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Autore: psychoE    20/08/2014    1 recensioni
“Curerò tutte queste ferite, te lo prometto.”
“Come farai a curare quelle che ho dentro?”
“Con l'amore.”
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi scuso anticipatamente per la poca lunghezza del capitolo ma è un periodo difficile e non sono riuscita a scrivere altro. Il prossimo capitolo sarà pubblicato verso la seconda settimana di Settembre causa esami e un'operazione che mi porteranno via più di quindici giorni. Ringrazio di cuore chi segue le mie storie e chi recensisce i capitoli.
Alla prossima!




 
 
Tuscany, Italy
August 6th 2007
09:00 am

 
“Papà?!”
“Sì, Sam, sono-”
 
Riattacco la chiamata e mi accorgo solo adesso di essere scattata in piedi. Il dispositivo cade a terra sento che mi sta mancando l'aria.
No, non poteva essere lui. Dannazione, no! Come ha fatto a trovare il mio numero?
Il primo uomo che mi ha rovinato la vita...cazzo, no!
“Brian, portami via da...da qui”
Non adesso...non un attacco di panico proprio ora. La testa mi sta per scoppiare, i polmoni non si riempiono.
“Calmati, siediti.”
“No!” grido “Voglio andare via!”
In un attimo, Brian ha messo tutto dentro la mia borsa e mi sta aiutando a mettere il vestito abbinato al mio costume. Ci dirigiamo verso l'agriturismo.
 
 
 
 
 
“Tutto bene, signori?”
“Sì, grazie.” risponde Syn, prendendo le chiavi della nostra stanza e portandomi in camera.
Appena chiudo la porta, scivolo sulla superficie di essa e cado a terra. Le lacrime scendono ormai senza controllo.
Brian mi prende in braccio e mi stende sul letto, cullandomi tra le sue braccia.
Tremo, ho i brividi e continuo a singhiozzare.
Che cosa voleva? Pensavo che a quest'ora fosse morto...o almeno, lo speravo.
“Se n'era andato, non doveva tornare...non doveva...” singhiozzo.
“Era veramente...?”
“Sì, riconoscerei quella voce tra mille...urlava sempre quando tornavo a casa...”
Lui serra la mascella e mi accarezza i capelli, sospirando e stringendomi di più.
Alzo il braccio e passo un dito sulla cicatrice, provo dolore solo a guardarla. Brian, come se mi avesse letto nel pensiero, mette una mano su di essa e la copre.
Mi volto verso di lui e lo bacio come se fosse la mia unica salvezza. Le lacrime salate mi rigano il volto e Brian le asciuga velocemente.
Non piangere...odio vederti piangere.
Non lo ascolto e gli sfilo velocemente la canotta, il mio respiro è affannato ma non riesco a fermarmi. Ho bisogno di lui e...di pensare ad altro.
Lascio che mi abbassi il costume da bagno e affonda lentamente dentro di me. E' come se mi liberasse da tutto il dolore che sto provando. Come un antidolorifico...
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo aver saltato il pranzo ed esserci riposati nel pomeriggio, mi alzo per cambiarmi i vestiti mentre Brian si è appisolato.
Metto una maglia larga bianca che mi lascia una spalla scoperta e dei leggings leggeri. Ho bisogno di prendere una boccata d'aria.
Decido di lasciar dormire Syn, così gli scrivo un biglietto dove scrivo che sono fuori; preso un pacchetto di sigarette, mi metto dei sandali ed esco.
 
 
 
Percorro lentamente un pontile, ci sono poche persone. La maggior parte sono marinai che si prendono cura delle proprie barche, sulla spiaggia intravedo dei bambini giocare con i racchettoni.
Sono alla terza sigaretta, mi appoggio ad una ringhiera e guardo il cielo colorarsi del tramonto.
Dannazione, sono in Italia con il mio ragazzo e il mio malessere interiore continua imperterrito a sovrastarmi. I miei mostri...forse non se ne sono ancora andati. Da quando mio padre ha chiamato ho capito di non essermi ancora ripresa come pensavo. E' come se avessi appena finito di costruire un castello di sabbia e fosse stato portato via dal mare.
E' una sensazione bruttissima, vero? Ed io, ora mai, la sento da anni. Ogni volta che provo a ricostruire il castello, viene demolito.
Butto la cicca e continuo a camminare. Il cellulare mi squilla: è mia madre.
 
 
Hey, mamma”
Tesoro! Come stanno andando le cose in Italia?”
B-Bene...”
Samantha, c'è qualcosa che non va?”
“Oh, mamma...”
Ed improvvisamente le lacrime tornano a bagnarmi il viso.
Cos'è successo?”
“Niente, io...devo andare.”
“Aspetta, Samantha!”

