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Autore: ChiaraLilianWinter    12/08/2014    3 recensioni
I cambiamenti appartengono alla vita. Sono quelle cose che, in realtà, continuano effettivamente a farci vivere: senza cambiamenti, la vita sarebbe sempre uguale, i giorni passerebbero uno dopo l'altro sempre nello stesso modo. I cambiamenti rendono la nostra vita speciale. Però... Quella volta, non ci sarebbero dovuti essere cambiamenti. Tutto sarebbe dovuto continuare come sempre. Il 'cambiamento' che loro tanto desideravano, non sarebbe mai dovuto esistere. Lei, io... Non saremmo mai dovute esistere.
[Pandora Hearts, duecento anni dopo.][I personaggi sono gli stessi di sempre, ma ho deciso di mettere AU e OOC per sicurezza.][VinceAda, ElLeo, e qualche crackparing - ma non troppo crack]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Ada Vessalius, Elliot Nightray, Nuovo personaggio, Rufus Barma, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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'La testa mi fa male. Cosa mi sta succedendo? Cos'è tutta questa luce? Via, via! Sono stato immerso in questo freddo buio per talmente tanto tempo che la luce adesso brucia. Perchè, cos'è tutto questo calore? Perchè il mio corpo, prima così leggero, senza consistenza come quello di un fantasma, adesso è così pesante? Forse... Sto ritornando a vivere?'
- Elliot!
'Ah, questa voce. La ricordo così bene.'
- Elliot, Elliot...!
'Non piangere, non urlare. Sono qui adesso,
Leo'..
- ....Sono di nuovo qui.
Quando apro gli occhi, la prima cosa che vedo è il soffitto, il soffitto scuro di una stanza un po' vecchia e forse anche piccola, ma estremamente accogliente: la camera mia e di Leo, a Latowidge. Rimango fermo per qualche minuto, chiedendomi cos'è successo di preciso. Fino a qualche tempo fa ero immerso nel buio, dormivo così bene, ma adesso sono qua. Qualcuno mi ha svegliato. Sono vivo? Sì, sento chiaramente il cuore che mi batte nel petto. Non pensavo fosse così pesante, il cuore, ma è un peso piacevole da sopportare, dopotutto.
C'è anche un altro peso sulla mia mano; le mie dita sono intrecciate a quelle di qualcun altro. Mi sforzo ad alzare il busto e a mettermi seduto. Accanto a me, profondamente addormentato, c'è Leo. Ha il volto seppellito tra le lenzuola, la sua schiena si alza e si abbassa ad un ritmo lento, cadenzato. Voglio svegliarlo, adesso; fargli vedere che sono qui.
Leo, Leo, quanto mi sei mancato? Più di tutto, più di qualunque altra cosa, più del peso del mio cuore.
Allungo una mano verso di lui, prima sfiorandogli e poi accarezzandogli i capelli sempre spettinati, ma ora più corti. Quindi, alla fine, li ha tagliati?
Appena le mie dita vengono a contatto con quei ciuffi morbidi Leo si sveglia, alzando il viso di scatto. E io sento come un pugno allo stomaco. È Leo, il ragazzo che ho davanti, ma allo stesso tempo non sembra lui. I capelli gli lasciano scoperto il viso, non nascondono più gli occhi viola, che mi guardano con sorpresa e paura. Mi sono sempre piaciuti, i suoi occhi. Quegli stessi meravigliosi specchi che adesso si stanno riempendo di lacrime, sbarrati e tremanti.
- E-Elliot...
- Leo?
È forse il mio tono di voce, che tradisce una punta di insicurezza, a immobilizzarlo. Vedo che ha paura; paura che non lo riconosca, paura che dica che lui non è Leo. Che scemo: io, lui, lo riconoscerei subito, in qualsiasi situazione.
Allungo una mano verso quel corpicino fragile, gli accarezzo la guancia e lo sento tremare ancora di più. Lascio che i polpastrelli vaghino dai suoi zigomi ai suoi occhi, dalle sue guancie alle labbra rosee e morbide. E sento che il tremore che lo percorre muta: prima, di paura, adesso, il fremito è quel tipo di tremore che si ha quando ci si sta trattenendo. E lo
percepisco, che lui si sta trattenendo moltissimo, lo so perchè anche io sto facendo la stessa cosa.
- Leo - Sussurro. - Sono tornato. Sono qui.
Allora, non si trattiene più. Si lancia su di me e mi stringe tanto forte da farmi male, ma il dolore è l'ultimo dei miei pensieri, mentre allungo le braccia per cingerlo e attirarlo a me. Lo faccio salire sul letto e lui mi spinge giù senza mollare la presa, anzi, aumentando la stretta; siamo due corpi che vogliono soltanto fondersi l'uno con l'altro. La sua bocca è vicino al mio orecchio, lo solletica ogni volta che dice la stessa, identica parola: il mio nome. Soltanto il mio nome.


