio.
Non che il chitarrista si fosse stupido, considerando il fatto che molta gente aveva delle straordinarie capacità di adattamento ad ogni luogo possibile e immaginabile.
Ma si era meravigliato, quello era sicuro, quando Eleanor (e quel nome avrebbe davvero fatto bene a ricordarselo) aveva detto che era stata ad una loro esibizione. Lei sembrava così… così…
- Bene! - strillò Lennox, entusiasta, prendendo per le spalle l'altra ragazza che era stata in silenzio per tutto quel tempo - andiamo, le birre migliori finiscono sempre subito. -
- Non mi parlare - le disse la giovane (Iris, ecco come si chiamava!), scostandosi e procedendo per conto suo, leggermente staccata dalla piccola compagnia che si era andata a formare.
I cinque non sapevano quale accidenti fosse il suo problema. Sembrava leggermente maleducata, come del resto lo erano state alcune persone che avevano incontrato in quei due giorni che erano lì. Quel posto era pieno di belve.
- La birra è solo birra, non farla lunga. -
- Eh no! - scattò su Matt, non potendo fare a meno di dare a Eleanor una leggera pacca sulla spalla, come a contraddirla - c'è birra e birra. Come fai a non vedere la differenza? -
- Perché non beve quasi mai, lasciatela stare, straparla - spiegò la bionda, ridacchiando e facendo strada.
Jimmy ridacchiò, constatando che quel piccolo gruppo formatosi poco prima era uno dei più strani ma al contempo belli in cui fosse mai stato. Sicuramente sarebbe stata una bella serata. Peccato che il giorno successivo sarebbero già dovuti partire per Seattle e non le avrebbero più viste (almeno fino al tour dell'anno successivo, dato che gli avevano detto che se riscuotevano successo li avrebbero richiamati).
Ma a fine serata si farebbe fatto dare il numero da tutte e tre le ragazze, sperando di sentirle ancora.
In fondo, Larry aveva detto di mantenere i contatti.

 

 
--



Quando gli avevano proposto di andare in tour con la band e di far parte della loro road crew, Jason Berry aveva acconsentito, entusiasta. Pensava che quella del Warped Tour fosse un’occasione per passare più tempo con gli amici, di conoscere nuova gente e di viaggiare, viaggiare parecchio.
Erano lì da appena due giorni e già aveva capito che no, il tutto non sarebbe stato poi così soddisfacente come all’inizio sembrava.
Le persone che aveva conosciuto erano maleducate come pochi, le band si sarebbero spostate a notte fonda per poi esibirsi in una nuova città il giorno successivo, senza un attimo di pausa o di riposo. Ciliegina sulla torta, i suoi amici sembravano praticamente spariti, cosa che aumentava il suo disappunto. Li conosceva da davvero tanto tempo e da quando, qualche anno prima, avevano fondato la band e ottenuto il sospirato contratto discografico, non riuscivano a passare molto tempo insieme. O erano in studio o erano in qualche bar per ubriacarsi, constatò il giovane, sospirando. Per certi versi li capiva: nei mesi precedenti all’inizio del tour gli Avenged Sevenfold avevano subito così tante pressioni che a lui, se fosse stato in loro, avrebbero portato alla pazzia. In più, cosa che probabilmente li faceva sentire ancor di più in soggezione, avevano ricevuto complimenti da ogni persona presente ad Huntington Beach, la loro città.
Come se avere una band destinata a fare successo fosse motivo di orgoglio.
Come se avessero dimenticato che i suoi componenti erano persone normali, come tutti.
- Ma dove sono andati a finire, quei cinque? – domandò Valary, spazientita.
Non solo gli abitanti della loro città, constatò il ragazzo, tirando un altro sospiro, ma anche le persone di cui si fidavano. Val era una di quelle: per quanto fosse dolce e tenesse parecchio ai componenti della band sembrava che le importasse solo del loro successo. In fondo, ci aveva messo le finanze, lei.
Jason scosse energicamente la testa. Non doveva pensare quelle cose, non su di lei, Matt gliel’aveva detto più e più volte. Ma non poteva fare altrimenti. E sapeva benissimo che passare un’intera estate condividendo qualsiasi cosa possibile e immaginabile con quella ragazza lo avrebbe portato lentamente alla pazzia.
No, non gli piaceva.
Non gli piaceva nemmeno quel posto, sembrava non piacergli niente.
In più aveva un brutto presentimento. Si era informato e non aveva sentito storie poi così rassicuranti, sulla gente che apparteneva a quell’ambiente.
Sperava solo che i suoi amici fossero abbastanza intelligenti da non farsi coinvolgere.


