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Autore: Yume Kourine    06/08/2014    2 recensioni
Allyson ha un lavoro perfetto, più di vent'anni e una storia da raccontare... ma non è la sua storia: quattro ragazzi sono entrati nelle sue giornate quotidiane e le hanno insegnato i valori della vita, i moti della passione e che, a volte, la semplicità non è un difetto.
[Dal Capitolo cinque]
“Ammettilo” dopo qualche minuto di silenzio fui io la prima a parlare, senza però voltarmi “Stai ricavando un sadico divertimento a tormentarmi non è vero?”
“Non potrei mai” rispose basito “Se devo essere sincero non so nemmeno io perché sia seduto qui vicino a te a indagare le persone”
Volsi il capo verso di lui: quella sua risposta mi aveva lasciata stupita e anche curiosa, non tanto per il fatto che fosse ignaro del motivo per cui mi avesse cercata ma più per il suo interesse nel voler “indagare le persone”.
“Sei proprio strano. Mi spieghi cosa trovi di interessante nelle persone sconosciute?”
Scoppiò a ridere: aveva una risata, come potrei dire... viva. Sì, viva. Perché era fresca, melodica e sincera.
(Storia rivisitata)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II

Can you feel the silence? And can you fill it?

 

Ancora una volta mi svegliai tardi e così ebbi solo il tempo di sistemarmi il viso. Quelle occhiaie mi creavano un certo fastidio così abbondai con ombretti, mascara e fard per nascondere ogni traccia di stanchezza. Per l'abbigliamento invece avevo puntato alla semplice e solita camicia azzurra con tema a pois blu e dei jeans stretti, naturalmente non mancavano le converse bianche con stringhe celesti.

Raggiunsi la cucina e, dopo aver stampato un dolce bacio sulla guancia tiepida di mia madre, uscii di casa e mi incamminai verso scuola.

Ero di nuovo lì, nel silenzio del “quartiere di pietra”, chiamato così per via delle chiese e delle sculture che si affacciavano sulla strada; rallentai per un momento così da poter osservare il sole sfiorare le cortecce degli alberi e qualche uccellino cinguettare debolmente danzando accanto ai rami ormai in fiore. Quella magica atmosfera venne spezzata, poco dopo, dal motore delle macchine e dalle urla della gente che mi risvegliarono dalla trance mistica, tornai alla realtà dei cinque minuti e venti secondi di ritardo.

Mentre correvo come una disperata scorsi con la code dell'occhio la rivista locale “The London Eye” e mi accorsi della didascalia del mio articolo.

Sorrisi soddisfatta mentre ripensavo agli argomenti trattati: adoravo spiegare come cucinare dolci prelibati o piatti stranieri, soprattutto quelli italiani, ma mi divertivo anche nelle rubriche sull'abbigliamento e sull'arredamento; i temi però che mi stavano più a cuore e che trattavo volentieri erano la musica e il cinema.

Avevo sempre pronta una recensione per uno specifico film e suggerivo con entusiasmo una canzone settimanale. Quello era il mio mondo, ma a quanto pare esso mi voleva fuori dalla sua portata.

Ancora una volta avevo perso tempo in futili pensieri e così dovetti accelerare il passo più di quanto non avessi mai fatto; mi viene il fiatone solo al pensiero di quelle maledettissime corse che facevo quasi tutte le mattine.

Quella volta però riuscii ad arrivare prima che la campanella impazzisse con il suo trillo: un evento più unico che raro!

Anne stava seduta sul mio banco con le gambe incrociate e i pugni appoggiati sui fianchi. Quando si trovava in quella posizione significava solo una cosa: era pronta per elencare le sue prediche e le sue critiche.

“Possibile che tu debba arrivare sempre in ritardo?”

“Mi ero addormentata...” risposi io senza vergogna.

“Sempre la solita scusa! E poi perché tieni sempre il telefono spento! Dovevo parlarti!”

Anne teneva sempre il tono della voce alto e quindi ogni volta che apriva bocca tutti ascoltavano attentamente i suoi discorsi.

