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Autore: lamialadradilibri    05/08/2014    3 recensioni
E poi lo vidi. Mr. Lecter.
Il mio cuore perse un battito.
Perché c’era un angelo nella nostra classe?
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Una storia al di fuori dalle righe. Buona lettura!
Genere: Suspence, Thriller, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo Cinque
Ritrovamenti scomodi



Hannibal entrò lentamente, si guardò attorno. Lo osservai senza farmi notare – o così credevo – chiudendo la porta alle mie spalle. Il lieve rumore che produsse sbattendo fuori il mondo mi fece sentire in trappola, mi ricordò che i miei non sarebbero tornati entro le dieci di sera o più tardi, poiché erano a  una cena di lavoro.
Che sciocca. Perché non avevo chiamato Molly per stare con lei assieme al mio vicino di banco, quel pomeriggio? Sarebbe stato tutto più sicuro.
Ma sapevo perché non l’avevo chiamata. Per il semplice motivo per il quale non le avevo detto la verità su dov’ero stata il marzo precedente, quando avevo passato praticamente ogni giorno in tribunale: non volevo farle vivere tutta la merda che dovevo passare io. Lei era così felice, così tranquilla e serena: perché cambiare tutto? Per di più neppure si ricordava di William, del ragazzo di quell’Halloween maledetto, ed allora perché turbarla inutilmente?
«Questi sono per te, Tea. Ho pensato di sdebitarmi così, mi stai facendo un gran favore» disse Hannibal, passandomi l’incarto della pasticceria. Mi guardò accondiscendente, con un sorriso mesto. Aveva una fossetta su una guancia che gli dava un’aria innocente.
«Oh, grazie mille». Presi l’incarto, scrollando le spalle. «In realtà fai tu un favore a me, tenendo buona la Dalton. Comunque, vieni in cucina, studiamo.» Tagliai corto, poiché odiavo discorsi inutili e ringraziamenti di troppo.
Lui sembrò capire. Si sfilò la giacca, porgendomi anche quella: «Fa’ la brava padrona di casa», scherzò. O così interpretai la sua frase.
La afferrai e la gettai non troppo delicatamente sul divano. «Fatto».
Lui sorrise di più, precedendomi in cucina. «Ti ho svegliata, prima. Mi dispiace».
«Non c’è problema. Pagina 133.»
Lui alzò lo sguardo dal suo libro. «Per caso ho fatto qualcosa per irritarti così tanto?» domandò con uno sguardo preoccupato. Sembrò quasi sincero.
Assottigliai gli occhi. «No, non direi; sono sempre così, appena sveglia.»
Annuì e cominciò a leggere. Quando finì, disse: «Semplice, no?»
No. Non lo era. Non per me.
Presi fiato, indecisa. Non volevo essere così scortese con lui, ma non riuscivo a fare altrimenti. «Hannibal...»
Qualcosa m’interruppe. Una suoneria. Lui non si mosse, così capii che era il mio cellulare.
Risposi senza nemmeno guardare chi mi stesse chiamando – doveva essere Molly, o mia mamma. Forse mio papà, ma nessun altro.
«Sì?»
«Buongiorno, Tea. Ti disturbo?»
Quella voce.
Sbiancai, lanciando un’occhiata allo schermo del cellulare. Mike. Quel Mike?
«Mike?» balbettai. Hannibal, che stava sfogliando il suo libro, mi lanciò un’occhiata interrogativa. Non lo calcolai.
«E così, ti ricordi ancora di me. Sono contento.»
Dalla voce non lo sembrava. Nemmeno un po’.
Feci mente locale. Mike è un avvocato, perché mi sta chiamando? Non ho fatto nulla d’illegale, ultimamente. E nemmeno i miei parenti. Allora, perché?
«Ti starai chiedendo il perché della mia chiamata», continuò, con voce sicura di sé. Mi era mancato? No, neanche  un po’. In un momento di solitudine lo avevo trovato un buon conoscente... Ora però, mi riusciva difficile perfino parlargli al telefono.
«Sì, è proprio così» risposi, stando attenta a cercare le parole giuste. Poco distante da me c’era Hannibal, e lui non doveva sapere niente sul mio passato.
«Soddisfo subito la tua curiosità, allora».
«Mike, non ho molto tempo» sussurrai, rigirandomi tra le mani una matita. «Muoviti!»
«Oh, dovrai trovarne un bel po’, invece! Sono di nuovo il tuo avvocato e tu, cara mia, sei di nuovo nei pasticci.»
«Mike, perché?»
«Sono state ritrovate le viscere di William Black.»
 
