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Autore: _Carrotscupcake_    19/08/2014    3 recensioni
Sono John Watson e oggi risolvo casi con il mio migliore amico e marito Sherlock Holmes. Sherlock è un genio, un vero e proprio genio, l'ho visto risolvere i quesiti più assurdi in meno di un minuto, davanti ai miei occhi. Ho deciso di scrivere questo blog affinché tutti possano apprezzare la sua intelligenza quanto l'ho sempre apprezzata io, e amarlo, anche se sembra impossibile dato che al mondo non esiste una testa di cazzo più insopportabile di lui. Questa storia parla del nostro primo caso assieme e di come, lentamente, ha fatto sì che lo amassi, e aveva solo diciassette anni.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Dal blog di John Watson: Uno strano tipo di tempesta.

Quando conobbi Sherlock Holmes avevo solo vent’anni. Frequentavo il secondo anno di medicina al Kings College, e lui era all’ultimo anno di superiori.
Era un venerdì pomeriggio, un venerdì pomeriggio estremamente grigio e piovoso, niente di insolito per chi abita a Londra, ma quel venerdì di ottobre il cielo era particolarmente scuro e tutta la città vibrava di una strana aria di tempesta, e io non sapevo che la vera tempesta, quella che travolge tutto e non ti lascia più tornare indietro, sarebbe arrivata nella mia vita di lì a poco.
I miei genitori, che lavoravano entrambi, mia mamma come sarta e mio padre come operaio, mi avevano pregato di andare a prendere mia sorella Harry, per controllare che non avesse di nuovo saltato la scuola per andare a bere con la sua migliore amica. Sapevo che non l’avrei trovata lì. Eppure andai, per non farli preoccupare troppo, pensando che avrei trovato un modo per recuperare Harry e portarla accasa sana e salva.
In macchina ci volevano 15 minuti per arrivare alla scuola, ma decisi di andare a piedi, per risparmiare i soldi del taxi o della metro, arrivai a scuola alle quattro e mezza, un quarto d’ora dopo l’orario d’uscita, e pensai che avrei dovuto cercare di risparmiare i soldi per una macchina. La scuola era formata da due grandi edifici quadrati, decisamente brutti e grigi che spiccavano nel cortile verde e rigoglioso come due sonori pugni nell’occhio. Vagai nel cortile per un po’ nella vana speranza di trovare mia sorella, ma non trovai lei. Trovai invece due ragazzi, biondi e brufolosi con le felpe della squadra di football. Uno di loro, quello più alto e più biondo, così biondo da sembrare addirittura brizzolato, teneva per il cappotto un ragazzo dall’aspetto dinoccolato, alto e con i capelli scuri. Mi avvicinai subito per aiutarlo: non riuscivo ad assistere ad una scena di violenza senza intervenire, e comunque non era giusto. Alzai il passo per raggiungerli e, cercando di sfruttare il fatto che ero più grande di loro, dissi con voce autorevole.
<< Ehi, c’è qualche problema qui? >>
<< Nulla che ti riguardi. >> rispose rozzo l’altro ragazzo, quello biondo cenere, che aveva il naso aquilino e gli occhi scuri e arrabbiati, mentre l’amico continuava a tenere il ragazzo per il collo del cappotto.
Feci un passo avanti, per sembrare più minaccioso, cosa che mi riuscì abbastanza bene, considerato la mia statura molto insignificante quando paragonata a quella degli energumeni che avevo di fronte. << Ora dovreste andarvene. >> dissi.
Il ragazzo più biondo mollò finalmente la presa dall’altro e mi rivolse un sorriso beffardo, aveva un nasino all’insù e dei superbi occhi azzurri, sembrava il banalissimo stereotipo del ragazzo carino e prepotente, e pensai a quanto a volte potessero essere così poco interessanti gli esseri umani, conoscere Sherlock avrebbe stravolto completamente la mia idea, poiché lui è la persona più interessante che ancora oggi mi sia capitata di incontrare.
<< Oh guarda un altro idiota da picchiare. >> disse quello, senza perdere il suo sorriso. << Cole, tieni fermo il pivellino, io mi occupo dello scocciatore qui. >>
Cole ubbidì senza fiatare, tenendo fermo quel ragazzo per le spalle, voltandomi verso di loro mi resi conto che lui aveva gli occhi chiusi, ma nulla nel suo volto indicava paura, aveva le sopracciglia rilassate e la bocca leggermente schiusa, quasi stesse dormendo, o fosse sovrappensiero.