- Vi prego, non litigate! Perfavore!
Era inutile parlare. Non sapeva nemmeno perchè tentava ancora. Non sarebbe mai riuscita a fermarli; ci aveva sempre provato, fin da quando era una bambina, ed era sempre stato vano.
È una cosa stupida.
Eccola, di nuovo lei. Quella voce che qualche volta riempiva la sua mente e che sembrava provenire da tutte le parti. La detestava, o almeno questa era la sua prima impressione. In realtà non le dispiaceva più di tanto: in questo modo, non era completamente sola. Aveva qualcuno, anche se la voce non era propriamente una persona.
Lo so, lo so! Non devi ripetermelo sempre!
Ma tu continui...
Se continuo o meno non sono affari tuoi! È la mia famiglia, no?
Chiamarla famiglia mi pare esagerato...
Zitta!
Si ostinava a pensare che quelle parole fossero solo bugie crudeli, dettate da un'altra sè stessa; l'altra sè stessa che odiava quel posto e la propria debolezza. Eppure lo sapeva, anche fin troppo bene: era solo la verità. La più semplice ed evidente verità: l'uomo e la donna che litigavano violentemente in cucina e la ragazza che stava sulla porta, tremante e indecisa su cosa fare, non potevano essere definiti una 'famiglia'.
E ancora, lei non voleva rendersene conto. Non voleva comprendere che il mondo di dieci anni prima era scomparso per sempre; lentamente ma inevitabilmente, era caduto a pezzi, a causa di quella cosa.
Ed era tutta colpa sua.
Tutta colpa di....
Non devi! Cosa ha fatto in fondo?!
Ti ho detto di stare zitta!
Sì, era tutta colpa sua. Tutta colpa di sua sorella maggiore. Quella dannata sorella che non aveva mai capito, che non si era mai presa le proprie responsabilità. La sorella maggiore che era fuggita. La odiava, la odiava, la odiava con tutta se' stessa.

Erano ormai quasi duecento anni che, ogni mattina, vedeva l'alba sorgere. Non importava su quale città, su quale mare, su quale montagna: avevano cambiato così tante volte località che ormai non ci faceva più caso. La nascita del sole lo affascinava sempre e comunque. Gli piaceva e basta, per quanto strano potesse sembrare. Quelle poche volte in cui riusciva a dormire - dormire era sempre una parola troppo grande, perchè il suo sonno era troppo agitato per portargli realmente riposo - si svegliava prestissimo e saliva sul tetto, sedendosi sul bordo con le gambe a ciondoloni, aspettando che la luce del sole facesse capolino dall'orizzonte. Una mattina Lottie lo aveva scoperto, steso sul tetto alle cinque del mattino, e gli aveva dato del pazzo. Non era pazzo, no: lui non si sarebbe mai potuto arrendere alla pazzia. Semplicemente, soffriva. Il dolore, pur attuenandosi nel corso di tutti quegli anni, non era mai, mai sparito. Come avrebbe potuto? Aveva amato una sola donna in tutta la sua vita - davvero troppo lunga - e questa gli era morta tra le braccia, senza mai ricambiare i suoi sentimenti. Come poteva essere felice?
Sospirò, osservando il modo in cui i lunghi capelli rossi gli scivolavano sulle spalle, mossi dal vento leggero.
Mi manchi così tanto, Sheryl...
La suoneria del cellulare, alta e fastidiosa, lo costrinse ad abbandonare i pensieri sulla donna. Sbuffando afferò il maledetto oggetto, rispondendo alla chiamata.
- Cosa vuoi, Lily?
- L'ho trovata.
Bastavano quelle poche parole. Rufus Barma si rimise il telefono in tasca, scese dal tetto con un agile salto e iniziò a correre.

