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Autore: Ayr    11/08/2014    2 recensioni
Quando Matisse incontra Zefiro, un ragazzo affascinante ma misterioso, la sua vita tranquilla viene completamente sconvolta: il ragazzo infatti le rivela che lei è la principessa perduta, la legittima erede al trono di Heaven. Inizia così per lei un viaggio in compagnia di Zefiro, il cui silenzio pare nascondere un grande segreto, che la porterà dal tranquillo villaggio in cui vive alla caverna di Procne, una potentissima maga che aiuterà Matisse ad affrontare quello che le aspetta: non si tratta solo di sedere su un trono e di prendere sulle spalle tutte le responsabilità che esso comporta, Matisse infatti, dovrà prepararsi anche per una guerra perchè non è l'unica che ambisce a quel trono e c'è già chi trama nell'ombra per strapparglielo via.
Preparatevi ad accompagnare Matisse in questo viaggio tra maghi, battaglie, segreti, elfi e misteri. Siete pronti a partire?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Matisse, Zefiro e Corniolo ripartirono il giorno dopo di buon’ora, Fogliadoro distava una giornata e mezza di cammino da Baccablu. Matisse si stropicciò gli occhi, ancora assonnata. La notte prima era andata a letto molto tardi, ma non se ne pentiva. La festa era stata semplicemente stupenda: aveva ballato e cantato intorno al falò allestito nel centro della piazza che con le sue lingue di fuoco aveva rischiarato la notte; aveva chiacchierato con Zefiro e Corniolo, quest’ultimo brillo per il troppo sidro, e aveva riso fino a che lo stomaco non aveva iniziato a farle male e poi, mentre aspettava la mezzanotte, era rimasta incantata a guardare le stelle mentre Zefiro gliene indicava una per una dicendone di ciascuna il nome.
«Conosci il nome di tutte le stelle?» gli aveva chiesto la ragazza sorpresa.
«Conosco anche la storia di ciascuna di loro» aveva risposto il ragazzo «Quando una persona muore diventa una stella e tanto più la sua vita è stata buona più la sua stella brilla» e aveva iniziato a raccontarle le mirabolanti avventure di cavalieri coraggiosi o le incredibili storie di maghi e stregoni o gli amori tristi di donzelle innamorate e Matisse era rimasta ad ascoltarlo, rapita, fino a quando a mezzanotte non era stato decretato l’inizio dell’estate, accolto con grida di gioia e calici pieni di sidro sollevati verso la luna, e allora la ragazza si era unita di nuovo ai festeggianti, entusiasta, fino a quando non era crollata sulla spalla di Zefiro, troppo stanca anche solo per riuscire a tornare alla locanda.
Anche Zefiro era stanco, ma per altri motivi: non era riuscito a chiudere occhio per tutta notte a causa del forte russare di Corniolo, inoltre temeva che le presente che lo tormentavano potessero tornare ad invadere i suoi sogni, così aveva passato la notte sveglio a ripensare a quello che gli aveva detto Corniolo.
Quest’ultimo era l’unico a sembrare riposato, quella notte aveva dormito magnificamente e quella mattina trotterellava allegro in testa alla compagnia, con due bottiglie di sidro aromatizzato al miele ben sigillate, riposte nel suo zaino. Lo sguardo di Zefiro cadde sull’omuncolo.
Ti piace vero? Gli aveva chiesto giusto poche ora prima e quelle parole continuavano a rimbalzare nella sua testa. Nonostante avesse provato a relegarle nei recessi più profondi della sua testa, queste continuavano a balzare fuori per tormentarlo, in attesa di una risposta. Ma Zefiro non aveva una risposta, in realtà non aveva mai pensato veramente a Matisse in quel modo; lui si era sempre considerato come un suo protettore, un accompagnatore che aveva promesso di portare la ragazza viva da Procne, mentre lei era sempre stata la Principessa: inavvicinabile, intoccabile. Eppure, appena l’aveva vista il suo primo impulso era stato un altro, ma questo prima di scoprire chi fosse in realtà…Zefiro scosse la testa cercando di scacciare quei pensieri molesti, doveva concentrarsi su quello che lo circondava, doveva captare ogni singolo rumore e fruscio, ogni singolo movimento sospetto: gli Elfi neri potevano sempre essere in agguato, nascosti tra i cespugli, pronti ad attaccarli; e se non fossero stati loro sarebbero stati i briganti o qualche belva feroce, la foresta era piena di pericoli ed insidie nascoste. Come per esempio quella radice, perfettamente mimetizzata con il terreno, ma per uno come Zefiro, che aveva sempre vissuto nei boschi e ormai ne conosceva tutti i segreti, quella radice era visibilissima; non per Matisse, che camminava davanti a lui e che si inciampò in essa. Il ragazzo l’afferrò per un braccio, impedendole di cadere a terra.