<< Allora. >> il ragazzo biondo richiamò la mia attenzione.
<< Senti, possiamo lasciare perdere? Non voglio farti male. >> dissi tranquillo.
Di tutta risposta il ragazzo rise e si spinse con forza verso di me. Non fu necessario che io facessi molto, gli presi un braccio stringendolo forte, lui se ne accorse troppo tardi e si spinse ancora verso di me stirandolo, poi quando si accorse del lieve dolore si girò di scatto, ma dal lato sbagliato. Nel suo volto si formò una specie di smorfia che rappresentava di certo dolore, ma misto a rabbia e forse anche paura. Quando lasciai il braccio, lui non esitò a separarsi da me.
<< Ti ho slogato un braccio. >> dissi tranquillamente. << Se me lo porgi potrei provare a metterti a posto la giuntura. >>
Il ragazzo mi guardò con gli occhi sbarrati, facendo un piccolo passo indietro, e stringendo la mascella dal dolore.
<< Ok, chiaramente non lascerai che io ti tocchi di nuovo. >> aggiunsi. << Allora bendalo e mettici del ghiaccio, il dolore potrebbe metterci un po’ a passare, prova con degli analgesici. Ah.. e dovresti evitare gli allenamenti di football per questa settimana. >>
Il ragazzo mi guardò come se stessi parlando esperanto, e non riuscì a far altro che grugnire, Cole allora si avvicinò a lui.
<< Luke, lascia perdere andiamo. >> gli disse, e lo trascinò via senza dire una parola.
Mi girai verso il ragazzo che avevo appena soccorso. << Stai bene? >> chiesi.
Lui aprì gli occhi, erano azzurri. Ma non solo azzurri, erano chiarissimi e brillanti, come il ghiaccio o come la superficie del mare quando il cielo è sereno, c’era qualcosa in quegli occhi che mi fece pensare fosse il caso di osservare meglio il ragazzo a cui appartenevano. L’avrei giudicato carino, e lo era di certo, ma il primo aggettivo che mi affiorò nella testa guardandolo fu “particolare”. Non avevo mai visto un ragazzo così in tutta la mia viya, era molto alto, o comunque il cappotto scuro e col bavero alzato che portava lo faceva sembrare alto, decisamente più alto di quanto lo fossi io; aveva i capelli scuri e ricci, che contrastavano con la sua pelle chiara e i suoi occhi azzurri; il naso era marcato e gli zigomi alti e ciò rendeva il suo volto tagliente e spigoloso, le labbra invece erano chiare carnose e delicate; quel ragazzo sembrava molto giovane.
<< Non era necessario che tu lo facessi. >> mi rispose con freddezza.
<< Un grazie sarebbe sufficiente. >> dissi io.
<< Comunque che ci fai qui? >> asserì lui, sempre con un tono distante e indifferente, il suo viso era esattamente rilassato come quando quei due ragazzi erano sul punto di picchiarlo, quasi fui infastidito nel notare quanto la mia presenza non avesse alcun’effetto su di lui.
<< Io sono.. >> iniziai a rispondere.
<< No, non me lo dire. Tu studi medicina al Kings College e sei anche molto bravo. Sei qui per venire a prendere tuo fratello che di solito marina la scuola, perché non andate d’accordo? Oh certo, ovvio, con tutti i sacrifici che la tua famiglia fa per pagare la scuola lui salta le lezioni per andare a bere con gli amici? Non lo puoi sopportare. >> concluse con un sorriso saccente, che mi diede i nervi, e interessò allo stesso tempo.
<< E tu.. tu come fai a sapere queste cose? >> rimasi a guardarlo un po’ perplesso e lui sorrise. Per la prima volta vidi il suo volto prendere vita, mi accorsi che aveva acquisito esattamente contezza della mia presenza, quasi mi stesse esaminando, il suo sguardo si era illuminato e così i suoi occhi azzurri sembravano anche più belli.
<< Non le so, le ho dedotte. >> rispose secco e capii che in quel momento non avrebbe aggiunto altro, lo divertiva lasciarmi così a metà tra l’interessato e confuso.
<< Allora, che ci fai ancora a scuola venti minuti dopo la chiusura? >> chiesi.
