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Autore: Shetani Bonaparte    12/08/2014    3 recensioni
Avete mai sognato di essere sulla USS Enterprise NCC-1701? Di incontrare Kirk e compagni?
Shetani sì.
Ma il suo, forse, non è solo un sogno...
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock, Un po' tutti | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci all’epilogo.
Non posso fare altro che ringraziarvi, anche se ormai farlo è banale.
Quindi boh.
Ho pianto, scrivendo l’ultimo capitolo.
Lo so che è strano – come tutta questa faccenda – ma forse ho imparato qualcosa anche io assieme al personaggio di Shetani. Anche se non so veramente cosa.
Non so che morale possa mai esserci in questa storia. Trovatela voi, okay? E scrivetemela.
Chissà che non mi aiuti! ^_^
Beh, un bacione,
Shetani
 
 
 
Epilogo
 
Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.
[William Shakespeare]
 
Shetani riprese riconoscenza lentamente, avvolta in una nuvola di leggerezza.
Tenendo gli occhi azzurri chiusi, stiracchiò il corpo intorpidito, facendo scricchiolare le articolazioni.
Un lieve e regolare ‘bip’ rompeva il silenzio della stanza e lei pensò che forse il teletrasporto le avesse causato un altro incidente – Lenny, dopotutto, faceva bene a non fidarsi cecamente.
Si tirò su col busto ed ebbe un capogiro.
Aprì gli occhi e ci mise un po’ ad abituarsi alla luce bianca del neon che la illuminava. Guardò fuori dalla parete-finestra e vide il buio e le stelle.
Non se ne sorprese, nello Spazio era sempre buio.
Si chiese in quale Base Stellare fosse perché no, quella non era l’Infermeria dell’Enterprise; un’infermiera la vide e chiamò un dottore.
Shetani sorrise: finalmente avrebbe rivisto Lenny e gli altri e sarebbe rimasta con loro per sempre, dato che Scotty aveva fallito – e se Scotty fallisce, pensò, allora è impossibile riuscirci.
Con la mente ancora annebbiata, ascoltò dei passi avvicinarsi.
“Ahia!” si lamentò quando un ago le perforò la pelle. Da quando Bones usava delle siringhe?
“Dov’è il mio medico curante?” chiese, con una nota isterica nella voce, ad un giovane medico di origini afroamericane.
“Sono io il suo medico cu…”
“No! Io voglio il dottor McCoy!”
“Il dottor McCoy?”
“Sì, dannazione! Il dottor Leonard Horatio McCoy!”
“Quello di Star Trek?” chiese l’uomo aggrottando le sopracciglia. Poi la sua espressione si rilassò e le sorrise. “Calmati, sei ancora molto confusa!”
“Confusa un corno… Lenny non mi lascerebbe mai in mani estranee e… e…”. Stavolta ad aggrottare le sopracciglia fu lei. “Che diamine è successo?”
“Hai avuto un incidente d’auto. Tu e la tua famiglia stavate andando al mare quando un ubriaco vi ha presi in pieno. Ha colpito esattamente il punto in cui sedevi tu”
Lei annuì, silente.
“Stanno tutti bene, ora. Avevano solo qualche livido e qualche lieve contusione. Tu invece sei viva per miracolo. Avevi le costole spezzate e una ti aveva perforato il polmone sinistro. Era quasi arrivata al cuore. Avevi un trauma cranico e sei stata in coma per un mese. Hai sognato per tutto il tempo, probabilmente è quello che ti ha impedito di mollare” continuò il medico. Poi tentò di sdrammatizzare, accennando alla maglietta che la paziente indossava quando era arrivata all’ospedale: “Sei guarita in fretta. Non è che hai il potere rigenerante di Wolverine, eh?”
Lei non reagì minimamente al tentativo del medico, che fu chiamato da un’infermiera.
“Ora devo andare” disse. “Ho fatto chiamare i tuoi genitori anche se è quasi l’alba, è un loro ordine. Fra poco saranno qui. Hanno delle cose da darti”
Tentò di carezzarle i corti capelli ma lei si scostò.
Rimasta sola, Shetani si diede della stupida.
Era stato tutto solo un sogno, eh?
Solo un bellissimo, dannatissimo, fottutissimo sogno!
Aveva davvero creduto a quella fandonia dell’Universo Parallelo? Di aver conosciuto i propri idoli? Di averli potuti considerare degli amici? Una famiglia?
Che idiota! L’idiota del secolo, dannazione!
‘La realtà, prima o poi, va affrontata’ le aveva detto Spock nel sogno.
Sì. Era vero. Però doveva per forza far così male?
Non poteva continuare a sognare? Sì, avrebbe potuto.