«Grazie» sussurrò la ragazza volgendo i suoi occhi smeraldini pieni di gratitudine verso di lui, Zefiro rimase inchiodato da quello sguardo e finalmente trovò la risposta alla domanda di Corniolo.
«Stai attenta» le disse gentilmente «La foresta è piena di insidie nascoste»
«Me ne sono accorta» rispose la ragazza sorridendo dolcemente
«Piccioncini la finite?» si intromise Corniolo linciandoli con lo sguardo, Matisse arrossì e Zefiro tolse immediatamente la mano dal braccio della ragazza.
«Se continuate ad amoreggiare, di questo passo arriveremo quest’inverno a Fogliadoro» continuò, riprendendo a camminare, Matisse alzò gli occhi al cielo
«Sembra proprio che non sopporti il fatto che tu ti avvicini anche solo a me» disse in un sussurro
«Forse è geloso» rispose Zefiro con un sorriso complice, scatenando una risatina in Matisse.
«Guardate che vi ho sentito» li avvisò Corniolo «E non sono affatto geloso. Sto solo proteggendo Matisse da avvenenti apprendisti girovaghi e dalle loro avance»
«Io non stavo facendo alcuna avance! Ho solo evitato che si sfracellasse a terra, credo che Procne la preferisca tutta intera» si difese Zefiro «Comunque ti ringrazio per l’avvenente apprendista girovago, soprattutto per l’avvenente» aggiunse con un tono di voce e assumendo una posa tale che Matisse non riuscì più a trattenersi e scoppiò in una risata irrefrenabile.
Corniolo alzò gli occhi al cielo, dentro di sé, però, era contento che quel viaggio non fosse troppo pesante per Matisse, doveva godersi quell’allegra spensieratezza finché ne aveva la possibilità.
 
Procne si svegliò di soprassalto, si addormentava fin troppo spesso in quel periodo. Stava invecchiando. Nonostante il suo aspetto fosse ancora quello di una giovane donna, dentro stava pian piano sfiorendo e il peso degli anni iniziava a gravarle sulle spalle. In fondo aveva quasi mille anni, aveva visto parecchi decenni scorrerle davanti agli occhi e questi si erano ben presto trasformati in secoli. La donna si passò stancamente una mano sul viso, presto o tardi avrebbe dovuto trovare un sostituto; c’era Zefiro, ma non era sicura che quel ragazzo avrebbe accettato quella vita piuttosto statica. Lui era un ragazzo impulsivo, intelligente ma avventato e soprattutto non sarebbe riuscito a non immischiarsi negli avvenimenti; cosa che stava facendo anche lei nell’ultimo periodo e anche fin troppo spesso. Il suo compito era quello di semplice spettatrice e il suo scopo quello di controllare che tutto procedesse secondo quello che era stato deciso, si ripeté.
Il sogno dal quale era appena emersa era stato piuttosto semplice, a differenza di tutti gli altri: era in una piana grigia, avvolta nella nebbia, ma la terra non era malata e i luogo non era minaccioso come poteva sembrare; dalla nebbia era emersa una figura, Zefiro, e Procne si era lasciata sfuggire un gemito strozzato.
«Nessuno può nascondere la sua natura per sempre» aveva detto il ragazzo, ma con una voce che non gli apparteneva «Presto o tardi anche lui mostrerà la sua vera natura». Questa era stata la lapidaria sentenza, dopodiché Zefiro era stato inghiottito dalla nebbia e Procne si era svegliata.
Il sogno l’aveva lasciata piuttosto turbata, non che non ne avesse compreso il significato, ma proprio quest’ultimo si dimostrava ambiguo: cosa intendeva per la sua natura?
