"Ma
sei certo che sia sicuro permettergli di
andare sottocoperta?" Viktor si pulisce i denti con la punta del
proprio
pugnale, guardando in tralice il fratello.
"No,"
Niels risponde. Sembra vagamente a
disagio, come se il leggero rollare non andasse a genio al suo
stomaco; si
stringe forte al petto un pesante tomo nero. "Ma non è la
mia nave, quindi
non m’importa granché"
"Intendo,"
Viktor, accigliato, si toglie il
pugnale di bocca—un po’ di sangue secco era
incrostato in punta—"non avevi
detto che si è fatto strada nel castello bruciando i muri,
quasi?"
Niels
grugnisce, vago.
"Intendo,"
Viktor continua, strofinando
accanitamente la lama contro la manica della tunica per pulirla, e
nello stesso
tempo picchiettando il parapetto di legno con le nocche, "fuoco e legno
non vanno d’accordo, vero?"
Niels
gli lancia un’occhiata fulminante. Di norma,
Viktor era abbastanza saggio da non contrariarlo; ma qualcosa del mare
aperto
rendeva Niels meno uno stregone minaccioso e più simile a un
gatto randagio
malaticcio. "Oh cielo," suo fratello abbaia, "Ma sei proprio
intelligente! Dovremmo stare tutti in guardia quando ci sei."
Il
mare luccica sotto al sole del pomeriggio, il blu
profondo che ha quando l’autunno si avvicina; Viktor sputa
oltre il parapetto, per
buona fortuna e tanto per essere sicuri. "Beh?" scatta.
"Beh,
cosa?" Niels borbotta cupo a
denti stretti. Ha un colorito molto verde.
"Beh,
non hai intenzione di richiamarlo su?"
"Non
sono l’addestratore di Hans. Se vuoi che
risponda quando lo si chiami, faresti meglio ad andare a prendere il
suo
padrone."
Viktor
guarda alle spalle del fratello, dall’altra
parte del ponte in direzione della nave ancorata a cento metri di
distanza; un
vascello molto più grande, con la poppa più
ampia, bordato d’oro, la polena
d’oro massiccio. Quando allunga il collo oltre e attorno a
sé non c’è
nient’altro che oceano blu, a perdita d’occhio. Uno
sprazzo di nuvole
temporalesche all’orizzonte, lontano e sfocato, promette
pioggia, ma pensa che
il cattivo tempo non avrebbe colpito affatto la loro nave.
"Forse
lo farò," dice, scrocchiando il collo.
Sanno
tutti e due che è una minaccia senza sostanza.
Il
volto di Anna assume un’espressione spaventosamente assente;
sente i
nervi tendersi dalle parti degli occhi e delle labbra. Ha i denti
stretti. Ha
paura che a muoversi o ad aprir bocca
o qualsiasi cosa possa
fare un gesto completamente soddisfacente ma
completamente indiplomatico, e, considerato che
è prigioniera in una
nave straniera, presumibilmente nel bel mezzo
dell’oceano, si
accorge che deve giocarsi bene le carte, o non giocarle
affatto—
Inspira
profondamente, tremula, attraverso il naso, e trattiene; espira al
tre; ciao, Anna. Dice, "Hai un aspetto orribile."
La
parte bella è che non è una bugia detta per darsi
un po’ di coraggio—ha davvero
un aspetto orribile. Gli occhi hanno una specie di luce maniacale che
le dà i
brividi, e sembrano più pronunciati a causa delle ombre
scure sotto di essi. C’è
un livido viola, quasi nero, che va dall’angolo della bocca
alla punta dell’orecchio,
e gli contorna la mascella.
E
osa persino fare un
sorrisetto—
"Sei
per caso convinta," domanda lui, "di stare meglio di me?"
Anna
spalanca la bocca per l’indignazione; il movimento della
mascella le
fa avvertire qualcosa di secco e pastoso sul lato del viso. Si spacca e
fa
male, tirando pelle. Porta le punte delle dita a investigare, e trova
una lunga
traccia di qualcosa che va
dall’attaccatura dei capelli alla guancia. Quando
toglie la mano, essa è tutta ricoperta di una specie di
polvere di un bel rosso
ciliegia.
Sangue.
E poi, alquanto più isterica, sangue.
Sbatte
le palpebre. Una volta. Due. Tre. Ma quando si riporta le dita alla
fronte per
continuare a investigare niente fa male nel modo
in cui si aspettava che
dovesse fare, nel caso di squarci—non è
mio?
Chiude
di scatto la bocca con un clack, poi, a denti
stretti, "Per
una che è precipitata da sessanta metri, penso di avere un
aspetto bello a
sufficienza—la tua scusa qual è?"
Hans
sorride, ma è precario, e non arriva agli occhi. Il fantasma
di un
bell’uomo permane dietro il suo aspetto selvaggio e
spezzato—ma bello in un
modo clinicamente perfetto. Nel modo in cui i principi dei libri di
fiabe
sarebbero dovuti essere. Per niente uguale a come erano effettivamente,
nella
vita reale, coi nasi grossi e gli occhi espressivi e le mani piene di
calli e—
Kristoff.
E
se il sangue non era il proprio—
Il
cuore le balza in petto.
Era
caduto?
Era
caduto anche lui?
