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Autore: fragolottina    16/08/2014    11 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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MSC19 fragolottina's time
allora, in questo capitolo ho messo in ordine molte cose, è uno dei motivi della sua lunghezza infinita e del tempo che ho impiegato a scriverlo.
ci sono molte parti che mi piacciono, quasi tutte in realtà e... raga', siamo agli sgoccioli per davvero, vedo un attimo, ma ci sono ottime possibilità che io possa finire tutto in due capitoli... vedremo!
buona lettura...
oh, e scusate il ritardo!

28.
La mela avvelenata


«Immagino che non ci sia più bisogno di me.» osservò Lindsey mentre erano sedute fuori la porta della camera di Zach.
    Courtney sospirò, non credeva che avrebbe mai potuto volerla consolare perché Zach amava un’altra, per anni aveva pensato che l’altra sarebbe stata lei, ma in quel momento capì che era oltre quella specie di dramma sentimentale e si sentì fortunata.
    Perciò prese la mano che Lindsey teneva in grembo e la strinse. «Mi dispiace, nessuno di noi capisce perché sia tanto preso da quello scricciolo.» osservò cercando di consolarla. In realtà lo capiva eccome, certo, Becky era piccina, ma carina da morire, sembrava una bambola. Ed era letale con le armi, dettaglio che uno come Zach non avrebbe mai potuto ignorare.
    «Tu sei obbiettivamente molto più bella.» continuò a dirle.
    Lindsey si leccò le labbra e la guardò. «Ti ringrazio.» per alcuni secondi rimase zitta. «È che voi non vi vedete.» sputò fuori dopo un po’ in una risata. Courtney la osservò scettica.
    «Guardati, tu splendi, anche quando sei abbattuta o depressa. E la ragazzina là dentro, uguale. Siete diversi da noi.» scosse la testa. «Non avrei mai dovuto aspettarmi che Zach mi amasse, avrei dovuto capire da sola che non si poteva fare.»
    «Non dire così. Lui ti ha voluto bene davvero, voglio dire, non è venuto a letto con me!»
    Lindsey scoppiò a ridere. «Saremmo dovute diventare amiche molto prima.»
    Courtney si strinse nelle spalle. «Sì, forse avremmo dovuto.»
    La guardò. «Pensi di far pace con Jared?»
    Lei sollevò i piedi fino a poggiarli sulla sedia e sospirò. «Non lo so.» si strofinò il viso, turbata, era la prima volta che pensava a cosa sarebbe successo dopo la guarigione di Zach. Sarebbe tornata in caserma e poi?
    «Ho visto cosa c’è nell’armadietto di Zach.» disse Lindsey.
    «Sai, cos’è?»
    «Funziona?» le chiese.
    Courtney deglutì prima di rispondere. «A quanto pare sì.» osservò.
    Lindsey ci pensò. «Non mi serve sapere altro.»
    «Mezza sacca al giorno.» le spiegò posandosi una mano sull’avambraccio dove la scritta di Romeo stava sbiadendo. «Se mi arrestano, se l’avvocato di mia madre non riesce a tirarmi fuori, se mi uccidono, fallo tu, okay?»
    Lindsey la guardò e sorrise scuotendo la testa. «Lui non lascerà che ti uccidano.»

Zach si svegliò la mattina dopo e si guardò intorno. Si sentiva strano, come se il mondo fosse sempre stato in bianco e nero, ma quella notte si fosse colorato. Tutto quello che vedeva era più nitido, più definito, più vero. Osservò lungamente la sacca di sangue appesa accanto a lui, solo metà, non aveva etichetta, era solo una sacca trasparente piena di liquido rosso. Per la prima volta si chiese cosa gli stesse iniettando Courtney, non gli aveva mai spiegato, certo, lui non aveva chiesto, ma… cosa gli stava iniettando Courtney?
    Si tirò su a sedere. Aveva il polso libero però Becky non c’era, si sporse sul cuscino e lo annusò: non c’era, ma c’era stata.
    «Ma che diavolo stai facendo?» domandò Courtney stupita. «Sembri un maniaco.» lo accusò.
    Zach la guardò si perse in come ogni suo singolo capello era intrecciato insieme agli altri fino a formare una crocchia sulla sua nuca. Quando tornò a guardarla negli occhi, lei aveva l’aria scettica. «Zach?» domandò lentamente, guardinga come se potesse compiere gesti inconsulti.
    Deglutì. «Sto bene.» la tranquillizzò.
    «Lo vedo.» confermò, gli porse un incarto ed una bottiglietta. «Ti abbiamo nutrito per endovena, Lindsey diceva che non trattenevi niente.» scrollò le spalle. «Ma se ti va stamattina puoi provare.»
    Zach prese il fagotto, non aveva molta fame e poi a dirla tutta aveva paura. Ricordava com’era stato quel delicato “Non trattenevi niente”, ricordava la nausea e Lindsey che lo aiutava e tutto il fianco che gli faceva male ad ogni conato perché era stato operato da poco. Perciò no, non gli andava esattamente di provare. Scartò per vedere cosa gli aveva portato in ogni caso ed il suo stomaco protestò scuotendolo tutto. Improvvisamente non aveva un languorino, ma fame, una fame autentica. Mangiò il tramezzino in tre morsi e si scolò metà bottiglietta di una bevanda zuccherosa in un sorso.
    Courtney sbatté le palpebre perplessa. «Beh, avresti anche potuto masticare.» lo rimproverò. «Quando ti verrà la gastrite non venirti a lamentare da me.»
