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Autore: Phantom13    14/08/2014    5 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Phantom è tornata! Nuovo capitolo, tutto per voi. 
Avrei due cose da dire, rapidamente, prima di lasciarvi alla lettura.
Primo: non posso che ringraziarvi dal profondo del cuore del sostegno che mi avete dato fino a questo capitolo. Le vostre recensioni, i vostri commenti, sono stata l'unica cosa che mi ha permesso di arrivare così lontano, fino al capitolo 12, forse definibile come metà (non ho idea di quanti capitoli impiegherò per far accadere le scene che ho in mente, ma questo capitolo potrebbe essere considerato la metà della fic). Grazie davvero, a tutti. Arrivati a questo punto, vi garantisco che arriverò fino in fondo, non importa quante decine di ore dovrò passare davanti al pc. State sicuri, avrete il vostro finale. Io, già di mio, non sono solita abbandonare fic a metà, sia per rispetto dei lettori, sia per rispetto della storia stessa. Di nuovo, grazie infinite del vostro sostegno!
Secondo: in questo capitolo ci saranno delle scene particolarmente violente, in questo e nel prossimo (e voi sapete di cosa sto parlando :3). Sono scene a metà tra il rating arancione e quello rosso, per essere sicuri. Non credo che ciò sia un problema per voi, che siete arrivati fino a questo capitolo, ma lo dico lo stesso. 
E con questo ho concluso!
vi lascio alla lettura, come sempre io ce l'ho messa tutta!
Enjoy!
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Capitolo 12
- Rimonta-


 
 
A parte il fatto che aveva un mal di testa atroce e che si sentiva le membra foderate di piombo, poteva affermare di sentirsi sommato tutto bene.
Rouge provò lentamente a tirarsi su a sedere. Si accorse così, per la prima volta, che qualcosa non andava. Nessun muscolo rispose al suo appello. Tanto che Shadow nemmeno si accorse che lei aveva provato a tirarsi su.
L’unico risultato fu che il ventre le dolette atrocemente. In un punto specifico. E, crollasse il mondo, non riusciva a ricordare perché. La sua memoria le fornì soltanto immagini frammentate di una tempesta furiosa tra le montagne, lampi e tuoni, robot come nemici e poi dolore.
Guardò Shadow. Nei suoi occhi di rubino lesse sì sollievo, ma anche un’ombra di … preoccupazione repressa, magari?
–Cos’è successo?- domandò Rouge con un filo di voce, intenta a voler scoprire gli eventi che l’avevano ridotta in quello stato. La prima cosa che imparò fu di aveva la gola secchissima.
-Ti hanno sparata.- fu la schietta risposta del riccio, niente mezzi termini. –Hai perso molto sangue.-
Ecco spiegato il mal di testa e il dolore al ventre, era lì che era stata colpita. I frammentati ricordi cominciarono a fondersi insieme, fino ad ottenere un quadro completo. Ma il momento in cui era stata sparata proprio pareva essere assente.
-Quanto ho dormito?- si azzardò a chiedere, pur temendo la risposta.
-Quasi quattro giorni.-
Quattro?! Rouge chiuse un attimo gli occhi, cercando di metabolizzare l’informazione. Diamine, imprecò mentalmente.
Cercò di nuovo gli occhi scarlatti del riccio nero. Lui … non era possibile che le fosse rimasto accanto per quattro giorni di fila, vero? Shadow ricambiò l’occhiata, e, di nuovo, Rouge scorse quell’ombra nel suo sguardo, senza ancora riuscire a catalogarla.
La pipistrella cercò di deglutire, per porre rimedio a quel tremendo bruciore che le disseccava la gola, ma non ci riuscì. –Non … non ci sarebbe un po’ d’acqua?- domandò.
Shadow si alzò lentamente. –Vado a prenderla.-
Si teletrasportò via.
Rouge rimase sola, la fronte lievemente aggrottata. D’accordo che era Shadow ma … era davvero possibile che avesse spicciato soltanto quelle poche, sintetiche parole, per di più tirate fuori a forza di domande? Certo, non si sarebbe aspettata baci e abbracci, ma, insomma, giusto un minimo di bentornato.
E poi, il modo in cui lui aveva continuato a fissarla per tutto il tempo … come se non si aspettasse di vederla attiva di nuovo. O come se si aspettasse … che accadesse qualcos’altro. Forse, lui s’era spaventato per lei più di quanto avesse immaginato all’inizio … oppure … era qualcos’altro.
Decise di provare nuovamente a muovere le braccia. Nulla di nulla.
Concentrò gli sforzi su un unico dito, partendo così per gradi. Il panico già minacciava di sommergerla, quando ecco che il dito indice della mano destra si mosse leggermente verso l’alto. Provò con un altro dito. Il pollice rispose pigramente all’appello, dopo una buona dose di fatiche.
La confusione della pipistrella aumentò di grado, mentre concentrava gli sforzi sul dito medio. Era già stata ferita gravemente, in passato, ma non le era mai accaduta una cosa del genere!
Pareva che dovesse riconquistare il proprio corpo pezzo dopo pezzo. Come se le sue stesse membra non la riconoscessero più, come se si fossero dimenticate di lei. O come se qualcos’altro fosse subentrato al suo posto, nel frattempo.
Il dito anulare si mosse piano, inarcandosi, irrigidito. Per il mignolo, Rouge dovette impegnarsi parecchio. Le pareva quasi di stare sollevando un intero bilanciere da palestra, altro che un misero dito, che per altro era sempre stato ubbidientemente attaccato là! Ottenuta infine la mobilità di tutte e cinque le dita, provò a muoverle insieme. Le costò un dispendo d’energia enorme, ma riuscì a distendere e stringere le dita a pugno.
Che sensazione strana, pensò ripetendo il movimento un’altra volta, pareva quasi che qualcuno le avesse iniettato nelle vene del piombo, da tanto che si sentiva la mano pesante e irrigidita. Forse, si disse, era l’effetto della dormita da quattro giorni che s’era fatta.
Si decise a provare ad alzare il braccio prima che Shadow tornasse. Doveva pur riuscire ad afferrare il bicchiere d’acqua che il riccio le avrebbe portato, no? L’alternativa sarebbe stata semplicemente troppo imbarazzante.
Far piegare il gomito fu un’impresa titanica. Far contrarre i muscoli dell’avambraccio lo fu dieci volte di più. E solo per riuscire ad alzare il braccio di un qualche centimetro dal bordo del letto. Ogni movimento pareva compiuto al rallentatore, e con un che di pesante, rigido ed … avverso, che pareva intralciare ogni tipo di movenze.
Il braccio le ricadde inerte sul bordo del letto. Provò ancora, ostinata, e finalmente le cose parvero andare meglio. Riuscì a raggiungere in breve tempo la posizione che aveva ottenuto prima con grande fatica. Aumentare ancora l’altezza del braccio fu ancora come lottare contro fili invisibili.
Rouge si ritrovò ben presto con i denti serrati dallo sforzo, e la fronte imperlata di sudore. Poi, accadde. Quella specie di qualcosa che pareva impedirle di riprendere possesso del proprio braccio si spezzò di colpo, lasciandole interamente libero il braccio.
Rouge reclinò indietro la testa, ansante, sollevando verso il soffitto il proprio arto, faticosamente riconquistato. Chiuse un attimo gli occhi. Fece giusto in tempo a tremare all’idea di doversi riprendere a quel modo tutto il suo intero corpo, che Shadow ricomparve con l’acqua.
Gliela porse. Lei allungò la mano e bevve con gusto, lasciandosi sfuggire alla fine un beato gemito di sollievo.
-Come ti senti?- le chiese Shadow. Dal modo in cui distolse lo sguardo subito dopo aver parlato, Rouge intuì che quella era la domanda che il riccio voleva davvero porre. L’unica, per altro.
Rouge dovette decidere in fretta se dirgli tutto oppure limitargli le preoccupazioni. L’espressione tirata del riccio lasciava presagire che nemmeno lui aveva passato quattro giorni rilassanti.