La donna sapeva che il ragazzo era preda di terribili incubi e sapeva che in alcune notti era posseduto da misteriose forze malvagie derivate dalla sua origine, il sogno si riferiva forse a quello? Oppure era la magia, che il ragazzo nascondeva dentro di sé, che presto o tardi si sarebbe manifestata, stufa di essere rimasta per troppo tempo segregata in un angolo buio dell’anima del ragazzo? Procne si chiese cosa sarebbe stato meglio: la magia rimasta inutilizzata per tanto tempo ma soprattutto soppressa con forza, poteva risultare imprevedibile quindi molto pericolosa; ma anche le presenze che Zefiro racchiudeva dentro di sé potevano rivelarsi pericolose, se avessero preso il sopravvento, ma fino a quel momento il ragazzo si era mostrato capace di controllarle; con il passare del tempo, però, quelle presenze avrebbero potuto corromperlo, corroderlo dall’interno, fino a consumarlo. Procne emise un singulto strozzato, quei pensieri l’avevano gettata in una terribile agitazione.
Meglio non pensarci si disse presto o tardi scoprirò il vero significato del sogno. Detto questo si avvicinò al calderone per prepararsi una pozione tranquillizzante.
 
«Quanto manca ancora?» domandò Matisse incespicando, non ce la faceva più a camminare, aveva fame e i suoi piedi urlavano pietà.
«Ancora parecchio, non siamo nemmeno a metà strada» rispose Corniolo, Matisse strabuzzò gli occhi.
«Non ce la faccio più!» protestò, la mancanza di sonno di quella notte iniziava a farsi sentire «Non possiamo fermarci un attimo?» chiese, la ragazza incespicò di nuovo «Abbi pietà di me»
Ma fare leva sulla pietà e la magnanimità di Corniolo non portò a nulla.
«Vorrei arrivare a Belladonna entro stasera» decretò.
«Spero solo di arrivarci viva» borbottò tra sé Matisse.
Belladonna era un villaggio di poco conto che sorgeva più spostato dalla riva e verso l’interno del bosco, era abitato principalmente da cacciatori e boscaioli e quasi nessuno era a conoscenza della sua esistenza, Corniolo era tra quei pochi che sapeva che esistesse e dove si trovasse.
«Belladonna?» chiese Zefiro, non aveva mai sentito quel nome e sulla sua mappa non era segnato.
«È un villaggio di neanche cento abitanti situata proprio tra Baccablu e Folgiadoro. Ci abita un mio amico, quindi anche per questa notte dovremmo trovare un letto caldo dove riposare».
Verso sera, mentre il sole stava calando, bagnando con i suoi raggi il bosco e tingendone le foglie di rosso, i tre viaggiatori si trovarono in prossimità del villaggio. Ma invece di incontrare il cerchio accogliente di casupole in legno promesso da Corniolo, trovarono solo la devastazione: il villaggio era stato completamente raso al suolo, i suoi abitanti erano probabilmente morti tutti, qua e là sorgeva ancora qualche rudere fumante, il resto era cenere. Di fronte a quello spettacolo nessuno dei tre riuscì a proferire parola per parecchi minuti, erano rimasti tutti scioccati dalla visione che si apriva davanti ai loro occhi.
«Chi può essere stato?» chiese Matisse con voce strozzata
«Elfi Neri» rispose Zefiro in un sibilo.
«Quelli che ti seguivano?»
«Probabile. Ma possono essere stati anche altri. Questo posto ormai pullula di Elfi» rispose il ragazzo amareggiato.
«Perché?» chiese invece Corniolo, era visibilmente abbattuto e devastato dalla scena di distruzione che li si parava davanti agli occhi. Nessuno però seppe rispondere alla sua domanda.
«Dobbiamo trovare un posto sicuro dove dormire» decretò Zefiro e siccome Corniolo pareva essere caduto in trance, il ragazzo gli diede una scrollata
«Non possiamo fare più nulla Corniolo, mi dispiace. Molto probabilmente saranno ormai tutti morti. Se volgiamo evitare di esserlo anche noi, però, ci occorre un posto sicuro dove passare la notte e solo tu puoi indicarcene uno»
Corniolo parve riscuotersi e gettato un ultimo sguardo al villaggio devastato guidò i due ragazzi fino ad una piana poco distante, ben riparata da tre grandi faggi che con le loro fronde creavano una cupole di foglie.
«Almeno saremo riparati anche dalla pioggia» disse Corniolo, durante il giorno, infatti, il sole non era riuscito a squarciare il muro di nubi che gli si era parato davanti, anzi, quest’ultimo si era infittito e ingrigito, facendo presagire che presto o tardi sarebbe caduta la prima pioggia della stagione estiva.
«Siamo appena entrati nell’estate e piove!» esclamò Matisse lasciandosi cadere ai piedi di un faggio, con quella frase sperava di aver alleggerito un poco l’atmosfera. Le immagini di distruzione, però, erano ancora bene impresse nelle loro menti e nei loro occhi.