Pensa,
pensa, pensa, ma tutto quello che riesce a ricordare è il
suo viso, spaventato
e che non si vede più, sopra di lei—
Raddrizza
le spalle, stringendo i pugni contro i fianchi. Tomas è
appoggiato a una delle travi di supporto della nave, illuminato a
strisce dalla
luce che filtra da sopra, con tutta l’aria di uno che si sta
godendo lo
spettacolo. Rivolge a lui il suo sguardo arcigno, mettendoci dentro
tutta la
forza della rabbia, sentendo le labbra tendersi—"Che ne
è stato di
Kristoff?"
Il
bianco tagliente del ghigno da lupo lampeggia
nell’oscurità. Risponde,
innocente, "Chi?"
Anna
scatta. Garantito, vuole fare l’intimidatoria, ma inciampa
sui propri
piedi, e praticamente casca contro le sbarre di metallo, ma
è il pensiero che
conta, no? Le sente pressate contro il petto e le spalle e le guance ed
è così fastidioso
visto che Tomas era così vicino—allunga
la mano, il pugno stretto
come se volesse dargli un livido che poteva far coppia con quello del
fratello—
Una
mano guantata le afferra il polso.
La
rabbia di lei svanisce per un momento, per essere rimpiazzata dal
disgusto. Vuole strofinare via la sensazione di quel tocco, e i ricordi
che
vengono con esso, ma si accontenta di scostarsi un poco dalle sbarre e
voltare
la testa lentamente, lentamente, tanto lentamente. Dice, "Lasciami
andare."
Hans
la guarda quasi lascivo a occhi mezzi chiusi, la stretta tanto forte
da lasciare un livido.
E
poi lo sente.
E’
un bruciore lento e pastoso come la melassa, inizia alla base del palmo
come
una specie di calore piacevole, che cresce in temperatura, e
intensità, finchè
non si sente la pelle che va a fuoco, e tutto quello che può
fare è guardare
con orrore affascinato mentre il tessuto del guanto sfrigola, le
cuciture si
dissolvono, fumano—
Rantola,
liberando la mano con uno strattone e capitombolando
all’indietro.
Inciampa sui propri piedi e cade pesantemente sul pavimento,
dolorosamente, perché
non era normale. Oh, non era affatto
normale,
e ahi, ahi, ahi—guarda, a occhi
spalancati, prima il proprio polso,
stretto al petto, e poi la mano di Hans, piena di vesciche. "Oh, Anna,"
dice,
fissandosi la mano. Se solo qualcuno ti amasse davvero.
Si accovaccia
davanti alla sua cella, le ginocchia che scricchiolano, ed eccola che
lo guarda
di nuovo negli occhi. "Conosci la storia di Icaro?"
Il
suo avambraccio è un reticolo di dolore intenso. Voglio
Elsa,
pensa con chiarezza, fervidamente, e si sforza di trattenere la risata
che le
scaturisce in gola. Controllati, controllati—
"Volò
troppo vicino al sole," Hans dice, guardandosi la mano come
se non l’avesse mai vista prima, "e andò in
fiamme."
Britta
ha vagamente la stessa corporatura di Anna, ed Elsa sa che è
questo
ciò che l’ha condannata
dall’inizio—quasi la stessa altezza, magra,
asciutta; troppa
energia per i muri del castello. Elsa non la conosceva, e adesso non sa
che
farsene, di lei morta sul letto. Tutto quello che riesce a pensare, le
mani
allacciate avanti a sé, è che la povera ragazza
non assomigliava per niente
alla sorella, col sudario tirato giù sulle spalle. Aveva i
capelli biondo
platino; il naso grosso; una sola lentiggine sotto l’occhio
destro.
La
porta si apre, e poi passi, leggeri e incerti. Con un po’
meno forza, sente,
"Sono ven—sono qui—per
il corpo. Per quello. Devo dir loro di entrare?" Pausa. "Elsa?
Stai—stai
bene? Aspetta. È una—domanda stupida. Scusa."
Elsa
abbassa lo sguardo sulla ragazza e scuote la testa con le sopracciglia
lievemente aggrottate. "Non sono triste. So che dovrei esserlo. Tutto
quello che provo è—pietà." Adesso
è il suo turno di fermarsi. "E
gioia," aggiunge con un bisbiglio colpevole, spezzato.
"Bene,"
Albert risponde all’improvviso, distintamente. Si ferma
in piedi accanto a lei. Lei lo guarda; si concentra sulla sua spalla
destra per
qualcosa che non sia la morte. Lui osserva dall’alto del naso
storto la ragazza
con una specie di esausta rassegnazione profondamente impressa in
quegli occhi
dal colore così particolare.
Come
se ci fosse abituato.
"Bene?"
chiede stridula, serrando la bocca
contro la risata che minaccia di salirle a fior di labbra—controllati,
controllati—
"Sì,"
Albert dice serio. "Se ti
sentissi effettivamente triste, direi bene, di
nuovo. O anche se fossi
arrabbiata. O sconvolta. O qualsiasi cosa, sul serio. Anche assassina."
"Non
credo sia la reazione appropriata," fa
lei piano, rivolgendosi di nuovo alla ragazza sul letto, "quando una
persona ti dice che vuole ammazzare qualcuno."
"Lo
vuoi?"
"No."
"Sei
arrabbiata?"
Aspetta
di avvertire il sentimento bollente, giù nelle
profondità dello stomaco—ne avverte
l’inizio, l’irritazione che va e viene
contro quello che stava iniziando a riconoscere come il modo di
comportarsi di
Albert—forzare, forzare, forzare—ma
niente di troppo opprimente, come si
era sentita di recente. Solo—
"Sono
stanca," ammette, troppo tesa e
spezzata per provare vergogna; iniziano a bruciarle gli occhi. Ha caldo.