<< Facevo un esperimento >> fece le spallucce. << Mi serviva di guardare l’andatura di alcune persone di passaggio, in relazione alla loro postura per.. oh, lascia stare. Noioso. >>
<< A me non annoiava. >> risposi, e non lo feci per gentilezza, ero sincero.
<< Non per te ascoltarmi, ma per me spiegare. Posso sentire il tuo cervello ronzare, i tuoi pensieri mi disturbano. >> disse lui, era odioso e insopportabile, quasi mi pentii di aver impedito a quei ragazzi di riempirlo di pugni. Eppure rimanevo lì a parlare con lui, perché avevo bisogno di sapere.
<< Mi dici come hai fatto a dedurre quelle cose su di me? >> chiesi, senza mezzi termini.
<< Mmh, ti ho detto che è noioso sentirti pensare. >> ma era chiaro che stava morendo dalla voglia di dirmelo, sorrideva.
<< Oh avanti, smettila di fare tanto il presuntuoso, con quel sorriso misterioso, tenendomi sulle spine solo per sembrare più figo. >> esclamai esasperato.
<< Non lo sto facendo. >> risposte lui, ma senza smettere di sorridere.
<< Sì che lo stai facendo. >>
<< No. >>
<< Beh allora falla finita e dimmi come hai fatto. >>  dissi, e il suo sorriso si fece più ampio, così seppi che stava per spiegare.
<< Elementare. >> iniziò. << La cartellina che hai in mano, è del King’s College, quindi è ovvio che studi lì, ed è chiaro dal modo in cui ti sei lanciato in mio soccorso come se fossi stata una donzella in difficoltà che ti piace risolvere situazioni difficili, inoltre sapevi esattamente come fare per slogare il braccio a quel ragazzo senza il minimo sforzo ed esattamente cosa fare per curare la slogatura, quindi è ovvio che studi medicina. Sei troppo grande per essere uno studente, troppo piccolo per un genitore, chiaro che tu sia qui per un parente stretto, per probabilità un fratello. Ovviamente se non avesse avuto problemi non avresti sentito la necessità di venirlo a prendere, sarebbe potuto tornare da solo, anche perché non ti ho mai visto qui prima quindi non sei uno di quei familiari che vengono regolarmente. Che problemi può avere un ragazzo a scuola? Se fosse stata una rissa sarebbero dovuti venire necessariamente i genitori, quindi deve marinare la scuola, e poi sapere che beve è facile, visto che è quello che fanno tutti i ragazzi quando saltano le lezioni qui, tranne me, ma io sono un’eccezione. Come faccio a sapere che non andate d’accordo? Hai serrato la mascella quando ho parlato di un fratello, è il tuo sguardo si è indurito, probabilmente non condividi le sue azioni, il ché avvalora la mia ipotesi che beva. E delle ristrettezze economiche? Facile, sei venuto qui a piedi, e lo vedo dalle gocce di pioggia sul tuo cappotto, nessuno viene qui a piedi, perché non ci sono case a meno di mezz’ora di distanza e poi c’è una stazione qui vicino, quindi probabilmente sei venuto a piedi per risparmiare. Lo si vede anche dai vestiti, sei un ragazzo che si cura e si vede, ma nello stesso tempo i tuoi pantaloni risalgono almeno a tre anni fa, lo si vede dagli orli che prima erano piegati mentre adesso la cucitura è stata sciolta perché sei cresciuto in altezza, i ragazzi benestanti ormai non portano per un anno consecutivo gli stessi pantaloni senza cambiarli. Infine il fatto che sei bravo, se le precedenti deduzioni sono corrette, e immagino che lo siano, diventa ovvio. Dal momento ché gli studi universitari costano troppo e per studiare al King’s College, che è una delle università più prestigiose di Londra avrai avuto bisogno di una borsa di studio, ergo sei bravo. >>
Rimasi per un secondo a fissarlo con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, e non mi accorsi nemmeno di quanto stupido potessi sembrare in quel momento, ma lui sembrava molto stupito dalla mia reazione, e mi guardò leggermente in confusione, quando avrei dovuto essere io quello confuso.
<< E’ stato semplicemente.. straordinario! >> esclamai a quel punto, manifestandogli quella che per me era un’ovvia reazione.
<< Lo pensi.. davvero? >> sembra ancora più confuso di prima.
<< Certo, certo. Scherzi? Wow. >> dissi io, ancora completamente sbalordito.
