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Autore: La Setta Aster    21/08/2014    1 recensioni
Vi è mai capitato, scrutando il cielo, di sentire dentro di voi la sensazione che altri occhi come i vostri siano puntati al firmamento in cerca di risposte? E se vi è capitato, avete provato a parlare con le stelle? Aster, una ragazza aliena di Neo Cydonia, e James, un giovane terrestre come voi, a distanza di anni luce hanno in comune un cuore sempre in fuga dal mondo, in direzione dell'universo.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La notte era tarda, ma a James Cervi non importava: se ne stava sdraiato sul tetto di casa sua, appena fuori dalla finestra dell’abbaino, scrutando le stelle, come ogni notte. Mio caro mondo, nel caso non te ne fossi accorto, io sono qui, vivo nella tua società. Un minimo di riguardo sarebbe gradito, grazie. Cordiali saluti, uno sfigato. Il suo messaggio, in quel momento, era diretto al mondo, al suo mondo. Lui era un ragazzo che non sentiva affatto di essere normale, non come tutti gli altri. Viveva nell’abbaino di Casa sua per poter avere il cielo più vicino e gli esseri umani più lontani. Pluribocciato con una gran voglia di fuggire dal mondo, James si stava distaccando sempre più dalla realtà, facendo preoccupare i genitori e i parenti. Ma loro non potevano capire, per loro la sua era una malattia del cervello da curare con psicologi e medicine, non potevano capire affatto che quel ragazzo aveva solo bisogno di un mondo che semplicemente non esisteva. Nella sua mente aveva un’utopia che non avrebbe mai visto, un insensato vortice di emozioni, esplosioni, che a volte per poco non lo commuovevano al solo immaginare. Non era raro che gli occhi luccicassero sotto un cielo terso e splendido come in quella serata, dinnanzi all’infinito. Aveva diciassette anni, ma si sorprendeva ancora come un bambino davanti a un fulmine, e si emozionava ancora nel vedere tante bellezze che per un adulto diventano quotidiane. L’anima del ragazzo si distaccò dal corpo e prese il volo alla ricerca di strani nuovi mondi, suoni, sapori, profumi, emozioni. Per un attimo, solo qualche sera prima, gli era parso di essere ascoltato da qualche altro cuore, nell’universo. Sentì che due occhi come i suoi, solo non terrestri, anche in quel momento osservavano insieme a lui ciò che si estendeva per uno spazio infinito, col naso in su. Non si sentiva più solo. Forse era soltanto la sua mente che si ribellava a quel profondo senso di solitudine che non se ne voleva andare, come la puzza di pesce che si imprime nei capelli. Ma che male c’era a non volersi sentire soli? Diavolo, dico queste cose proprio io che non credo in alcun Dio! Alla fine, che diritto ho io di criticare i religiosi, io che parlo con le stelle. Decise di aprire un dialogo con la sua fantasia. Si concentrò sulla stella che sembrava chiamarlo, finché non riuscì ad immaginare, quasi a vedere un tunnel di luci argentee e diamantine, un canale di comunicazione mentale verso quell’interlocutore che, dall’altra parte della cornetta, stava ascoltando lui. Mai come in quel momento gli sembrò più vero.
Extraterrestre, se veramente esisti, vieni qui, ti prego. Disse alla sua amica al di là dal cielo. Prendimi e portami via da qui, portami lontano, sul tuo od altri pianeti. Non m’importa. A cavallo di stelle comete, a zonzo per la galassia, tu ed io, vienimi a prendere e portami via di qui. Questo era il messaggio che ripeteva con disperata speranza, come se quella che era ben conscio essere solo fantasia infantile potesse rivelarsi qualcosa di più. Per qualche minuto, permise alla sua età di cedere ai dolci e vertiginosi morsi dell’immaginazione oltre i confini di ciò che da tutti era ritenuto possibile. Stringeva i denti. Nel suo cuore sapeva che se avesse ripetuto quel segnale per altro tempo, sempre di più, sempre più forte, sarebbe riuscito a richiamare il suo interlocutore al là del cielo.