- Ohi!
C'era una cosa, più di tutte le altre, su cui Leo e Elliot andavano d'accordo: essere svegliati da Lily era una delle esperienze più traumatiche che si potessero avere in tutta la vita. Ma non era tanto quello il problema, quanto invece il fatto che la giovane non esitasse quasi tutte le sante mattine ad entrare di soppiatto nel loro appartamento e svegliarli in cento modi differenti: non era mai lo stesso e ognuno era più sadico del precedente. Quando Leo aveva aperto gli occhi - quel giorno era toccata solo a lui la sventura, perchè Elliot si era svegliato prima per andare al lavoro e lui aveva un giorno di pausa - si era ritrovato Lily seduta a cavalcioni su di lui, in una mano un mestolo e nell'altra il coperchio di una pentola: stavolta l'idea era abbastanza banale, ma ugualmente fastidiosa. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, allora della ragazza sarebbe rimasto solo un inerme mucchietto di polvere.
- Lily.
- Leo! Sei sveglio?
- No. Vattene.
Leo si tirò la coperta fino a coprirsi il volto, cercando di rievocare le immagini del sogno che si era impossessato della sua mente fino a pochi attimi prima. Quando Elliot si era risvegliato dalla morte, Leo non si era mai sentito così felice. Lui era lì, era tornato, e non avrebbe mai e poi mai permesso che potesse andarsene via di nuovo. Era stato anche molto spaventato, ma aveva semplicemente accettato quella paura: sapeva di non meritare il perdono del proprio padrone, dopotutto, e se egli gli avrebbe imposto di stargli lontano, lo avrebbe fatto senza fiatare. Ma Elliot era buono, e lo aveva perdonato subito, quello stesso giorno, quando ancora si stringevano tra le lenzuola. Si ritrovò ad arrossire senza un apparente motivo. Che diamine era, un quindicenne, che arrossiva a pensare a lui e Elliot su un letto?!
- Leeeeeooo~ Andiamo, non dormire! S-v-e-g-l-i-a-t-i!
- Lily, crepa.
La ragazza ricominciò a suonare con quel dannato coperchio, e Leo capì che non c'era verso di cacciarla, nè di dormire con un fracasso simile. Perciò si limitò a sospirare sonoramente e ad alzarsi di scatto, facendo cadere quella rompiscatole patentata a terra. Lily fece un piccolo gridolino quando battè la testa.
- Ehi!
- Zittisciti. Sto meditando di ucciderti. Dovresti essermi grata, per essertela cavata con un bernoccolo.
Lily borbottò qualcosa, osservando Leo che lentamente si alzava dal letto e si rifugiava in bagno. Quando la ragazza provò a seguirlo là dentro, lui la cacciò in malo modo: Lily si ritrovò un secondo bernoccolo nel giro di pochi minuti.
- Allora, hai visto Elliot?
La voce di Leo le giunse ovattata dall'altro lato della porta.
- Sì, questa mattina sono andata a trovarlo al bar. Lui non mi ha visto però. Sai... È successa una cosa davvero interessante.
- Interessante?
Lily fece un breve sospiro, prima di rivelare la grande notizia.
- Ho trovato la prima anima.
Per un paio di secondi si sentì solo silenzio, poi la porta si spalancò e dal bagno uscì Leo, in pantaloncini e a petto nudo.
- Scuuuuuusa?!!!!
- Un po' di decoro, Leo! Sono pur sempre una ragazza!
Leo ignorò quell'affermazione.
- Ripeti quello che hai appena detto!!
- Ho detto che dovresti almeno porti il problema che io sono una ragazza e...
- Lily.
La ragazza capì che doveva essere seria, in quel momento.
- Ho incontrato il contenitore dell'anima di Jack, Leo.
Prima di continuare, aspettò qualche attimo, per riordinare i pensieri.
- È una ragazza di circa vent'anni. Si chiama Julia, Julia Blackburn.



Welcome in Nevereverland
Woaaaah ho aggiornato! Eeh sì.
Ah in realtà questo capitolo era già pronto da un pezzo, solo che volevo prima portarmi un po' avanti con la storia così avevo già i capitoli pronti e potevo prendermela comoda.. Ho fallito, sono solo un capitolo avanti. Ahahah.. Beh spero vi piaccia! Grazie a Artemisia e Amore(*^*) e a Thunder of Abyss per le vostre recensioni! ^^
  
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