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Autore: Ignis_eye    22/08/2014    1 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ok, dimmi di nuovo perché siamo qui».
«Ufficialmente per prendere un caffè e per distrarci dal rapimento di Sefora» spiegò Elsa al cugino.
«Ma in verità?...».
«In verità siamo qui per avere delle informazioni sulla religione dei nani e sulle loro leggende».
Damiano non pareva tanto convinto, ma aveva accompagnato comunque la cugina al Gattacicova.
«E come pensi di introdurre l’argomento? Di solito non si va in giro a fare domande del genere» le ricordò.
«Dì un po’, non ti sarai fatto contagiare da Pietro? C’è un motivo se gli abbiamo chiesto di restare a casa».
Damiano sospirò: non poteva averla vinta, Elsa riusciva sempre ad avere l’ultima parola su tutto, perciò lasciò perdere.
E poi aveva ragione: da dove veniva tutto quel pessimismo?
«Non mi sono fatto contagiare da Pietro, è solo che non so come tu possa introdurre l’argomento».
«Un modo lo troverò. Ah, ecco che arriva Irma».
La mezza nana si avvicinò a prendere le ordinazioni.
«Oh ragazzi!» esclamò abbracciandoli entrambi e quasi strangolandoli «mi dispiace un sacco per quello che è successo!».
Era davvero triste per i giovani cugini: capitavano tutte a loro, in particolar modo ad Elsa.
Combattimenti, scontri, attacchi a sorpresa, rapimenti… e adesso il rischio di morte per soffocamento:
Irma era una donna un po’ corpulenta e tracagnotta, qualità ereditate della madre nana, e questo rendeva i suoi abbracci delle potenziali strette mortali.
«Ma dovete stare tranquilli ragazzi, gli adulti stanno già preparando tutto» disse staccandosi.
I due giovani, che per via dello stritolamento avevano la faccia rubiconda come quella di un nano, erano meno agitati di lei ma dovettero fingere di essere disperati.
«Ascoltate, adesso vi porto qualcosa di buono per tirarvi su, va bene?».
«Grazie, sei molto gentile» sussurrò Elsa con gli occhi bassi.
Per un pelo Irma non si commosse vedendo tanta tristezza in una ragazza come Elsa e dovette allontanarsi in fretta per non piangere.
Quando se ne fu andata, Damiano disse:
«Sei sicura che non abbiamo esagerato con le finzioni? Irma sembra davvero tristissima».
«Beh, Sefora è stata rapita da dei mannari che possono trasformarsi di giorno grazie ad un elmo demoniaco. Direi che fa bene a preoccuparsi».
«Ma questo lei non lo sa».
«Chissà come reagirebbe se lo sapesse».
La licantropa sbirciò oltre la parete di cartongesso che li nascondeva e vide che la mezza nana stava tornando.
Benedisse quel piccolo angolo appartato: potevano parlare tranquillamente senza che qualcuno li sentisse, perché la loro posizione era tale che neanche un licantropo dall’udito finissimo avrebbe potuto ascoltare i loro discorsi.
«Ecco qui: tè e pasticcini alla marmellata di albicocche. Se avete bisogna di qualcos’altro, chiamate pure, sapete?».
«Sì Irma, grazie» disse Damiano.
La padrone del locale si allontanò e i ragazzi poterono abbandonare le loro facce da funerale.
«Ascolta, intanto che pensiamo a come buttare giù le domande, pensiamo all’indizio. Cosa dovremmo fare? Dirlo agli adulti?».
Elsa ripensò alle parole del suo maestro:
 
«Ascolta, adesso creeranno una squadra per recuperare Sefora, stai tranquilla. Ricordati però di stare sempre attenta, guardati alle spalle».
«Lo so che devo fare attenzione».
«Ma non sai a che cosa, anzi, a chi fare attenzione».
«Ma ai mannar-».
«No. Adesso non posso dirti molto, ci sono troppe orecchie che ascoltano, sappi però che il nemico è sempre in agguato. Non fidarti di nessuno, intesi? ».
«Sì ma io no-».
«Ti dirò tutto quando ne sarò più sicuro. Ricordati di fare attenzione».
 