Aprile, 1.
Quasi per scherzo, quel giorno fui richiamata in tribunale. Pensavo mi avrebbero messo in galera o in qualche ospedale per malati di mente, invece il giudice mi liquidò con l’accusa d’essermi trovata «al posto sbagliato nel momento sbagliato», costringendomi a un mese di lavori socialmente utili.
Poiché le viscere di William Black non erano state ritrovate, non c’era prova che io l’avessi ucciso – non c’erano mie impronte sul suo cadavere se non sulla mano che gli avevo stretto, alla festa. Non c’era un’arma del delitto. Insomma, non c’erano prove incriminanti.
Era fortuna? O ero davvero innocente?
Uscii dal tribunale sentendomi più vuota che mai. Pensavo che quel giorno avrei finalmente capito la verità, invece ora non ero che una ragazza da guardare con sospetto.
 
Oggi.
Mike riattaccò poco dopo, dicendo che stava per arrivare là, a casa mia. E che dovevo farmi trovare sola.
Appoggiai il telefono sul tavolo, osservando diffidente Hannibal. «C’è un contrattempo, mi sa.»
Lui alzò lo sguardo dai suoi libri. Per tutto il tempo, a parte un’occhiata curiosa, non aveva dato segni d’aver origliato la conversazione. Ma l’aveva fatto, lo sapevo. Aveva un’espressione, seppur diffidente, curiosa.
Non avrei soddisfatto la sua sete di sapere. Né quel giorno, né mai.
«Peccato» commentò, alzandosi. «Quest’incontro è durato così poco».
«Ci rifaremo» lo rassicurai anche se non la pensavo così, recuperando la sua giacca. Se la infilò osservandomi apertamente, tanto che dovetti trattenermi dall’insultarlo – ero stata già abbastanza stronza con lui, per quel giorno.
«Immagino che ci toccherà» precisò lui, prendendo i suoi libri. «Mrs. Dalton è piuttosto puntigliosa, riguardo alle punizioni – o così mi è parso».
Gli sorrisi, sentendo l’ansia che pian piano montava dentro me. «Oh, lo è».
Avevano trovato le viscere di William.
Ma come? Ne era passato, di tempo. avevo dato per scontato che si fossero deteriorate già da un bel po’.
Hannibal mi passò accanto, salutandomi. «A domani, allora».
Non riuscii a salutarlo. Avevo la gola serrata. Cominciai a sudare freddo.
Quando la porta sbatté confermando che Hannibal se n’era andato, mi lasciai andare a un attacco di panico.
 
Lei non poteva saperlo, ma avevo sentito ogni singola parola che s’era detta con questo ‘Mike’, l’avvocato.
E così, qualcosa d’orribile l’aveva fatto. Doveva essere così, se c’entravano viscere ed un morto.
E poi la sua espressione... Quell’espressione d’un cucciolo in trappola. Terrore puro.
Fischiettai un motivetto allegro tornando a casa. Poco lontano dalla casa di Tea, un’Audi nera sfrecciò accanto a me. Un uomo sulla trentina mi osservò per una frazione di secondo, con sguardo indagatore.
Aveva gli occhi più scuri che avessi mai visto.

 
  
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