*

Aster dormiva profondamente, ancora sdraiata sulle gambe di Istor, e con ancora la sua mano premuta sul ventre. La notte si era fatta silenziosa, da quando lo schermo aveva smesso di inviare musica, allo scoccare del sonno anche nell’ultimo dei presenti, che fu appunto Aster. Ormai iniziava a sorgere il sole, ma lei fino a un paio di ore prima stava fissando il soffitto, confusa. Quella notte non aveva parlato con il suo amico, non aveva osservato le stelle. E il suo primo bacio lo dette non a un umano, ma ad un N’Krì. Lo stesso ragazzo che per tutta la notte le aveva accarezzato l’ombelico, lo stesso che non aveva mail levato il palmo dalla sua pancia. Ma quello non doveva essere il suo primo passo verso l’essere ‘donna’, lei si sentiva ancora bambina, voleva restare ancora bambina, ancora ragazza. Forse no, forse fare l’amore non avrebbe implicato l’abbandono di ogni fantasia. Quasi per caso, le tornò alla mente che quella mattina sarebbero stati resi noti i risultati di tutti gli esami sostenuti da Aster, e l’ansia la ritrovò come una bestia predatrice che dilania una preda, in fuga fino a qualche attimo prima. Riuscì ad addormentarsi solo stringendo a se il braccio che la cingeva. Ed è durante la fase del sonno nella quale i sogni si fanno vividi, che Aster vide fugaci immagini di una casa, buia, e poi, sdraiato sul tetto di essa, un ragazzo; i tratti somatici, i vestiti, lo sguardo, tutto portò il subconscio di Aster ad intuire che si trattasse di un umano. Doveva essere il suo amico terrestre, e pareva voler dire qualcosa ad Aster, qualcosa di molto importante, ma lei non poteva sentire: non era in ascolto. Un atroce senso di colpa la prese, come se avesse perduto l’occasione di una vita per qualche carezza. Nel sogno la sensazione era molto più vivace di quanto sarebbe stata nella realtà. Presto, però, quella serie di immagini confuse svanì nel nulla, lasciando il posto a un altro sogno, che Aster non ricordò, una volta sveglia. Quando ciò accadde, l’unica presenza sveglia e vigile era Hypatia, che osservava compiaciuta lei ed Istor, e più precisamente la mano del ragazzo.
“è incredibile, ti sei lasciata toccare la pancia nell’unico punto in cui era scoperta!” le disse a voce tanto bassa da rendersi difficile da sentire.

“sì, la stessa pancia che ora è in subbuglio, così come la testa” borbottò.

“e ti ha toccata lì?”

Aster si voltò sorpresa. “no! Che tipo di ragazza credi che io sia?” alzò involontariamente la voce, e l’amica le fece segno di abbassarla.

“non so, eravate così intimi… non è mica un male, sai?”

“tu lo hai fatto?”

Hypatia si avvicinò. “non ho ancora fatto sesso, se è questo che intendi, ma un paio di coccole sì”

Era strano, per Aster, pensare ad Hypatia nuda in un letto, con un ragazzo, nudo anch’egli, che faceva l’amore con lei.

“non mi ha toccata lì, ma…” si arrestò, non sapendo come proseguire la frase.

“ma cosa? L’ombelico?”

Annuì, facendo ridacchiare di soddisfazione l’altra.

“lo sapevo! È sempre stato il tuo punto debole!”

“pareva saperlo meglio lui di me”

“oh, non ti preoccupare, Istor non è più esperto di te”

Poi ci fu una pausa, e di nuovo ripiombò il silenzio sulla stanza. Fu Hypatia a rompere il ghiaccio con un commento che fece sciogliere Aster dalla tenerezza.

“sapevo fin da quando siamo diventate ragazze che il tuo primo bacio sarebbe stato timido all’inverosimile, tremante e tanto impaurito quanto dolce. Sapevo che sarebbe accaduto in casa, in un momento in cui nessun altro poteva vedervi o sentirvi, e sapevo che sarebbe successo di notte, con un ragazzo introverso quanto te, ma che ti vede per quello che sei: bellissima” Aster si sarebbe potuta commuovere “non dar retta a ciò che dicono gli altri, perché ci sarà sempre qualcuno, come me, come Istor, come tutti qui dentro, che ti trova fantastica, sotto tutti gli aspetti” riprese fiato, per evitare di commuoversi a sua volta, poi disse la frase che fece scoppiare entrambe in un pianto gioioso, colmo di amicizia e affetto “ti voglio bene, sorellina”

Fuggendo dalla stretta di Istor, la ragazza si alzò per abbracciare l’amica. In ginocchio, sul pavimento della casa di Hypatia, mentre il sonno regnava sovrano, le due ragazze si strinsero.

“sei la migliore persona con la quale si possa vivere una vita, e troverai l’amore, perché ti meriti ogni felicità dell’universo, Hypatia!”

