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Autore: ShadowsOfBrokenGirl    22/08/2014    1 recensioni
Non riuscivo a smettere di guardarli, mi trasmettevano calore, speranza. Erano il qualcosa che cercavo. Erano l’unica bussola che potesse guidarmi verso un porto di pace. Un’ancora in quella tremenda tempesta che stava avvenendo intorno a me. Dentro di me.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chocola Meilleure, Houx, Pierre Tempête de Neige, Vanilla Mieux
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’ancora nella tempesta

Vanilla

Una carezza

Mossi il piede coperto dal tessuto della calza scura, che lasciava trasparire la mia pelle chiara, lungo l’imbottitura di velluto del divano su cui ero stesa. Allungai verso l’alto le braccia, coperte fino ai gomiti dai guanti di seta, come ero solita fare quando mi stavo annoiando. Giocherellai con le perle che mi ornavano il collo, lasciato scoperto dal tubino nero senza spalline, che indossavo. Cercai con lo sguardo l’orologio lungo le pareti nere coperte da antichi quadri ed arazzi rappresentanti spettacoli tutt’altro che felici. Sembrava che quelle immagini tetre avessero catturato e nascosto, sotto forma di sottili fili d’oro, dentro di loro tutta la luce che doveva pur essere entrata in qualche occasione in questo castello. Luce a cui ora era negato l’accesso da pesanti tende di velluto nero, inchiodate alle imposte. Era il luogo perfetto per chi voleva vivere nell’oscurità. Per chi odiava la luce. O la temeva. Perché avrebbe mostrato tutti i suoi peccati, i suoi terribili pensieri agli altri. A se stesso. Lessi l’ora nel quadrante del pendolo, posto sulla mensola che si ergeva qualche metro più in alto del caminetto in cui scoppiettava un fuoco vigoroso. Le 9.30!
Afferrai la campanellina, posta sul mobile accanto a me, e la mossi nervosa. Una donna che aveva il viso sfregiato da una terribile cicatrice e gli occhi segnati da profonde occhiaie, entrò frettolosa. Ricordai di quanto mi avesse inorridito l’aspetto degli Orchi il primo giorno in cui li avevo visti. Ero appena scappata dal mio tutore per poter diventare la loro Regina, ma appena mi ero imbattuta in loro mi si era gelato il sangue nelle vene. Pierre mi aveva allora spiegato che la loro apparenza deforme non era altro che una manifestazione delle colpe e dei loro delitti. Del loro cuore turpe.
“Anche io diverrò così?” avevo chiesto spaventata.
“No. Noi non siamo nati Orchi, lo siamo diventati successivamente. Il nostro cuore non è sempre stato nero, una parte di quello che eravamo prima resterà sempre dentro di noi. Un pizzico di amore e di pietà per il prossimo ci marchieranno per sempre, rendendoci imperfetti. Non saremo mai completamente degli Orchi. Dei Mostri.”
Mi ero lasciata sfuggire un sospiro di sollievo, per cui lui mi aveva subito rimproverato.
“Questa che oggi ti sembra una fortuna, ti si rivelerà nella sua vera natura. Una debolezza. Ed è mille volte meglio essere deformi piuttosto che deboli.”
 