“Mi dica Altezza, di cosa volevi parlarmi?” le dissi io dopo essermi inchinata ma lei invece di ridere sbuffò.

“Sai che ieri sono rimasta da sola nel bagno con Jason”

Già, Jason.

Quel pomeriggio mi aveva offerto il pacchetto di sigarette e mi era sembrato meno maleducato del solito. Chissà perché si era comportato così... pensai senza distinguere i suoni che uscivano dalla bocca di Anne.

“Mi stai ascoltando?”

“Scusa, mi ero distratta. Continua”

“Beh... diciamo che abbiamo avuto un momento di svago”

A sentire “svago” per poco non mi cascarono le braccia. Quando Anne intendeva “divertimento”, “svago” o simili voleva dire soltanto una cosa:

“Lo avete fatto in bagno?!” le chiesi cercai di mantenere bassa la voce, ma ero talmente stupita che il suono delle mie parole fu abbastanza chiaro e diretto.
“Ma no! Sarebbe stato poco igenico non ti pare? Siamo andati poco oltre ai baci e alle carezze... Però devo dire che mi aspettavo qualcosa di meglio da parte sua. Mi ha annoiata”

disse lei un po' seccata.

Bene... la mia amica si era (quasi) fatta uno dei ragazzi più popolari della scuola, quello su cui girano tanti pettegolezzi sulla sua abilità a letto. E lei replicava che era stato noioso.

“Tu hai qualche problema...” le dissi indifferente mentre mi accomodai e ripassai letteratura.

Poco tempo dopo il Professore Ratchet entrò con uno dei suoi soliti sadici sorrisi stampato sulle sue labbra ruvide e pallide. Teneva stretto sotto il braccio mollo e corto un blocco di fogli.

Chiusi gli occhi: l'ultima cosa che volevo in quel momento era affrontare una verifica di letteratura.

Appena il vecchio mi sbatté il foglio sul banco però la mia mente era volata tra poesie, autori classici e frasi meravigliose.

La letteratura era sempre stata una delle poche materie che mi appassionavano: ogni testo era unico nello stile e raccontava una storia diversa.

Non mi stupisco che fui la prima a consegnare il protocollo e la cosa non sembrò dispiacere neanche il professore.

Gli altri compagni impiegarono più tempo per restituire il foglio all'uomo: c'era chi esitava, chi chiedeva un ultimo e disperato aiuto al vicino e chi correggeva più volte una frase.

Poi però scoccarono le undici e tutta la classe restò ferma e seduta mentre il professore se ne andò tenendo sotto braccio le verifiche, come se fossero un'importante tesoro... o le liste di condannati a morte.

Quando mi voltai per rivolgermi ad Anne, la vidi sdraiata sul banco quasi sull'orlo della disperazione per il compito appena svolto mentre Lucy cercava di tirarla su di morale.

Sarei andata da loro se solo il professore di educazione fisica non avesse irrotto nella stanza pronto per farci sudare. La nostra scuola aveva stabilito poche lezioni di ginnastica durante l'anno ed era necessario frequentare quelle ore per poter concludere l'anno con voti alti. Quindi eravamo costretti a sopportare quei maledetti esercizi e la parlantina dell'insegnante, un uomo maniaco dell'ordine e che si divertiva a vederci soffrire.

“Dato che questa è l'ultima lezione ne approfitto per testare le vostre capacità nella resistenza! Vedremo chi regge di più in cinque minuti di corsa!”

Come al solito tra i maschi si accese una forte rivalità mentre le ragazze si guardarono seccate e senza alcuna voglia di sforzarsi e di infilarsi in quella tuta orribile e scolorita.

Le lezioni di ginnastica coinvolgevano tutte le classi di tutti i corsi, perciò eravamo un grande numero di ragazzi.

Appena raggiunti gli spogliatoi iniziarono gli abituali minuti di pettegolezzi e di chiacchierate insolite.

“Avete saputo?”

“Anne e Jason si sono baciati nel bagno delle ragazze!”

“Baciati? Io ho sentito dire che sono andati oltre!”

Anne si stava tranquillamente allacciando le scarpe da ginnastica come se nulla fosse: non le creavano mai fastidio i pettegolezzi, anzi sembrava apprezzare che fosse sulla bocca di tutti.