Perché ha caldo? Guarda, rapidissima, i
quattro angoli del soffitto, ma
non c’è ghiaccio appeso, lì; e non ce
n’è che si dirama dai suoi piedi. Apre e
chiude in fretta le mani.
Dov’era?
"Lo
so." Albert sembra sgonfiarsi, e si
passa le dita tra la massa di capelli. Non aveva nemmeno tentato di
darsi un
contegno, quel giorno—cascano, completamente disordinati,
sopra la fronte. Ha
un aspetto orribile, una piccola parte di lei pensa, la parte che
è ancora una regina,
la parte che non è una sorella—stanco, e debole.
Non dovrebbe essere in piedi.
Dov’era?
Sente,
poi, soffocato, dal corridoio dietro di loro—"No,
dovete permettermi di vederla. Voi dovete. State mentendo!"
Una
baruffa. Il premere piatto di stivali sul
pavimento di legno. Poi la porta viene spalancata, sbattendo contro il
muro con
tanta forza da far sussultare Elsa, che si era subito aspettata si
fosse
frantumata; si volta, velocemente, col collo che scrocchia, trovandosi
di
fronte un giovane che entra, e ha l’aria selvaggia di un
animale intrappolato
in un angolo. Kai è dietro di lui, urla fermo,
fermo, ma tutto si
confonde—tutti sembrano così tristi,
pensa debolmente. Sente Britta, morta
e pesante, fissarle la nuca.
Il
ragazzo li oltrepassa con violenza; Albert subisce
la parte peggiore dell’impatto, volando di lato come il ramo
di un salice, inciampando
col piede nella sponda del letto. Cade. Il giovane si lancia su Britta,
ed Elsa
si spinge nel baldacchino del letto, e vuole affondarci dentro.
E’ in troppi
posti nello stesso momento. È lì che sente la
colonna del letto scavarle nella
schiena. È dovunque Anna sia. È lì che
vuole andare ad aiutare Albert.
È
lì che osserva il ragazzo sul letto. Quello che sta
morendo di crepacuore.
"Sander,
datti una regolata!" Kai ruggisce,
il petto tremante. "Mostrarsi alla presenza della Regina in tale
modo—"
"Al
diavolo il decoro!" il ragazzo ulula, rivolgendosi
a loro, gesticolando verso la ragazza. "Chi è stato?"
Quando
nessuno dà una risposta dopo due, tre, quattro secondi, si
volta di nuovo in
direzione della figura silente, immobile nella morte. "Oh, Brit, non ti
volevo urlà contro. Brit, ti prego…"
"Vostra
Maestà, porgo le mie scuse per questo
giovanotto—le sue azioni sono—dettate dal
dolore—"
La
mano di Elsa le copre la bocca. Ha troppo caldo.
Il guanto è come acido sulle labbra. Scuote la testa. No,
va bene; no, non
va; no, no, no—non sa dire, cosa significhi.
Deglutisce a fatica. Ecco Kai,
che la fissa, e Albert, che si alza in piedi, e le guardie fuori,
e—
E—
Abbassa
piano la mano. "Scusatemi," esclama
debolmente, cortese.
L’aria
più fresca del corridoio la colpisce come uno
schiaffo sul viso. Stringe in mano gli orli della gonna e si affretta
quanto a
una regina sia concesso affrettarsi, e tutto quello
che riesce a pensare
è che non sta gestendo la questione come una regina dovrebbe—come
una—come
una persona dovrebbe—
Tutto
quello che riesce a pensare è, Anna è
viva.
E
nient’altro ha importanza.
"Quindi
come ci sei riuscito, eh?"
Viktor
posa il pugnale sul palmo, lo soppesa, lo
considera, e poi lo tira con forza contro l’entrata del
corridoio che porta in
coperta. Si conficca, facendo un dente nel legno. Va a riprenderlo,
continua, annoiato,
"A fare di Hans più uno spostato di quanto non sia?"
Viktor
afferra l’elsa, tira. Quando si volta,
c’è un
pezzo di legno infilato in punta. Riattraversa il ponte a grandi passi,
preparandosi
per un altro tiro. Niels lo guarda, cupo. "Ho invocato i demoni che
abitano le profondità più oscure
dell’inferno e ho offerto loro la mia anima in
cambio dei poteri del fuoco e dello zolfo."
Viktor
inizia a ridere. "E’ ridicolo, fratello."
Niels
manda giù un’altra boccata di vomito ed esclama
in tono piatto, "Hai ragione. Lo è. Ho offerto loro la mia
anima molti
anni orsono."
C’è
qualcosa nel suo tono che fa morire in gola la
risata a Viktor, e fa scivolare via il sorriso dalla sua faccia.
Grugnisce a
disagio, e lancia.
Questa
volta, non si conficca.
Viktor
sbuffa, infastidito, e va ancora una volta a
riprenderlo. Quando si volta di nuovo verso Niels, il pugnale in mano,
suo fratello
lo sta osservando a occhi stretti. Non gli piace quello sguardo. Non
gli piace
proprio. Vorrebbe poterlo tagliar via dalla faccia del
fratello—invece, si
accontenta di fare un movimento fluido, veloce, che fa volare il
pugnale—
Si
conficca, fino all’elsa, a pochi centimetri dal
naso di Tomas.
"Non
ti ho sentito salire," Viktor dice, una
specie di scusa.