“Ma perché cazzo non mi parla mai chiaramente?! Perché dice tutto per enigmi o lascia i discorsi a metà?!”
«No, Chan mi ha detto di non fidarmi di nessuno».
«Però a me l’hai detto».
«Però tu sei mio cugino, non uno qualunque» buttò lì con naturalezza.
Per un pelo Damiano non esplose di gioia: sentirsi dire una cosa del genere da Elsa era un evento più unico che raro, lei non dava mai a vedere quanto gli volesse bene. Si era fidata di lui.
Eppure Elsa non aveva nemmeno la minima idea di quello che aveva appena detto, non ne capiva l’importanza.
«Va bene, non diciamolo agli adulti».
« Intanto mangiamo, abbiamo saltato il pranzo».
Fece per prendersi un biscotto che un ricordo affiorò immediatamente. Sefora, la prima volta che fecero colazione assieme, ordinò esattamente le stesse cose.
«Beh? Non mangi?» domandò Damiano mandando giù il primo pasticcino.
«Non abbiamo tempo da perdere con il cibo, dobbiamo pensare a un piano!».
«Ma non avevi detto di-».
«Mangerò quando tutto sarà finito, prima devo ritrovare Sefora!».
Scrutò il bar da dietro la parete in cartongesso: erano le due del pomeriggio e a parte loro due non era rimasto più nessuno.
Si alzò e si diresse al bancone dove Irma asciugava distrattamente dei bicchieri.
«Irma…» attaccò con voce tremolante.
«Dimmi cara, cosa c’è?».
«Non riesco a fare a meno di pensare che le sia capitato il peggio».
«Oh, povera stella!».
Il suo volto mostrava tutta la sua apprensione.
«Ho paura che l’abbiano già uccisa!».
«No, abbi fede negli dèi, vedrai che la proteggeranno».
“Bingo”.
«Gli dèi?» domandò la licantropa con occhi lucidi.
«Sì. Da quando ho saputo della notizia, non ho fatto altro che pregare Syn che la proteggesse!».
«Ma Irma, né io né lei veneriamo Syn, la dea della giustizia! Non serve a nulla!».
«Se continui a pensare negativamente, Belphagor ne trarrà vantaggio!».
«Chi è Belphagor?» domandò Elsa con falsa ingenuità. Non aspettava altro che quello.
«E’ il demone della discordia, è lui che causa gran parte del male nel mondo. Ci sono una sacco di leggende su di lui…».
Damiano si era avvicinato mogio mogio al bancone per ascoltare i loro discorsi e facendo finta di aver bisogno di consolazione. Non riusciva a credere che la cugina fosse davvero arrivata al dunque solo facendo gli occhi tristi.
«Ragazzi, io non vorrei rattristarvi ancora di più…».
«Irma, raccontaci queste storie» insistette Damiano «se le lasci alla nostra immaginazione, finiremo per immaginarcele più brutte di quel che sono».
La mezza nana appoggiò il bicchiere asciutto e ne prese un altro bagnato.
«Va bene…».
Passò almeno venti minuti a parlare di leggende e miti senza avvicinarsi nemmeno un po’ a quello dell’armatura.
Elsa capì che se non fosse intervenuta, non avrebbero scoperto nulla.
Aveva ascoltato tutto con interesse, e adesso si poneva il problema: come introdurre l’argomento?
Damiano la guardò come per dire:
“Brava, fin qui ce l’hai fatta. Vai avanti, adesso”.
Alla licantropa si accese la lampadina in testa.
«E pensare che non avrà nemmeno potuto mettersi l’armatura per proteggersi! L’avranno picchiata  e magari la stanno seviziando pure ora!».
Per un pelo Irma non lasciò cadere a terra il bicchiere che stava asciugando.
«Irma? Cosa c’è?» chiese Damiano preoccupato.
«N-nulla, era bagnato e mi stava scivolando…».
Ai due cugini non passò inosservato il leggero balbettio e capirono di essere giunti al dunque.
«Sicura? Hai fatto una faccia» continuò Elsa «non è che magari ti è venuta in mente un’altra leggenda di cui non vuoi parlarci?».
La mezza nana capì di non poter sfuggire allo sguardo indagatore della ragazza, così cedette e svuotò il sacco, confermando le loro teorie e aggiungendo qualche particolare non indifferente.
 