    «Dov’è Becky?» domandò.
    «Con Nate e Matt. Sta bene, Jean e Jared le hanno anche proposto di tornare in caserma, ma lei non ha voluto allontanarsi da te.»
    Zach sgranò gli occhi. «Ha detto così?»
    Courtney si strinse nelle spalle. «No, ma per quale altro motivo sarebbe dovuta rimanere?» si avvicinò e gli staccò la sacca ormai vuota, la tenne tra le mani un secondo di troppo, persa nei propri pensieri ed a Zach questo non sfuggì.
    «Che c’è lì dentro?»
    «Sangue.» rispose lei automaticamente.
    «Ma pensa?!» osservò sarcastico.
    Courtney infilò la sacca dentro la borsa per buttarla in un secondo momento e gli si avvicinò. «Zach, stai bene.» scandì. «Migliori di minuto in minuto, questo significa che tra quattro giorni, quando tuo padre verrà a tentare di ucciderti potrai prenderlo a calci da solo.» spiegò. «Fidati di me.»
    La guardò ed annuì. «Okay.»
    «E fatti un doccia. Puzzi.»
    Il bagno dell’ospedale era dall’altra parte del corridoio, Courtney gli diede degli asciugamani, sapone ed una pila di vestiti con cui cambiarsi. Non lo accompagnò, ma sapeva che lo stava seguendo con lo sguardo mentre passava dall’altra parte. Si infilò in bagno e chiuse la porta; non c’era molto là dentro, ma Zach capì subito perché Courtney non fosse preoccupata di lasciarlo solo, nonostante fosse il primo giorno che si alzava: nella doccia c’erano i maniglioni ed uno sgabello, era un bagno pensato anche per chi non ce la faceva. Gli mancava una doccia vera, si sentiva bene, voleva uscire. Ma non protestò, non poteva, non dopo tutto quello che stava facendo Courtney.
    Si guardò allo specchio, era la prima volta che lo faceva da quando era stato operato e si vide sciupato, davvero sciupato, nessuna sorpresa che si fosse sentito tanto affamato. Sollevò la mano per toccarsi il viso – doveva anche radersi – la manica della maglia si spostò e lo vide: aveva l’avambraccio ricucito. Non si ricordava, immobile nel letto e stordito com’era stato, non si era accorto gran ché delle proprie condizioni. Si sfiorò la cicatrice lucida e netta: si era ferito quando era caduto? Ma non era caduto, i Veggenti l’avevano appoggiato al muro. Si tolse la maglia e si guardò anche la cicatrice che aveva al fianco, per un secondo ebbe lo strano desiderio, quasi un impulso, di vedere la propria giacca da Vegliante, ma lo soffocò: se stava guarendo davvero, l’avrebbe rivista presto e forse a quel punto non ne sarebbe più stato tanto entusiasta. Si infilò nella doccia e tirò la tenda.
    All’inizio andò tutto bene: l’acqua era calda, il sapone profumava, lui si sentiva bene, Becky era di sotto. Era tutto perfetto. Poi quella tenda iniziò a sembrargli un po’ stretta, ma si disse che conosceva la propria claustrofobia, sapeva di chi era colpa e sapeva che non aveva senso. Chiuse gli occhi ed immaginò ampi spazi intorno a lui, un prato verde che non aveva mai visto, però non riuscì a mantenere il controllo su quell’idea: la sua visione andò a fuoco, il cielo diventò nero, il prato terra bruciata.
    C’era qualcosa che camminava in lontananza, non la vedeva perché era circondata da un tornado di detriti. Era qualcosa che lo spaventava, perché se si fosse avvicinata troppo, se lui fosse stato davanti al suo cammino l’avrebbe ucciso, smembrato, smontato pezzo per pezzo.
    Spalancò gli occhi e quella tenda era davvero stretta, le orecchie iniziarono a frusciargli e la testa fece una capriola.
    Si aggrappò al maniglione e qualcuno tirò la tenda.
    Zach guardò sua madre fissarlo, ferma, controllata. Si allungò all’interno della doccia e chiuse l’acqua, poi gli sfiorò la mano che stringeva il maniglione. Lui fu quasi sul punto di lasciare il suo appiglio per aggrapparsi a lei, ma scosse la testa. «Mamma, mi apri la finestra?»
    «Certo.»
    Si allontanò e subito dopo percepì l’aria fredda sulla sua pelle umida. Quando tornò aveva tra le mani un accappatoio celeste che gli porse. Zach lo infilò e si sedette a terra nella doccia, con la nuca contro le piastrelle dietro di lui e gli occhi chiusi.
    Sua madre sfilò le scarpe ed andò a sedersi sul piccolo sgabello in un angolo della doccia, allungò una mano ed anche ad occhi chiusi, Zach la trovò e la strinse.
    «Raccontami quello che ti fa paura.» propose, lo faceva sempre, di solito quando si svegliava in seguito ad un incubo. Sua madre era sempre stata lì, seduta sul suo letto a chiedergli di raccontarle. Ma stavolta non si era svegliato.
    «Solo un capogiro.»
    Non poteva credergli, era sua madre, sapeva quando mentiva, ma non gli chiese altre spiegazioni.
    «D’accordo.» acconsentì lei.
    «Mamma?» aprì gli occhi e le lanciò un’occhiata. «Tu lo sai, cosa mi sta dando Courtney e perché sta funzionando, vero?»
    La donna annuì.
    «E non hai intenzione di dirmelo.» dedusse.