A colazione, mentre tutti smaltivano la sbronza e si alzavano con facce stropicciate come un foglio di carta, Aster aveva preso a raccontare le disavventure di due piccole amiche troppo curiose e con tanta voglia di correre in giro per i campi. Raccontò di quando, senza dire nulla ai genitori, presero zaino, provviste, e partirono a piedi per il monte Perseo. Furono ai suoi piedi verso sera, essendo partite la mattina. Quando tornarono, il giorno seguente, non erano né denutrite né tantomeno stanche, ma si dovettero subire una bella lavata di capo dai preoccupatissimi genitori. Hypatia, poi, raccontò di quando Aster si ruppe una gamba cadendo da un dirupo, e fu frenata solo dalle fronde degli alberi che s’innalzavano sotto di esso. Strisciò fino ad una pianura che si apriva in mezzo alla foresta, per rendere più semplice ai soccorsi aerei individuarla. Adesso Aster si sentiva davvero parte di quel grande gruppo, sentiva di aver trovato nuovi amici. Ma quella gioia fu distrutta quando, quattro ore più tardi, dovette accompagnare la madre a ritirare i risultati degli esami: fu bocciata in quattro materie su dieci, impedendole il passaggio al livello successivo. Sua madre era furiosa, le urlava contro come se fosse la peggiore feccia nell’intero universo. Le disse parole talmente gelide da vincere il caldo dell’estate, e far desiderare una calda coperta ad Aster. Quella voce iniziò a convincerla di essere una fallita, di non avere futuro nei sogni. Eppure, quella notte lei era ancora là, sull’amaca, ad osservare il cielo, con le lacrime agli occhi, e stavolta non erano lacrime di gioia.
Ti prego, rispondi! Disse al suo amico terrestre se sei in ascolto, voglio che tu sappia che se potessi partirei ora per la Terra, verrei lì da te, a conoscerti! Voglio andarmene da qui!

 Rivolse il suo messaggio alla Terra, al suo compagno, con una tale forza e con una tale disperazione, da vedere sopra di lei una scala, una scala dei colori dell’arcobaleno che si protraeva laggiù, nello spazio, e raggiungeva gli occhi di quel ragazzo, quello che vide in sogno. Lo sentiva, lo stava toccando, era come se fosse proprio lì con lei, a due passi dall’amaca dove era sdraiata. Le lacrime passarono, e altre immagini iniziarono a farsi vivide nei suoi occhi.

Tutt’un tratto, le sue vene vibrarono, le pupille cristalline si dilatarono, il cuore pulsava violentemente. Sentì dentro di se una strana sensazione, come se quella stella la stesse chiamando a se. Aveva forti vertigini, e vedeva quel lontano punto luminoso diventare sempre più vicino. Non capiva se fosse un sogno: volò prima attraverso l’atmosfera di Neo Cydonia, poi attraverso le stelle, vide per un solo secondo i suoi agognati pianeti e i sistemi, e le nebulose, e le astronavi sfrecciare negli spazi degli spazi, fino a giungere su uno splendido pianeta azzurro, verde e marrone. Era diretta nella parte in ombra, cadeva fra miliardi di luci che sembravano un nuovo universo, ma erano solo città troppo illuminate. Man mano che si avvicinava al terreno, si accorse che il suo obiettivo era un sprazzo di dolce buio e protetta oscurità, un piccolo paese verso la parte continentale di una penisola che pareva stendersi sul più soave mare di tutto il pianeta. Infine, atterrò sul tetto di una casupola isolata in un campo incorniciato a sua volta dalla città; da una grande finestra posta su un lato del tetto, aperta, scorse il sogno di tutta una vita da ragazza. Era un essere umano, sdraiato come lo era lei poco fa, su un letto e, come lei, osservava il cielo, sbuffando del fumo che traeva da una stecca con un’estremità incandescente. Ora le parole erano chiare: Extraterrestre, portami via. Altro non vide, quella sera: fu sbalzata ancora nel suo corpo su quell’amaca della solita, vecchia, Neo Cydonia. Era stato un sogno? O forse qualcos’altro? Adesso le sue chiacchierate attraverso lo spazio iniziavano ad apparirle più vere che mai.

*

Proprio in quell’istante, sfidando gli anni luce, James, prima di addormentarsi, ripeté ancora una volta la formula che dalla notte precedente gli si agitava nella mente. 


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Evidente il riferimento alla canzone ‘Extraterrestre’, di Eugenio Finardi, brano che ha per primo in assoluto ispirato questo racconto, che, come avrete notato, è molto musicato, e spesso costruito su vere e proprie colonne sonore, che vengono dettate - implicitamente o esplicitamente - al lettore. È stato anche divertente collaborare con alcune autrici della Setta per costruire i dialoghi fra Aster ed Hypatia - che leggerete anche nei prossimi capitoli, frutto delle medesimi mani femminili - e mettere in relazione la disperazione giovanile che affligge i due protagonisti, uno terrestre e uno Cydonense. Si può dire che da questo capitolo la trama s'infittisca, si faccia più definita. Al prossimo capitolo!
Ps: chiediamo tutti umilmente perdono per il ritardo, ma in questo periodo la tempistica sarà un tantino lunghina causa esami ed impegni personali. La Setta Ktypteia si scusa per il disagio. Dlin Dlon.

 
  
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