Poi Katy, una delle migliori studentesse della scuola, tirò fuori il discorso che volevo sentire:
“Avete letto il nuovo articolo di Ice?”

Lucy prese parola e, in preda alla curiosità, mi avvicinai a lei, senza destare sospetti;

“Sì, secondo me Ice sta perdendo colpi. Nel senso, ormai scrive sempre le stesse cose! Non la digerisco più.”

Mai mi sarei aspettata una simile critica da parte sua.

“In effetti... dovrebbe trovare qualcosa di più interessante! Deve rinnovarsi!”

“Secondo me non è portata per queste cose, intrattiene e basta. Dovrebbe scrivere con più cura e aggiungere dati interessanti.”

Di colpo mi sentii come circondata dal buio: immobile, senza sapere che dire e, soprattutto, spaventata.

Persino le mie compagne mi trovavano prevedibile e banale. Non riuscivo a capire cosa non andasse in Ice, cosa non andasse bene in me.

Il professore entrò di colpo e un urlo invase la stanza dalle pareti color prugna.

“Se metteste nella corsa la stessa passione di quando parlate, sareste dei razzi! Forza signorine! Gli uomini vi stanno aspettando da parecchi minuti!”

E così il numeroso gruppo di ragazze si avviò in cortile dove i ragazzi erano pronti per partire.

Il primo gruppo era composto dalle ragazze più scalmanate e pigre che a malapena raggiunsero la sufficienza; il secondo non ricordo chi ci fosse oltre me e Lucy, però ricordo bene le parole di incoraggiamento che Jason mi aveva rivolto.

“Forza gambe lunghe! Mettici più grinta!”

Il terzo era il gruppo dei “popolari”: oltre ad Anne e a Marylin, la figlia di un celebre avvocato, c'erano Jason e Nathan.

“La cosa si fa interessante” aveva bisbigliato il professore curioso di vedere l'esito.

Nathan era sempre stato veloce ma anche Jason non era da meno.

E così al fischio d'inizio i due partirono come razzi: per un primo momento fu Jason ad avere la meglio ma Nathan a metà corsa accelerò fino a raggiungere il moro. Era un testa a testa.

E mentre alcune compagne urlavano tifando per i due ragazzi, il mio sguardo seguiva i passi di Anne che doveva ancora compiere il quarto giro.

Poi il cronometro fece uno strano suono e il professore costrinse i quattro studenti a fermarsi: Nathan era più avanti di Jason.

I ragazzi si avvicinarono al “campione” che aveva rivolto uno sguardo fiero verso lo sconfitto Jason.

Anne si avvicinò e si buttò, letteralmente, tra le mie braccia, distrutta.

“Un'altra ora di inferno è finita” aveva detto nonostante avesse poco fiato.

Aveva ragione: quella giornata pesante di scuola era finita. Le lezioni pomeridiane vennero annullate a causa di uno sciopero dei professori.

E così Lucy ne aveva approfittato per passare un pomeriggio con il fidanzato Finn. Erano una coppia stupenda a mio parere e per questo la bella brunetta a volte riceveva, ignara, la mia invidia.

Era perfetta: alta, bella, intelligente e buona. Finn si era subito innamorato di lei e Lucy all'inizio aveva paura di intraprendere una relazione ma riuscii a convincerla. Era da due anni che stavano insieme e per questo Anne li aveva definiti “la coppia di roccia” perché non avevano mai litigato o rischiato di rompere la loro relazione. Questa cosa mi suonava strana perché non avevo mai visto due ragazzi amarsi così tanto da far durare per un lungo periodo il loro fidanzamento, probabilmente il motivo era che mi ero circondata di gente che riusciva ad avere una relazione fissa: Anne aveva avuto più o meno sei fidanzati mentre le altre mie coetanee uscivano ogni settimana con un ragazzo diverso e alcune sue amiche, conoscenti di passaggio, non erano da meno.