 

 
«Visto? Ce l’ho fatta a scoprire tutto sulla leggenda! Dovresti avere più fiducia in me, cugino».
«Va bene, questa volta hai avuto ragione tu. Comunque, sei sicura che non sospetti nulla?» domandò calciando una lattina sul marciapiede «talvolta le tue domande erano un po’ insistenti».
«Non credo ci sia arrivata. E poi, non ho mai smesso di fare il mio musetto triste».
«Già, direi che possiamo stare tranquilli».
Camminavano l’uno accanto all’altra su uno stretto marciapiede pieno di buche, dirigendosi a casa di Pietro.
Il tempo era soleggiato, ma la preoccupazione non permetteva loro di vedere quanto fossero belli i giardini fioriti di luglio, nonostante i loro sensi acutissimi.
«Senti» ricominciò Damiano «quand’è che hai imparato a fare gli occhioni da cane bastonato?».
«Ho imparato da mia cugina. Quando eravamo bambine continuava a frignare».
Davide si grattò la testa.
«Quella bionda e smorfiosa, giusto? La figlia del fratello di tua mamma».
«Yes, proprio quella. Per fortuna che si sono trasferiti a Latina, lei era proprio una scassa balle».
«Ahahaha! sì, mi ricordo quando faceva la comandina senza che tu le dessi retta! Era pure tre anni più grande di te, ma tu niente, non ne volevi sapere di essere la sua bambolina».
Elsa ghignò ripensando a tutti gli scherzi che quella stronzetta le faceva e che misteriosamente le ritornavano indietro più cattivi di prima.
«Già, e ad ogni brutto tiro che mi faceva mi vendicavo. Ma adesso basta pensarci. Dopo il rapimento di Sefora, sono sicura che chiameranno a raccolta molti licantropi sparsi per la nostra nazione, spero non facciano venire anche lei».
«Mmm… speriamo. Piuttosto, sai nulla degli zii?».
Chan aveva avvertito tutti e due che in caso di interruzione della missione sarebbero stati chiamati, ma nessuno dei due aveva più saputo niente.
«Macché» rispose Elsa facendosi scura in viso «nessuna chiamata persa sul cellulare, né messaggi, né altro».
Sbuffò.
Possibile che anche dopo questo i suoi genitori dovessero continuare? E cosa stavano facendo? Sui documenti che aveva trovato nell’armadio non c’era scritto nulla di preciso. Potevano essere là a combattere oppure per cercare un accordo, una specie di tregua.
“Ma no, stanno combattendo di sicuro! Si sono portati dietro un sacco di armi!”.
Cacciò le mani nelle tasche e aggrottò la fronte.
“E gli adulti fanno pure finta di niente! Non dicono una parola sulla missione, nemmeno una!”.
Calciò in sassolino che sbatté contro il tronco di un albero scalfendolo in profondità, e andando poi a disintegrarsi contro un muretto.
«Elsa, non devi fare queste cosa in città!qualcuno potrebbe vederti!» le ricordò Damiano.
Si guardava intorno cercando di scorgere qualcuno dietro le finestre o al di là delle siepi, ma occhi, orecchie e naso non avvertirono nulla.
«Scusa ero sovrappensiero» si giustificò.
«Va bene, ma adesso sbrighiamoci ad andare a casa».
“Casa… mi sembra quasi di non averla più una casa, sono sempre in giro a pesare sulla groppa di qualcuno”.
 
 

 
«Siamo tornati!».
Avanzarono nella stretta entrata, e prima che potessero entrare in salotto, un saluto stizzito li fece trasalire:
«Bentornati. Non lo sapete che far aspettare gli ospiti è maleducazione?».
Quella non era la voce di Pietro o dei suoi genitori. No, quella voce poteva appartenere solo ad una persona, ed Elsa sapeva anche come accoglierla.
«Buongiorno anche a te, ma non lo sai che è maleducazione starnazzare in casa d’altri?».






Angolo dell'autrice:
Tanto per cominciare, chiedo scusa per il ritardo: scoccia a voi dover aspettare e dà fastidio a me non avere un secondo di tempo per scrivere e pubblicare.
Vi avviso già adesso che i prossimi capitoli non avranno lo stesso ritmo di aggiornamento, tuttavia l'attesa credo (spero) non supererà mai le due settimane/venti giorni.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Alla prossima,

Ignis_eye
 
  
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