Tomas
dà un colpetto alla lama, poi passa al di sotto
di essa. "Sì, beh, dubito che avresti smesso comunque. Bel
tiro, a
proposito."
Viktor
ghigna. "Sì."
"Dovresti
essere la sua scorta." La voce di
Niels sembra carta vetrata.
Tomas
guarda dietro di sé, giù dalla scalinata che si
fa sempre più buia. "Ha chiesto un po’ di tempo da
soli."
"E
pensi che sia saggio?"
"Penso
sia furbo. Paura e tutto il resto. E poi,"
Tomas continua, fermandosi al parapetto e osservando l’acqua
luccicante, "sa
cosa gli accadrà se alcun male venga fatto alla principessa
prima che sia tempo."
Niels
sbatte le palpebre, ma si calma—o, meglio, si
sente di nuovo male. Chiude gli occhi, e Viktor lo osserva contare fino
a dieci.
Alla fine riesce a dire, "Sono curioso di sapere come voi due buffoni
ci
siate riusciti. Il rapimento."
Viktor
lancia un’occhiata al gemello, con un sorriso
maligno. Tomas gli passa un braccio attorno alle spalle, languidamente,
ed
esclama, allegro—
"Ah,
che storia, ragazzi."
Elsa
siede sul balcone, il mento sulle ginocchia, i
guanti uniti, e lascia l’orrore della situazione investirla
in pieno.
Toc,
toc.
Appoggia
la fronte contro la stoffa nera della gonna.
Toc,
toc, toc.
Le
porte a vetri si aprono, con un piccolo click, e si
chiudono facendo appena rumore. Solleva la testa, stringendo le labbra.
Albert fa
quattro pasi traballanti e si sistema a mezzo metro di distanza, alla
sua
destra, la schiena contro il muro. Accavalla le gambe e alza lo sguardo
al
cielo, un azzurro luminoso, accecante; il silenzio che scende su di
loro come
una nuvola non è imbarazzante, e lo apprezza, seduta
lì. Appoggia la testa ai
vetri piombati della porta, ascoltando le grida dei gabbiani
riecheggiare nel
porto.
Alla
fine riesce a dire, "Era sulla loro nave,
allora. Quando sono partiti."
"Sì,"
afferma, semplicemente, "Direi."
Elsa
si morde l’interno del labbro, picchiettandosi
gli stinchi con i guanti. Il ritmo nervoso si interrompe; volta la
testa sul
collo rigido, osservando il profilo di Albert. "Come." Si sorprende
dalla furia oscura e tempestose che trapela dalla propria voce. Era
ingiusto da
parte sua, sfogarsi su Albert—una qualche piccola, razionale
parte di lei se ne
accorge, anche nel preciso momento in cui parla.
E’
una parte molto piccola.
Le
labbra sono tese, e secche. La guarda in tralice.
"Uccidere la ragazza, scambiare i corpi. Semplice, in teoria."
"Come
hanno inscenato la sua morte."
Albert
si strofina la faccia. "Non lo so."
"Non
lo sai," Elsa ripete. "Non lo—sono
i tuoi fratelli, Albert, di certo mi aspettavo un
po’ più di
informazioni sui loro piani, considerando che provieni dalla stessa
famiglia
depravata di—"
"Io
non sono i miei fratelli!"
Rompe
il silenzio, riecheggia, si spegne. Si strofina
la testa, questa volta, il braccio che giocherella con la manica della
tunica, mentre
si massaggia la pelle scoperta del polso.
Elsa
chiude gli occhi. "E’ questo che rende le
cose tanto difficili."
Domanda,
abbandonando le braccia sulle ginocchia,
"Preferiresti che fossi un tiranno affamato di potere?"
"Renderebbe
di certo tutto più bianco e nero."
Annuisce,
triste. "Sì."
"Chi
ti ha accoltellato?" chiede, guardando
dritto avanti.
"I
gemelli."
Chiude
gli occhi, incredula. La voce è fioca. "Perché?"
"Perché
sapevano che il mio affetto per te era
più profondo dell’affetto che ho per loro."
Lo
guarda, attonita. "Mi hai appena conosciuta."
"Non
credi nell’—affetto a prima vista?"
"Ma
non era l’amore?"
"Nonstodicendochetiamo,"
dice, all’improvviso
frustrato, il naso e le guance rosse. "Perché mai
sarebbe—è una terribile—cosa
terribile. Non che amarti fosse una cosa—non importa."
"Io
penso che amarmi sarebbe una cosa
terribile," afferma con convinzione. Credi che avrebbe potuto
amarmi?
Se lo ricorda? Non glielo chiederà. Sì; poteva
amare molte persone, ma le
persone che amava tendevano a—tendevano a —
Anna
è una statua di ghiaccio e i suoi
genitori sono morti e il suo mondo cade a pezzi.
"Perché
dici così?"
"Perché
le persone che ci tengono a me prima o
poi soffrono."
"E
tu—e tu, invece? Tu—tu non—non ami
nessuno?"
Elsa
incrocia il suo sguardo, a disagio, non è sicura
di che piega stia prendendo la conversazione. Dovrebbe essere in cerca
di
giustizia per il suo accoltellamento, per la morte di Britta, dovrebbe
essere
all’inseguimento della sorella—non a discutere di sentimenti con lui su un balcone. Amo
mia sorella e amo Gerda e
Kai e riesco a vedermi innamorata di te, col tempo, ed è
questo che mi spaventa.