 
 
Riattacco e spengo il telefono, non posso dirle di mio padre...la spaventerebbe e non voglio che abbia altre preoccupazioni.
Ripongo il dispositivo nella borsa e riprendo a camminare, asciugandomi le lacrime col dorso di una mano.
Arrivo alla fine del pontile e mi siedo con le gambe a penzoloni. Mi accendo un'altra sigaretta, aspirando il fumo che entra deliziosamente nei miei polmoni. L'aria di mare mi accarezza il viso, quasi asciugandomi le lacrime.
Appoggio la schiena al legno duro e guardo il cielo diventare sempre più scuro. Non c'è una nuvola e posso scorgere il chiarore della luna in lontananza.
La sigaretta mi scivola via dalle dita e gemo dal dolore quando entra in contatto con la mia pelle. Con uno scatto veloce la scanso e la faccio finire in mare, massaggiandomi il punto in cui mi ha bruciata.
Noto la mia cicatrice e chiudo gli occhi per reprimere altre lacrime. Come si fa a cancellare il passato? Mi piacerebbe tanto saperlo...
Mi metto di nuovo seduta e guardo il mare sotto i miei piedi. E' piatto, forse è l'unica cosa in grado di rilassarmi, in questo momento.
Faccio per cercare nella borsa dei fazzoletti e solo adesso mi sono accorta che non li ho portati.
Appoggio la testa contro uno dei pali che regge il pontile e sospiro, chiudendo gli occhi.
All'improvviso sento qualcuno picchiettare sulla mia spalla, così mi volto. Un bambino moro, con gli occhi azzurri e con uno strano sorriso sul viso, mi sta porgendo un fazzoletto.
Allungo la mano per prenderlo e lui mi fa una carezza sulla guancia.
“Grazie, piccolo...come ti chiami?” cerco di tradurre in italiano, con quel poco che so.
Lui non risponde, mi sorride ancora.
“Non parla. Si chiama Jack. Io sono Marissa.” si intromette un'altra bambina probabilmente sua coetanea, parlandomi in inglese. E' bionda ed ha i boccoli, gli occhi dello stesso colore del bambino.
“Oh..io sono Samantha. Quanti anni avete?”
“Io dieci. Lui otto. Siamo di Los Angeles.”
“Io di Huntington Beach! E i vostri genitori dove sono?”
“Là c'è nostro papà” indica un uomo, che li sta controllando da lontano sorridendo.
Ricambio il sorriso e vedo il piccolo Jack sedersi a fianco a me e prendermi la mano. Mi fa cenno negativo con la testa e poi asciuga una mia lacrima con la sua piccola manina.
“Non parla da quando la mamma è andata in cielo.”
Mi si stringe il cuore sentendogli dire questa frase.
“Mi dispiace tanto...”
Lei non mi risponde, si stringe nelle spalle. Jack mi fa dei gesti.
“Vuole sapere perché stavi piangendo.”
“Stavo solamente pensando a delle cose belle, mi sono commossa...”
“Non si dicono le bugie!” esclama Marissa incrociando le braccia.
Abbasso lo sguardo e sorrido, scuotendo la testa.
“Hai ragione...non ricordavo una cosa bella.”
“Tu assomigli alla mamma. Era tanto bella e aveva i capelli lunghi come i tuoi. Lo sta dicendo anche Jack.”
“Beh...lo prendo come un complimento, allora!”
Lei mi fa un sorrisino sghembo e prende per mano il fratellino, facendolo alzare. Lui mette il broncio.
“Jack, dobbiamo andare, altrimenti papà rimane da solo!”
Il bambino esita un po', ma si rassegna. Si avvicina a me e mi butta le braccia al collo, abbracciandomi. Rimango sorpresa da questo gesto.
Si stacca dopo poco e mi fa altri gesti che prontamente la sorella traduce.
“Dice che devi essere felice e che non devi più piangere.”
“Oh. Ci proverò, piccolo...” gli accarezzo la testa cautamente.
Entrambi mi salutano e tornano dal loro papà, prendendolo per mano. E' incredibile come siano riusciti a cambiare il mio umore quei due piccoletti. Sono piccoli ma forti.
Scaccio subito via dalla mente il pensiero di quello che poteva essere mio figlio e mi soffio il naso col fazzoletto di carta.
“Sam!”
Mi giro e vedo Brian che mi corre incontro, così mi alzo e lo guardo perplessa.
“Cazzo, sono ore che ti cerco. Hai visto che ore sono? Le otto, cazzo.”
“Oh...emh, non me ne sono accorta.”
“Mi ha chiamato tua madre dicendomi della vostra conversazione e mi è preso un colpo. Perché hai spento il cellulare?”
“Non volevo che mi richiamasse, non voglio che sappia di mio padre...e scusa, non volevo farti preoccupare.”
Lui si avvicina e mi guarda negli occhi, il suo sguardo s'incupisce.
“Hai pianto...piccola, non voglio che resti da sola.”
Non gli rispondo, mi avvicino ancora di più e lo abbraccio lasciandomi stringere forte.
 