Il solo fatto che lei avesse esitato per un qualche secondo, fece rabbuiare il riccio in un modo spaventoso. La luce rossastra negli occhi di Shadow parve quasi divenire nera.
-Sto bene.- si affrettò a dire Rouge, mascherando il proprio sconcerto alla reazione del compagno, fingendo di non aver notato nulla. –Solo un po’ di mal di testa.-
Se sperava così di distrarre l’attenzione di Shadow, o di fargli magari abbassare un po’ la guardia, si sbagliò. Gli occhi del riccio non si schiodarono d’un millimetro dalle pupille di lei. –Sicura?- chiese di nuovo.
Rouge non potè impedire alla propria agitazione di aumentare esponenzialmente di volume. Shadow preoccupato? Che accidenti stava succedendo? Anzi, cos’era successo di preciso mentre lei era incosciente?
-Sì, sicura. Mi sento un po’ intontita, tutto qua. Credo sia normale, dopo essermi beccata una pallottola, no?-
Shadow rimase in silenzio, sempre fissando Rouge.
Fu la pipistrella a distogliere lo sguardo da lui, profondamente a disagio. C’era ormai abituata agli strani modi di fare del riccio, ma solo fino ad un certo punto.
Forse per la prima volta da quando aveva riaperto gli occhi, Rouge osservò con più attenzione l’ambiente in cui si trovava. Avrebbe potuto sembrare la loro base, per via di tutto quel metallo, ma la stanza era più piccola, c’era una specie finestra chiusa da tende e tapparelle (che, ad essere sinceri, assomigliava più ad un oblò che ad una finestra, se non fosse stato per la forma rettangolare e non rotonda) e, per di più, erano anche assenti i suoi oggetti personali. Faceva anche un freddo polare. Dunque, dovette dedurre che non erano a casa, nella piccola base abbandonata sotto al bosco.
-Dove siamo?- domandò con un filo di voce.
Lo stomaco della pipstrella s’intromise nella discussione con un possente ululato di protesta. Mentre le guance di Rouge si colorarono, Shadow sospirò. –Vado a prenderti qualcosa da mangiare?- propose.
E Rouge si ritrovò con un dubbio indistricabile: Shadow stava di proposito cambiando argomento, o era sinceramente interessato al benessere di Rouge? Vista la situazione, entrambe le ipotesi erano più che plausibili.
Rouge non potè far altro che annuire. Recuperare le forze era una priorità inaffondabile.
Shadow si mosse. Ma non verso la porta. Bensì verso la finestra. Levò rapidamente tende e tapparelle, un cielo stellato di incredibile nitidezza fece capolino dall’esterno. Rouge si accorse di aver lievemente trattenuto il fiato. Sia per la bellezza del cielo, mai aveva visto così tante stelle tutte insieme, sia perché, chissà per quale ragione, non s’era aspettata che fosse notte.
Shadow, mentre lei contemplava il cielo, aveva attraversato di nuovo la stanza, raggiungendo la porta. –Per tua informazione.- disse. –Sono le tre del pomeriggio.-
E si teletrasportò via, lasciando Rouge con un palmo di naso. Cosa?
Le tre del pomeriggio? Ma fuori c’erano le stelle!
In che razza di posto era?
Mentre la sorpresa inziale cominciava a sfumare via, i neuroni di Rouge ripresero a lavorare. Che quella frase, apparentemente detta a caso dal riccio, fosse invece una risposta alla precedente domanda di Rouge?
Lui dunque non aveva cambiato argomento? Le aveva risposto, in una stramba via traversa. Ma perché allora lasciarla con una risposta che non era una risposta? Perché non dire direttamente il nome del …
E Rouge capì.
Esisteva un solo luogo in cui le stele brillavano costantemente notte e giorno, e in cui Shadow si sarebbe rifugiato all’istante in caso di estremo pericolo.
Rouge si ritrovò a sorridere, i suoi occhi tornarono al cielo. Quello là fuori dalla finestra non era di sicuro lo stesso cielo che si vedeva dalla Terra.
-L’ARK.- sussurrò piano.
Shadow l’aveva vista ferita assai gravemente. Con nemici spietati ovunque,  che li avrebbero inseguiti e braccati, esisteva un posto ben oltre la loro portata, che garantiva sicurezza e solitudine, per poter dare ad un ferito tutto il tempo necessario per guarire.
Shadow, in un momento di pericolo estremo, l’aveva portata a casa sua, sull’ARK.
Il sorriso di Rouge si allargò, una calda sensazione in petto.
Le stelle continuavano a scintillare, come mille gemme preziose. A guardare quello splendore, si rilassò interamente.
Ma la sua mente analitica riprese a porre indesiderate domande. In un lampo, tutta quella temporanea e dolcissima tranquillità svanì. Rouge si ritrovò a maledire sé stessa e la sua mania di scavare sempre fino in fondo.
Shadow che tornava sull’ARK? Doveva essere successo qualcosa di dannatamente tremendo per farlo pensare ad un rimedio tanto drastico. L’ARK era come l’ultima difesa, la fortezza perfetta, irraggiungibile. Tenendo presente ciò che quel luogo rappresentava per lui, e tenendo presente la sofferenza che quella base spaziale racchiudeva, doveva essere successa una tragedia vera e propria per spingere Shadow a tornarci così e a ritornare nel teatro del suo passato, nonostante il prezzo di memorie e dolore che c’era da pagare per entrare là.
Doveva aver pensato che i loro nemici erano tanto forti da potersi spingere fino nella loro piccola base sotto al bosco? Che la loro casa provvisoria là non fosse più sicura? Che le abilità degli oppositori fossero cresciute a tal punto, tanto da poterlo braccare ed inseguire fino nella loro base, impedendogli di guadagnare abbastanza tempo per permettere a lei di riprendersi dalle ferite? Che l’unico luogo davvero sicuro per rifugiarsi con Rouge fosse lo spazio?
Oppure … No. Rouge scosse la testa. Quell’ipotesi … era troppo sentimentale per poter essere quella veritiera. Oppure lui s’era spaventato a tal punto da agire solo d’istinto, teletrasportando sé stesso e Rouge nel luogo per antonomasia che per lui significava sicurezza?
Non esisteva però nulla di abbastanza potente da costringere Shadow a reagire in quel modo. O per lo meno ad impedirgli di pensare e farlo agire così brutalmente d’istinto. Oppure un orrore così tagliente da sconfiggere la rossa cortina di dolore dei ricordi tormentati dell’ARK e di Maria.
In ogni caso, Rouge aveva la certezza che il riccio nero non le avesse raccontato tutta la storia. O che avesse tralasciato una buona dose di verità.
Rouge aveva ora la fronte corrugata, immersa nei propri pensieri, gli occhi che navigavano smarriti tra le stelle, muoveva piano le dita della mano sinistra, riattivandone faticosamente i movimenti. Quando braccio e mano furono d nuovo abili, si rilassò.
Senza pensarci, si posò una mano sul ventre, nella posizione che lei spesso prendeva quando era stesa a letto. Una fitta di dolore le ricordò che era ferita proprio là.
Sospirando tolse il braccio. Di nuovo, per istino o forse per altro, la sua mente le pose di nuovo una fatidica domanda. E la curiosità di vedere la propria ferita la invase interamente.
Lentamente, con fatica, scostò via la coperta che l’avvolgeva.
Notò con un misto di divertimento, sollievo e delusione che indossava ancora gli stessi vestiti del giorno in cui era stata ferita.
Divertimento, per il fatto che Shadow non aveva osato svestirla e rivestirla.
Sollevata, per il fatto che il suo compagno di squadra aveva mantenuto le adeguate distanze e precauzioni, senza prendersi alcun tipo di libertà.
Delusione, perché l’idea di avere addosso gli stessi vestiti di quattro giorni prima la disgustava abbastanza.
Non v’era traccia di sangue sul tessuto, attorno allo strappo. Dunque Shadow doveva averlo tolto in un qualche modo.