<< Nessuno ha mai questa reazione. >>  rispose lui, trattenendo un piccolo sorriso.
<< E che reazione hanno? >> chiesi.
<< Solitamente quella di mandarmi a ‘fanculo. >> confessò lui, lasciandosi andare a quel sorriso e illuminandosi.
Ridacchiai, trasportato dal suo entusiasmo.
<< Forse un grazie sarebbe stato sufficiente. >>
<< Già. >> disse lui pensieroso. << Senti, se vai sempre diritto sulla strada principale, poi giri a sinistra nella prima stradina alla fine di questa, se siri a destra, c’è un vicolo cieco, lì ci trovi tuo fratello. >> continuò. << E’ lì che vanno a bere i ragazzi di questa scuola a bere. >> aggiunse poi, notando il mio sguardo sbalordito.
<< Beh, misterioso sconosciuto con tutte le risposte, quest’informazione ha salvato la mia giornata. >> gli sorrisi.
<< Può valere come un grazie? >> chiese lui, sorridendo.
<< Niente affatto. >> replicai. << Ma ora devo proprio andare a cercare Harry. >> aggiunsi, facendo qualche passo indietro.
Lui fece le spallucce, e mi sorrise, ma non fece niente per salutarmi. Così dopo avergli rivolto uno sguardo imbarazzato, mi voltai per andarmene.
<< John! >> avevo già fatto qualche passo veloce quando lui mi chiamò, mi voltai subito.
<< Per il grazie la prossima volta.. >> disse lui, sorridendomi, questa volta, non so come, il suo sorriso non sembrò egocentrico o psicopatico, ma quasi addirittura dolce.
<< Come cazzo fai a sapere il mio nome? >>
<< E’ scritto sulla cartellina, John. >> ridacchiò.
<< E hai intenzione di dirmi il tuo? >> chiesi, ma conoscevo già la risposta.
<< Così non sarei più il misterioso sconosciuto e non sarei più tanto interessante. >> rispose.
<< Penso che lo saresti comunque. >> confessai io.
<< Meglio non rischiare. >> disse lui, ma aveva messo su di nuovo quel sorriso compiaciuto che mi dava i nervi, quindi mi voltai per andare via e decisi che glielo avrei chiesto la volta successiva.


Seguii le indicazioni del misterioso ragazzo e arrivai in un vicoletto scuro e squallido, che pullulava di ragazzi ubbriachi e fatti, mi sfeci spazio tra quella gente e riuscii senza troppa difficoltà a trovare mia sorella, attaccata ad un bottiglia di vodka e tutta ridacchiante, con la sua amica che per poco non le vomitava addosso. Affrettai il passo verso di lei e la raggiunsi in poco tempo. Quando lo feci, Harry con uno scatto improvviso posò la bottiglia delle mani dell’altra, e si distanziò repentinamente da lei.
<< Che ci fai qui? >> mi ruggì contro, sprezzante.
<< Mamma e papà mi hanno chiesto di venirti a prendere. >> risposi tranquillo.
<< Beh, non ho bisogno che mi controlli. >>
<< A me sembra proprio il contrario. >> dissi, rivolgendogli uno sguardo carico di giudizio. Era ridotta proprio male, aveva i capelli appiccicati d’alcool, il trucco sbavato e i jeans sporchi e strappati per essere stata seduta a terra. << E ora di tornare a casa. >> aggiunsi.
<< No! >> si lamentò lei, pestando i piedi per terra.
<< Sei ubbriaca Harriet >> usai il suo nome completo per sembrare autorevole. << Ma capirai che se mamma e papà scoprono le condizioni in cui ti ho trovata ti metteranno in punizione per secoli, quindi ora verrai con me o io canterò su tutto. >>
<< Spregevole spia. >> mi rispose lei, cercando di alzarsi senza alcun risultato. La presi per un braccio e la tirai su, facendola appoggiare a me.
<< Adesso vieni. Ci fermeremo da Starbucks e ti prenderò qualcosa da mangiare così ti riprenderai, poi ti sciacquerai la faccia e i capelli, e spera che mamma sia troppo occupata con il lavoro per notare lo stato pietoso in cui ti trovi. >> dissi con un cipiglio severo. << Clara, dovresti tornare a casa anche tu. >> aggiunsi, rivolgendomi alla sua amica.