 
 











 
Tuscany, Italy
August 7th 2007
09:00 am
 
“Sam...”
“Mmh”
“Sam, sveglia, dobbiamo andare...”
“Un secondo...”
“Samantha, sei una dormigliona.”
Apro di malavoglia gli occhi, mugolando mentre mi stiracchio. Inspiro forte il profumo di Brian e sorrido, quanto lo amo.
Lo guardo: è già vestito e si è fatto la doccia. Sono solo le nove del mattino...ma cosa...?
Mi puntello sui gomiti e vedo un vassoio con dei pancakes e del succo di arancia sopra. La mia colazione preferita.
“Mangia, tra due ore dobbiamo essere all'aeroporto.”
“Aeroporto? Partiamo già?”
“No, piccola...ho una sorpresa per te.”
Prima che io possa replicare, mi poggia l'indice sulle labbra. E va bene, per questa volta non farò domande.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo aver fatto colazione ed essermi vestita, fuori dall'agriturismo ci aspetta un taxi. Ho troppo sonno per ragionare e ho solamente voglia di dormire...anche se non posso negare di essere eccitata per quello che faremo. So che sarà bello. Brian ci sa fare con le sorprese.
Durante il tragitto chiudo gli occhi e il tempo passa in un batti baleno. Siamo davvero all'aeroporto, pensavo stesse scherzando!
Scendiamo dall'auto e mi prende per mano, un uomo sbuca da chissà dove e ci dirige verso un elicottero.
“Brian...ma che...”
Mr e Mrs Haner?” chiede il ragazzo con un evidente accento italiano.
La domanda di quello che sembra essere il pilota mi fa arrossire all'istante e credo di aver stretto più forte la mano di Syn per un attimo. Sentirsi chiamare Mrs Haner fa un certo effetto...un po' mi fa ridere.
“Sì, siamo noi.” risponde deciso lui, facendomi spuntare un grande sorriso.
“Molto piacere, io sono Marco, il vostro pilota. E' la vostra prima volta?”
“In realtà non è per me, ma per lei...” fa una pausa e mi guarda “Tesoro, hai mai fatto un lancio col paracadute?”
Sbarro gli occhi e guardo Brian incredula.
“Deduco di no!” scherza Marco.
Dall'elicottero scendono un ragazzo ed una ragazza.
Ci vengono presentati come Gabriele e Sabrina, il co-pilota e l'istruttrice. Spero che sia uno scherzo.
“Brian...tu non vorrai...”
“Oh, sì. Andrai tu lassù.”
“Che cosa?!”
“Fidati di me...ti farà bene.”
Sabrina mi porge una tuta blu da indossare, la prendo con riluttanza e la tengo tra le braccia.
“Non posso farcela, Brian.” lo guardo come per pregarlo.
Lui rivolge uno sguardo ai tre e mi prende per mano, portandomi un poco più lontano da loro.
“Sam, ti farà bene, davvero. C'è stato un periodo della mia vita in cui ero sempre nervoso e nemmeno il judo riusciva a calmarmi. Così mi hanno consigliato di fare un lancio col paracadute e cazzo se mi è servito. Lassù potrai urlare...liberarti da tutto. Io ti aspetterò qui.”
“Perché non vieni con me?”
“Tutto ciò riguarda solamente te. Io non ti servo, non in questo momento. Hai semplicemente bisogno di sfogarti.”
Mi mordo un labbro e sento il cuore battermi a mille, l'adrenalina sta facendo il suo effetto, direi.
“Allora?” mi chiede, con lo sguardo speranzoso.
Mi tolgo i sandali e indosso la tuta, legandomi poi i capelli in una coda. Davvero lo sto facendo?
Mi porta nuovamente da Sabrina e mi da un bacio veloce, lasciandomi salire sull'elicottero che nel mentre ha acceso i motori.
L'istruttrice aggancia le sue imbragature alle mie e mi ritrovo appiccicata con la schiena al suo torace. Che Brian abbia scelto appositamente una donna? Dovrei chiederglielo.
Le pale iniziano a girare ed il rumore è quasi assordante ma penso di potermi abituare.
Il mio ragazzo – o dovrei dire marito? - mi saluta con un cenno quando iniziamo a decollare.
Mi siedo di fianco a Sabrina e cerco di stare tranquilla ma con pessimi risultati.
“Andrà tutto bene. Credimi, ti sentirai meglio dopo.” mi rassicura lei.
Dopo un paio di minuti raggiungiamo l'altezza giusta e la ragazza mi fa cenno di camminare.
Oh cazzo...oh cazzo!” grido quando vedo la terra a chissà quante centinaia di metri da me.
“Pronta?”
“Io...io...”
“Lo prendo come un sì.”
Con un passo voliamo giù dall'elicottero ed è come se esplodessi. Urlo a pieni polmoni, sentendo l'aria quasi mancarmi. E' una sensazione...fantastica.
E' come se avessi le ali e fossi libera. Forse lo sono e devo solo accorgermene...forse ho io la chiave delle manette che tengono in prigionia la mia vita.
Voglio iniziare ad avere sempre questa sensazione e non voglio che serva un lancio col paracadute. Ci riuscirò...ne sono certa.

 

  
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