Sotto alla stoffa della maglia, si intravvedevano le bende. Rouge sollevò piano il bordo inferiore della maglietta, scoprendo la fasciatura che le avvolgeva il ventre.
Non era un lavoro particolarmente accurato. Pareva anzi essere stato fatto con una certa fretta. Cosa per altro normale. Già che comunque la bendatura era da rifare, pensò che non fosse grave se l’avesse levata lei.
Vedere le proprie ferite non era mai bello. Anzi, era forse una delle cose più disarmanti che Rouge conoscesse. Nonostante ciò, era necessario farlo. Deformazione professionale, istinto o soltanto spirito di conservazione, le imponeva sempre di verificare in che stato fosse il suo corpo.
Con una mano sola cominciò a slegare le bende. Non si accorse del riccio che le era apparso di fianco. Continuò il suo lavoro fino a quando non vide la bruna pelle del suo ventre.
E quando identificò il punto in cui il proiettile era entrato, un’ondata di sconcerto la immerse interamente.
Per il fatto che era quasi interamente guarito e rimarginato, rimaneva infatti solo un lieve legno rosso di pelle appena rigenerata.
E per il fatto che non si trovava nella posizione che lei s’era immaginata. Era esattamente al centro della pancia, sullo stomaco. Non in una posizione più laterale, che avrebbe ammesso la sopravvivenza.
Rouge deglutì. Era stata sparata nello stomaco!
Allora come accidenti faceva ad essere ancora viva?!
Shadow appoggiò la ciotola dal contenuto fumante sul tavolino di fianco al letto, facendo sobbalzare la pipistrella.
Gli occhi spaesati di lei cercarono le iridi taglienti del riccio. –Come?- chiese semplicemente.
Shadow non rispose.
-Devi dirmelo.- supplicò lei. –Devi. E magari, già che ci sei, spiegami come ci sono finita sull’ARK.-
Il profondo respiro del riccio, aumentò la preoccupazione di Rouge. Shadow non voleva parlare? Che…?!
Nell’esatto istante in cui Shadow si decise a risponderle, il cervello di Rouge cominciò a collegare i pezzi.
…Nulla di abbastanza potente da costringere Shadow a reagire in quel modo.
Rouge trattenne il fiato. Un orrore così tagliente … assistere alla morte di qualcuno. Per la seconda volta!
-Anubis The Dog ti ha sparata allo stomaco.- cominciò Shadow, il tono completamente incolore del riccio fece tremare la pipistrella. –Io …- lui esitò. -… Non sapevo cosa fare. Ti ho portata nel posto più lontano che conoscevo, dove loro non sarebbero potuti arrivare. E …- esitò per la seconda volta. Rouge ora era davvero spaventata. Cosa aveva fatto Shadow di tanto terribile da non riuscire nemmeno a dirlo? Shadow che faceva giri di parole? Cosa mai vista. -… e tu stavi morendo.- Un brivido attraversò Rouge. -Ho fatto l’unica cosa che avrebbe potuto darti una possibilità di sopravvivere.- La preoccupazione della pipistrella salì di un grado. Se non sapesse già l’esito della vicenda, la sua agitazione attuale avrebbe benissimo potuto venir chiamata terrore. Ora veniva il punto focale di tutto il discorso. La parte difficile. E vedere Shadow così dubbioso e indeciso, era una cosa dannatamente disorientante.
Qualunque cosa avesse fatto il riccio, era palese lo sforzo che gli costava parlarne. E lo fece alla maniera sua, senza mezzi termini, afferrando il toro per le corna. Alzò lo sguardo su Rouge, e la fissò negli occhi. –Ti ho iniettato nelle vene parte del mio sangue.-
Inizialmente, il cervello di Rouge non capì subito cosa ci fosse di così terribile. Ma la comprensione non tardò ad arrivare. Shadow … Black Doom … alieno … sangue … incompatibilità … veleno … morte … salvezza … effetti collaterali.
-Cosa?!- si sentì dire.
-Saresti morta anche senza il mio intervento.- disse piano Shadow. –Ho pensato che anche una sola speranza fosse sufficiente per provare.- Distolse un attimo lo sguardo. –Non ti potevo lasciar morire.-
Il nuovo aspetto che la semi-paralisi di Rouge aveva assunto, finì per passare lievemente in secondo piano. Sostituito dall’ultima frase del riccio. S’era spaventato davvero, allora, Shadow …
Con i pensieri che si arruffavano e accavallavano tra loro imbizzarriti, Rouge si sentì chiedere. –Ma com’è possibile che sono guarita così?-
Shadow passò alle spiegazioni. –Uno dei motivi che spinsero il dottor Gerald Robotnik a crearmi fu la necessità di trovare una cura per la malattia di Maria, un morbo che neutralizza le difese corporee naturali. Inizialmente il dottore non credeva fosse possibile curarla, ma avendo me davanti agli occhi capì che forse una possibilità c’era. Rese il mio sistema immunitario molto forte. E lo modificò in parte per far sì che potesse curare anche le ferite d’altri. In particolare, adattò i miei anticorpi per far sì che potessero curare il sistema immunitario di Maria. Non avvenne mai, però. Maria guariva dalle malattie normali che la colpivano grazie ai mie anticorpi che toglievano di mezzo i virus al posto suo, ma da sola lei non ci riuscì mai.-
Shadow fece una piccola pausa per controllare se Rouge stesse seguendo o meno. –Dunque, i miei anticorpi possono guarire effettivamente gli altri. Compresa la tua ferita.-
Rouge faticò un attimo a capire. Era anche sorpresa della naturalezza con cui Shadow aveva spiegato tutto ciò. Era forse la prima volta che parlava di Maria con spontaneità. –Ma dunque il sangue di Black Doom era in Maria?-
Un mezzo sorriso attraversò il viso del riccio. –Figurati se Gerald avrebbe mai permesso che quell’alieno contaminasse la sua amata Maria. Il suo sangue non la toccò mai. Da me prendevano solo e soltanto gli anticorpi, mai i globuli rossi o altre cellule.- la sua espressione si oscurò. –Tu sei la prima, oltre a me, ad avere in corpo il sangue completo di Black Doom.- Shadow serrò i denti. -Non sapevo cosa sarebbe potuto succedere. Sapevo che con i globuli bianchi ti avrei potuta salvare, ma con quelli rossi saresti potuta morire. E in una maniera orribile.-
Rouge lo fissò in volto. Non riusciva neanche ad immaginare il senso di responsabilità che il riccio s’era portato dentro in quegli ultimi quattro giorni. Ben conoscendo l’odio cieco che lui provava verso Black Doom, lo sforzo che gli era dovuto costare utilizzare quel sangue per salvare lei … pareva qualcosa di disumano! “Contaminare” Rouge, in cambio di evitarne la morte.
Dovette confessare ora di sentirsi in qualche modo sporca dentro, ma si sforzò di ricacciare indietro quello sgradevole sentimento. Era viva. Ed era tutto ciò che importava. Era viva, era sopravvissuta, grazie a Shadow. Avrebbe coraggiosamente affrontato ogni genere di effetto collaterale, come la semi-paralisi di prima. Shadow aveva fatto tutto quello per lei, il minimo che poteva fare per dimostrargli quanto aveva apprezzato quel gesto era sopravvivere. Sarebbe andata avanti. Come sempre. 
-Per ora è andato tutto bene.- si sentì dire la pipistrella. –Sto bene, e sono viva.- si sforzò si sembrare allegra. –Ti ringrazio dal profondo del cuore.- Gli sorrise.
Gli occhi della Forma di Vita Definitiva si puntarono invece sul pavimento, privi di ogni traccia di allegria. -Ma ora hai in te il suo sporco sangue.- Sussurrò Shadow tra i denti, voce tremante di rabbia. Si sentiva in colpa, spezzato a metà tra la felicità d’averla salvata e il disgusto per il modo in cui c’era riuscito.
Improvvisamente, alla pipistrella tutto sembrò semplice. Come aveva fatto a non pensarci subito all’inizio? Rouge sorrise, mentre la soluzione le si presentò da sola.