 
--
 


Sarà dura. Partecipare ad un vero tour sarà più difficile del previsto, aveva detto la sua coscienza, come se effettivamente lui non lo sapesse.
Già, Matt era consapevole che sarebbe stata dura. Lo era nel momento in cui aveva accettato di partecipare a quell’iniziativa, lo era ancora prima dei ragazzi. Lo era quando aveva deciso di formare quella band, insieme ai suoi migliori amici. Andare in tour era un impegno importante, qualcosa di grande.
Lui no, non si sentiva pronto. Ma gli sembrava la cosa giusta da fare. Per loro, per i suoi compagni, i suoi fratelli... loro erano pronti. Erano entusiasti e non vedevano l'ora. Persino Johnny, che era appena entrato a far parte della band.
Perché lui no? Cosa c'era di sbagliato, in lui?

Comincerai davvero a vivere quella vita. Non potrai fidarti di nessuno, se non di te stesso. Sei pronto a farlo?

No coscienza, non sono pronto, urlò il ragazzo nella sua testa, chiudendo di scatto gli occhi e strizzandoli, come se a serrarli così tanto anche quella vocina fastidiosa sarebbe andata via.

Ti verrà un esaurimento. Sei troppo stressato. Fidati di me, è la cosa giusta da fare.

No.                                                                    
No, non lo era, non lo era per niente.
L'aveva già provata, non gli era piaciuto. Non voleva cadere nel giro, non voleva che nessuno ne risentisse. Non lo voleva e basta.

Invece ne hai bisogno. Ne hai bisogno eccome... e tu lo sai, caro mio: lo sai benissimo che è l'unico modo per resistere fino alla fine.

Il cantante scosse energicamente la testa.
No.
Eppure... si alzò dalla sua postazione e sgattaiolò piano fuori dal tour bus. I suoi amici dormivano profondamente, tutti quanti. Jimmy e Johnny avevano alzato un po' il gomito quella sera, il giorno successivo sarebbero stati un po' frastornati. Zacky aveva un sonno dannatamente pesante, non se ne sarebbe mai accorto. Brian... dov'era Brian? Ah si, aveva conosciuto una ragazza ed era sparito con lei.
Chi ha tempo non aspetti tempo, si diceva.
Jason era crollato sul divanetto. Anche Val dormiva.
Era certo che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Ci avrebbe messo poco. Giusto il tempo per prendere la roba e tornare dentro.
Si diresse verso l'unico bus che a quell'ora (che poi, che ore erano? Non si era nemmeno preoccupato di controllare) aveva la luce accesa. Non bussò nemmeno, entrò di soppianto.
Al suo interno, c’erano alcuni ragazzi appartenenti a questa o a quella band che aveva conosciuto in quei giorni. Poi, seduto sul divano con un sorriso beffardo sul viso, il giovane che aveva conosciuto in mattinata. Alto e dannatamente magro, pieno di tatuaggi e con una grande cresta color arcobaleno per farlo sembrare ancora più alto e imponente. Gli avevano detto che se cercavano quel qualcosa dovevano cercare lui. Ricky, gli avevano detto. Si chiamava Ricky.
- Ehi amico, è tardino, avresti almeno potuto bussare - esclamò il soggetto del suoi pensieri, senza levarsi quel sorriso dal viso - sei venuto per quello che penso? -
Matt alzò gli occhi al cielo.
- Dimmi solo se ce l'hai. -
- La roba? Ovvio che ce l'ho. Per chi mi hai preso? - disse, per poi prendere il cantante per le spalle e condurlo sul retro del veicolo - vieni con me. Ti presento anche un po' di gente... -