"Ma perché hanno rapito Anna, allora?" cambia argomento,
senza tanta
disinvoltura. "I tuoi fratelli. Se non riusciamo a capire il come,
possiamo
almeno cercare di indovinare il perché—"
L’imbarazzo
irrequieto di lui è sparito, sostituito
dalla curvatura esausta delle spalle. Dice, senza giri di parole, "Non
è
ovvio?"
Lei
scuote la testa.
"Elsa—l’hanno—l’hanno
fatto per arrivare a te."
"Ma
guarda la tua faccia," Hans sorride, "sembrerebbe che
hai visto un fantasma. Che, Anna—per caso tua sorella
è l’unica che può essere
dotata di talenti insoliti?"
Anna
si tiene il polso saldamente stretto con l’altra mano, e ha
paura di
allentare la pressione. La pelle le pulsa, e si sente il cuore battere
nel
braccio, il che era decisamente non normale,
così—Hans usa le sbarre per
aiutarsi ad alzarsi in piedi, languidamente. Non riesce a sentire altro
che
acqua che gocciola in uno degli angoli, lo sciabordio del mare
all’esterno—quasi
desidera che Tomas ritorni, perché ha la netta sensazione
che Hans gli avrebbe—beh,
non dato ascolto, ma—beh—quasi
dato ascolto—
Lo
segue a ruota, sforzandosi di stare in piedi, perché col cavolo
che
gli avrebbe permesso di torreggiare su di lei come una
specie—una specie di torre—
Ok,
quindi non so fare metafore sotto pressione. Similitudini?
Quello che è.
Unisce
i tacchi e combatte una lunga battaglia per mantenere il volto
inespressivo, anche se ogni centimetro di lei avrebbe voluto essere in
qualsiasi altro posto, tanto da far male; anche se non sapeva ancora
niente di
Kristoff; anche se non sapeva ancora niente di niente.
Fallo
parlare,
pensa all’improvviso, seguendo i suoi movimenti
mentre inizia a percorrere tutta la larghezza, sei passi, della sua
cella, indietro,
avanti, avanti e indietro. Fallo parlare, tu parli tutte le
volte e ti fai
scappare fuori cose—"Mia sorella con la sua magia
ci è nata. Mi sembra
invece che tu sia stato maledetto di recente. Sulla strada di quale
troll sei
capitato, allora, huh? Hai provato a rubare anche il suo di regno, e
uccidere
anche i suoi, di fratelli?"
Hans
sorride, a labbra tirate. "Anna, se credi che ti rivelerò i
nostri piani, sei decisamente in errore."
"E
qual è il peggio che può accadere, huh? Lo
racconto ai miei amici, secchio
e brandina?"
"Credi
davvero di essere nella posizione di parlarmi così?" Smette
di camminare avanti e indietro, e si volta a guardarla, qualcosa dello
sguardo
da incantatore di un tempo ancora presente, in profondità,
negli occhi maniaci
e selvaggi.
"Forse
avresti dovuto uccidermi quando ne avevi l’occasione."
"Credimi,"
fa lui funereo, "Pensavo di averlo fatto. Uno
sbaglio di cui mi sono pentito ogni notte, fin da allora."
Anna
si lecca le labbra. La cella inizia a puzzare di carne umana bruciata,
e lotta contro i conati di vomito. "Non ho paura di te."
"Oh,
ma so che hai paura di me. So un sacco di cose su
di te,
Anna. So tutto di te. Una ragazza, tagliata fuori
tutta la vita. Non sei
nient’altro che una persona di troppo—non salirai
mai al trono, non sarai mai
importante per Arendelle, e non troverai mai il vero
amore."
"Quindi
sai anche che sono una persona del tutto comune," Anna
dice in fretta, osservando la mano libera fare scintille come una
pietra focaia,
lottando contro l’impulso di fare un passo indietro. "Sai che
avete rapito
la sorella sbagliata."
"Pensavi
che volessimo te?" Hans ringhia.
Anna
quindi capisce; oh, mima con le labbra.
Hans
aggrotta pesantemente le ciglia, la rabbia impressa in ogni linea di
quel volto quasi bello, e con un passo deciso manda uno scoppio di
fuoco
controllato a malapena accanto ai piedi di lei. Ne sente il calore
minacciarle
la gonna, ma l’aria lo inghiotte con la stessa
velocità, così rimane solo con
una vaga impressione e un rantolo. "Se potessi ucciderti adesso, lo
farei,"
dice cupo. Si volta, dietrofront, e se ne va via pestando i piedi,
furioso, via,
su per le scale che portano in coperta, e tutto quello che le rimane
sono un
polso dolorante, e una luce, sole, fuoco, impressa dietro le palpebre
chiuse.
Elsa,
vogliono Elsa. Serra
gli occhi, e pensa, più
intensamente possibile, ti prego non venire, Elsa, non lo
fare, no, no, no—
E
poi, poiché pensare, ripetutamente, è pesante, si
accascia vicino alla
brandina, crollandoci dentro, quasi strappando il tessuto. Le dita
scivolano
sul polso, e pensa a di troppo e inutile
e vero amore.
Lascia
andare la bruciatura giusto il tempo di passarsi le mani,
delicatamente, sulla scollatura, dove c’è il
pulsare caldo del suo cristallo.
Così,
chiude gli occhi, ma non piangerà.
Non
lo farà.
"Non
puoi farlo."
"Stammi
a guardare."
"Non
puoi farlo—" Albert si fa strada
tra i detriti nella sua stanza, evitando con molto tatto di dire
alcunché
riguardo ai pezzi sparsi che giacciono al suolo come corpi morti,
"—perché
è esattamente quello che vogliono che tu
faccia."