Io non ero ancora entrata nel “circolo delle ragazze felicemente fidanzate” e non era un problema per me. Ho sempre cercato l'amore in tutte le sue forme: nell'arte, nella musica e nelle parole. Ma non ho mai provato quel tipo di amore che definisce il ritmo del tuo cuore, non avevo ancora trovato nessuno che mi piacesse così tanto da dirgli “ti amo”, da abbracciarlo forte in modo da non farlo andare via, da mandargli in

“Ehi Fence! Che ne dici di andare a mangiarci qualcosa insieme?” Anne si piazzò davanti a me e mi sorrise.

“E dove vorresti andare?”

“Non saprei, qualsiasi posto va bene!”

“Io vi consiglio di andare dal Mc Donald's!”

Jason si era avvicinato ad Anne sorridente come se la sconfitta subita da Nathan non gli avesse fatto alcun effetto.

“Perché no! Mi sembra un'ottima idea!”

“E la tua dieta Anne?” le chiesi, provocandola, ma lei sorrise.

“Al diavolo la dieta! Io ho fame!”

E si incamminò seguita da Jason e da due suoi amici. Nonostante le critiche ricevute poche ore prima decisi di seguirli pensando che pranzare in compagnia sarebbe stata una perfetta distrazione.

Inoltre ero curiosa di sapere come si sarebbe evoluto la questione “Anne-Jason”.


 

Nonostante il fast food fosse poco distante, io ed Anne cominciammo a sentire gli effetti della post ginnastica. Sentivo i muscoli delle gambe rimbombare di un dolore insopportabile mentre la schiena cominciò a diventare un peso più che un sostenimento. Jason sembrò non risentirne e continuava a scherzare con i suoi amici.

Una volta arrivati, sentii lo stomaco tuonare dalla fame.

Il ristorante era particolarmente spazioso e ben illuminato, anche se la terribile puzza di fritto era persistente e un'aria viziata circolava per l'intera sala. Appena entrai stabilii subito che, una volta tornata a casa, mi sarei fatta una doccia calda.

Anne si precipitò su un tavolo centrale da sei posti e Jason inaspettatamente si mise accanto a lei, io, invece, mi ritrovai in mezzo ai due ragazzi, che scoprii essere Universitari. Anne mi aveva lasciata da sola e in quel momento volevo veramente fargliela pagare.

“Allora ragazzi cosa volete? Offre Fence!” Mi voltai verso la bionda e inarcai un sopracciglio

“Come hai detto scusa?”

Jason scoppiò a ridere e accettò:

“Fence mi devi un favore” disse lui facendomi l'occhiolino.

Mi alzai e trascinai Anne dalla cassa carica per rimproverarla.

“Ma che ti salta in mente?”

“Su, non fare la guastafeste! Ci divertiamo un po' con questi fighi!”

Mi voltai per fissare i tre ragazzi che si stavano tirando dei cazzotti. Anne non aveva tutti i torti, erano proprio i tipici ragazzi dai muscoli allenati e dal bel faccino.

“Vai a chiedere cosa vogliono!”

E così venne spinta dalla mia amica a fare da cameriera ai tre... ma con sorpresa vidi che si aggiunti altri due ragazzi.

“Nathan? Che sorpresa!” esclamai sorpresa.

“Ehilà Allyson!”

Non parlavamo da parecchi mesi eppure era rimasta ancora un po' della nostra intimità che avevamo alle medie. Nathan era il mio migliore amico e stavo sempre con lui, poi però quando lui si fidanzò si allontanò da me. La classica storia: il primo amore non prende mai forma, è una legge imperscrutabile.

Accanto al bel biondo stava sua sorella minore, Katerine, che si era già attaccata al braccio di uno dei due universitari.

“Mi fa piacere che ti sia unito a noi! Cosa prendete?”
“Noi due prendiamo il MacMenù, due McChicken e due Coca-cola.” ordinarono i due ragazzi più grandi.

“Idem” disse Katerine. I suoi occhi nocciola mi guardavano dall'alto in basso nonostante io fossi in piedi. Non ho mai sopportato quella ragazzina, credeva di essere migliore degli altri e aveva un atteggiamento che non si addiceva affatto a una ragazzina di tredici anni.