–Non il suo sangue, Shady. Ma il tuo!- ridacchiò. –E non ho problemi a convivere con il tuo sangue.-
Lo sguardo lievemente confuso e incredulo del riccio la incontrò di nuovo.
Rouge allungò una mano verso la ciotola che Shadow aveva portato, conteneva una specie di poltiglia dal sospetto color marroncino scuro. Ingoiando la repulsione, disse. –Non ti fa niente se mangio? O qui rischio di morire di fame, e tutti i tuoi sforzi saranno vanificati.-
Shadow era ancora ammutolito. Non spiccicò parola.
Lei, allora, non fece complimenti e cominciò a mangiare. Era meno disgustoso di quanto il suo aspetto lasciasse intendere. Sapeva quasi … di stufato. –Cos’è?- domandò, dopo aver mandato giù il primo boccone.
-Era nella mensa, cibo in scatola.- fu la disadorna risposta.
In sostanza, nemmeno Shadow sapeva cos’era. L’unica nozione in suo possesso era l’effettiva commestibilità di quel cibo.
Rouge sobbalzò quando realizzò di star mangiando cibo in scatola vecchio di cinquant’anni.
-Sei sicuro che non sia andato a male?- chiese con un filo di voce, mentre la presa sul cucchiaio diminuiva di forza.
-Sicuro.- le rispose. –Quelle scatolette durano anche per decenni. Venti o trent’anni non sono un problema.-
Rouge si sentì morire. Mollò la posata che teneva in mano all’istante. –Ma cinquanta non sono un po’ troppi, allora!-
Gli occhi di Shadow si abbassarono di nuovo verso il pavimento, parzialmente colpevoli. –A questo punto, dovrei dirti un’altra cosa.- cominciò.
-Cosa?- tono inquisitorio, questione di mangiare o non mangiare, importanza vitale.
Shadow scelse con cura le parole. –Non siamo esattamente a cinquant’anni dopo la creazione dell’ARK.-
Rouge rimase allibita. –Che?!-
Il riccio spiegò meglio. –Ora siamo a circa venticinque anni dopo la chiusura della stazione spaziale, cioè quando avvenne … l’incidente.- Gli occhi di Rouge si sgranarono. –Ti ho portata indietro nel tempo di venticinque anni.-
Dopo la questione del sangue di Black Doom, un misero viaggio nel tempo non era assolutamente nulla.
-Oh.- disse, riprendendo a mangiare, seppur senza riuscire ad impedire al proprio polso di tremare. –Potrei chiederti perché? Non sarebbe bastata l’ARK del presente?-
Un’altra volta, Shadow si oscurò, e Rouge capì di aver toccato un altro tasto dolente, in un qualche modo.
Il riccio si appoggiò di schiena contro la parete.
-Gli hai visti anche tu i macchinari di ricerca di quei laboratori, vero?-
Tutta la massa di eventi che avevano caratterizzato gli ultimi giorni crollò addosso a Rouge tutto d’un colpo. S’era quasi dimenticata dell’organizzazione di scienziati, delle bioarmi e dei cyborg.
-Sì, li ho visti.- confermò.
Shadow riprese. –Sono davvero molto simili a quelli che ci sono qui, sull’ARK. Per non dire che sono identici.-
-Davvero?- Rouge non riuscì a trattenere la propria sorpresa. –Dici che li hanno copiati?-
-È sicuro che l’hanno fatto. La vera domanda è “come”. Se fossero riusciti a rubare i file riservati riguardanti questo posto da Prison Island, non sarebbe poi così strano. Peccato che non ricordo che tra quei documenti vi fossero anche le spiegazioni sul funzionamento o sulle tecniche di costruzione delle macchine di ricerca. Dunque, un’altra ipotesi è che sono venuti quassù per studiare la tecnologia dell’ARK. Il che lascerebbe molte questioni in sospeso, come il mezzo con cui sono arrivati qui. Un razzo non è cosa da poco, e sarebbe ben difficile riuscire ad arrivare qui senza farsi notare dalle autorità. Siccome non mi sembra esattamente un’organizzazione legale ci sarebbe da domandarsi come sia possibile che nessuna nazione confinante si sia domandata chi accidenti fossero quei tizi volati nello spazio.-
-Ma se invece se ne fossero accorti e non avessero detto nulla di proposito?- si azzardò a chiedere lei.
-Quello che ho pensato anch’io. Siccome è improbabile che siano riusciti a ricreare l’ARK sulla terra tramite quei documenti, devono per forza esser venuti qui a studiarla direttamente. Ed è per questo ti ho portata nell’ARK del passato: per evitare di incontrare le loro sonde, o i loro esploratori. Non sono andato a controllare effettivamente se sia così, non ne ho avuto il tempo.-
Rouge scosse la testa. Ora la questione della linea temporale in cui si trovavano le pareva il minore dei problemi. Quei bastardi avevano violato l’ARK! Avevano strappato via da quel luogo quella pace così duramente conquistata, a così caro prezzo!
Scacciando dalla mente l’impensabile immagine di avidi ricercatori sulla stazione spaziale dopo cinquant’anni di vuoto, intenti a frugare tra gli oggetti di gente spentasi decadi prima e a tentare di estrarre di nuovo informazioni da macchine o dati, chiese –Intendi dire che le autorità potrebbero essere a conoscenza di quest’organizzazione?-
Shadow incontrò il suo sguardo. –È probabile. Se non certo.-
-Ma com’è possibile?- sbottò Rouge.
-Forse quella gente ha detto che stavano compiendo ricerche in nome del progresso scientifico e medico, facendo abboccare le autorità. Forse si sono promessi collaborazione, forse invece hanno accordato di ignorarsi a vicenda, lasciandosi reciprocamente campo libero. Lo stato chiude gli occhi, loro fanno ciò che vogliono, in cambio condividono le scoperte mediche e militari con le autorità.-
-Vuol dire che il governo sta dalla loro parte?!- Gelido brivido d’orrore.
-Forse.-
-Ma sono pazzi?!-
-Tra le due parti, non so chi sia messo peggio. Il governo o gli scienziati.-
Rouge chiuse gli occhi. –Non … non li stanno anche finanziando, secondo te, vero?-
Il silenzio di Shadow fu peggio di una pugnalata. –Non saprei dirlo.- disse con semplicità.
Rimasero in silenzio, Rouge che finiva il suo pasto.
Svuotato il piatto dal suo contenuto, la pipistrella si sentì improvvisamente svuotata d’ogni energia. La conversazione, le preoccupazioni, le scoperte e tutto il resto l’avevano sfinita molto più di quanto non avesse realizzato.
Chiuse per qualche secondo gli occhi.
-Qualcosa che non va?- chiese subito Shadow. –O hai solo bisogno di riposo?-
Rouge sorrise. Ancora non era abituata a tutte quelle attenzioni da parte della Forma di Vita Definitiva. –Uno potrebbe pensare che quattro giorni siano stati sufficienti, ma parrebbe che così non è.-
Shadow non replicò. Rimasero un attimo in silenzio.
-E forse dovresti dormire anche tu.- gli consigliò Rouge. –Hai l’aria stanca almeno quanto me.-
Shadow ancora rimase in silenzio, lei lo guardò. –Beh? Che c’è?-
Il riccio fissava il pavimento. –Ci sarebbe ancora una cosa che vorrei chiederti. Ma non c’è fretta. Il riposo è più importante, ora.-
La dolce nebbia di Morfeo si diradò alla curiosità di Rouge. Shadow non chiedeva quasi mai nulla, e quando lo faceva aveva sempre i suoi buoni motivi.
-Cosa c’è?- chiese, realizzando che non gli aveva chiesto come stesse lui. Non che si sarebbe aspettata una risposta, ma, insomma, era stata una battaglia abbastanza accanita, forse Shadow era rimasto ferito o aveva dei problemi.
Quando lui roteò lo sguardo verso Rouge, capì che il problema in questione era tutt’altro. –Anubis The Dog.- disse semplicemente. –Vuoi prenderlo a calci tu, o ci penso io?-
A Rouge scappò da ridere. S’era ovviamente preoccupata per nulla. Che tipi di problemi avrebbe mai potuto avere Shadow?