"Non
sanno che io so. Credono che tu sia
morto. Credono che il corpo verrà sepolto. Credono che non
scoprirò niente
finchè non manderanno una lettera che dice Posso
darti quello che più
desideri al mondo—mia sorella è
lì fuori, e io andrò a riprendermela. Ho
già giocato a questo gioco, Albert."
"Non
quanto me."
Elsa
alza gli occhi. Basta parlare, hanno parlato
abbastanza—il chi, il perché, il
come—non era importante. All’improvviso si
sente piena di energia, tesa al massimo, come una molla—si
sarebbe occupata di
Britta, e poi avrebbe fatto preparare una nave a Mastro Olin, e avrebbe
portato
un reggimento—
"Se
lasci Arendelle, la lasci vulnerabile, lo
capisci?"
Elsa
calcia un pezzo di armadio di lato, cercandone
tra la pila di vestiti uno adatto per il viaggio. Ne trova uno indaco
chiaro
che sarebbe potuto andare—
"Elsa."
"E’
mia sorella, Albert," Elsa si volta, il
vestito ormai tutto spiegazzato e stretto freneticamente tra le sue
mani.
"L’hanno presa per arrivare a me. E’ mia sorella.
E non la
abbandonerò. Mai." Sta per aggiungere, e tu
faresti lo stesso, ma
poi si ricorda dei fratelli di cui sta parlando, quindi non dice
niente. Invece
si volta, sentendosi spezzata, e perduta, in direzione della porta, con
tutta
l’intenzione di invitarlo ad uscire, ma lui, maldestro, si fa
strada verso di
lei. Riesce a sentirlo. Si volta per bloccarlo nello stesso momento in
cui le
dita di lui afferrano l’estremità del suo guanto
destro.
Si
sfila.
"Smettila!"
urla con un rantolo, nascondendo
la pelle nuda tra le pieghe della stoffa che ha in mano e fissa, a
occhi
spalancati, l’uomo davanti a lei.
Albert
non si rende conto del significato del proprio
gesto. "No, tu smettila, e solo—solo
pensa un momento, per
favore? Cosa hai intenzione di fare? Rincorrere la nave e—e
ingaggiare battaglia?"
"Ridammi
il guanto," ordina.
"E—e
se—morissi," deglutisce, stringendo
l’indumento nero in una morsa serrata; penzola senza forma,
come una cosa morta,
"allora cosa accadrebbe? Cosa ne sarà di Arendelle, senza te
o la
principessa?"
"La
vita continua. Il mio guanto. Ora."
"Sei
la Regina, hai un popolo a cui pensare—"
"Non
volevi che io pensassi al popolo
quando siamo usciti di nascosto, quindi da dove viene
l’improvvisa—"
"Rimarrai
ferita!"
"Per
dodici anni, le ho sbattuto una porta in
faccia—non le sbatterò una porta in faccia
adesso!" La mano scoperta entra
violentemente in contatto con la maniglia dietro di lei; sente un
improvviso,
inspiegabile strattone al fegato, ed ecco che il muro si ricopre di una
lastra
di ghiaccio sottile e acquoso. Alza lo sguardo e lo osserva con una
specie di
incanto strano, i cristalli che già iniziano a sciogliersi.
Fanno
plic-plic-plic gocciolandole sulla testa e il volto, come lacrime.
Cosa
le stava succedendo?
"Elsa,
manda me. La riporterò indietro."
La
rabbia è sparita. Chiude gli occhi, respirando
profondamente, immensamente, più che grata del fatto che non
dica niente—non
arretra nemmeno di un passo, nessun grido allarmato di magia,
stregoneria—"Non
sei in condizioni di muoverti. Dovresti essere a letto, adesso."
"Sarò
l’ultima persona che i miei fratelli si
aspettano! E’ un geniale—piano che penso che
dovremmo portare—portare a termine—"
"Albert."
Si
ferma, chiudendo lentamente la bocca, e poi osserva
il guanto che ha in mano, alquanto avvilito. "Non mi piace."
"Va
bene; non è una decisione che dipende da te. Anche
se, tuttavia—" lo guarda in faccia e le viene voglia di
piangere. "Grazie
per la preoccupazione."
Silenzio.
Porta in avanti la mano, per esaminarla alla
luce. Incostante. Ecco come era stato il ghiaccio, fin da quando Anna
era—incostante, dalla fuoriuscita e presa incespicante. Non
lo sopporta. L’unica
costante in assoluto della sua vita, questa maledizione che
ha—
"E
cosa si suppone che debba fare io, qui?"
"Ti
riprenderai, ovviamente. E la mia biblioteca
personale è aperta per te," gli dice, fissandosi i piedi.
"Puoi
leggere tutti i Tristano e Isotta che vuoi."
"Li
leggo solo per i duelli di spada."
"Lo
so." E alza gli occhi ad incontrare i
suoi, dall’altra parte della confusione che è la
sua stanza. Sono accesi e
febbrili; e immagina che anche i propri non siano meglio. Poi,
d’impulso, gli
sorride—non un quasi sorriso, ma uno vero, piccolo e grato.
Albert sbatte le
ciglia, ricambiandola—anche se il suo sorriso è
più ampio, e piuttosto scioccato.
Elsa
fa per andarsene.
"Elsa,
io—solo una—cosa egoista," fa, d’un
tratto.
Si
volta. "Sì?"