“Io prendo il solito, te lo ricordi Allyson?”

Sorrisi. Capitava spesso che io e Nathan andassimo a mangiare fuori insieme ad altri amici e lui voleva sempre le crocchette di pollo e un abbondante porzione di patatine fritte.

Mentre io e Nathan parlavamo notai che Jason ci guardava seccato e spazientito, come se gli desse fastidio vedere quella scena. Sicuramente pranzare con il ragazzo che ti ha stracciato in una corsa deve essere molto imbarazzante per i ragazzi.

“Ok, Jason tu cosa prendi?”
“Quello che prende Anne. Sbrigati cameriera!”

Senza dire più nulla, mi allontanai dal tavolo e raggiunsi Anne. Dopo una lunga lista riuscimmo a dire tutti gli ordini, per poco la cassiera non ci mandava a quel paese.

Mentre un ragazzo mi serviva due vassoi, Anne richiamò la mia attenzione e indicò Katerine che stava appoggiata sulla spalla della “matricola”.

“Non riesco a credere che lei e Nathan siano fratelli” mi sussurrò Anne mentre io presi un vassoio e la invitai ad aiutarmi.

Dopo vari viavai per il ristorante, alla fine anche io e Anne riuscimmo a sederci e a gustarci il nostro pranzo. Devo dire che fu molto tranquillo rispetto a quello a cui ero abituata a scuola: non c'era confusione e, tranne per Katerine e Nathan, tutti noi eravamo persi in un silenzio quasi imbarazzante.

Fu la risata di Jason a distruggere quella piacevole atmosfera; il moro indicò il bancone dove stavano i commessi e iniziò a prendere in giro un giovane, sicuramente era la sua prima esperienza.
Mi voltai per capire di chi stesse parlando ma all'improvviso Anne mi prese per un braccio e mi costrinse ad accompagnarla in bagno.

“Cosa c'è?" Odiavo discutere in bagno; essere circondata da ragazze sconosciute e da un odore insopportabile di umido e di detersivo per pavimenti mi ha sempre dato parecchio fastidio.

“Hai notato come Jason mi guarda!”

Sbuffai, in quel momento non avevo voglia di parlare di un possibile flirt da parte di Jason.

“No. Ora vorrei tornare dal mio panino”

“Ma come puoi essere così cieca?”
“Credevo non ti interessasse”

“No, infatti. Però è sempre bello ricevere certe attenzioni.”

“Se lo dici tu”
“Come al solito non puoi capire, Allyson” disse quasi con tono altezzoso mentre ripassò la matita viola sugli occhi.

In quel momento avrei voluto urlarle di tutto. Come al solito. Ma che diamine stava dicendo?!

“E poi cosa hai intenzione di fare?”
Non capii e Anne si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio un nome.

“Ma che vai a pensare?!” urlai attirando l'attenzione di tutte le ragazze.

“Non mi piace Nathan” ripresi, abbassando la voce. “È vero che ho avuto una cotta per lui ma è stato tanto tempo fa!”

“Tutti dicono così, ma il primo amore non si scorda mai!”

“Ero alle medie!”

“E allora?”

Il fiato cominciò a mancarmi e così me ne uscii e tornai a sedermi per gustarmi in santa pace il mio pranzo, ormai tiepido. Pochi istanti più tardi Anne ci raggiunse e mi indicò con gli occhi Nathan, intento a bere la sua bibita.

“Mi è venuta un'idea! Vi va di fare uno scherzo a quel tipo?” Jason indicò un ragazzo che stava alla cassa e con lo sguardo cercò la nostra complicità
“Devi sempre comportarti da bambino Jason?” gli feci notare io ma non diede troppo caso alle mie parole.

“Sembra divertente” disse Anne

“Io ci sto” disse il nuovo arrivato, Davis, seguito dall'amico.

“La maggioranza vince! Voi statemi dietro” annunciò Jason.

Il moro si alzò seguito da Anne e dal suo amico mentre l'altro ragazzo e Katerine, che aveva annuito silenziosamente, si erano spostati.

Cercai di fermarli ma Nathan scosse il capo e mi convinse ad uscire.

