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Autore: FairLady    08/08/2014    5 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli occhi di Aura non perdevano un movimento, le sue orecchie registravano la voce calda e sensuale di Michael e, nota dopo nota, l’emozione si faceva via via sempre più incontenibile.
Lo aveva incontrato la prima volta in un negozio di mobili, vestito come una persona qualunque, con l’atteggiamento tipico di una persona qualunque – fatta eccezione ovviamente per la guardia del corpo che lo seguiva a vista –, e successivamente aveva imparato a conoscerlo una sera come tante, a casa sua, davanti a un hamburger e a una manciata di patatine fritte. Non era pronta ad assistere personalmente all’esplosione di quel suo prorompente talento; nonostante Aura avesse poi guardato le sue esibizioni, vederlo dal vivo era tutta un’altra cosa. Le faceva strano – uno strano meraviglioso – vederlo muoversi su quel palchetto – troppo piccolo per una grandezza come la sua –, così sicuro di sé, così appassionato, così… fantastico. Mentre impugnava il microfono e lasciava che voce e corpo seguissero il richiamo sanguigno di quel ritmo che solo lui era stato in grado di creare, diventava un altro: la timidezza, l’imbarazzo, la paura di essere giudicato svanivano come fumo nell’aria e lui tirava fuori tutto quel meglio che lei aveva intravisto sotto a quella giacca sportiva rossa, quel pomeriggio al suo negozio.
In quel momento Aura vide Michael come un essere quasi mistico, perfetto. Unico. Come fosse tanti uomini in un solo corpo… tante emozioni in un solo, sfaccettato, poliedrico cuore.
Pianse di meraviglia di fronte alla consapevolezza ormai innegabile che quell’uomo un po’ bambino, in così poco tempo, le fosse entrato sottopelle, nelle vene, diffondendosi in modo capillare in ogni parte del suo corpo, raggiungendo profondità che non sapeva nemmeno esistessero dentro di sé.
Aura non si era nemmeno accorta del tempo che passava, perché Michael lo riempieva con la sua presenza, con i suoi occhi innocenti e con quel sorriso che avrebbe sciolto anche il più duro dei cuori. Quando poi intonò le prime note di “Smile”, la diga tracimò.
Era una di quelle canzoni che la legavano indissolubilmente alla sua infanzia, a quando suo nonno Jack la prendeva in braccio sull’amaca che avevano in giardino e la dondolava per farla addormentare: i suoi pomeriggi estivi erano quelle due braccia forti, le note di quella canzone e il fresco delle larghe foglie del loro grosso platano americano che mitigava i raggi del sole d’agosto.
Michael era lì adesso, a pochi passi da quello stesso platano, che cantava con dolcezza disarmante quella stessa melodia. In quel momento avrebbe voluto scoprire quanto potessero essere forti le sue braccia, ma si limitò a sorridere fra le lacrime, ripensando al suo nonno perduto, ma mai dimenticato. Ci pensò poco dopo un altro uomo a stringerla, mentre Michael cantava ancora: suo padre. Lui sapeva cosa significassero per lei quelle parole e si era avvicinato per condividere con la figlia quel ricordo tristemente agrodolce che li accomunava. Quando le ultime note si spensero e gli applausi scoppiarono nella piazza, il signor Mitchell si avvicinò di più ad Aura e le sorrise.
«Poi mi dirai cosa ci fa Michael Jackson a Burlington e cosa c’entri tu con tutto questo, vero?»
Avrebbe tanto voluto rispondergli d’istinto, ma quello che avrebbe voluto raccontare di loro non era la verità, per cui rispose al sorriso con affetto e gli piazzò la classica frase a cui tutti fingono di credere, ma che nessuno si beve mai veramente – anche se in quel caso era la pura e semplice verità –, prima di allontanarsi verso il palco.
«Siamo semplicemente amici, papà, non sapevo che sarebbe venuto. Ha fatto a tutti una sorpresa, a me per prima.»
Mentre pronunciava quelle ultime parole si rese conto che davvero Michael aveva lasciato Los Angeles per passare il Capodanno in un paesino sperduto dell’Illinois, e di nuovo si domandò come fosse possibile che lui – proprio lui – avesse così voglia di vederla da non poter aspettare qualche giorno che lei facesse ritorno in California.