    Scosse la testa con un sorriso dolce, strinse di più la sua mano. «Guarda te stesso, Zach. Quando hai dei dubbi guarda sempre te stesso.»

Courtney rimase a lungo sul tetto del palazzo con la sacca di sangue ormai vuota tra le mani. Aveva sbagliato, aveva pensato che Romeo avesse ideato un modo per farle far fuori Zach senza sporcarsi troppo: si era sbagliata. Zach respirava, mangiava, camminava e faceva la doccia da solo: un miglioramento del genere in un solo giorno sembrava un miracolo.
    «Te lo avevo detto.»
    La ragazza alzò gli occhi su Romeo ad una discreta distanza da lei, sembrava guardingo, pronto a scappare. Dopo l’ultima volta che era stata presa alla sprovvista, Courtney si era messa una pistola nella tasca del camicie ed evidentemente lui lo sapeva.
    La tolse di lì e la posò accanto a lei sul muretto dove si era seduta, come segno di pace.
    «Mi stai chiedendo troppo.» gli disse, sincera.
    «Ti sto chiedendo di darmi retta, almeno finché Zach non sarà fuori di qui.» precisò.
    Courtney scosse la testa. «Non posso farlo.» disse dispiaciuta. «Non posso dimenticare anni di pensieri, di convinzioni, di…»
    «Ma se tutto questo fosse sbagliato hai intenzione di continuare a sbagliare?» le domandò interrompendola.
    C’era un mondo tra lo scalino sul quale era seduta ed il punto in cui Romeo stava in piedi di fronte a lei; un mondo pieno di diffidenza, bugie – dette da chi? – dolore. Veglianti e Veggenti negli anni avevano avuto le loro perdite, i loro lutti, continuando ad incolparsi a vicenda per l’uno o l’altro dolore. Se si fossero trovati davanti un nemico comune, sarebbero stati in grado di voltarsi, insieme, dallo stesso lato del campo di battaglia.
    Perché dovevano sempre combattere?
    Non rispose sospirò, se avesse avuto delle prove, qualcosa da studiare o con sui confrontarsi forse, ma in quel modo… non poteva semplicemente fidarsi delle parole di qualcuno che l’aveva sempre voluta morta.
    «Lindsey dice che non mi lascerai morire.» non aveva specificato il nome, ma era stato chiaro a chi si riferiva.
    «E ti sorprende?»
    C’erano frammenti di ghiaccio nella sua voce.
    «Perché?»
    Romeo parve pensarci un po’, Courtney osservò i suoi occhi pallidi, chiedendosi se la vedesse, se lo stesse fissando o se semplicemente stesse osservando lo sguardo vacuo di qualcuno che non poteva vedere. Scosse la testa. «Effettivamente oggi non trovo motivi validi.»
    Si voltò e Courtney pensò che sarebbe volato via. Si alzò in piedi lasciando cadere la sacca di sangue, allontanandosi incoscientemente dalla pistola. «Aspetta.»
    Lui si fermò.
    «Se avessi bisogno di contattarti?»
    «Per dirmi che?» le chiese brusco girandosi a metà.
    «Se avessi qualcosa da dirti?» riprovò.
    Si voltò completamente verso di lei, c’era qualcosa nella sua espressione a metà tra lo stupore, lo scetticismo e la consapevolezza. Si avvicinò lentamente fino ad esserle di fronte, Courtney tremò, ma si impose di non muoversi. Lui si infilò una mano in tasca e le porse un cerca persone. «Ci sono un sacco di tetti agibili a Synt, chiamami ed io ti aspetterò su quello della costruzione dove ti trovi in quel momento.»
    Lei annuì, ma lui chiuse le dita sulle sue e la trattenne: non aveva finito di parlare, ma a Courtney sembrò comunque di essere in trappola.
    «Tu, tu e basta.» precisò.
    «Okay.» deglutì. «Mi dispiace.» disse.
    Romeo rise, ma sul suo viso infuriava una tempesta che la stava spaventando a morte. Ripensò a quando aveva riso con lei, quando era stato solo un ragazzo che rideva divertito dalle sue domande da drogata: quel giorno non era quella persona.
    «Hai salvato Zach ed io ti sono riconoscente per questo.»
    Lui scosse la testa mordendosi il labbro. «Hai paura.» disse. «Non sei riconoscente, sei assecondante.» fissò i suoi occhi e stavolta Courtney conobbe la risposta: stava fissando lui e per quanto evidentemente rovinati gli occhi di Romeo erano tutto fuorché vacui.
     Gli afferrò anche l’altro polso, prima di avvicinarsi a sussurrarle all’orecchio. «Girami a largo, per un po’ non avrò voglia di sentirmi nobile perché sto cercando di salvare un gruppo di stupidi ragazzini che mi vogliono morto. Ti ho dato fiducia, il mio sangue, tu hai insultato me, la mia gente, le persone che mi hanno salvato e dato un motivo per rimanere in piedi. Oggi penso che tu avessi ragione l’altra notte: siete dei mostri, dovrei uccidervi tutti.»
    «Devo avere paura di te?» gli domandò fissandolo. Courtney aveva lo stomaco sotto sopra, come ogni volta che aveva visto Romeo decidere per la vita di qualcuno di loro. Mai la sua, ricordò distrattamente. Chiuse gli occhi e lei non si mosse, lo osservò con attenzione, come se, studiandolo con abbastanza impegno, avesse potuto vedere anche lei quello che si nascondeva dentro le sue palpebre abbassate. Poi vide un livido e provò una tenerezza istintiva, era familiare, anche loro erano coperti di lividi dalla testa ai piedi; scrollò una mano e la allungò per scostargli il collo della maglia dove si perdeva…
    E Romeo le afferrò il polso, trattenendola.