“Perché non li hai fermati?” gli chiesi ma lui non rispose, anzi, era concentrato a guardare da dietro il vetro come si sarebbero svolte le cose.

Lo scherzo, a quanto avevo capito, consisteva nel far confondere il ragazzo e insultarlo per via della sua “presunta” sbadataggine.

Jason era appoggiato sul bancone e stava parlando con il commesso: mi sembrava abbastanza giovane e la cosa mi irritò particolarmente. Sentii il bisogno di entrare e interromperli ma nuovamente Nathan mi fermò.

“Ma perché?”
“Ormai è inutile, resta ferma se non vuoi peggiorare la situazione”

Sgranai gli occhi, sorpresa dalla sua affermazione, e mi voltai verso il vetro. Dopo un po' vidi il commesso andare dal personale e quando ritornò Jason non c'era poiché si era nascosto e al suo posto c'era Anne.

Il ragazzo sembrò stupito ma porse lo stesso l'ordinazione alla mia amica che, fingendosi furiosa, iniziò ad urlargli di tutto mentre poco più in là gli altri ridevano.

Poi Anne li raggiunse e il gruppo riprese a ridere; ero rimasta stupita, e schifata, dal loro comportamento, a dir la verità quello non mi sembrava neanche uno scherzo ma solo un'azione infantile. Mi voltai e qualcosa mi lasciò spiazzata: il commesso li stava fissando eppure rimaneva in silenzio. Continuavo a domandarmi il perché non stesse facendo nulla. Aveva capito di essere stato preso in giro eppure non disse nulla ma riprese a lavorare, come se nulla fosse accaduto.

Non so perché quel fatto mi toccò così profondamente, ma in quel momento decisi di andarmene così, ancora furiosa, mi allontanai. Nathan cercò di trattenermi ma, a causa della mia testardaggine, non lo ascoltai e accelerai il passo.

In quel momento non mi andava di vedere nessuno. Possibile che dei giovani fossero così immaturi?

In pochi minuti fui di ritorno a casa e mi sdraiai sul letto: erano solo le tre del pomeriggio eppure mi sembrava di essere stata in piedi per ben tre giorni. Volevo solo riposarmi e abbandonare ogni turbamento ma invano, non riuscii proprio ad addormentarmi e, pochi minuti più tardi, la suoneria del mio cellulare disturbò la quiete creatasi nella stanza, riconoscevo perfettamente quel suono fastidioso: era un messaggio di Anne.

“Perché te ne sei andata così? Ascolta, questa sera devo esibirmi in un locale, ti va di venire? E' lo stesso dell'altra volta: Pub Moonlight alle 22:30. Se non vieni dovrai offrire un pranzo a tutta la classe!”

Sospirai e poi lanciai il telefono sulla poltrona. Anche se erano state parole silenziose credevo di essere stata riempita da suoni fastidiosi e da brusii taglienti, era come se la mia anima fosse stata corrotta dal casino.

Ma non potevo lasciare ancora una volta Anne da sola così decisi di accontentare quel suo capriccio. E, per precisare, la mia non era debolezza. Nè tanto meno sottomissione al volere di quella vanitosa e brillante cantante.

Nonostante fosse ancora pomeriggio mi ero già messa a lavoro, Ice doveva fare un'entrata in scena unica. Battei le mani e scrocchiai il collo, posizionai le mani poco sopra i tasti delle tastiera e... non feci nessun movimento. Rimasi per un bel paio di minuti a pensare a cosa poter pubblicare ma nella mia testa non germogliava neanche uno spunto.

Le parole delle mie compagne, di Anne e di Dake rimbalzavano da una parte all'altra della mia testa, erano ancora ancorate ai miei pensieri e li sentivo rimbombare chiari e puri, come se fossero appena usciti dalle loro bocche. Avevo le idee poco chiare e mi sentivo distrutta e confusa.

Ma non potevo non scrivere nulla così rimasi nel classico tema: cucina e amore.