 
--


 
Giugno 2003
Seattle, Washington State
 
 
Per quanto fosse "figlio d'arte" Brian non era mai uscito dalla California in vita sua. Quando suo padre preparava armi e bagagli e partiva per fare le sue serate in questa o quella città, lui rimaneva a casa insieme a suo fratello minore e alla loro matrigna (vezzeggiativo alquanto inappropriato, dato che la donna era praticamente la loro madre). Chissà per quale ragione, Brian Senior non amava portare i figli da qualche parte se lui doveva lavorare.
Per una cosa o per l'altra, alla fine, lui non aveva mai messo piede fuori dall'Orange County. E sembrava non conoscere altra realtà fuori dall'atmosfera calma e rilassata di Huntington Beach. Doveva ammettere che gli mancava, la sua città. In confronto a dove si trovavano poi sembrava tutt'altro mondo.
Seattle era dannatamente caotica, grigia, cupa. In più, erano lì da due giorni e aveva piovuto, nel complesso, circa dodici ore. La notte prima aveva sentito tanti di quei tuoni e la pioggia che batteva sui vetri del tour bus che aveva creduto chissà cosa. Avrebbero voluto prenotare un albergo, almeno per quella notte, ma non se lo potevano certo permettere.
Quella però era una bella giornata. Il cielo era limpido e il sole splendeva, portando un po' di calore. Per essere giugno però faceva meno caldo di quanto ci si aspettava. Inevitabilmente la sua mente tornò alla sua città, dove, ne era sicuro, tutti erano in spiaggia a godersi il sole di giugno. E per sfuggire all'afa e alla cappa di calore che di solito si creava in quel periodo.
Si trovava allo stand delle magliette, in quel momento. Val era andata chissà dove e Jason stava parlando con gli altri roadies, quelli che vivevano per quel tour, che lo organizzavano ogni anno. Non come lui che seguiva la band in ogni dove. Loro rimanevano sempre lì, erano la costante. Tutto il resto cambiava.
Doveva essere piuttosto stancante.
Aveva sentito che molti di loro erano padri di famiglia e che non vedevano i loro figli da tempo. Un po' per errori compiuti in passato e un po' perché se li avessero visti di nuovo non li avrebbero riconosciuti nemmeno, quei figli. Altri invece vivevano con loro nei bus e venivano cresciuti lì. Sulla strada, viaggiando in lungo e in largo. Lui non sapeva a chi toccasse la sorte migliore. E la cosa l'aveva fatto riflettere e probabilmente aveva cominciato a capire come mai suo padre non lo portasse mai con lui.
- Ehi, chitarrista, stai attento e cerca di attirare qualcuno - gli urlò Jason, ridacchiando, notando il ragazzo completamente fra le nuvole.
Brian alzò gli occhi al cielo. Voleva bene a Jason, ma quel ruolo lo stava prendendo un po’ troppo sul serio. A lui avevano insegnato che non si doveva mai dare nulla per scontato. Era vero, un tour di quel calibro avrebbe fatto aumentare il numero di fan della band, ma il successo non era assicurato. Poteva essere una rampa di lancio come non poteva esserlo.
Lui lo sapeva bene, aveva un esempio lampante in casa sua.
Suo padre aveva dato la sua intera vita per la musica. Eppure, non era riuscito a sfondare e diventare il grande chitarrista di successo che voleva essere. Sperava che al figlio toccasse una sorte diversa, ma Brian sapeva che era troppo fiero per dirglielo. Quando era partito, gli aveva detto solo “stammi bene”. Come se a stento si conoscessero… eppure, i due avevano davvero un bel rapporto.
Si guardò intorno, sorridendo e ringraziando qualsiasi persona si fermasse nel loro stand e comprasse le loro cose. Avevano speso parecchi soldi per stampare tutte quelle magliette e speravano che sarebbero tutti ritornati in cassa. Il successo in fondo si vedeva anche da quello: la gente non comprava magliette di una determinata band se la suddetta band non piaceva, giusto?
Improvvisamente, il suo sguardo si posò su una figura familiare.
Si trattava di una ragazza di statura media, con la corporatura snella. Indossava dei pantaloncini di jeans stracciati e una maglietta dei Nirvana che, da lontano, sembrava essere stata fatta a brandelli (anche se la cosa doveva essere intenzionale). Aveva lunghi capelli scuri e gli occhi verdi.
Si, se la ricordava. Come poteva dimenticare facilmente una persona come Eleanor?
Provò a salutarla con un gesto della mano, senza essere visto. La giovane sembrava aver concentrato tutta la sua attenzione sulla macchina fotografica che teneva fra le mani.
- Jason, guarda lo stand – esclamò il chitarrista, come se fosse un ordine, per poi dirigersi verso la ragazza che si trovava nel bel mezzo della strada, non curante della gente che le passava accanto.
- Ehi, tu - salutò, attirando la sua attenzione - che combini a Seattle? -
- Te l'ho detto, che sono di casa - rispose la giovane, smettendo di guardare la macchina fotografica - ciao Brian. -
In effetti era vero. Qualche sera prima, quando erano usciti tutti insieme, la ragazza aveva detto che conosceva bene l’ambiente. Così tanto che, aveva dedotto il chitarrista, doveva essere di casa. Non lo sembrava per niente invece, ma aveva deciso di rimanere in silenzio.
- Eleanor - salutò, facendo una piccola riverenza che la fece scoppiare a ridere - avremmo dovuto salutarvi l'altra sera. Ma poi sono successe delle cose e... -
- Oh si, ti sei appartato con... com'è che si chiamava? Non mi ricordo nemmeno, troppi nomi. Ma non preoccuparti, anche io sono dovuta scappare, per... inconvenienti. E per inconvenienti intendo tenere i preziosissimi capelli di Lennox raccolti mentre lei vomita tutto l'alcol che ha ingurgitato dietro un povero cespuglio che ha fatto l'errore di mettersi a crescere proprio lì. -
Il giovane scoppiò a ridere. Eleanor era una ragazza davvero particolare.
- Ci vedremo ancora, allora! Faremo altre serate simili. Entusiasta? -
- Compatisco i cespugli - disse la giovane, come in risposta.
- Quindi sei così devota al Warped Tour da farti tutta la West Coast o...? - domandò di nuovo il chitarrista.
- Così devota, come dici tu, da farmi tutto il tour senza mai prendermi una pausa - rispose la ragazza, tirando un leggero sospiro – in fondo ci lavoro, qui. -
Per un attimo, a Brian sembrò mancare il respiro. Si ricordò velocemente tutto quello che gli aveva detto Jason a proposito dei roadies e del fatto che molti avessero famiglie. Mogli, figli... e quella ragazza, da quando l'avevano conosciuta, era sempre sembrata dannatamente fuori posto. Come se a quel luogo non appartenesse.
- Fai parte dei roadies? -
- Sono una fotografa - esclamò la giovane, mostrando per l’appunto la macchina fotografica, come se fosse piuttosto ovvio.
Giusto. Una fotografa. Come aveva fatto a non capirlo?
- Scusami. È solo che ci sono storie che… -
- Oh si, le famose storie dei roadies. Ma sono storie. Accetta un consiglio: non credere a tutto quello che si sente in giro – lo ammonì, per poi tornare a sorridergli – allora, come sta andando? -
- Diciamo che potrebbe andare meglio. Ma va bene così. Dobbiamo ingranare bene la marcia. È il nostro primo tour importante, prima facevamo solo qualche esibizione in giro per locali, quindi… per noi è un mondo completamente nuovo. -
- Capisco l’agitazione. Ma non disperare. Di tutta questa gente, ci saranno massimo tre o quattro band che sanno cosa significa il Warped Tour.  -
- Sei in vena di conforto, oggi? -
- Non lo so, diciamo che mi piaci però – esclamò la giovane, per poi togliere la macchina fotografica dalla tracolla – ti va di vedere le foto che vi ho fatto quando vi siete esibiti sul Main Stage? -.