«Fortunatamente possiamo non accendere un fuoco. Non fa freddo e non abbiamo bisogno di cuocere il cibo» osservò Zefiro
«Inoltre verrebbe spento dalla pioggia imminente» aggiunse Corniolo gettando uno sguardo agli squarci di cielo che si riuscivano a scorgere oltre la cortina di rami. Quelle chiacchiere vuote servivano a spezzare il silenzio e il senso di tristezza che li opprimeva, ma non erano abbastanza. Consumarono il loro pasto in silenzio e sempre in silenzio prepararono i loro giacigli.
«Io starò di guardia» disse Zefiro «Dovremmo essere riparati, ma non si può mai sapere», Corniolo convenne con lui e mentre questi si stendeva sulla coperta, Zefiro appoggiò la propria schiena al tronco di un faggio e si mise ad osservare i barlumi di cielo. Quella notte non c’erano stelle ad illuminarlo ma solo una coltre densa e grigia, pesante e opprimente, dalla quale iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia. Fortunatamente la cupola di foglie dava loro un riparo e solo poche gocce riuscivano a filtrare, lasciando i tre all’asciutto. Il ragazzo rimase ad ascoltare il ticchettio della pioggia, era l’unico rumore che spezzava il silenzio di quella notte. In quel momento gli parve di intravedere qualcosa aldilà del cerchio di faggi: una luce, fioca, sfuocata a baluginante. Zefiro si stropicciò gli occhi, eppure la luce non scomparve. C’era qualcuno accampato a pochi metri da loro.
Si avvicinò a Corniolo e lo scosse gentilmente per una spalla, questi aprì gli occhi e con voce impastata di sonno chiese se fosse già il suo turno.
«No» rispose piano Zefiro per evitare di svegliare Matisse, che dormiva poco lontano, «Ma ho visto delle luci, in quella direzione e voglio andare a controllare; però non voglio lasciare Matisse senza protezione»
«Ho capito» replicò Corniolo, improvvisamente sveglissimo «Vai! Ma stai attento!»
E spera solo che quelle luci siano solo frutto della tua mente stanca aggiunse mentalmente. Corniolo seguì Zefiro con lo sguardo, ridotto ad un’ombra più scura delle altre che si spostava silenziosamente, finché non riuscì più a distinguerlo.
Il ragazzo si muoveva cautamente, cercando di fare meno rumore possibile. Man mano si avvicinava più le luci si facevano nitide fino a prendere i contorni di un fuoco, non era un fuoco normale: bruciava senza bisogno di legna, non produceva fumo e soprattutto era di un freddo color blu.
Merda! Un fuoco magico imprecò Zefiro, dove c’era un fuoco magico, infatti, c’era qualcuno capace di adoperare la magia e gli unici ancora in grado di farlo erano gli Elfi Neri.
Quattro di essi sedevano intorno al fuoco, avvolti in cappe nere che parevano risucchiare la luce che il fuoco spandeva introno a sé. Zefiro si scostò i capelli bagnanti dagli occhi, tra le pieghe del mantello di uno di loro spuntava un ciondolo, un disco di bronzo con incastonata nel mezzo una pietra nera.
Per il momento pare essercene uno solo ragionò tra sé sollevato, ma questo non escludeva il fatto che anche gli altri tre non sapessero adoperare la magia.
Per accertarsene decise di spingersi più vicino, nascosto dai cespugli fradici, si avvicinò ai tre cercando di fare meno rumore possibile; purtroppo però, non riusciva a vedere se anche gli altri tre avessero il ciondolo. Provò ad arrischiarsi ad avvicinarsi ancora di più ma scivolò su uno strato di foglie bagnate e franò a terra.
«Ma guarda un po’» disse uno di loro avvicinandosi al ragazzo, steso a terra e dolorante «E tu chi saresti?»
Zefiro non rispose, troppo impegnato a maledirsi mentalmente per la sua curiosità e audacia che si erano rivelate essere imprudenza e avventatezza.
«Allora non rispondi?» lo incalzò l’Elfo
«Per me è uno sporco ladruncolo» disse un altro gettando un’occhiata di disgusto a Zefiro «Un ladruncolo che voleva provare a derubarci» aggiunse avvicinandosi al ragazzo, che rimase immobile, la faccia immersa nel fango.
L’Elfo che aveva parlato per primo gli sollevò la testa, prendendolo per i capelli e Zefiro venne incatenato dalle iride rosso fuoco dell’essere
«Non rispondi, bastardo?» gli sputò in faccia «Quindi abbiamo ragione, sporco ladruncolo. Credevi di poterci derubare? Non sai chi siamo noi?»