    Aveva gli occhi aperti ora e la fissava. «Devo andarmene.» disse.
    La sua pelle era pallidissima, qua e là spruzzata di lentiggini. Vedeva il battito del suo cuore alla base del suo collo.
    «Che hai visto?» gli chiese.
    «Come finirà questa discussione.»
    In quel momento le sembrò tutto molto strano, si sentiva la testa leggera, la mente lontana, come se fosse di nuovo drogata. «E non ti piace?» disse alzando gli occhi sui suoi, con un’audacia che non riconosceva come propria.
    “Sicura di essere una Vegliante, signorina Williams? Perché parla come una Veggente”.
    Le sembrò in difficoltà mentre rispondeva. «Ecco…»
    «Non sei costretto a dirmelo.» dichiarò Courtney decidendo sul momento che la sua fiducia andava ricompensata con la propria e se lui era a disagio a risponderle poteva decidere di non farlo, senza ripercussioni sulla fragile alleanza temporanea che stavano creando. Fece un passo indietro, un alito di vento le smosse i capelli portandole un soffio del suo profumo, sapeva di disinfettante, sapone.
    Romeo la guardò, Courtney pensò che nella sua indecisione ci fosse qualcosa di molto umano e molto normale. Romeo era normale, la stretta sui suoi polsi lo era stata, il tocco della sua pelle, il colore dei suoi lividi.
    «Ti perdonerò.»
    «Perché?»
    Si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma l’ho visto.» le lasciò le mani e Courtney incrociò le braccia sul petto nervosa, c’era qualcosa che la inquietava nell’aria.
    «Che altro hai visto?»
    Romeo non rispose, girò i tacchi. «Continua a dargli il mio sangue.» disse prima di andarsene.

Nate mi aveva portata con lui nella Zona Gialla, aveva delle commissioni da sbrigare tra le quali l’acquisto di un nuovo cellulare per me. Aveva finito per comprarmene due ed aveva parlato con l’operatore telefonico perché mi spostassero il mio vecchio numero; non lo volevo, il mio vecchio numero, non volevo niente della mia vecchia vita.
    Mentre lui mi trascinava da una parte all’altra, come un palloncino legato al polso di un bambino, io guardavo Synt intorno a me, i suoi abitanti. La maggior parte di loro erano Veggenti, gli altri simpatizzavano con Romeo; eravamo cuccioli, ingenui e tonti, in un branco di lupi che aveva ben chiaro in mente chi azzannare.
    Se quello che Romeo mi aveva raccontato era vero, aveva ragione, ma credergli senza prove era folle.
    «Romeo mi ha detto di andare a controllare una cosa.» dissi a Nate, non c’era nessun altro al quale potessi dirlo. Nessuno che avrebbe capito davvero.
    Lui mi guardò sorpreso e comprensivo. «Ci vuoi andare? Non sei obbligata a…»
    «Dobbiamo andarci.» precisai.
    Nate guidò con attenzione fino alla fabbrica in disuso dove avevamo organizzato la partita a Bandiera Svizzera. Percorremmo la strada in silenzio, sapevo che si stava chiedendo se non fosse una trappola, me lo stavo chiedendo anche io; ma sapevo anche che Nate era affamato di risposte e spiegazioni.
    Non ci sarebbe stato modo per entrare in una fabbrica di Mitronio in uso, ne eravamo consapevoli, ma potevamo farci un’idea osservando quello che era stato lasciato in quella abbandonata.
    Nate rallentò di fronte all’entrata, ma io lo spronai a proseguire ed andare sul retro. Lì l’erba pallida di Synt aveva preso il sopravvento rendendo difficile il passaggio. Scesi dall’auto e feci il giro raggiungendo il mio accompagnatore, aveva già gli occhi fissi su quello che eravamo venuti a vedere. Poco lontano da dove ci trovavamo, c’erano delle costruzioni di materiale trasparente, enormi scatole di plexiglass come quelle delle Aste.
    «Sono serre.» disse Nate.
    Mi prese la mano e ci dirigemmo nella loro direzione.
    Ci si sarebbe aspettato che l’interno fosse invaso dalla vegetazione selvatica come l’esterno, invece quella in cui entrammo era soltanto abbandonata, anche piuttosto pulita. Nate studiò la terra sulla quale una volta crescevano delle piante, ormai soltanto rami secchi, ed alzò lo sguardo sull’impianto di irrigazione, cupo. Raggiunse una scatola a terra, la centralina degli impianti, la scoperchiò ed iniziò a frugare all’interno, mentre io percorrevo la serra. L’aria era stantia e pesante, l’odore di decomposizione pressante, anche se non sembrava esserci qualcosa di davvero marcio.
    Improvvisamente dall’alto arrivò un boato, guardai le tubature dalle quali inizialmente sbuffò fuori soltanto aria, poi arrivò il resto.
    All’inizio mi sembrò acqua, forse un tantino più scura, ma ero sicura che fosse per il disuso; poi i miei capelli iniziarono ad assorbirla e fu difficile ignorare come i miei riccioli sembrassero tanto verdi, sollevai una mano studiandomi con orrore il palmo verde.
    Raggiunsi Nate di corsa ed uscimmo di lì.