 






Note dell'autrice:
*Fa ciao ciao con la manina*
Sì, ho aggiornato, in ritardo ma l’ho fatto, quindi yay for me! *le tirano verdura marcia*
A parte ciò: non so bene cosa dire su questo capitolo, a parte il fatto che il mio obiettivo è quello di calare un alone di mistero sui personaggi che girano nell'ambiente. In fondo, gli Avenged Sevenfold del mondo della musica ancora non sanno niente e, spesso, anche le banalità danno loro motivo di riflettere, di porsi domande, di voler scoprire le storie delle persone che li circondano... e tutto il resto.
Per esempio Lennox. Come tutti, ha una storia. E... beh, vedremo. Giocherò molto su questo fatto. “Tutti hanno una storia”. Eheh. Starete a vedere.
Ah sì, c'è un nuovo personaggio, ovvero Jason. Sarà un personaggio interessante, anche se non ho in programma di svilupparlo più di tanto. Nonostante sia dall'altro lato, ovvero nuovo del mestiere, lui ci ha già visto lungo. E saprà orientarsi molto meglio degli amici.
E c'è anche Val, anche se devo ammettere che per lei, almeno per ora, non ho grandi progetti. Vedrò come sviluppare il suo personaggio in seguito.
Poi.
Che cosa sta succedendo a Matt? Eh. Il mondo della musica non solo è pieno di belve, ma è anche pieno di eccessi. E quando si è stressati...
Ma lascio giudicare a voi.
Quindi, mi fate sapere che cosa ne pensate di questa storia con un commentino? *fa gli occhi dolci*

Detto ciò, mi ritiro nel mio angolino buio.

Per qualsiasi cosa potente anche contattarmi su Twitter: @SayaEchelon95
Al prossimo capitolo!
Kisses
Vava_95
  
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