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Autore: Koori_chan    30/07/2014    0 recensioni
[Questa fanfiction ha partecipato al contest "OC!Nazioni celtiche" di darllenwr sul forum di EFP]
Le chiamano "Nazioni Celtiche" eppure, ancora oggi, difficilmente la loro indipendenza viene riconosciuta.
Lucille, indipendente e leale, fatica a conciliare l'affetto che nutre per Francia e il desiderio di una Bretagna autonoma come una volta.
A Evelyn, sfrontata e libera come le onde, all'inizio non piace l'idea di sentirsi legata alla terra d'Irlanda da un vincolo che lei non ha chiesto.
Iona, silenziosa e e resistente come il diamante, è spezzata dentro da una scelta che, ad ogni modo, le negherà un futuro felice.
E' il sangue che scorre nelle vene, è una tradizione vecchia come il mondo, è una promessa che riempie d'orgoglio e che lega l'anima.
Tre ragazze, tre donne, tre Nazioni Celtiche.
E il cuore perennemente diviso fra la fierezza della Terra e la libertà del Mare.
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Irlanda, Nuovo personaggio, Scozia
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Mhóid Bheith Saor~Giuro di Essere Libero
 









Evelyn era sempre stata una ragazza infantile, e non che si fosse mai impegnata a negarlo. Non aveva mai mostrato particolare interesse nel crescere, nelle responsabilità, nei doveri: a lei importava divertirsi, nulla di più. Sì, a volte sapeva essere saggia, ma questo era dovuto più alla sua innata diffidenza nei confronti delle novità che a una vera e propria crescita interiore.
Evelyn era una piccola ribelle, e lo sarebbe sempre stata.
 





Adesso, sdraiata per terra con la lingua impastata di fango, ricorda quasi con piacere i rimproveri di suo padre.
 





“Devi essere più giudiziosa, Éire!”, e ancora “Adesso sei grande per queste cose, Éire!”, “Smettila di ficcarti nei guai, Éire!”
Odiava quando la chiamava con quel nome, perché in quel modo Caledonia rimarcava quanto lei fosse diversa dagli altri bambini.
Non che non se ne fosse accorta da sola, chiaramente, ma avrebbe di gran lunga preferito far finta di niente, nascondere la sua innaturale ed eterna giovinezza spostandosi di luogo in luogo, visitando le sue terre assieme al padre.
Non le interessava affatto rappresentare un ammasso di rocce e foreste pucciato nel mare come un biscotto: lei voleva giocare, correre, cantare. Magari anche fare a botte con quei ragazzini sfrontati giù al porto, giusto per fargli capire chi comandasse davvero a Inis Mór.
Dopotutto sapeva che suo padre non era davero arrabbiato con lei, e lo dimostrava il fatto che, ogni volta, l’uomo rinunciasse alle sue arringhe e si arrendesse a seguire la figlia in ogni sua follia, ridendo, cantando e tracannando birra senza ritegno.
 




 
Adesso, con il tacco di uno stivale piantato fra le scapole e le ginocchia che sanguinano, si rende conto che Caledonia la amava davvero, più di ogni altra cosa al mondo.
 





Era un giorno come un altro quando era arrivata lei, silenziosa e fragile sin dal primo momento.
- E questo sgorbio da dove è uscito? – aveva domandato storcendo il naso, in realtà dannatamente incuriosita da quel fagotto tutto grinze e ciccia.
Papà aveva sorriso e le aveva scompigliato i lunghi capelli rossi, già tutti spettinati.
- Questa, signorinella, è Kaitriona, tua sorella. –
Evelyn non avrebbe mai dimenticato lo strano brivido che l’aveva percorsa quando la piccina aveva aperto quegli enormi occhioni grigi come la tempesta e, con la manina, si era aggrappata al suo abito verde smeraldo.
L’aveva presa in braccio un po’ titubante, preoccupata che i suoi modi rozzi e tutto fuorché femminili potessero farle del male, e si era stupita nel sentirla così leggera.
- E’ come noi. – e non era stata una domanda, bensì un’affermazione. Un solo sguardo era stato sufficiente affinchè Evelyn capisse che quella bimba spuntata da chissà dove andava protetta innanzi a qualsiasi pericolo.
Caledonia aveva annuito e Irlanda, ancora troppo giovane, non era stata capace di scorgere la preoccupazione sul volto del padre, né di notare i segni della battaglia sotto il mantello di lana. Si era limitata a fissare la sorellina e a ridacchiare, mentre le lentiggini le danzavano sul volto.
- Secondo me ti hanno rifilato una Dama dei Boschi, è troppo bella per essere una bambina... – si era lasciata sfuggire poco dopo: la prima e unica novità che Evelyn non avesse accolto con diffidenza.
Papà le aveva appoggiato una mano sulla spalla, per ottenere la sua attenzione.
- In ogni caso, promettimi che resterete insieme, qualunque cosa succeda. –
Alla ragazzina non era piaciuto quel tono serio e grave, ma non aveva avuto il coraggio di opporvisi.
- Ma certo, papà! Col cavolo che cedo una Dama dei Boschi! – aveva scherzato, il suo solito sorriso sfrontato a mostrare un dentino caduto. Peccato che, quella volta, papà non avesse sorriso.
- Evelyn, giurami che sarai sempre libera. -
 




 
Adesso, a denti stretti e occhi pesti, l’amara consapevolezza di aver compreso troppo tardi quelle parole le riga le guance di sangue e di lacrime.
Ma ancora non cede.
 