-Si può sapere, di grazia, perché non hai ancora servito la cena- la rimproverai aspramente.
-Il Principe non è ancora tornato.- si giustificò, abbassando lo sguardo imbarazzato.- Ma la servo subito, se volete … -
-Sarà meglio … -
Sparì veloce dietro una porta alle mie spalle. “Dove sarà finito?” mi chiesi curiosa. L’ultima volta che lo avevo visto si era dileguato veloce, ignorando la mia voce che lo aveva chiamato. Mi era sembrato più pallido del solito e nel suo sguardo si scorgeva una strana luce. Pazzia? Sì, i suoi occhi esprimevano proprio la follia.
Dentro di me si insinuò un sentimento nuovo. Preoccupazione? Premura? Gelosia? Ricordai l’uomo che mi aveva affascinato all’inizio della mia permanenza al Palazzo : spietato, freddo, calcolatore, senza scrupoli. Dove era finito? Ormai il Pierre che avevo conosciuto era morto. Quello con cui convivevo non ne era che l’ombra. Il fantasma. Un pazzo, un disperato.
La cameriera rientrò seguita da una schiera di aiutanti. Un gruppo di mani nodose e ricoperte di vene, messe in evidenza dalla carnagione chiara, apparecchiarono la tavola. Posate, piatti di porcellana e fazzoletti di merletto vennero disposti alle due estremità in modo consono a quanto ordinato dal galateo. Mi sedetti e cominciai a mangiare. La porta si aprì ed un’alta figura entrò nel salone. Illuminato dalla luce delle candele, riconobbi il fidato servitore di Pierre.
-Le dispiace se ceno con lei, vostra maestà?-
-Si accomodi, Sylvette. Mi faccia compagnia!-
Feci segno ad una delle donne che attendevano in piedi attorno a noi, pronte a soddisfare tutte le nostre richieste, di versargli del vino nel calice.
-Come è andata oggi sul fronte?-gli chiesi.
-Non sarebbe potuta andare meglio, mi creda. Ormai la disfatta degli eserciti di Extramondo è prossima. L’intero pianeta sarà presto nostro.-
Alzammo i calici in segno di rispetto reciproco e bevemmo un sorso di vino rosso. Era bello vedere l’entusiasmo che quell’uomo metteva nella guerra.  Sembrava essere per lui una questione di vita o di morte. Come se il fine della sua esistenza fosse portare gli Orchi alla vittoria. Vendicarli. Un fine. Mi chiesi quale fosse lo scopo della mia di esistenza. La mia mente formulò una risposta che affrettai ad allontanare.
La porta alle mie spalle venne spalancata e udii dei passi pesanti calcare il pavimento. Prima che potessi voltarmi per vedere il nuovo arrivato, Sylvette lo salutò.
-Appena in tempo, Pierre, la cena è stata appena servita … -disse.
-Non ho fame … voglio solo farmi un bagno caldo.-
Sparì velocemente, ma riuscii comunque a constatare lo stato in cui era giunto. Sconvolto, con gli occhi arrossati, completamente rosso in viso. Fuori di sé.
 