Vendicarsi di quel vigliacco era una dolce idea, innegabile. Ma, onestamente, se si doveva far pentire qualcuno di una qualsiasi azione, il modo migliore era spedirgli contro Shadow. E poi non se la sentiva proprio a rivedere quel muso da canide.
Lo stomaco le si strinse al solo pensiero. Il ricordo della ferita e della morte scampata era ancora troppo fresco nella sua memoria. Per di più non aveva la forza fisica per affrontare subito il suo assalitore. Ed aspettare era una soluzione ancora più scomoda.
Lasciar fare a Shadow, o affrontare il proprio trauma? Far pagare indirettamente Anubis tramite il riccio o andare lei stessa a farlo pentire?
Uno strano pensiero le balzò alla mente.
Sicurezza.
In quel momento, lei cercava solo sicurezza. La vendetta era qualcosa di ancora lontano nella linea del suo orizzonte. Guarire, salvarsi, rimettersi in sesto, affrontare l’eredità del sangue di Black Doom. Guardando Shadow, in piedi accanto a lei, si sentiva stranamente protetta.
Sapeva che lui avrebbe fatto qualunque cosa per difenderla, sapeva che su di lui poteva contare. E poter contare sulla Forma di Vita Definitiva equivaleva a stare in una cassaforte, in quanto a protezione.
Mandare lui a riscuotere il giusto pagamento per il trattamento subito? O farlo lei, pareggiando i conti una volta per tutte?
Forse si sarebbe pentita in seguito della scelta presa. Forse avrebbe dovuto andare lei, affrontare il proprio trauma facendola pagare cara a quel cane, sconfiggendo la propria paura e il dolore subìto: chiudere in faccia alla morte scampata quella faccenda con le sue stesse mani, sciogliendosi per sempre dalle catene della paura che Anubis le aveva sparato in pancia insieme al piombo. O forse avrebbe potuto chiedere a Shadow di farlo: eliminare dalla faccia della Terra e di Mobius quella persona, non rivedere mai più quella faccia, quel ghigno.
L’idea che in quel momento Anubis era laggù, sulla superficie, a camminare tranquillamente, a condurre la sua vita come se nulla fosse successo, la fece arrabbiare. Lo stomaco le si strinse di nuovo, la spina dorsale parve ghiacciarsi. Aspettare … era regalare a quel bastardo tempo che non meritava.
Forse, aveva paura di rivedere quegli occhi gialli di Anubis. Forse aveva paura di trovarselo davanti e di perdere. Rouge non era il tipo da paralizzarsi dal terrore, e probabilmente non sarebbe successo nemmeno quella volta, ma proprio il suo cervello non riusciva a digerire l’idea di rivedere quella faccia, quell’essere che aveva voluto toglierle la vita. E che c’era praticamente riuscito.
Rouge chiuse gli occhi, e prese la sua decisione. –Vai- disse. -Togli di mezzo quel mobiano. Non voglio mai più averlo davanti agli occhi.-
Shadow la guardò. –Sicura?-
Rouge annuì. –L’idea di rivedere la sua faccia mi disgusta. L’idea di poterlo rincontrare anche di più. E potrebbe anche uccidere qualcun altro, mentre noi indugiamo qui. Vai, ora, in questo preciso momento, e impediscigli di fare ad altri ciò che ha fatto a me. Non voglio rivedere i suoi occhi.-
Shadow sorrise. –Quando rimetterai piede sulla Terra, non esisterà più nessun Anubis the Dog: s’è giocato il diritto di esistere nel tuo stesso mondo.-
Il sonno calò di nuovo la sua cortina sugli occhi di Rouge, con più prepotenza di prima. Rouge aveva finito le batterie, niente più autonomia.
Si sentì quasi crudele a dire la frase successiva, ma era necessaria. –Mi raccomando, Shady: devi farlo pentire.- Era più un ordine, che una richiesta. In entrambi i casi, era una condanna ad una morte orribile. Lo sapeva, e non le dispiaceva. Avrebbe dovuto vergognarsi di essere così meschina, ma nessun sentimento del genere le passò nel cuore. Voleva solo liberarsi da Anubis.
Il riccio sorrise di nuovo. –Non sarà affatto un problema.-
Gli occhi di Rouge si stavano chiudendo, ma sentì comunque le ultime parole di Shadow The Hedgehog.
-Te lo prometto.-
 
 
Shadow aspettò ancora qualche minuto, fino a quando Rouge non fu interamente addormentata. Sperando che le sue condizioni mediche non precipitassero in sua assenza, la Forma di Vita Definitiva si preparò a tornare sulla Terra. 
Era un tipo di Chaos Control molto particolare, quello, poiché impiegava sia il luogo che il tempo. Doppio dispendio d’energia.
Utilizzò tutti e tre gli Smeraldi in suo possesso, tornando in avanti di venticinque anni e spostandosi dallo spazio alla superficie del pianeta.
L’energia di Chaos frizzò, scoppiettando in tutta la stanza ed inondandola di una luce vagamente blu.
Shadow si smaterializzò.
Stava già pensando a come trovare il suo bersaglio, e tener fede alla richiesta di Rouge.
Voleva vendetta, e l’avrebbe avuta. Una vendetta con la V maiuscola.
 
 
Sonic per poco non cadde dal letto quando tre puntini luminosi che rappresentavano gli Smeraldi di Shadow apparvero sul monitor. Ed erano a meno di un’ora da dove si trovava lui in quel momento. Doveva solo tirarsi in piedi e correre, correre come il vento e raggiungerlo.
A costo di arrivare là zoppicando, avrebbe incontrato Shadow.
Lentamente, con cautela, poggiò le gambe a terra, rimanendo seduto sul bordo del letto. S’era esercitato a camminare, quella mattina e il pomeriggio del giorno prima, e più o meno, a parte le ossa doloranti, aveva scoperto che riusciva a stare in piedi … circa.
In quel momento, le sue giunture cigolanti erano il minore dei problemi. Doveva andare da Shadow, correre abbastanza in fretta da stargli dietro, raggiungerlo, domandargli di Rouge, e chiedergli scusa!
Si tirò in piedi. Strinse i denti alla protesta da parte delle ginocchia, la ricacciò in dietro e fece un passo.
Ne fece un altro.
Raggiunse la porta, l’aprì e fu nel corridoio del primo piano. Le scale furono ardue opponenti, ma riuscì a superare anche quelle, rischiando anche di arrivarci in fondo a rotoloni.
Stava per raggiungere la porta principale, che l’avrebbe fatto uscire da lì, quando incontrò Tails.
-Sonic!- esclamò il volpino, sorpreso e preoccupato. –Cosa ci fai in piedi? E dove stai andando?-
Il riccio blu valutò cosa rispondergli. Optò per la semplice verità, sperando che l’amico capisse e lo lasciasse andare. Shadow si stava spostando rapidamente verso est. Se voleva prenderlo, doveva partire subito.
Un bel respiro e …. –Shadow è apparso sul monitor. Vado ad intercettarlo e a parlargli.-
-Cosa?! Shadow?-
-Sì, e si sta anche allontanando, non c’è tempo da perdere, Tails. Volete scoprire o no cos’è accaduto a Rouge?-
-Certo che lo vogliamo ma … tu non sei ancora guarito!-
Buona argomentazione, ma non reggeva a sufficienza. Lui doveva capire cos’era successo a Rouge, doveva sapere se aveva causato o no la morte di una loro amica.
-Non importa, Tails. Io devo andare.-
Il volpino lo fissò negli occhi, una lunga silente conversazione tra loro due soli. Infine, Tails abbassò la testa. –Ho capito. Vai, se devi.-
Sonic sorrise, pollice verso l’alto. –Grazie.-
Tails ricambiò tristemente il sorriso, mentre Sonic apriva la porta e cominciava a correre. Lo fece con un’insolita prudenza, partendo con calma, come a controllare che le gambe lo reggessero davvero, aumentando gradualmente velocità.