    Salimmo in macchina in fretta dirigendoci, altrettanto in fretta, verso Synt.
    Eravamo entrambi sconvolti e ricoperti di liquido verde.
    Nate si fermò a metà strada, dall’altra parte del parabrezza c’era Synt, nella sua perfetta precisione geometrica; dietro di noi una fabbrica di veleno e di piante avvelenate: verdure, frutta… a chi toccava la mela avvelenata?
    Nate scese dalla macchina sbattendo lo sportello, lo guardai congiungere le mani dietro la nuca e ciondolare; lo vidi piegarsi in due ed urlare la sua frustrazione. Rimase accovacciato a terra.
    Lo raggiunsi con le mani strette al corpo, non sapevo se fosse la tensione o il fatto che fossi completamente bagnata, ma mi sentivo intorpidita per il freddo. Mi rannicchiai di fronte a lui, senza sapere cosa dire.
    «Che ti ha detto Romeo?» mi chiese in un sussurro.
    Aprii la bocca, ma ci ripensai, in qualche modo timorosa del dover ripetere con la mia stessa voce le sue parole: sarebbe stato un po’ come farle mie, un po’ come ammettere che ci credevo. Ci credevo?
    «Che ci danno il Mitronio per dieci anni.»
    Sospirò, si sfilò gli occhiali e si strofinò gli occhi lasciandosi strisce verdastre sul viso. «Il periodo di leva.»
    «Poi non serve più.» mi leccai le labbra. «Ha detto che Zach non può più prenderne, che non è come…» presi fiato. «Non è come noi. Ma dice che l’ADP, suo padre lo controllano troppo e che se anche stessimo attenti al cibo prima o poi troverebbero un modo per…»
    «Vuole che glielo consegniamo.» mi interruppe fissandomi.
    Annuii piano. «Potrebbero essere tutte bugie.»
    «Potrebbero.»
    «Io non gli credo.» dichiarai.
    Lui rise. «Ma siamo qui.»
    «Lo diciamo agli altri?»
    Sospirò pensandoci, ma poi scosse la testa. «Ti immagini dire una cosa del genere a Courtney? Per com’è nervosa in questo periodo farebbe una strage.»
    «Che facciamo?»
    «Sei innamorata di Zach?»
    Lo fissai, gli occhi enormi nei suoi. Feci di sì con la testa.
    «Dovresti passarci più tempo. Io gli credo.»
    «Io posso sparargli.»
    Rise amaro. «Non lo farai, sei arrivata quando la situazione era già più stabile, non hai idea di quanto sia stato male. Courtney era uscita di testa, se è vero che lo ami non avresti retto mezz’ora.» sospirò. «Ti saresti aggrappata a qualsiasi falsa speranza, lo farai.»
    Deglutii. «Che facciamo?» domandai ancora.
    Lui lanciò un’occhiata intensa a Synt prima di tornare a rivolgersi a me. «Siamo ricoperti da capo a piedi di Mitronio, ci facciamo una doccia.»

«Ehi.» Lindsey entrò nella stanza di Zach sorridendo. Non era vestita da infermiera ed aveva con lei una borsa molto capiente, il tipo di borsa che si preparava prima di intraprendere un lungo viaggio.
    Courtney, indaffarata nel suo lavoro a maglia di copertura, lanciò un’occhiata di sbieco alla ragazza e si alzò. «Vado a sgranchirmi un po’ le gambe.» disse per togliersi dai piedi.
    Lindsey aspettò che uscisse, prima di sedersi al suo posto. «Si dice in giro che stai meglio.»
    Zach non aveva smesso di guardarla neanche per un secondo. «Te ne stai andando.» concluse.
    Abbassò lo sguardo e fece una smorfia. «Non posso restare, Zach, non chiedermelo.»
    Scosse la testa. «Non lo sto facendo.»
    «Perfetto.»
    Zach si tirò su a sedere. «Grazie per tutto quello che hai fatto.»
    Lei sorrise appena, poi si sciolse in lacrime, Zach scese giù dal letto lentamente, si abbassò e la abbracciò. Non poteva fare altro, era insopportabile farle tanto male senza poter fare niente per impedirlo. L’ultima volta che avevano litigato, quando poi tra loro era tutto finito, era stato perché non era riuscito a portarla al ballo: ridicolo. Si era rotto la spalla e se fossero state due persone normali, se il mondo fosse stato diverso, ne avrebbero riso.
    Però lui non era normale, per quanto volesse esserlo per lei ed il mondo era orribile e con una spalla rotta non poteva accompagnarla al ballo. Lindsey non era cattiva, né egoista, era sempre stata la persona più paziente del mondo, soprattutto con lui. Però voleva una vita normale, l’unica cosa che lui non poteva dargli.
    «Vattene, Liz, tu che puoi scappare, scappa.»
    Lei si mosse, Zach non se l’aspettava e rimase ad occhi spalancati quando, senza nessun preavviso, premette forte le labbra sulle sue. La bocca di Lindsey era un insieme di nostalgia ed affetto, Zach ricordava ogni cosa condivisa con una nitidezza disarmante: ogni notte che si era intrufolato in camera sua passando dalla finestra, ogni bacio che si erano dati all’uscita di scuola, ogni risata, ogni coccola, ogni scenata di gelosia per Courtney. Non c’era mai stata nessun’altra ragazza che Zach avesse sentito tanto sua quanto Lindsey.
    Si allontanò, lo allontanò e Zach continuò ad osservarla in silenzio mentre si dirigeva verso la porta, ogni passo che la portava un po’ più lontana dalla sua vita.