La stanza era buia e silenziosa. Mi sdraiai sulle coperte di seta, senza nemmeno togliermi i vestiti. Il letto era vuoto. Pierre doveva essere ancora in bagno, immerso nell’acqua calda che non riusciva a far evaporare le sue sofferenze. Le sue afflizioni. Incapace di accorgersi del tempo che passava.
Affondai la testa nel morbido cuscino e mi lasciai travolgere dai pensieri. Chiusi gli occhi, cercando di non prestare attenzione ai gemiti che mi scuotevano il petto. Un’ immagine si concretizzò nell’oscurità. Due occhi color miele, una chioma color cioccolato e un viso che manteneva un’espressione infantile, nonostante l’età e la barba cresciuta lungo le guance. Io, smarrita in una piazza, nel bel mezzo della battaglia. Le mie labbra, calcate da un pesante rossetto viola, avevano appena pronunciato il nome del mio amante. Senza risultato. Lui non mi aveva nemmeno ascoltato, intento come era a correre dietro lei. Gli occhi di Houx che, illuminati dal sole, potevano colorarsi di qualsiasi gradazione, dal giallo al marrone, mi avevano guardato pieni di comprensione. Sembravano riuscire a leggermi dentro, a scrutare la mia confusione. Sembravano condividerla. Anche lui era solo.
La mia mano automaticamente si mosse e mi sfiorò la guancia. Voleva mimare una carezza. Una carezza che avevo ricevuto tempo fa. Una lacrima si appoggiò sul mio zigomo destro e si lasciò assorbire dalla pelle. Fu un attimo.
Mi rividi bambina, nascosta dietro una grande quercia, a piangere disperata. I miei amici mi avevano portata ad un grande lago della Foresta Zenzero ed invitato a fare il bagno nelle sue acque insieme a loro. Io, che però non ero capace di nuotare, avevo declinato il loro invito. “Non ne ho voglia, preferisco restare qui. Andate voi!” mi ero giustificata. Loro non se lo erano fatti ripetere due volte e si erano lanciati in quel bacino d’acqua dolce. Potevo udire le risate, mentre mi rattristavo in un angolo. Da sola. Perché ero infelice. Perché non sapevo nuotare. Perché la solitudine mi soffocava. Perché non avevo tanti amici come Chocola. Quanto la invidiavo allora! Perché lei era libera, mentre io ero costretta a restare chiusa nel Palazzo. Perché lei era sempre allegra e solare, mentre io ero costantemente malinconica. Perché non ero lei.
 Ma Houx, che si era accorto del mio turbamento, anziché gettarsi nell’acqua mi aveva seguito e osservato in silenzio. Percepita la sua presenza, lo fissai e mi asciugai le lacrime, vergognandomi di essere stata così piagnucolona. Lui non disse nulla, ma mi accarezzò. Il contatto della sua pelle sul mio viso mi trasmise una sensazione di benessere e serenità. Era stato allora che mi ero innamorato di lui. Della felicità che solo quel ragazzo avrebbe potuto darmi. E ogni giorno avevo sofferto, costatando che il suo cuore non sarebbe mai appartenuto a me. Mai. Non sarebbe stato mai di nessun altro che non fosse lei. Lei che nemmeno vedeva le sue virtù. Lei che a stento lo notava. Lei che era innamorato di un altro. Anche in quello eravamo simili.
Una carezza. Le mani di Pierre, ancora bagnate, mi sfiorarono il braccio con un tocco leggero. Mi baciò il collo e aperta la zip del tubino mi riempì di baci la schiena. Mi voltai e vidi il suo viso. Era più calmo e rilassato. Appoggiò le sue labbra sulle mie e le baciò con passione. Sembrava volesse ritrovare il sapore di altre labbra. Delle sue labbra. O forse dimenticarlo.
Ricordai la prima volta che mi ero concessa a lui due anni prima. Anche allora aveva l’aria triste e sconvolta. Mi eccitava l’idea che lui fosse l’unico a considerarmi una donna e non una bambina viziata. Ma del resto anche l’idea di giacere con il ragazzo che Chocola aveva da sempre amato, mi aveva stuzzicato e spinto tra le sue braccia. L’avevo vista come una vendetta.
E da allora eravamo entrati in questa spirale del peccato, che non ci lasciava mai del tutto soddisfatti. Dopo che ci eravamo fatti travolgere, stesi l’uno accanto all’altro quasi ce ne pentivamo. Avevamo tradito i nostri cuori. Noi stessi. Mentre i nostri corpi erano avvinghiati, i nostri cuori battevano per altre persone.
Ci consolava tuttavia l’idea che la nostra unione potesse far soffrire chi amavamo. Cosa contava aver tradito il mio puro amore per Houx, se in questo modo potevo annebbiare il cuore di Chocola con la gelosia? Dopo essere stata io attanagliata da quel tarlo, adesso era il suo turno.
Quella sera tuttavia sembrò diverso. Gli occhi di Pierre non vagavano, ma erano fissi su di me. Guardavano me. Bruciavano per me. La mia mente mi rimandò l’immagine di altri occhi, che esprimevano sentimenti diversi dalla freddezza e dal desiderio. Le iridi di Houx, così dolci e comprensive. Allontanai quella visione dalla testa, non dovevo più pensarci. Accarezzai la sua barba ispida, che mi fece quasi il solletico al contatto con la delicata pelle della mia mano.
“Mi sei mancato”sussurrai. Il suo viso prima fermo e deciso, espresse sorpresa.
“Era da tempo che non eri così determinato e risoluto. E’ un lato di te che mi affascina molto … di certo lo preferisco al disperato eroe romantico.”spiegai.
Sorrise. Mi afferrò il viso tra le mani con forza, come se volesse catturarmi. Un brivido mi percorse la schiena e provai sinceramente paura. “Se mi preferisci così … ”.
 