D’un tratto una mano strinse la sua, e poco dopo il proprietario di quella mano la stava trascinando fuori dalla folla. Non era possibile che ogni volta si perdesse tanto nei suoi pensieri da perdere il contatto con la realtà! Non si era nemmeno accorta che la band aveva ripreso a suonare le solite cover e che Michael non era più sul palco!
Certo che non lo era, era lui che la stava conducendo fuori dalla piazza!
Le loro dita non erano state mai così saldamente intrecciate e quel contatto la fece rabbrividire, non per il gesto in sé, ma per quanto in profondità quel tocco era riuscito ad arrivare.
«Michael!» lo slancio e la gioia con cui Aura pronunciò quel nome non davano spazio al dubbio: lei era felice, estremamente felice che lui fosse lì. Avrebbe voluto abbracciarlo, saltargli al collo, stringerlo e non lasciarlo più andare fino a che non fosse riuscita a trasmettergli perfettamente anche la più piccola emozione; invece non si mosse, si limitò a guardarlo adorante e a lasciar scorrere qualche lacrima di felicità, mentre lui con il pollice si preoccupava di asciugarle.
Lui era sempre stato a disagio di fronte a una donna in lacrime, anche se con il tempo ci aveva fatto l’abitudine: gli capitava spesso di avere a che fare con fan rotte nel pianto a causa sua. A volte gli veniva difficile capire il motivo per cui piangessero – contentezza, tristezza, soggezione, shock? –, ma se c’era una sola cosa che aveva compreso era che ognuna di quelle lacrime sgorgava in una pura dimostrazione d’affetto nei suoi confronti e, benché gli dispiacesse vederle in quello stato, una parte di sé traboccava di gratitudine e amore.
Nel caso di Aura, invece, si trovò disarmato, in primis da se stesso e da quello che sentiva crescergli dentro da quando l’aveva incontrata. A quel primo sguardo, qualcosa, molto in profondità, gli si era mosso dentro con un’intensità agghiacciante mai provata sino ad allora. Come avrebbe potuto gestire quel caos emotivo che era esploso senza alcun tipo di preavviso?
Lei lo guardava negli occhi con quel suo sguardo aperto, sincero e pulito, e tutto quello che lui riusciva a fare era restituirgli quello sguardo con l’agglomerato indistinto che erano diventati i suoi sentimenti.
Avrebbe voluto tuffarcisi in quegli occhi verdi pieni di vita, avrebbe voluto essere più coraggioso, più sicuro, meno vulnerabile; ogni volta che aveva deciso di fidarsi di qualcuno ciecamente, il suo bisogno d’affetto si era puntualmente trasformato in un’arma a doppio taglio che aveva sempre portato alla rovina di cose meravigliose come l’amicizia, la bontà e la lealtà.
Aveva una paura incredibile del suo stesso cuore, in quel momento, ma le lacrime di cui le sue dita erano bagnate gli infusero una strana audacia: si sentì per la prima volta incautamente desideroso di assecondare quei sentimenti prepotenti che, non solo non volevano saperne di spegnersi, ma che addirittura lo avevano condotto in un posto sperduto dell’Illinois la notte di Capodanno, abbandonando all’improvviso le prove del tour. Come avrebbe potuto il verde cristallino di quegli occhi prendersi gioco di lui?
 
«Auralee!»
Che gioia provò lei nel sentire quella voce pronunciare così teneramente il suo nome! Avrebbe voluto fargli mille domande, raccontargli un milione di cose! Si sentiva un vulcano in eruzione, senza contare il desiderio quasi spaventoso di abbracciarlo che provava!
Erano lì una di fronte all’altro, con le mani unite, che si guardavano come due ragazzini delle elementari, senza sapere dove si trovasse la linea immaginaria da non oltrepassare, se c’era. Eppure, entrambi, quella linea avrebbero tanto voluto cancellarla, solo che nessuno aveva il coraggio di farlo; forse quel limite era stato già superato e non se n’erano nemmeno resi conto.
Era come se tra i due corpi persistesse un’azione antimagnetica che impediva loro di congiungersi finalmente in un abbraccio tanto agognato.
