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Autore: Theautumncolours    01/08/2014    2 recensioni
Mike è stato costretto a vivere i suoi anni da bambino e da adolescente tra le critiche dei suoi coetanei, dovute al comportamento piuttosto strano che assumeva durante la giornata.
Aveva l’inverno dentro e l’autunno fuori che a volte si ostinava a diventare primavera, l’estate non c’era mai stata per lui, non l’aveva mai conosciuta, si considerava semplicemente un libro che non poteva essere interpretato da una persona qualunque ma bensì solo da chi era capace di osservare le sue pagine lievemente stropicciate.
“Mi hanno sempre detto di accettare le persone così come sono, in qualsiasi luogo mi trovassi, in fondo rimarranno sempre quelle e non si può pretendere che cambino per te e nessuno crederà mai in te stesso se non sei tu il primo a farlo.
Ma come si può accettare se stessi per piacere davanti agli occhi degli altri?"
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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Abby si alzò di scatto dal materasso, con la fronte imperlata di sudore, posò entrambe le mani sulle coperte giungendole al suo viso per togliere la sostanza appiccicosa tralasciata dal sudore misto alle lacrime, il cuore le batteva all’impazzata tanto da poterne sentire le pulsazioni sui muscoli; un’altra volta, quattro volte di seguito intervallate, lo stesso incubo. Si era chiesta spesso cosa volesse significare, eppure non aveva mai avuto il coraggio di andare da uno psicoanalista, lo considerava una perdita di tempo o almeno lo valutava come uno sconosciuto che ti riempiva la testa di stronzate e dopo la seduta, malgrado se la pagassero con denaro elevato, non avresti comunque capito un cazzo della tua vita. E così ritornava al punto di partenza, con l’immagine fissa negli occhi di ogni dubbio più stravagante che le riportava alla mente ogni parte del sogno, come un puzzle di 500 pezzi, per tutto il resto della giornata. Eppure una possibile soluzione a quella serie di incubi poteva spiegare parte dei dubbi di Abby, la sua infanzia raccoglieva un sacco di roba mista a vecchie foto in bianco e nero capaci di elaborare un album personale di episodi ricoperti di angoscia e agonia, e un numero in minoranza di alcuni dipinti realizzati con cautela e fatica che determinano le uniche parti indispensabili per cui ne valga la pena sprecare del tempo a fissare un punto impreciso con gli occhi impegnati a stringersi in un sorriso, le uniche parti onorate di essere memorizzate con dei colori autunnali caldi e sfumati, questa ragazza era come una macchina fotografica che scattava foto con un battito di ciglia anche alle cose più insolite. “Mi hanno sempre detto di accettare le persone così come sono, in qualsiasi luogo mi trovassi, in fondo rimarranno sempre quelle e non si può pretendere che cambino per te e nessuno crederà mai in te stesso se non sei tu il primo a farlo. Ma come si può accettare se stessi per piacere davanti agli occhi degli altri? Ad ognuno di noi, sin da quando abbiamo aperto gli occhi da neonati, appartengono una sfilza di difetti ben marcati nel nostro DNA ai quali non possiamo privarcene, è un pezzo della nostra storia che stiamo scrivendo durante gli anni e rischieremmo di perdere la nostra personalità iniziale, quella con cui volgiamo il primo sguardo ad una persona, spetta a quest’ultima di accettare ciò che siamo, magari non al 100%, ma chi mai non ammetterebbe che una volta conosciutoci è stato bene anche con il nostro carattere effettivo?”. Mike passava buon parte del tempo a concedersi questi quesiti con la testa fra le mani, mancava poco e gli sarebbe passato del fumo davanti agli occhi, segno delle fiamme al cervello. Preferiva passare del tempo con lo sguardo fuori dalla finestra per riempire d’aria fresca le tempie ed i polmoni anziché optare per un bagno tiepido, che avrebbe sicuramente alleviato la presenza dei cubi di Rubik dal suo intelletto oppure avrebbe potuto tirar fuori lo stress. Qualche minuto dopo aver riflettuto dinanzi alla finestra della cucina, spostò lo guardo sui mobili colorati di un castano legno, i suoi occhi non erano mai caduti nelle cose maggiormente particolari, si soffermava solo su quelle che aveva davanti agli occhi ogni giorno; si avvicinò con passo lento ad uno di essi, appena scheggiato, e ci passò le sue dita al di sopra, come per accarezzare lo strato sottile di polvere che rivestiva la parte esterna del mobile, scese ancor di più sino ad arrivare al primo cassetto che ormai avendo memorizzato conteneva le stesse vecchie posate principali ed impugnò con forza la maniglia tirandola a sé per dischiuderlo, creando un grave tonfo.
   
 
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