Andò a velocità moderata per tutto il tempo in cui si trovò in zona abitata. Le gambe parevano reggere, anche se ad ogni passo pareva che gli venisse piantato un chiodo nelle ginocchia. Denti serrati, Sonic proseguì.
Ben presto, le case si diradarono, davanti a lui si aprì la campagna, una distesa d’erba attraversata da una strada sterrata.
Ignorando beatamente tale viuzza, Sonic si slanciò a piena velocità dritto in avanti. Del paesaggio non rimase altro che un miscuglio di colori fusi tra loro, mentre la scheggia blu che era il riccio vi volava attraverso, poco più di una raffica di vento. L’aria tra gli aculei e nelle orecchie fu ben presto tutto ciò che il riccio sentì, oltre ovviamente alle sonore proteste delle gambe maltrattate.
Controllò il monitor. Shadow non aveva cambiato direzione, correva dritto come una freccia, puntando deciso ad un bersaglio solo. Forse poteva sbagliarsi, ma a Sonic parve che faker stesse rallentando l’andatura.
Meglio così. Sfrecciò a tutta velocità, tagliando per i prati. Dovette schivare ad un certo punto una macchia d’alberi che gli si parò davanti all’improvviso. A parte quel piccolo ostacolo legnoso, ad intasare la sua corsa si interposero una siepe, un gregge di pecore, una staccionata, un placido ruscello infossato nel terreno che per poco non gli costò l’osso del collo, ed un vecchio muretto di pietra mezzo diroccato.
Sempre a denti serrati, Sonic aumentò ancora l’andatura. Sterzò per evitare un altro gruppo di arbusti e il terreno divenne in salita. Raggiunse in una frazione di secondo la cima della collina. Davanti ai suoi occhi si srotolò la serie di gobbe ammantate d’erba ed alberi che occupavano tutto l’orizzonte. Il riccio non rallentò nemmeno, si gettò a testa bassa nell’avvallamento e riprese la sua corsa.
Shadow non distava più molto.
Il ginocchio destro di Sonic cedette all’improvviso. Il riccio si sentì staccare dal terreno, vorticò le braccia e più con la sola forza di volontà che con altro, impose ai muscoli della gamba di portare in avanti quel piede traditore. Lo strappo muscolare che ne seguì lo fece quasi gridare dal dolore, ma riuscì a non schiantarsi a più di trecento all’ora contro il tronco di un rugoso ulivo. Rimase in piedi, schivò l’albero e la corsa riprese. Per precauzione, Sonic rallentò un po’ l’andatura, anche perché ora la gamba faceva un male assurdo.
Molto probabilmente, la sua ferita era peggiorata.
Si stava già commiserando, quando raggiunse senza quasi accorgersi la sommità di un altro colle, e per poco non andò a sbattere contro un certo riccio nero che passava da quelle parti.
Shadow piantò una stincata epocale, frenando interamente la sua corsa, cioè da un buon quattrocento all’ora a zero, nella manciata di un secondo neanche e in uno spazio di manovra mostruosamente ridotto. Sonic inciampò e finì a ruzzoloni, sentendo solo vagamente l’insulto di faker. Il riccio blu atterrò a capriola e si rimise subito in piedi, senza danni.
Ma i danni non tardarono ad arrivare per conto loro. –Che diavolo stai facendo?!- il ringhio di Shadow aveva un che di furioso che avrebbe atterrito sul posto chiunque.
Sonic si grattò un orecchio. –Ti ho visto sul monitor.- gli mostrò l’apparecchio in questione. –Volevo parlarti.-
-E per parlarmi hai pensato bene di schiantarti contro di me?-
 -Non ti avevo visto.-
-E io non ho mai visto te correre senza guardare.- il tono di Shadow lasciava chiaramente intendere che non era felice di averlo incontrato, senza che c’entrasse molto la maniera con cui l’incontro era avvenuto, e Sonic ebbe la sensazione di stare interrompendo qualcosa che il suo gemello non biologico stava per fare.
Un fatto positivo c’era. Shadow pareva arrabbiato, ma non sconvolto. Dunque, Rouge non doveva essere morta, o l’umore del riccio sarebbe stato molto, ma molto peggio, rasentante il demoniaco.
-Rouge come sta?- chiese, per sicurezza.
-Viva.- fu la risposta.
Sonic non potè impedirsi di rilasciare un sospiro di sollievo. Afferrò il coraggio a due mani e pose la seconda domanda. –E tu come stai?-
Gli occhi di Shadow si fecero di fuoco. Non rispose, si limitò ad carbonizzare Sonic con lo sguardo.
-Se non hai nulla di serio da chiedere, togliti di mezzo.-
E guardandolo, Sonic capì due cose: Shadow era arrabbiato proprio con lui, non per altri motivi suoi; e Shadow stava andando a fare qualcosa, quando lui l’aveva raggiunto, la fretta del riccio nero ne era la prova.
Non era mai stato bravo con le parole, Sonic. Deglutì e parlò. –Mi dispiace. Mi dispiace davvero di non averti ascoltato e di essere andato comunque in quel laboratorio.-
Dall’espressione del riccio nero, Sonic intuì che non s’era aspettato una simile dichiarazione.
Quando parlò, il suo tono di voce era completamente piatto, anche se la rabbia repressa si notava comunque. -Non mi aspettavo certo che tu mi dessi retta, ma mi sarei aspettato da te un po’ più di riguardo nei confronti delle vite dei tuoi compagni. E dei tuoi alleati.-
L’ultima frase era un’accusa bella e buona.
Sonic chiuse gli occhi, abbassando la testa. –Io…- non seppe più cosa dire, per una volta nella sua vita. –Mi dispiace.- disse solo.
-Dovresti essere grato che lei non è morta, oppure ti avrei fatto passare un brutto quarto d’ora.- ringhiò il riccio nero.
E Sonic ebbe la sensazione che l’aggressività nell’aria fosse aumentata di un grado.
Rimasero in silenzio, e stranamente fu Shadow a parlare. –Giusto per fartelo sapere, io ti ritengo responsabile almeno quanto colui che ha premuto il grilletto.- fu come una pugnalata. -L’unica differenza è che tu non avevi cattive intenzioni, e se uno nasce con intelletto ridotto non è certo colpa sua.-
Sonic sgranò gli occhi a quella specie di insulto. –Nel senso?-
-Nel senso che lo sanno tutti che tu non sei capace a pensare, agisci d’istinto e basta. Anche se uno viene a dirti chiaramente che in questa guerra a pagare il prezzo potresti non essere tu ma le persone che ti stanno accanto.-
Una scintilla si accese nel petto di Sonic. Alzò la testa e fissò negli occhi Shadow. –Non puoi chiederci di rimanere in disparte mentre tu affronti da solo un esercito intero! Non funziona così!-
-E far ammazzare i tuoi amici o i tuoi alleati pensi sia il modo? Se ti dico che non devi interferire nei miei affari, ti conviene ascoltare.-
-Se un amico è nei guai, io non ascolto nessuno! Vado dritto ad aiutarlo!- Sonic realizzò solo dopo di aver urlato.