Ma la vita aveva deciso di mettersi in mezzo, aveva deciso di riprendere a scorrere sul più bello. L’aveva lasciata libera di sperimentare la felicità e poi l’aveva attaccata, come fa il gatto col topo.
Sorrise amaramente.
‘Saremo amici per sempre’ le aveva detto Jim qualche giorno prima. Glielo aveva promesso. Però poi lei aveva sbattuto le palpebre e il mondo era caduto a pezzi.
Già.
Quello era diventato il suo mondo, l’Enterprise la sua casa. Ma non si può vivere nei sogni.
Quindi ora lei avrebbe dovuto staccarsi da una routine che non era mai esistita, avrebbe dovuto togliersi l’abitudine di abbracci e chiacchiere e confidenze mai avuti, avrebbe dovuto ricominciare a sentirsi sola quando in realtà non aveva mai smesso.
Era dura da accettare, ma ci sarebbe riuscita. O avrebbe continuato a mentire, come Loki, e a fingere di star bene.
Passarono alcuni strani minuti in cui cercò di convincersi che andava tutto bene, ma con scarsi risultati.
Perché doveva ritornare lì?
Le sarebbe di certo mancato vivere come una famiglia. Ma forse… forse era colpa sua?
Forse sarebbe bastato incrementare le confidenze… parlare, smetterla di essere così distante, sempre, continuamente.
Forse avrebbe finzionato.
Forse…
O forse era stupida a pensare di imparare da un sogno…
Senza accorgersene si ritrovò asfissiata dall’abbraccio della madre che la stringeva, piangeva, che chiamava ossessivamente il suo nome, che sorrideva con un sorriso proprio di una madre spezzata. Una madre spezzata che però era rinata dalle proprie ceneri, a guisa di un’Araba Fenice.
“Mamma, sto bene, smettila” si lamentò Shetani infastidita.
“La solita vulcaniana!” commentò la sua sorellina Shainy entrando di corsa nella stanza e saltandole addosso di peso.
“Illogico” disse la diciassettenne facendo il verso al signor Spock. Ritornando ad usare l’umorismo per nascondere il dolore – il dolore di una Mancanza che le gravava in petto, la mancanza di una famiglia che non aveva mai avuto…
Sua madre la cullò, facendola poggiare al proprio petto, e mentre Shetani piangeva la donna tentava di consolare quelle lacrime dalle origini ignote.
Al terzetto si unì anche il padre della ragazza, che la abbracciò, semplicemente.
“Signori, dovreste lasciarla riposare. Tornate domani pomeriggio” disse il dottore, interrompendo quell’attimo che per lui valeva più di ogni salario.
“Tesoro” disse sua madre alzandosi e poco prima di inforcare la porta, “tieni”
Le diede il suo album da disegno, l’astuccio e il fumetto di Deadpool.
Shetani piegò le labbra in un sorriso vedendo dei disegni che ricordava di aver fatto in sogno – come quello del ‘lumacone’ – e sorrise ancora di più quando sua madre gli porse un pacco dall’incarto color ocra che, a detta sua, gli Infermieri avevano trovato sul suo letto poco prima che si svegliasse.
Lo aprì con lentezza, quel pacco, tentando di non illudersi che fosse il loro regalo, tentando di non sperarci nemmeno.
Trovò una scatola quadrata, larga e fina con sopra un biglietto.
‘Alla nostra amica dalle doti di un vero Capitano’, v’era scritto nell’aggraziata calligrafia che assurdamente riconobbe come quella di un certo Primo Ufficiale.
Aprì la scatola, sollevando il coperchio con le mani tremanti d’emozione e pensando che, sì, si sarebbe accontentata di sognarli, d’ora in avanti.
“Cos’è, tesoro?” chiese sua madre.
“Un vestito” rispose lei. “Posso provarlo?”
Il medico annuì e poi uscì con la famiglia, lasciandole la giusta privacy.
Qualche attimo dopo, illuminata dalle prime luci dell’alba, Shetani uscì dalla stanza nella quale si era svegliata. Si sistemò gli stivaletti e i pantaloni neri, carezzò il logo della Flotta sul petto, sfiorò i gradi di Capitano cuciti nelle maniche della casacca gialla.
“Pazzesco…” la denigrò suo padre, pronto a malgiudicare ciò che non capiva.
Lei lo ignorò, troppo felice per badar alle parole di un uomo così poco apprensivo – perché lei, strano ma vero, aveva trovato un padre, in quello che non era un semplice sogno, un padre di nome Leonard.
“Chi te l’ha portato?” chiese curiosa sua madre.
“Degli amici, quasi una famiglia” rispose lei, eliminando tra se e se quel ‘forse’, guardando il cielo, con lo sguardo che arrivava là, dove nessun uomo era mai giunto prima…
 
FINE
  
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