Courtney venne a dirci che avrebbe passato la notte in caserma da Jared, che possibilmente non voleva scocciature, ma che, comunque, il suo cellulare sarebbe rimasto acceso tutta la notte.
    «Torno domani per somministrargli la sua terapia, ha già mangiato…»
    «Dobbiamo cambiargli il pannolino?» chiese Matt sarcastico. «Sembra che tu stia parlando con una baby-sitter.» spiegò.
    Lei gli lanciò un’occhiataccia, abbastanza rilassata da arrabbiarsi di nuovo con Matt, in modo un po’ distorto quello era buon segno. «Non fate casini.» ci rimproverò tutti secca.
    «Ce l’hai una fiala di sangue sua?» domandò Nate.
    Courtney lo osservò pensierosa poi scosse la testa. «A cosa ti serve?» gli chiese preoccupata.
    «Niente di importante.» cercò di tranquillizzarla debolmente. «Te lo spiego domani. Può essere pericoloso prenderla?»
    «No.» disse semplicemente. «Se lui è d’accordo puoi prenderla.»
    Io rimasi in silenzio. La notte prima era stato molto semplice infilarsi abusivamente nel suo letto: dormiva, io ero ancora emotivamente scossa dal dubbio di non sapere come stesse, mi era mancato troppo per fermarmi a pensare a quello che stavo facendo. Quella sera era diverso, volevo andare da lui, ma avevo anche paura. Non era incosciente e tutte le cose non dette tra noi, non potevano restarlo. E se non mi avesse voluta lì? In fondo la notte prima non gli avevo esattamente chiesto il permesso.
    «Oh, cheerleader, va’ da lui.» sbuffò Courtney. «Non startene lì con quel punto interrogativo stampato sulla fronte.» si lamentò.
    Annuii. «Vi servo qui?» chiesi a Nate e Matt.
    Entrambi mi guardarono scettici.
    «Ti vogliamo bene, Becky, e mi piace proprio tanto averti qui, ma non è che tu ci sia proprio utile.»
    Li guardai fingendomi oltraggiata.
    «Va’ da lui.» mi incoraggiò Nate. «Farò il prelievo domattina.»
    «Preservativi ne hai?» mi domandò Matt.
    «Ehi!» esclamai arrossendo.
    «Matt, che diavolo c’è nel tuo cervello?» chiese Courtney sconsolata. «Sua madre dorme nella stanza accanto.»
    «Non è che con Lindsey passassero la dogana.»
    Lei scosse la testa scoraggiata. «Che ci parlo a fare con te…» ci fece un cenno con la mano che comprese tutti. «Buonanotte, piccini, mamma Courtney si prende una serata libera.»

In camera di Zach c’era sua madre, rimasi incerta sulla soglia senza sapere esattamente come comportarmi, prima di decidermi e bussare alla porta già aperta. Entrambi si voltarono verso di me e nei loro movimenti c’era la traccia genetica della loro familiarità. La signora Douquette somigliava a suo figlio in molti particolari, mi chiesi se anche caratterialmente fossero simili.
    «Ciao.» mi salutò Zach. «Mamma, lei è Becky.»
    «Oh, la famosa Becky.» sua madre mi studiò da capo a piedi e da piedi a capo. «Come stai, tesoro?»
    «Bene.» annuii con un sorriso. «È un piacere conoscerla, signora.» dolorosamente riconobbi mia madre nelle mie parole. Sapevo che Jean le aveva detto del mio ritorno, sotto mia richiesta le aveva anche chiesto di lasciarmi del tempo, che li avrei chiamati io appena me la fossi sentita.
    «Anche per me.» ricambiò lei prima di alzarsi. «Vado a controllare che tuo padre non tratti le infermiere come cameriere.» si chinò a dargli un bacio e mi fece una carezza sulla spalla mentre si allontanava.
    Zach si tirò su, i suoi movimenti erano precisi quel giorno, senza esitazioni, era palese che stesse meglio.
    «Respiri da solo.» osservai facendo un cenno del capo all’ossigeno che si trovava comunque accanto al suo letto.
    Lui seguì il mio sguardo. «Già, cammino anche, oggi ho fatto la doccia da solo.»
    Risi e mi avvicinai sedendomi sulla sedia. «Caspita, un paio di giorni e ti troverò a fare le capriole.» ribattei sarcastica.
    Zach mi osservò, seduta sulla sedia, ed assottigliò lo sguardo, lasciando intendere che non era lì che avrebbe voluto mi sedessi. Io però non sapevo ancora esattamente come volevo gestire quella situazione e per il momento quella distanza mi piaceva, anche se mi inquietava un po’: la parte più intima di me scalpitava perché gli mancava la sua pelle. Zach riusciva a parlare a parti di me che non avevo saputo di avere.
    «A cosa stai pensando?»
    Scossi la testa. «È da quando sono tornata che sto cercando di rimettere ordine in tutto, ma è difficile.» sospirai. «Lo era già, gli ultimi giorni passati in caserma sono stati un delirio: ti ho sparato, tu mi hai aggredita di notte e Romeo e…»
    «Ehi, calma, Becks.»
    «Voglio spiegarti di Ryan.» dichiarai improvvisamente. Lui batté un paio di colpetti sul letto accanto a lui ed io lo raggiunsi. Non fu difficile come mi sarei aspettata, Zach rimase in silenzio per tutto il tempo ed ascoltò tutto quello che avevo da dire: come Matt avesse scoperto che Rose e Ryan erano la stessa persona, come me lo avesse poi raccontato, come quella notte mi fossi spaventata.