Lo sguardo di Shadow era di fuoco. –E per salvarne uno, che per altro non necessitava di alcuna manforte, credi sia giusto far rischiare la pelle a tutti gli altri, eh?-
-Tra amici funziona così.-
Sonic non si sarebbe aspettato quella reazione da parte di faker. Si ritrovò schiena a terra, con il ginocchio di Shadow conficcato nello stomaco. La voce di faker, quando parlò, era talmente cupa che pareva uscita direttamente dall’inferno. –Ascolta, stupido riccio che non sei altro. Qui non si sta parlando di amicizia. Qui si sta parlando di venir ammazzati o meno. Chi pensi che sarà il loro prossimo bersaglio? Io, magari? Hanno troppa paura per venir a prendere me. Rouge? No, lei è morta secondo loro. Tu? Sei ancora una minaccia troppo grande anche se ti hanno quasi azzoppato. Chi pensi che sia, eh, riccio? Non lo sai?- Non gli diede il tempo di rispondere. –Sanno perfettamente che uno scontro frontale con me o con te non porterebbe ad alcun risultato positivo per loro. E come si fa a sconfiggere qualcuno che sembra imbattibile? Dandogli una botta psicologica tanto forte da lasciarlo inerme. Allora chi pensi che attaccheranno, eh? Chi sarà la prossima vittima? Rouge è fuori dal giro. Chi resta?-
Gli occhi di Sonic si sgranarono. Shadow rispose per lui. –Tails, magari. Una piccola volpe, così legata a te. O forse Amy, lo sanno anche i sassi che ci tieni a lei. Knuckles? Troppo duro da masticare per i loro denti. Chi resta ancora? Ah, già. Cream e Vanilla. Vorresti vedere tutti loro morti o mutilati solo perché tu sei un avversario troppo difficoltoso per i tuoi nemici, eh? Certo che no. Ma è quello che è successo. Esattamente quello che è successo. E non solo tu gli hai offerto questa possibilità su un vassoio d’argento, ma gli hai anche servito direttamente in bocca tutta la tua squadra, e anche la mia!-
Shadow si alzò, lasciando andare Sonic. Gli diede le spalle. –E non venirmi a dire che non te l’avevo detto. I bersagli siamo io e te, ma non ci possono attaccare frontalmente, lo faranno per vie traverse: mirando a coloro che ci stanno vicini.-
Sonic rimase a terra, sdraiato ed imbambolato. –Gli ho dato la carta che gli permetterà di vincere?-
-Non è detto. Ma ora sono in netto vantaggio. Restano soltanto due laboratori. L’effetto sorpresa è finito. Ora ci aspettano. E puoi star certo di trovare ogni genere di imboscata, laggiù.-
Sonic non si mosse da dove si trovava. Usare i suoi amici per colpire lui?  Sentì lo stomaco stringersi. Chiuse gli occhi, imprecando mentalmente.
Sentì i passi di Shadow allontanarsi. Si tirò su a sedere. –Dove vai?-
-A caccia. Tu torna a casa e prega che vi lasceranno il tempo di rimettervi tutti in sesto.-
Sonic piegò la testa a di lato. –A caccia?-
-Vado a trovare un certo tizio.- disse ancora Shadow. Sonic sorrise appena quando capì a chi si riferiva Shadow. Chiedere di accompagnarlo, gli sembrava davvero inappropriato, in quel momento. Non ne aveva il diritto. Così rimase zitto.
Shadow s’era già allontanato di un paio di metri.
-Tu e Rouge dove siete, di base, ora?- chiese Sonic, all’ultimo.
-Molto lontano da qui.- Non avrebbe ottenuto altre informazioni, sospirò.
-Vi serve qualcosa? Medicine, cibo?- domandò ancora.
Shadow si fermò, senza però voltarsi. –Cibo. Ci farebbe comodo.-
Sonic puntò il pollice verso l’altro, anche se faker era voltato di schiena. –Lo avrai!- Era il minimo per provare a sdebitarsi, no? –Quando hai fatto con Anubis, passa a casa di Vanilla: ti daremo tutte le provviste che vuoi.-
Shadow alzò una mano, segno che aveva sentito. Partì poi a correre, e sparì dietro una collina in una manciata di secondi.
 
 
 
Anubis sospirò. Era stata una giornata mortalmente lunga. Eseguire gli ordini del capo era stato più massacrante del previsto. E le ferite gli facevano male da impazzire, aveva i muscoli a pezzi e gli stava anche venendo un mal di testa tremendo.
Borbottando tra sé e sé afferrò il primo pacco di pasta che vide dalla mensola del piccolo negozio di alimentari in cui era venuto a prendersi la cena. Sempre di pessimo umore, raggiunse la cassa. Fortunatamente non c’era fila da fare, almeno quello! Posò malamente la magra spesa sul bancone, armeggiando con la tasca per tirare fuori i soldi.
Il cassiere, un vecchio stambecco dalle lunghe corna ricurve, alzò lentamente lo sguardo. –Buongiorno.- disse, prendendo il pacco di pasta.
Anubis ringhiò in risposta. Quella giornata era tutto meno che buona.
Lo stambecco gli comunicò il prezzo e il cane allungò una mano per passargli la moneta.
Fu allora che accadde, e fu allora che Anubis capì che quella giornata sarebbe finita in un disastro completo.
A mezz’aria, sopra il bancone della cassa, apparve una luce folgorante. Il povero cassiere fece giusto in tempo a gridare che dal nulla si materializzò una figura.
Anubis non fece in tempo a tirarsi indietro. La scarpa di Shadow The Hedgehog gli si piazzò sulla mano, inchiodandola al banco. Il cane dovette serrare i denti per non gridare dal dolore, quando sentì diverse ossa troncarsi a metà sotto il peso del riccio.
Lo stambecco cadde in schiena, strisciando a ritroso contro la parete, gli occhi sgranati dal terrore.
Anubis afferrò con la mano rimanente la caviglia del riccio, tentando inutilmente di smuoverlo da lì. Shadow non fece una piega, non disse una parola. Ruotò la gamba mettendoci tutto il suo peso. Anubis questa volta gridò, mentre la scarpa del riccio gli fracassava praticamente tutte le ossa della mano destra.
Da sotto la suola di quella specie di mostro di ingegneria genetica cominciò quasi immediatamente a colare fuori il sangue. Si espanse lentamente sul bancone, gocciolando fino a terra.
Anubis, tutti i muscoli contratti dal cocente dolore, alzò finalmente gli occhi sul suo avversario.
Non appena le sue pupille dorate incrociarono quelle color d’inferno del riccio, scattò il calcio.
A piena forza, attingendo da tutta la potenza dei suoi muscoli capaci di sforzi più che notevoli, Shadow affibbiò un calcio micidiale in piena faccia al canide, tenendogli sempre ancorata al banco la mano.
Mentre il cranio di Anubis rintronava dal colpo, si sentì decollare all’indietro, con tanta violenza che si staccò da terra. Con il braccio sempre ancorato sotto l’altra gamba del riccio, lo strappo che ne seguì lo avrebbe fatto urlare, se non si fosse ritrovato la mascella fuori posto. Come se il tempo avesse rallentato, sentì le proprie ossa superiori del braccio staccarsi dalla scapola, potè chiaramente percepire i propri muscoli allungarsi, al limite della rottura, la pelle stirata come non mai. E fu allora che il dolore gli esplose nel collo, ruotato all’indietro in maniera innaturale dalla potenza del calcio sferrato. Non più solo la mascella, ma proprio il vertice della colonna vertebrale cominciava a dare segni di grave cedimento. Spezzarsi il collo sarebbe stato assai più grave. La mano, fortunatamente, scivolò fuori da sotto il piede del riccio, ridotta ormai a poco più di un ammasso di carne sanguinolenta con spuntoni d’osso. Libero dall’ostacolo che lo tratteneva, Anubis decollò sul serio.
Ma se prima il rallentamento temporale era stato solo una sua percezione, causata dall’estremo dolore, ora ebbe la certezza che il tempo si fermò davvero. Shadow lo lasciò volare fino all’altro lato del negozio, prima di congelare l’attimo di volo, poco prima che il bersaglio si schiantasse contro uno dei ripiani del negozio.
Anubis sentì il proprio corpo bloccarsi a mezz’aria, sebbene i suoi pensieri fossero ancora liberi di correre. Osservò con sgomento alcune goccioline di sangue, lievemente allungate, che gli vorticavano davanti al naso, sospese nel vuoto pure loro.
Dietro, Shadow scese dal bancone con un unico movimento, un lieve balzo e fu a terra. –Mi scusi se le ho sporcato il bancone.- gli sentì dire, rivolto al povero commesso mezzo morto dalla paura. –Ora ce ne andiamo, non si preoccupi.-
Con orrore crescente, Anubis sentì i passi di Shadow avvicinarsi lentamente, con calma, senza fretta. Tanto, Shadow sapeva che il suo avversario non sarebbe potuto scappare da nessuna parte. E quella stessa certezza stava facendo impazzire Anubis dalla voglia di scappare, o di fare un qualunque movimento per la propria difesa.