«Merak lascialo stare!» intimò l’Elfo con il ciondolo, l’unico che fino a quel momento non aveva parlato, insieme al compare accanto a lui
«Non vedi che è uno di noi?» disse questi, l’Elfo chiamato Merak lo guardò stranito
«Cosa stai dicendo Izar?»
«Scostagli i capelli» disse l’altro, Merak fece quanto richiesto e sotto la matassa di morbidi capelli corvini vide spuntare due piccole orecchie leggermente a punta
«È un Mezzosangue!» esclamò l’Elfo lasciando cadere il ragazzo, Zefiro emise un rantolo strozzato
«Cosa ci fa qui un Mezzosangue?» continuò l’Elfo visibilmente sconvolto allontanandosi spaventato dal ragazzo. Zefiro si rialzò a fatica, e si scostò i capelli fradici e sporchi dagli occhi. Si era stupito del fatto che quegli Elfi non l’avessero attaccato e invece fossero rimasti immobili a parlare, ma ciò che l’aveva sorpreso ancora di più era il fatto che fossero riusciti a scoprire il suo segreto.
«Come fate a sapere che sono un Mezzosangue?» domandò, sulla difensiva; stupidamente non aveva portato armi con sé, a parte i pugnali, e si stava chiedendo come sarebbe riuscito a difendersi se avessero attaccato. Due semplici coltelli potevano poco contro quattro Elfi ben equipaggiati di cui uno capace anche di usare la magia. Aveva  ormai appurato che Izar fosse un mago e temeva che anche il suo compare lo fosse.
Izar sorrise «Riesco a percepire l’aura di un Elfo quando la sento e la tua, pur essendo debole, è presente» rispose, Zefiro si stupì della calma con cui stava parlando, si chiese se quella fosse una mossa diversiva per coglierlo di sorpresa.
«Sei solo?» chiese il suo amico
«Sì» rispose il ragazzo
«E cosa ci fa un Mezzosangue tutto solo, da questa parte?» incalzò l’Elfo
«Sono scappato» rispose, Procne gli aveva raccontato che i Mezzosangue non erano ben visti e gli aveva raccomandato di tenere nascosta questa sua identità per evitare di venire perseguitato ed eliminato. Fino ad adesso c’era riuscito.
Zefiro vide l’Elfo alzarsi ridacchiando «Non dovresti essere qui!» gli fece notare
«Se per questo nemmeno voi» replicò il ragazzo, continuava a chiedersi perché non attaccassero; in fondo erano in vantaggio, perché non si decidevano?
Finalmente l’Elfo alzò le braccia, le maniche della cappa scivolarono rivelando due mani pallide e scheletriche crepitanti di magia. Zefiro deglutì.
«Raggiungerai quelli della tua stirpe sudicia, Mezzosangue» sibilò l’Elfo e dalle sue mani partì una fiammata azzurrognola.
 



 
***

 
Ho deciso di farmi del male da sola e di complicare la storia, giusto per vivacizzarla un po', ora devo trovare un modo per tirare fuori Zefiro dai guai! Non so quanto possa essere credibile la calma di Izar e del suo compare, ma li ho immaginati come gatti che giocano con il topo, che si divertono a torturarlo prima di annientarlo...Spero di aver reso l'idea.

Finalmente sono riuscita a fare anche la mappa del regno; perdonate la mia scarsa se non nulla abilità artistica che mi fa disegnare gli alberi come se fossero batuffoli di cotone verde. Questa cartina è indicativa e mooolto stilizzata.
Il regno di Heaven è diviso in quattro regioni, corrispondenti alle quattro piane:
-Myr, con capitale Solwin
-Mèreval , con capitale Briseida
-Derbran con capitale Neherin
-Telèvia con capitale Rahanindir (la Città d’oro), capitale anche del regno.
Il regno è attraversato in sostanza da due fiumi: il fiume Hara che costeggia il regno a est e lo attraversa a sud; il fiume Asgra dato dalla congiunzione del fiume Dehera e del fiume Irah presso Neherin. L’unico lago degno di importanza è il lago Ocred nel centro della foresta dei Faggi dorati.
La barriera difende il regno a nord , a ovest si ha il mare mentre a sud e a est il deserto (non presenti nella cartina). Infine Tersa è l’antica capitale del regno, oggi ne sono rimaste solo poche rovine.
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