"Quando
mi—solo—grazie. Per avermi salvato."
Sbatte
le palpebre. "Niente, figurati."
Albert
ride, in maniera autodenigratoria. "Sono—questa
è una—è una bugia, ma, uhm,
è—c’è—Ti ho detto
niente? Quando mi stavo
svegliando?" Battito cardiaco, battito cardiaco.
Battere
di ciglia, battere di ciglia.
"Perché
ho questa sensazione stranissima di aver
detto qualcosa, e proprio non—non sapevo se—"
"Non
hai detto proprio niente, Albert," Elsa
dice, quasi credendoci lei stessa.
Credi
che avrebbe potuto amarmi?
"Mi
state dicendo che, dopo tutta quella fatica, non vi siete
assicurati che seppellissero il corpo."
Hans
sente i fratelli, che bisticciano accanto all’entrata della
cella—la
calma letale e inamovibile della voce di Niels, il blaterare dei
gemelli. Sale
le scale con una velocità furiosa, immagina di spezzare un
collo; sarebbe
immensamente gratificante, pensa—il crac di un osso, uno
spruzzo di sangue, e
quell’ oh ancora stampato sulla faccia
lentigginosa—
"Il
terreno era stato completamente congelato dalla regina del
Ghiaccio, e non avevamo un mostro come quello che hai creato
lì a sgelarlo—"
"Ed
esattamente come pensiate che possiamo giocare a fare Dio,"
Niels domanda, la furia distintamente percepibile nel tono di voce, "quando
siamo immediatamente smascherati come imbroglioni?"
Hans
arriva sul ponte, si toglie la cravatta, si sente soffocato; la tiene
stretta nella mano nuda, e invoca—pensa—il fuoco
lavico si scioglie nel suo
braccio e si manifesta nel palmo, trasformando la stoffa in cenere. Gli
ci
vuole un respiro, due, per tenerlo sotto controllo—solo
pensando di afferrare
quel piccolo bel collo che la ragazza si ritrovava, ci riesce.
Niels,
a labbra serrate, pallido di rabbia, e rivolge il suo sguardo
più
arcigno a quel po’ di pelle scoperta. "Copriti," scatta, "a
meno
che tu non voglia che tutta la nave prenda fuoco—il tuo
controllo è fiacco, nella
migliore delle ipotesi."
Viktor
e Tomas si voltano. Il secondo fa un sorriso vittorioso, da lupo.
"Com’è andato l’incontro in privato con
l’amabile bella fanciulla?"
"Voglio
ucciderla io. Quando tutta questa storia sarà finita,"
Hans ringhia, afferrando con rabbia il guanto che gli porge Niels senza
ribellarsi—uno che ha tutta l’aria di essere fatto
di carne umana, dritto
dritto dalla tasca di dietro di suo fratello, e adesso sono spaiati,
che
peccato—"quando tutta questa storia sarà finita, e
Arendelle sarà nostra, voglio
ucciderla io, per prima cosa."
"Arendelle
potrebbe non essere mai nostra, grazie alla gaffe dei tuoi
fratelli." Niels si trovava a quel livello di rabbia che lo portava a
essere letalmente calmo—il livello peggiore, quello in cui
Hans non avrebbe mai
potuto dire se era sul punto di trasformare qualcuno in un rospo o
sacrificare
il loro primogenito alla dea della discordia—
Hans
rivolge uno sguardo gelido in direzione di Viktor e Tomas, e anche a
uccidere tutti e due avrebbe provato piacere. "Che, Hans," il sorriso
di Tomas non ha abbandonato la sua faccia, "non ti piacciono focose?
Non
sai gestire una lingua?"
Hans
scatta in avanti, sentendo il guanto preso in prestito scricchiolare
rabbioso, ma Niels urla una parola dal suono tagliente, scivoloso,
roccioso, e
Hans viene scaraventato contro la parete. L’energia rende
l’aria elettrica, facendogli
rizzare tutti i peli sulla nuca. Scuote la testa, fulminando con gli
occhi le
sagome ora leggermente nebulose dei gemelli dall’altra parte
della barriera.
"Non
hai alcun diritto di parlare così," Niels dice a Tomas, e
Hans osserva suo fratello leccarsi le labbra.
"Che
gaffe?" Hans chiede. Non aveva passato i suoi giorni in
quella cella, la prospettiva di vendetta l’unica cosa che
permetteva di
mantenere una parvenza di controllo, solo perché fosse mandata
a puttane dai
suoi fratelli—
"Hanno
lasciato il corpo non ancora
sotterrato." Niels chiude un momento gli occhi al rollare della nave;
quando
li riapre, scattano minacciosi.
"Quindi
state dicendo," Hans esclama, a denti stretti, "che
è molto probabile che la regina sia già al
corrente dello scambio."
Viktor
scrolla le spalle. Tomas alla fine si stacca dal fratello e osserva
significativamente Niels. "Non capisco perché tutto questo
casino,
fratelli carissimi. Se lo scopre da noi, o lo scopre da
sola—in ogni modo, deve
per forza venire a salvare la ragazzina."
"Faremo
meno affidamento sull’effetto sorpresa, e più
sull’effetto
paura."
"Beh,
abbiamo ancora il fenomeno da baraccone," Viktor muove con
forza un gomito in direzione di Hans, ma sente il ritorno di una
barriera di
energia che vibra e ondeggia. "Di certo ispirerà effetto
sorpresa e
meraviglia—finchè tiene la bocca chiusa,
però."