    «Perché non me lo avete detto?» domandò Zach quando ebbi finito.
    Sospirai. «Matt aveva paura che tu le facessi del male.»
    Lui mi guardò sorpreso. «Matt aveva paura di questo?!» mi domandò sconvolto. «Non l’avrei mai fatto, è la sua Rose.»
    Mi strinse nelle spalle. «Il nostro lavoro non cambia, dobbiamo scegliere cosa fare con i Veggenti una volta per tutte e portare avanti quella decisione con tutte le conseguenze.» gli lanciai un’occhiata. «Avevi ragione nel dire che quello che avevo fatto mi rendeva una traditrice, lo faceva davvero.»
    Zach si avvicinò, ero nello spazio lasciato libero dalle sue gambe ripiegate a metà sotto le lenzuola. «Tu che ne pensi?» disse posandomi una mano alla base della mia schiena.
    Sospirai. «Penso che non avrei voluto mai vederti fare una cosa del genere, sarebbe stato come vederti aggredire me.»
    «Non potrei mai farti del male.» osservò.
    «Ci hai provato.» gli ricordai ad occhi bassi, la sua mano che percorreva la sporgenza della mia spina dorsale su e giù.
    Si fermò, metà mano sul fondo della mia maglietta e metà sulla mia pelle lasciata nuda. «Già, ti ho tagliato una maglietta e baciata. Sono proprio una mente malvagia.» ribatté ironico. Ripiegò di più il ginocchio e ci si appoggiò sopra con il braccio libero e la bocca, la mano sulla schiena si infilò sotto la mia maglia.
    Gli lanciai un’occhiata ed approfittai del fatto che non mi stesse guardando per avvicinarmi fino a toccarlo. Lui si raddrizzò scivolando con il braccio finché la sua mano non fu sulla mia pancia nuda, in basso, sentivo le sue dita premere sulle ossa del mio bacino, senza superare la barriera dei pantaloni però. Chiusi gli occhi appoggiandomi a lui, sapevo di star respirando in modo meno regolare, ma non sapevo se lui se ne fosse accorto.
    Una parte di me voleva scappare e nascondersi in posto sicuro dove poter riprendere fiato, l’altra immaginava le sue mani percorrermi tutta.
    Mi morsi le labbra e mi tirai indietro i capelli. «Come è stata per te quella notte?» azzardai un’occhiata, avevo l'orecchio sul suo cuore e lo sentivo battere piano. Gli appoggiai una mano sul fianco e sentii i suoi muscoli tendersi per un attimo quando li toccai. Avrei voluto baciarlo in così tanti posti, che stavo seriamente prendendo in considerazione l'idea di compilare una lista.
    «Ambivalente.» si strinse nelle spalle e mi baciò tra i capelli. «Guarda che ero davvero arrabbiato ed ero davvero lì per scoprire se…» si fermò ed abbassò lo sguardo su di me che ad un certo punto gli avevo sollevato la maglia e stavo sfiorando piano la linea del suo fianco. Non c'era una vera logica nel perché lo facessi: mi piaceva la sua pelle, la consistenza, l'odore, il sapore. «In definitiva se preferissi Romeo a me.»
    Scossi la testa, quasi turbata da quel suo pensiero. Premetti di più il viso contro la sua maglia e respirai il suo odore.
    «Ma poi tu non stavi ferma, tipo adesso, io ti ero sopra, e tu non ne volevi proprio sapere di stare ferma… e magari quella di starti sopra non è stata proprio la migliore decisione tattica che io abbia mai preso e…» sospirò ed alzò gli occhi al cielo. «Che sfinimento che sei, Becks!» disse prima di ribaltarmi e spingermi sul letto sotto di lui.
    Rimasi senza fiato, mentre lui chinava il viso su di me e mi sfiorava con il naso il collo; le coperte, sotto le quali lui era stato infilato per metà, che ci avevano seguiti ed avvolti in due bozzoli adiacenti. Lasciai andare un respiro così caldo che me lo immaginai ardente, rosso.
    «Eh.» fece Zach fermandosi e tirandosi su, con il viso sopra di me. «Proprio in quel modo.»
    Gli lanciai un’occhiata furiosa, poi cercai di spingerlo via.
    Qualcuno bussò alla nostra porta. «Rallentate. Zach, sei convalescente.» ci rimproverò la voce di Jean. Entrambi ci voltammo verso di lei, ma era già passata. Ridacchiammo ed io lo guardai, luminoso e bellissimo.
    «Mi sei mancato.»
    Zach mi guardò, quasi stupito, poi si abbassò con delicatezza fino a premere le labbra contro lei mie. «Anche tu.»

Lindsey uscì dalla porta dell’ospedale dopo aver consegnato la sua lettera di dimissioni al direttore. C’erano stati abbracci, lacrime da parte delle altre infermiere con le quali aveva lavorato tanto a lungo. Non poteva dire di essere triste ad andarsene, era rimasta solo per Zach ed era la cosa più dolorosa che potesse fare, sapere che finalmente il suo compito era finito l’aveva resa leggera come una piuma.
    «Signorina Stuart.»
    Impallidì e si fermò, immobile nel parcheggio. Si lanciò una vaga occhiata intorno, tanto per accertarsi che no, non c’era nessuno che potesse soccorrerla ed anche in caso contrario chi avrebbe avuto il coraggio di accusare Logan Douquette per aggressione.