Harry si lasciò portare con sorprendente ubbidienza quel giorno, evidentemente era abbastanza ubbriaca da non aver voglia di protestare. Ci fermammo in uno Starbucks davvero, e mandai ai miei genitori un messaggio per avvisarli che stavamo bene. Dopo il primo muffin al doppio cioccolato Harry vomitò tutto, ma fu un bene, perché, liberatasi di una buona parte della quantità d’alcool che aveva assunto, fu molto più lucida. Le sciacquai la bocca, lavai la faccia e i capelli, e per questo, con mio grande imbarazzo, fui obbligato ad entrare nel bagno delle ragazze.
Quando uscimmo le comprai, con i soldi risparmiati della metro, una brioche secca, per alleviare la nausea, e lei la mangiò con gusto.
<< Oggi ho incontrato un ragazzo a scuola tua. >> trovai infine il coraggio di chiedere, mentre eravamo ancora seduti nello Starbucks. << Non conosco il suo nome. >>
<< Descrivimelo. >> propose lei, che chissà perché si sentiva in vena di conversazione quel giorno.
<< Mmh, alto, riccio, capelli scuri, occhi azzurri… Un po’.. strano. >> dissi io, e avrei detto anche incredibilmente intelligente, ma non pensavo che mia sorella se lo sarebbe mai ricordato per quello.
<< Oh. E’ di sicuro Sherlock Holmes. >> disse lei con un sorriso, e io subito pensai che Sherlock era un nome che si addiceva perfettamente a quel ragazzo: era particolare, era altezzoso, era diverso. Sherlock Holmes. Suonava perfetto perfino nella mia testa.
<< Beh.. che tipo è? >> chiesi incuriosito.
<< Uno strano. >> disse lei, con aria distaccata. << Uno sfigato insomma. Anche se una mia amica, Molly Hooper, non fa altro che parlare di quanto sia affascinante. >>
<< E tu lo trovi.. attraente? >> chiesi io, per qualche strana ragione il pensiero che mia sorella potesse trovare Sherlock carino mi disturbava un po’.
<< Oddio, come puoi essere così cieco. >> disse lei, leggermente infastidita, ma io non capii il motivo per cui lo fosse.
Quando uscimmo da bar Harry era ancora estremamente nervosa, e iniziò a sbuffare, quindi capii che era finito quel magico momento in cui avevamo avuto una conversazione normale, e rinunciai a fare altre domande su Sherlock, pensando che sarei riuscito a capire qualcosa da solo.
<< Sappi ragazzina, che da adesso in poi ti accompagnerò e verrò a prendere a scuola tutti i giorni, per assicurarmi che tu frequenti le lezioni con regolarità. >> le dissi con tono molto serio. Lei di tutta risposta scoppiò a ridere.
<< E’ me che vuoi controllare, John, oppure vuoi controllare Sherlock Holmes? >> mi disse, lasciandomi un tantino confuso.
<< Cosa? >> risposi.
<< Oh bene, allora non sei cieco solo per qu
anto riguarda me. Sei cieco anche su te stesso. >> disse lei, ma io continuavo a non capire.



Note dell'autore.

Mi dispiace rovinare l'atmosfera, ma l'autore OVVIAMENTE non è John Watson. Fino ad ora, mi è piaciuto dare l'impressione ovunque che fosse lui a scrivere, perché lo trovo molto carino che possiate immedesimarvi nella storia, ma sono necessarie alcune informazioni di servizio: come è evidente la storia è ambientata quando Sherlock era ancora al liceo brillante deduzione perché ho sempre pensato che incontratisi con quell'innocenza giovanile John e Sherlock avrebbero avuto più faciltà a manifestare i propri sentimenti, nonostante questo, ve lo anticipo, ci sarà un VERO E PROPRIO caso, quindi nella trama non ho scritto (o meglio John non ha scritto) menzogne. Comunque sono già molto avanti nella storia quindi aggiornerò con regolarità, anche ogni giorno se vedo che la storia piace, questo dipende tutto dalle vostre recensioni. Quindi se la storia vi è piaciuta o anche se vi ha fatto schifo fatemelo sapere! Se vi siete tanto immedesimati potete anche indirizzare le recensioni a John Watson, risponderò come se fossi lui *animo da roleplayer si manifesta* Detto questo, vado perché Sherlock mi chiama.. Bye.
   
 
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