Ma da quella improvvisa concentrazione emerse una pagina scarsa. Lanciai un grido, afflitta, e mi girai di scatto. Poi alzai lo sguardo e mi accorsi dell'ora: erano già le nove e mezza. Mi alzai di corsa maledicendo il tempo e le sue corse sempre inopportune; decisi di farmi una rapida doccia calda, sicura che avrebbe calmato lo stress che continuava a interrompere i miei logici pensieri e le mie riflessioni.

Una volta terminata la “purificazione”, puntai al guardaroba, sicura del mio outfit: per le serate nei locali indossavo sempre un abito lungo fino al ginocchio di uno scuro blu, pari a quello della notte, e ai piedi le decolettè blu lucido decorate sulla punta da un piccolo fiocco a pois neri e bianchi.

Mi voltai verso lo specchio e osservai i capelli cercando una acconciatura sobria ma non troppo elegante: decisi cosi di lasciarli sciolti. Mi sbarazzai degli occhiali, che all'epoca usavo solo quando lavoravo al computer o alle lezioni di Media, e mi truccai con colori pallidi e ramati.

Guardai più volte il mio riflesso e, dopo essermi data un'ultima sistematina, capii che ero pronta per uscire. Per fortuna mio padre non fu troppo severo e così mi lasciò andare.

I miei genitori non sono mai stato troppo rompiscatole, mi lasciavano uscire quasi tutte le sere a patto che tornassi entro l'una di notte. E per me era abbastanza, non mi piaceva restare sveglia tutta la notte per ballare o bere. Sono più una pensatrice notturna che una festaiola che attende l'alba.

Per una volta ringraziai il cielo che il Pub non fosse tanto distante altrimenti avrei sicuramente preso a pugni Anne; credo di aver capito perché in quel periodo fossi tanto “violenta”.

Appena entrai notai che sul palco non c'era ancora nessuno e il locale non era tanto affollato, così tirai un respiro di sollievo.

Anne mi raggiunse di corsa nonostante i suoi trampoli -tacco dodici per la precisione, non so come facesse a ballare su quei cosi- color giallo vomito, come lo chiamavo io.

“Sapevo che non mi avresti abbandonata!” disse, dandomi un abbraccio.

“Mi potresti cortesemente dire perché sono venuta qui?” chiesi io enfatizzando il tono ironico.

“Perché sei mia amica e perché mi vuoi bene” canticchiò lei, sbattendo le palpebre.

Sbuffai e forzai un sorriso, poi Anne mi offrì un bicchiere di birra.

“Oggi ci siamo divertiti tanto! Peccato che te ne sia andata” prese a parlare Anne ma non ricambiai il suo entusiasmo.
“Non mi piacciono questo genere di cose e lo sai bene”

Anne mi diede un pizzicotto sul braccio e rise.

“Tu non sai proprio cosa sia il divertimento. Quel ragazzo era così... scemo!”

“Cambiamo discorso, se trattengo la mia natura aggressiva ancora un po' rischio di fare del male a qualcuno” dissi prima di cacciarmi in gola mezzo bicchiere di birra per evitare di parlare.

Ma Anne venne chiamata dal suo agente amatoriale e così fu costretta a salutarmi e a lasciarmi da sola. Era sempre così: io accompagnavo Anne, le tenevo compagnia per qualche minuto e poi le mi lasciava sola per tutta la notte.

Mi sistemai su una sedia posizionata in mezzo alla sala e vidi la mia amica salire sul palco pronta per esibirsi con molte cover di artisti famosi.

E mentre la gente ballava a ritmo con la musica e cantava assieme alla mia amica i ritornelli, gironzolavo come una povera scema in quel locale piccolo e in un miscuglio di tabacco e di alcol.

“Siete fantastici!” urlò Anne e mi voltai per guardarla. Quel gesto mi costò caro perché mi scontrai contro un uomo. Cercai di scusarmi ma rimasi in silenzio, fissando il volto seccato dell'uomo: aveva una corporatura robusta e una barba folta, sembrava quasi una guardia del corpo.

“Scusi” riuscii infine a dire ma a causa del volume alto la mia voce risultò quasi silenziosa, così dovetti urlare ancora una volta per farmi sentire ma l'uomo rimase in silenzio.