«Ma, ma Michael, cosa ci fai qui? Come sapevi dove…» Aura cercò di demonizzare quelle voglie che sentiva di non poter palesare, sputando fuori le domande che senza dubbio Michael si aspettava. Infatti, lui sorrise – e ogni volta che lo faceva lei si sentiva le ginocchia sempre più molli –, abbassò di poco il capo per cercare di mascherare l’impaccio che provava in quella situazione a lui normalmente non congeniale, poi rispose con il suo tipico candore:
«Non è stato difficile trovarti, ho i miei mezzi!» la logica di quella risposta fu per Aura un tantino imbarazzante. Era davvero semplice: lui era Michael Jackson – anche se a volte tendeva a dimenticarlo –, doveva essere stato per lui un gioco da ragazzi trovarla, senza contare che era stata lei a dirgli dove aveva vissuto prima di trasferirsi a Los Angeles!
«Io… – Aura sapeva di dover tenere per sé certe cose, ma mentre viaggiava in quel suo sguardo profondo si sentì come in balia di un incantesimo difficile da contrastare – Io…»
«Tu cosa, Auralee?» a quella voce avrebbe detto tutto, avrebbe dato tutto.
«Io ti ho desiderato – riuscì a rendersi conto che detta in quel modo poteva essere fraintesa e, attenta com’era stata sino ad allora, non voleva di certo accadesse. Sorrise, imbrigliata nella confusione della sua testa – Ho desiderato vederti, sentirti…» continuò, cercando di togliersi d’impaccio, mentre lui, angelicamente arrossato in volto – e non era colpa solo del freddo dicembrino –, ancora sorrideva.
«…e io sono arrivato a esaudire il tuo desiderio?»
Aura annuì con il volto in fiamme: erano senza dubbio la coppia di persone più imbranate del mondo, e su di lei non era sicuramente una grande notizia, dato che aveva raramente avuto a che fare con gli uomini, ma su Michael – il grande e unico Michael Jackson –, poteva sembrare davvero una cosa atipica.
«Perché sei venuto fino a qui?» gli domandò mentre impercettibilmente stringeva le mani più forte alle sue – forse per la paura di vederselo scivolare via dalle dita e accorgersi che stava solo sognando.
«Perché ho espresso anche io il mio desiderio e quel desiderio eri tu.»
Non si capacitava neanche lui di quello che aveva appena detto. Non sapeva nemmeno dove avesse trovato il coraggio di abbattere la sua proverbiale timidezza e pronunciare quelle parole, eppure lo aveva fatto. Si sentiva vulnerabile più che mai, Michael, come se fosse stato un nervo scoperto in balìa degli eventi, ma non aveva paura, anzi: si sentiva euforico come non gli era più capitato da troppi anni.
Aura continuava a sorridere tra le lacrime; Michael non mancava di asciugare quel pianto che a breve avrebbe sopraffatto anche lui: sentiva il magone lambirgli la gola. Si schiarì la voce e le accarezzò una guancia.
«E poi ho sentito dire che quel che fai a Capodanno lo fai per tutto l’anno: voglio provare e vedere se è vero!»
Dalla piazza sopraggiunsero le voci della gente contare a ritroso, la mezzanotte era ormai vicina.
«Cinque! Quattro! Tre! Due! Uno! Auguri!»
Mentre in piazza i festeggiamenti avevano definitivamente preso il via, tra bottiglie di birra e abbracci di gruppo, Aura sentì le lunghe braccia di Michael circondarle delicatamente la vita, mentre ancora si fissavano con addosso il velo di un sentimento riconoscibile, ma ancora impaurito di palesarsi. Lei, dal canto suo, non aveva sognato altro che stringerlo a sé, così, incoraggiata dalle mani di Michael strette dietro la propria schiena, alzò le braccia e lo abbracciò a sua volta, facendo attenzione a non sconfinare in terreni ancora incerti: l’ultima cosa che voleva era mettere Michael a disagio, e anche lei, dopotutto, si era addentrata in un campo sconosciuto, non avrebbe mai rischiato di sbagliare qualcosa, non con lui.
«Felice anno nuovo, Auralee.» sussurrò Michael mentre, un po’ insicuro ma certamente desideroso di scavalcare quelli che erano sempre stati i suoi recinti sentimentali, chinò leggermente il viso verso quello di lei. Avevano entrambi il fiato corto, ma non si lasciarono fregare dall’emozione. Aura compensò la distanza che ancora li separava e quando già le loro labbra si sfioravano rispose:
«Felice anno nuovo a te, Michael.»
 
 
Faith is found in the wind
All we have to do is reach for the truth
   
 
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