"Dovremo
informare il re," Niels comincia. "Non può essere
coinvolto in questa faccenda. Non ancora."
"Tutta
questa furtività," Tomas sospira, la faccia contorta in un
cipiglio quasi comico. "Non capisco perché non possiamo
limitarci a
ucciderle tutte e due e farla finita."
"La
regina possiede qualcosa di valore."
"E
cioè?"
Hans
risponde, secco, tagliente—
"Se
stessa."
Lukas
sbuffa dalle narici.
Era
sempre stato bravo coi grimaldelli, ma qualcosa nella porta di Niels lo
rendeva nervoso. Probabilmente era il fatto che fosse di Niels.
Giocherella
per un secondo con la sottile striscia di metallo che ha in mano, altri
due
secondi, prima di emettere il sospiro dell’uomo troppo
abituato al fatto che il
destino a volte pone ostacoli non necessari, e sposta il peso sui
talloni
"Che
stai facendo?"
"Gesù—"
sobbalza, una mano sul cuore, e poi rotea gli
occhi, esasperato.
"No.
Sono solo io," Stefan tira su col naso, altero. "Anche
se mi è stato detto che le somiglianze tra noi sono
impressionanti."
Alza
gli occhi, arricciando le labbra in direzione del fratello. Stefan
passeggia
pigramente lungo il corridoio, e sembra un dandy con il bastone di
bamboo che
rotea sulle nocche. La novità del giorno, Lukas pensa, quasi
divertito, è un
monocolo; e suo fratello ne ha uno che pende inutilmente da una catena
attorno
al collo. "Spunti sempre fuori dove sei meno richiesto, lo sai?" gli
dice.
"Affatto.
È perché nessuno apprezza il mio acume e le mie
battute
piene di arguzia. Sai, non dovresti fare il tuo ingresso."
"E
perché no?"
"Perché
sono le stanze di Niels. Non dovresti voler fare
il tuo
ingresso. Ora, perché non ti unisci a me per un brandy prima
che vada a teatro?"
"Mi
serve qualcosa di più forte."
"Ho
un rum sopraffino che riservo per le occasioni speciali, ma
poiché
nessuno in questa famiglia è davvero speciale, dubito che
avrò mai l’occasione
di farne uso."
Lukas
lancia un’altra occhiata alla porta, pizzicandosi lo spazio
tra gli
occhi. "Ti rendi conto che questa è, abbastanza
possibilmente, l’unica
occasione che avremo mai per curiosare?"
"Non
vuoi curiosare," Stefan dice, fermandosi finalmente accanto
a lui. Lukas si accorge di star sussurrando, e che suo fratello sta
facendo lo
stesso—il corridoio è umido e scuro, nonostante la
luce del sole. "Nessuno
vorrebbe curiosare volontariamente nella versione personale
dell’inferno creata
da nostro fratello. No, hai ulteriori ragioni, e io non ne
prenderò parte. Ho
un dramma da scrivere. È una pièce
esistenzialista. Ne sono piuttosto
orgoglioso. No, non ti presterò il mio aiuto, Lukas, non
devi nemmeno
chiederlo. Comunque, puoi chiedermi quali sono i miei primi cento libri
preferiti."
"E
quali sono i tuoi primi cento libri preferiti, Stefan?"
"Non
lo so, perché ne ho scritti solo cinque. Oh, ha! Sono sempre
così
arguto. Non ti presterò il mio aiuto, Lukas. E sei fortunato
che io non sia uno
spione, tanto più. Ciao ciao, fratello caro. Forse ti unisci
a me per un brandy
più tardi? Ti concederò quel rum."
Lukas
osserva suo fratello tra-la-lare lungo il
corridoio, iniziando
di nuovo a roteare il bastone, picchiando contro il muro e la finestra
e il
pavimento in un ritmo senza senso. Quando abbassa lo sguardo sulla
porta, scopre
un grimaldello infilato con esperienza, la serratura scassinata con
destrezza, e
la porta quasi semichiusa.
Ghigna,
togliendosi un cappello immaginario al cospetto del fratello,
voltato di schiena.
Poi,
si infila dentro.
"Kai?"
"Vostra
Maestà!" L’uomo si sposta di lato, lasciando
alle guardie più spazio per uscire dalla camera mortuaria;
trasportano Britta, avvolta
di nuovo nel sudario, un uomo regge la testa, l’altro i
piedi. Elsa osserva il
corpo e nasconde i polpastrelli scoperti nelle pieghe del vestito. Si
volta, e
trae conforto dal suo volto familiare—naso grosso, tanti
menti, occhi gentili.
"Vi sentite bene?"
"Sì.
Mi—mi dispiace, per prima. Come sta—"il
nome, qual era, era—"Sander?"
"Così
come ci si aspetterebbe, Maestà." Kai tira
fuori un fazzoletto moscio dalla tasca e se lo passa sul viso pallido.
"Cosa
dobbiamo dire agli altri, della principessa—"
"Niente,
per ora," Elsa afferma, abbassando
la voce. "No. Devo occuparmi direttamente della questione, e io stessa."
"Maestà?"
"Kai,
devi mandare un messaggero da Kristoff; devo
parlargli urgentemente."
"Sì,
vostra Maestà."
"Dovresti
anche mandare un messaggero a Mastro
Olin."
"Mastro
Olin?"
"Sì."
Elsa fa un respiro profondo, tremulo, e
guarda il cielo azzurro intenso fuori. "Ho bisogno che mi allestisca
una
nave."