    Si voltò e lo guardò negli occhi, dolorosamente gli stessi di Zach.
    «Cosa gli sta somministrando la signorina Williams?»
    Lindsey deglutì, ma non vacillò. «Sangue.» rispose con semplicità. «Quello che gli abbiamo sempre dato.»
    Logan Douquette assottigliò lo sguardo, ma sorrise, un sorriso da squalo. Non si era mai sentito tanto piccola ed insignificante.
    «Il sangue di chi, allora?»
    Non rispose e lui si avvicinò. «Vedi, mia cara, la tua fedeltà nei suoi confronti è folle: mentre tu sei qui fuori a rischiare la vita per lui, lui sta rotolando nel letto con un’altra ragazzina.»
    La vista di Lindsey si offuscò: rischiare la vita.
    «Niente di nuovo, Zach è sempre stato piuttosto volubile a livello affettivo, proprio come sua madre.» scosse la testa. «Donna meravigliosa, una madre fantastica, pessima moglie.»
    Gli somigliava, pensò con dolore Lindsey, Zach somigliava a suo padre, in come si muoveva, come gesticolava.
    «Perciò la prego, signorina Stuart, mi racconti cosa sta succedendo.»
    Lindsey lo guardò e cercò nei suoi ricordi Zach, quello che si arrampicava sulla finestra, che mangiava i tramezzini che preparava lei quando tornava dalle ronde, che si svegliava con gli incubi nel cuore della notte e cercava il suo abbraccio. Che chiamava suo padre nel sonno.
    «No.»
    «Ci sono foto che la ritraggono in compagnia del Veggente con i capelli rossi, davvero vuole venire indagata?»
    Lindsey si fece forza in sé stessa. Raddrizzò la schiena e lo fissò. «Non importa con cosa mi minaccia, non importa se mi uccide. Può torturarmi, incarcerarmi, fare quello che vuole, ma lui vivrà, capirà e non le permetterò mai più di indurlo a comportarsi come il suo giocattolo.»
    «Io ho fatto in modo che fosse così.» disse duro.
    «È molto più di quello che voi avete creduto, è tempo che lo sappia anche lui.»
    Logan Douquette la studiò attentamente. «È straordinario che tante donne bellissime vogliano proteggerlo. Chissà cosa vi racconta?»
    Lindsey non rispose.
    «Ad ogni modo se lei non vuole collaborare…»
    Accadde tutto troppo in fretta per gli occhi civili di Lindsey: il signor Douquette barcollò all’indietro coprendosi il viso con una mano e Jamie Ross si mise davanti a lei. Bruciava di rabbia, tremava, Lindsey l’aveva incontrato qualche volta, non l’aveva mai visto tanto furioso.
    Logan Douquette lo osservò e sorrise. «Ma tu non sei l’amichetto di Sean?»
    Jamie si avvicinò, afferrò l’uomo per il colletto della camicia e se lo tirò sotto. «Sa cos’è che ho visto quando ho seppellito Sean?» gli chiese fissandolo. «Zach che le piantava una pallottola nel cervello.»
    «Non lo farebbe mai.»
    Jamie Ross sorrise. «Non lo sottovaluti, lei non è tipo da commettere errori tanto stupidi.»
    «Perché non ti ha riconosciuto?»
    «Perché gli date vagonate di Mitronio, ha causato danni.»
    «Permanenti?»
    Lo lasciò spingendolo via. «Conosce da solo la risposta, altrimenti non avrebbe ucciso Sean.»
    «È un caduto di guerra, improbabile credere che quella bomba fosse opera mia, non credi?»
    Per un attimo Jamie vide tutto rosso e Lindsey pensò che l’avrebbe ucciso, ma c’era un buon motivo per cui dove rimanere vivo ancora per qualche mese. Gli afferrò il braccio cercando di trattenerlo.
    «Jamie, non puoi.» disse piano.
    Il suo petto si alzava ed abbassava veloce.
    «Sai di non poterlo fare, ti prego.»
    Jamie le lanciò un’occhiata e sbatté le palpebre diverse volte, come tornando al presente. «Okay.» acconsentì. Le prese la borsa e le passò un braccio intorno alle spalle. «Non sono venuto solo, signor Douquette.» disse indicando con un gesto l’intero parcheggio.
    Lindsey si guardò di nuovo in giro ed ora c’erano persone, in piedi ed immobili come statue.
    «Faccia il bravo.» gli consigliò stringendo Lindsey più forte. «Ti porto al sicuro.» le sussurrò.


cosa dire? sospetto che niente risulterebbe efficace come: anche io voglio rotolarmi nel letto con Zach...
quindi proseguiamo...
allora, Lindsey se ne va, non credo che la rivedremo, ma non garantisco. d'altra parte i Douquette non sloggeranno ancora per un po', quindi Logan Douquette bisogna sorbircelo per un altro po'... ve lo dico, la parte della fabbrica con Nate, mi è piaciuta proprio tanto. Nate sta percorrendo gli scalini del mio cuore a tre a tre, non che non gli volessi già bene, ma è stupendo...
ma è normale fangirlare per i propri personaggi?! boh...
cmq, vi lascio i contatti: facebook e Twitter
ah, per l'aggiornamento: siccome la prossima settimana non ci sono perché sto in vacanza - tre giorni soli, don't worry - direi che il prossimo capitolo verrà postato venerdì 29, per ulteriori modifiche sarete informate!
baci
   

   
 
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