Partì un giorno di Maggio, quando l’erica ancora non era fiorita e i gabbiani dormivano quieti.
Baciò Éire in fronte e Alba sul cuore, raccolse la spada e svanì nella nebbia. Non lo videro più, sulle Highlands o a Inis Mór.
Evelyn crebbe piangendo di notte e cantando di giorno, nel sorriso mite di Iona l’affetto del padre scomparso.
E mentre la piccola sbocciava come un cardo, bella e fedele nelle avversità, Irlanda ritrovava in fondo a un boccale il dolore tenuto nascosto, il peso di quell’ammasso di rocce e foreste di cui si era fatta carico da sola, cercando di evitare alla sorella l’infausto destino che Caledonia aveva temuto per loro.
Eppure insieme ridevano, ed erano felici, e pian piano anche le ferite più profonde trovavano una cura.
Infine anche Evelyn era diventata bellissima, una regina negli abiti verde smeraldo, i lunghi capelli lucenti sciolti sulle spalle in ciocche ondulate.
Lei e Iona erano una cosa sola, ormai: erano belle, erano giovani, erano felici e spensierate, ma soprattutto, proprio come voleva papà, Eirinn e Alba erano libere.
 




 
Adesso, la gonna strappata e il corsetto zuppo di sangue, è rimasto ben poco dell’antica bellezza, e ancora meno dell’amata libertà.
Ma, in nome di tutto quello che è stato, non è ancora pronta a mollare.
 





Tutto era perfetto, quando era arrivato lui, così perfetto che lì per lì nemmeno si era accorta del suo fare capolino da Sud, silenzioso come la neve. Era stato quando Iona aveva confessato di essere incuriosita da quel ragazzino così buffo che Evy, ormai giovane donna, era tornata a sentire nel fianco il pungolo della diffidenza di fronte alle novità.
No, di quel Sasana c’era poco da fidarsi.
Ma Iona era pur sempre sua sorella, e la curiosità aveva avuto la meglio sulla ragionevolezza, com’era sempre stato nella loro famiglia.
Il disastro era stato inevitabile.
Arthur, questo era il suo nome, aveva portato con sé guerra, dolore, carestia e morte, e se Iona era riuscita a cavarsela fra battaglie e compromessi, per Evelyn non era stato altrettanto semplice.
Lei non poteva scendere a compromessi, lei aveva fatto una promessa, e intendeva mantenerla, a tutti i costi.
 




 

Adesso, mentre il coltello strappa la prima ciocca, Evelyn trattiene il respiro. Sente Arthur ridere sguaiato mentre lavora con il coltello senza grazia, senza garbo.
Le ferisce la testa, ma sta soffrendo di un altro dolore, e questi non sono che graffi.
“Questi bei capelli rossi da puttana li porterò a Oliver, sarà felice di bruciarli di persona!”, ma a Evelyn non importa più della bellezza, può farne a meno.
Le altre ciocche cadono al suolo senza pietà, strappate, tagliate, si uniscono al fango senza rumore.
Non gliene frega niente se Cromwell brucerà la sua preziosa chioma, la stessa chioma che Iona, da piccola, si divertiva ad intrecciare e ornare di fiori.
Non gliene frega niente se il suo abito è ridotto a brandelli e se la sua schiena, un tempo bianca e perfetta, sarà lacerata per sempre dalle cicatrici di questo coltello.
Non porterà un copricapo per nascondere i capelli corti, da uomo.
Non fuggirà piangendo, e per quante volte Arthur la torturerà e la prenderà a calci, lei si rialzerà in piedi, sempre.
Sente Inghilterra ridere sguaiato assieme ai suoi uomini prima che, afferrandola per quei pochi capelli che le ha lasciato in testa, la volti e pianti gli occhi nei suoi.
- Allora, Ireland… ti arrendi? – ghigna beffardo.
Gli sputa in faccia, sangue, saliva e rancore.
Accoglie il calcio nello stomaco con dignità, trattenendo i gemiti di dolore.
E’ ancora in piedi, anche se le gambe iniziano a tradirla e la coscienza sta per abbandonarla.
-Porta questo messaggio al tuo capo, Arthur… - e si sorprende di quanto la voce, sebbene roca, fuoriesca solida e decisa dalle sue labbra.
Il biondo sorride strafottente, inconsapevole di quanto le parole che sta per udire saranno la sua maledizione.
- Mhóid Bheith Saor.







 
  
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