Accanto a lui stava una ragazza dal volto familiare... e fu in pochi secondi che la riconobbi.

“Lizzy, sei tu?”

La ragazza nominata concentrò gli occhi verdi su di me e, dopo aver messo a fuoco, fece un salto da cui capii che mi aveva riconosciuta.

“Ally carissima! Come stai? Caspita, ti sei fatta proprio bella! Beh, la bellezza è di famiglia!”

Scossi il capo e poi sorrisi. Elizabeth, soprannominata da me Lizzy, era stata la mia babysitter per molto tempo, anzi direi che era la mia migliore amica dell'infanzia. Ma all'epoca chiunque poteva diventare facilmente tuo migliore amico, perciò era una di quelle amicizie che sono destinate a dissiparsi con il passare degli anni. Tuttavia Lizzy non perse affatto la sua cortesia e il suo solito modo di fare allegro e ottimista.

“Come sta Leo?”
“Sta meglio di me, su questo non c'è dubbio” risposi.

Restammo a parlare per parecchi minuti e qualche volta la mia attenzione si rivolse a quel ragazzone che teneva gli occhi fissi su di me ma se ne stava zitto zitto.

Cos'era? La giornata del silenzio?

“Lui chi è?” sussurrai a Lizzy indicando l'uomo, convinta che fosse il suo fidanzato.

“È un caro amico...”
“È sempre così... loquace?” chiesi sarcastica e lei sorrise.

“Beh... all'inizio può sembrare serio e distaccato, però è divertente ed esuberante! Mi trovo bene con lui anche se è più giovane di me!”

Quando me lo disse rimasi stordita. Lizzy aveva trentadue anni, ciò significava che quell'omone dalla faccia seria aveva meno di trentanni.

Assurdo.

Riprese a fissarmi: era così concentrato su di me che nei suoi occhi verde oliva mi parve di vedere il mio riflesso, mi sentii parecchio a disagio.

“Mi piacerebbe continuare a chiacchierare con voi ma devo andare, la mia amica mi sta aspettando. Spero di rivederti ancora, Lizzy”

“Salutami tutti!”
“Senz'altro! Ciao!” Superai i due e cercai di non far casa allo sguardo glaciale del ragazzo ma poi la mia educazione ebbe la meglio.

“Arrivederci” gli dissi e poi mi allontanai.


 

Restai mezz'ora seduta davanti al palco ad ascoltare altri artisti mentre Anne parlava allegramente con alcuni ragazzi. Fu allora che cominciai a sentirmi strana: un forte dolore allo stomaco continuava a tormentarmi e la testa non voleva smettere di girare.

Non ricordo cosa accadde in quei momenti... So che ad un certo punto uscii dal locale e quando superai la porta mi accorsi che Anne era dietro di me.

“Tutto ok?” mi chiese e io scossi subito la testa.

“Accidenti... ti accompagno a casa, va bene?” disse tenendomi per il braccio.

Mentre ci allontanammo sentii una melodia particolare. Non so perché ci feci caso però rimasi molto colpita da quella musica, era l'unico suono che riuscivo a distinguere da quella confusione che mi circondava.

Quando finalmente entrai in casa corsi in bagno. I successivi venti minuti li passai a rimettere e ad angosciarmi.

E così finì quella giornata...

Oggi la riassumo con tre parole: rabbia, giallo vomito e silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 






~ La tana del Sogno  ~

Eccomi con il secondo capitolo. È uguale a quello che postai l'anno scorso, da qui però le cose prenderanno una piega diversa da quella che era la storia originale. Perciò attendete con pazienza ll prossimo capitolo, dove finalmente i Bastille appariranno!

Spero vi sia piaciuto, se avete qualche critica/consiglio vi ascolto volentieri!

ringrazio Shiwriter e xtomx95 per aver recensito lo scorso capitolo!
Ringrazio anche color che hanno aggiunto questa storia nelle preferite/seguite/ricordate.
E infine ringrazio chi legge soltanto, non avrei pensato di raggiungere un numero così elevato di visite.
GRAZIE DI CUORE!

Buona settimana a tutti!

Alla prossima!

Yume

   
 
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