Dopo un intervallo che gli parve eterno, il riccio attraversò il locale raggiungendo finalmente il cane. Shadow gli si posizionò davanti e gli afferrò la mano rotta, spezzandogli così anche l’ultimo osso del palmo che rimaneva più o meno intero. In quel mentre, quando altre gocce di sangue andavano ad unirsi in uno schizzo in slow-motion a quelle che già galleggiavano in aria, Anubis si ritrovò a fissare le iridi scarlatte del riccio.
Vi guardò dentro e vi vide una tenebra ed un fuoco che non aveva mai immaginato potesse esistere né in quel mondo, né in altri. In una frazione di secondo, realizzò quale calamità si fosse tirato addosso. La paura gli artigliò selvaggiamente le viscere: non poteva sottrarsi, non poteva fuggire da quell’essere.
Stava vedendo in quel momento quale mostro fosse il riccio nero. E mentre il suo sguardo dorato si smarriva tra le tenebre di Shadow, Anubis realizzò tutto ciò che era capitato e ciò che sarebbe seguito. E si pentì. Con tutta l’anima, con tutto il cuore si pentì. In un solo istante la sua mente pregò, sperò con ogni singolo neurone di poter tornare indietro e cambiare quel fatto accaduto: di non premere quel grilletto contro la pipistrella. Ma il passato era stato scritto, e non sarebbe mai cambiato.
Shadow serrò la presa sulla sua mano e mentre il cervello del cane veniva invaso dalla nuova ondata di dolore arroventato, si sentì avvolgere da un’energia frizzante, quasi elettrica. Ogni sua singola cellula venne risucchiata e poi sputata fuori di nuovo.
Al soffitto di cemento del negozio si sostituì un cielo azzurro, completamente glabro di nuvole. Shadow gli lasciò andare la mano, e il tempo riprese il suo corso, allo stesso modo Anubis riprese il suo volo.
La parabola che compì durò ancora un bel pezzo e quando colpì finalmente il suolo, sentì chiaramente un ginocchio piegarsi nella via inversa a quella usuale, e l’anca cigolò brutalmente all’impatto.
Tempo di prendere un respiro che tutto il dolore gli balzò addosso affondandogli nel cuore e nel cervello le sue zanne roventi come acciaio fuso, troppo intenso per poter urlare. Ogni pensiero si estinse sul posto. Con un vuoto da vertigine, Anubis rimase steso a terra, il calore del suo stesso sangue gli bagnava la pelle.
Shadow camminava, accorciando di nuovo con tutta calma la distanza creatasi dal volo di Anubis. E mentre quei passi si avvicinavano una seconda volta, realizzò che Shadow non aveva nemmeno ancora iniziato, e lui già era in agonia.
Tentò debolmente di muovere un dito della mano integra. Non si mosse nulla. Niente.
Shadow gli era ora accanto.
-Perché?- sputò Anubis, il sangue quasi lo soffocò. La mascella inerme, e rabbiosamente pulsante, non aiutava. –Per lei?-
Le pupille del riccio si assottigliarono. –La mano, la faccia, la gamba e il collo per lei.- disse semplicemente, la voce incolore, profonda come il vuoto che aleggiava nella mente del cane. –Questo, invece, è per Sonic.-
Shadow sollevò un piede e lo abbatté sull’altro ginocchio di Anubis. La rotula andò in frantumi come un vaso di cristallo.
L’urlo che ne seguì si espanse per tutta l’area circostante. Si alzò il vento, e la sabbia del deserto invase occhi e bocca del malcapitato che aveva osato interporsi alla via di Shadow The Hedgehog, che aveva osato tentare di ammazzare una sua compagna e azzoppare il suo alleato-rivale numero uno.
Anubis si stupì di come il suo corpo non si scosse a quel tremendo dolore. Avrebbe dovuto inarcare la schiena, contorcersi.
-Se ti stai chiedendo perché non riesci a muoverti, la risposta è semplice: hai il collo rotto. Non in punti vitali ma rotto comunque. Non muoverai più un solo muscolo da qui alla misera fine della tua esistenza.- una piccola pausa, un tagliente sorrisetto. –Che per altro non tarderà ad arrivare.-
-Cosa…?- biascicò malamente Anubis.
-Cosa voglio farti? Semplice: ti ridarò pan per focaccia tutto quello che hai fatto a me, a Sonic e la sua banda, a Rouge, e alle cavie che vi divertite a fare a pezzi. Hai più di duecento ossa nel tuo corpo, cane. Ci divertiremo, non temere.-
E mentre la scarica elettrica andava a formarsi attorno al braccio del riccio, Anubis serrò gli occhi.
 
 
 
Sonic impiegò parecchio tempo per tornare a casa. Lo fece con calma, anche perché ora la gamba gli doleva abbastanza. Sospirando, abbassò la maniglia e aprì la porta.
La rossa presenza di Knuckles gli si piantò davanti. Era bendato come una mummia, stava in piedi per miracolo, ma aveva in volto un’espressione tale che avrebbe fatto indietreggiare comunque anche il più prode dei guerrieri. –Rouge?- chiese. Una domanda, una speranza.
Sonic gli sorrise. –Viva, ha detto Shadow.-
Le mani di Knuckles gli si serrarono sulle spalle e il riccio si ritrovò sbatacchiato come un pupazzo. –Come sta? Si è ripresa? La ferita avrà conseguenze irriparabili? Dimmi!-
Vedere Knuckles di nuovo attivo, parlante e scalciante come sempre, era una cosa meravigliosa, degna di rallegramenti. Se non fosse stato per il fatto che Sonic non aveva una risposta per quelle domande. –Emh …-  cominciò.
Gli sbatacchiamenti si intensificarono di frequenza. Le scarpe di Sonic si staccarono quasi dal pavimento. –Imbecille patentato! Possibile che non gliel’hai chiesto a Shadow, eh?! Che sei andato a fare da lui, allora, si può sapere?!-
Tails fece capolino dal salotto e, accortosi con orrore della malsana sfumatura viola del volto del suo amico, si gettò al salvataggio, liberandolo dalla presa dell’echidna disperato.
-Knuckles! Non fare così! Anche Sonic è ferito, sai? Già non avrebbe dovuto uscire, figurati anche se lo strapazzi così!-
L’echidna mollò il collo del riccio, di malavoglia. Borbottando, si allontanò zoppicando, immerso di nuovo nei suoi pensieri.
-Dunque?- chiese Tails, mentre Sonic respirava avidamente, riprendendosi dalla non volontaria apnea.
-Dunque, Shadow sta andando a massacrare Anubis. Mi ha detto che Rouge è viva, senza aggiungere dettagli di alcun genere, tipo il luogo o la gravità della ferita subita, né tanto meno come abbia fatto a salvarsi. E ha anche detto che non dobbiamo muoverci mai più senza il suo consenso.- una pausa. –Beh, questo non l’ha esattamente detto, ma l’ha fatto capire.-
Tails sorrise. –Beh, magari gli farà piacere sapere che abbiamo qui una sorpresa inaspettata che potrebbe ribaltare le sorti della nostra situazione.-
Sonic drizzò le orecchie. –Che sorpresa?-
Dei passi leggeri si avvicinarono dal salotto. –Ne è passato di tempo dall’ultima volta, eh?- Era una voce famigliare, candida come la neve, che non apparteneva a nessuno che abitasse nelle strette vicinanze ma che era ugualmente famigliare.
-Quanto tempo eccome!- esclamò Sonic, mentre il nuovo arrivato lo salutava scuotendo la mano guantata, avvolta da quella frastagliata luminescenza azzurra che da sempre l’aveva accompagnato.
Si sorrisero, avvicinandosi l’un l’altro. Con un forte abbraccio si salutarono nella maniera che conveniva a due compagni d’avventura, ridendo. 
  
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