-Sei stato da lei?-chiesi, appoggiando la mia testa sul suo petto.
Alzò lo sguardo. Il suo torace si alzò : respirò profondamente. Passò una mano nervosamente tra i capelli biondi. Il vento, che entrava attraverso la finestra aperta, faceva volteggiare la tenda scura che avrebbe dovuto impedire alla luce di entrare. Parte del chiarore lunare colpì i capelli di Pierre facendoli luccicare come fili d’oro. Gli stessi che adornavano gli arazzi.
-Ha detto che lei ama Houx e che sono felici insieme … -disse a se stesso, più che a me.
Quelle parole risuonarono nel silenzio che seguì. Ferme e sicure come una sentenza. Come una terribile verità.
-Ma è una menzogna!-gridai. Mi morsi il labbro inferiore e strinsi i pugni.
Felici? Come si permettevano di essere felici? Dovevano addolorarsi per tutta la vita, rimpiangendo il fatto di averci perso. Le mani presero a tremarmi, ma per fortuna Pierre non se ne accorse.
-Lo credevo anche io, ma sono stato al Palazzo. Li ho fissati attraverso i vetri dalla finestra, facendo in modo che non mi vedessero. E sono affiatati. Vanno d’amore e d’accordo. Io sono qui a struggermi e loro sono felici. Schifosamente felici.-
Cercò nervosamente qualcosa sul comodino di mogano. Nella fretta alcuni oggetti precipitarono e atterrarono sul tappeto che ne attutì la caduta. Afferrò un bicchiere di cristallo e lo lanciò con foga contro il muro di fronte a noi. Una pioggia di piccoli schegge di cristallo calò sul pavimento. Alla luna luccicavano come tanti diamanti. Corsi a raccoglierli. Sollevavo quei frammenti e li scrutavo addolorata. Sembravano i pezzi del mio cuore infranto. Uno di quei cocci mi tagliò il palmo della mano. Le gocce di sangue scarlatto mi macchiarono le mani, prima di scivolare sul marmo su cui ero inginocchiata. I piccoli brillanti assunsero un aspetto macabro, ma allo stesso tempo affascinante.  
-Non può finire così … con un lieto fine. Non deve!-esclamai.
Lui mi raggiunse e mi aiutò ad alzarmi. Lasciai andare tutti quei cocci. Mi abbracciò. Mi chiesi se volesse consolare me o se stesso. –Stai tranquilla. Non la passeranno liscia. La pagheranno. Rovineremo la loro vita, come loro hanno rovinato la nostra.-
Mi accarezzò. Ebbi l’istinto di ritrarmi, ma non lo feci. Ricordai le carezze di Houx, più dolci e calorose. Le sue mani ruvide e sporche, piene di cicatrici. Come quelle di tutti i bambini sempre pieni di entusiasmo e alla ricerca dell’avventura. Le paragonai alle mani di Pierre, più curate e lisce. Ma fredde. Come i suoi occhi. E i suoi gesti meccanici.
Mi chiesi come fosse possibile che quella impassibilità che prima mi aveva affascinato, adesso mi disgustasse? Scossi il capo. Avrei dovuto abituarmi alle sue mani. Alle sue carezze. Dovevo farmene una ragione. D’ora in poi sarebbe stato lui a darmi conforto. In questa enorme tempesta che era diventata la mia vita. Il mio cuore.
Ed ecco la parte dedicata a Vanilla. Spero vi piaccia. Scusate il ritardo, ma come vi avevo detto…ero in vacanza. Questo è il ritratto di Vanilla, la regina degli Orchi spietata quanto confusa. Soprattutto gelosa di Chocola … spero non vi dispiaccia che ho cambiato un po’ la trama dell’anime/manga nell’episodio dell’infanzia di Vanilla. Ricordo bene che realmente fu Chocola a consolare Vanilla e a trasformare il lago in un budino, ma così è più funzionale alla mia storia. Anche qui c’è l’accenno alla tempesta, ma la storia si chiama proprio “Un’ancora nella tempesta” e insieme alla delineazione dei personaggi voglio farvi capire anche quale sia la loro ancora. Ora resta l’ultimo personaggio da delineare, Houx e poi giuro che non sentirete più parlare di ancore. Xd Al prossimo capitolo   
      
 
  
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