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Autore: Akiko chan    23/08/2014    3 recensioni
Era evidente che il ragazzo non aveva alcuna intenzione di nasconderle il disprezzo che provava e quel fugace contatto le fu sufficiente per saggiare una parte della furia primitiva di cui era capace, se provocato. Niente di male, la cosa era reciproca.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kojiro Hyuga/Mark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II. SCONTRI NOTTURNI
 
Shay spense il motore della moto appena oltre il basso muretto bianco che delimitava il perimetro estremo dell’abitazione e percorse in totale silenzio la manciata di metri che la separavano dalla villetta che un tempo era stata casa sua. Un tempo. E ora? Lo era ancora accidenti! Non era certo lei l’estranea!
 
Entrò in garage dalla saracinesca, che nessuno si era premurato di abbassare dopo la sua fuga di qualche ora prima e, senza fretta, sistemò la moto sul cavalletto dilungandosi in una tenera carezza al serbatoio lucidissimo -Che dici, papà ci avrà aspettate? Secondo me sta dormendo della grossa ... sai che gliene importa di noi due!- borbottò risentita scendendo dalla sella e sfilandosi il casco con gesto rapido e sicuro- Per la considerazione che ha di me in questo momento, posso anche spiattellarmi contro un guard-rail...- constatò amara allentandosi appena la zip dell’attillata tuta mentre con la mano libera toglieva le chiavi dal cruscotto.
 
Ripose silenziosamente la chiavetta argentata sulla solita mensola, accanto a quelle della sua Cagiva, annusando disgustata la manica della tuta che emanava un nauseabondo olezzo frammisto di alcool e fumo. La discoteca dove aveva passato la nottata assieme al suo migliore amico, pullulava di ragazzotti ubriachi e proprio uno di quelli le aveva maldestramente rovesciato addosso un intero boccale di uno strano miscuglio di alcool e succo d’anice. E, non contento del disastro causato sulla sua bella tuta nera, a cui lei teneva più di qualsiasi altro capo del suo armadio, aveva tentato di abbordarla con fare insistente e volgare, ricevendo da lei una scarsissima considerazione. Figurarsi se andava in cerca di guai con un tizio che non era neppure capace di reggersi sulle proprie gambe, con quella faccia da ebete poi! Facendo ricorso ad una cortesia che non sentiva propria, aveva rifiutato quelle maldestre avances, sperando che Danny, allontanatosi un attimo per recuperare due bibite, non fosse coinvolto in una seccante ed inutile lite, magari con conseguenze spiacevoli.
 
Per fortuna il rozzo “faccia da culo” aveva desistito in fretta, attratto da una biondona che avanzava incastrata dentro a dei pants più simili ad un perizoma dall’elastico accentuato che ad un paio di pantaloncini.
 
Aveva osservato schifata due bave untuose formarsi agli angoli della bocca del tizio ed i suoi occhietti rapaci, offuscati dall’alcool, posarsi sul fondoschiena ondeggiante della bionda provocatrice, così, senza più degnarla di alcuna attenzione, era sparito tra la folla accaldata, alla rincorsa di quella puttana senz’altro più disponibile di lei a soddisfare certe volgari esigenze.
 
D’altronde, che quello fosse alla disperata ricerca di una veloce scopata, anche un’inesperta come lei poteva facilmente intuirlo e chissà che amara sorpresa sarebbe stata scoprire di essersi imbattuto, non nella pollastrella accogliente di una sera, ma in un’ incazzatissima ex campionessa di kich-boxing, desiderosa di sfogare su qualcuno esigenze molto meno volgari ma altrettanto impellenti!
 
Accidenti a quella troia maledetta che suo padre si era sposato! Accidenti ai suoi quattro figli! Quattro! In un’epoca in cui le donne faticavano a farne uno! Accidenti a quella Bestia sbucata da chissà dove che aveva osato invadere i suoi spazi e arrogarsi il diritto di dirle chi poteva o non poteva offendere.  
 
Aveva serrato la mascella con rabbia nella speranza di ricacciare indietro quell’ondata pungente di odio che le era salita dal profondo, ma percependo che ogni suo sforzo di autocontrollo era vano e arrendendosi al fatto che aveva un disperato bisogno di sfogarsi, si era gettata alla rincorsa del ragazzo di poco prima, nella speranza che fare a cazzotti l’aiutasse a espellere almeno una parte di quel sentimento malvagio che la torturava da troppo tempo ormai. Stava ancora cercando tra la folla la sua potenziale preda, quando Danny le si era accostato, porgendole il bicchiere con il suo solito sorriso scanzonato. Di fronte all’espressione serena dell’amico, non se l’era sentita di trascinarlo in una scazzottata dove sicuramente si sarebbe fatto coinvolgere. A parte qualche veloce accenno, Danny non conosceva nulla del suo passato di boxeur, non aveva la minima idea di quanto male potesse fare, se solo si metteva d’impegno. E così si era rassegnata a ad osservare la consolle dove due DJ si affannavano a selezionare le musiche più in voga, bevendo adagio la sua Coca-Cola e attendendo pazientemente che la bufera nel suo animo si placasse.
 
Entrò silenziosa attraverso la porta secondaria che dava nella cucina, aprì il frigo ed estrasse il bricco del latte versandone una dose abbondante in un panciuto bicchiere.
 
In fondo era stato meglio così. Forse si sopravvalutava e non ammetteva che le sue prestazioni non erano più ai livelli di un tempo, anche se, ne era certa, la furia che in quel momento aveva in corpo, avrebbe senz’altro sopperito egregiamente alla mancanza di allenamento. Da più di un anno aveva appeso i suoi adorati guantoni al muro, da quando, cioè, alla finalissima un pugno dell’avversario le aveva fatto saltare il paradenti e sbriciolato l’intera arcata superiore. Solo la sua incredibile forza di volontà le aveva impedito di non svenire per il dolore. Contro ogni previsione si era rialzata con uno scatto veloce e, con la vista annebbiata dal rosso acceso del sangue, aveva steso l’avversario, talmente convinto di averla ormai sconfitta, che non si era neppure reso conto del terribile calcio al petto che lo fece finire K.O., privo di coscienza.
 
L’ultima cosa che ricordava di quell’eroica finale era il suo braccio sollevato tra le mani dell’arbitro, poi il buio. Si era risvegliata in ospedale, con la bocca talmente gonfia da non poter parlare per cinque interi giorni. Solo quando l’ematoma scomparve, l’odontoiatra poté ricostruirle i denti frantumati. Un lavoro perfetto, doveva ammetterlo, nessuno poteva notare che i denti superiori erano stati completamente ricostruiti. Ma da quel momento suo padre le aveva gentilmente chiesto di abbandonare quello sport così pericoloso - Anche perché - le aveva spiegato dispiaciuto- per rimediare al danno fatto ho dovuto spendere una cifra pari a quattro stipendi, la prossima volta Shay ti dovrai tenere la bocca sdentata o dovrò dichiarare bancarotta- e così aveva rinunciato alla kich-boxing.
 
In più l’iscrizione alla nuova scuola, la Toho School, che aveva deciso di frequentare quando suo padre, un anno prima, aveva acquistato quella villetta in centro a Tokyo per poter seguire meglio la sede centrale della sua agenzia turistica, l’aveva allontanata dal quartiere dove si trovava l’unica palestra degna di quel nome. Costretta a rinunciare al suo sport preferito, aveva cercato di limitare il danno andando alla ricerca di uno sport meno solitario, che le permettesse di stringere delle amicizie più consone al suo sesso e alla sua età.
 
Il softball le era sembrato un buon compromesso.
 
Era stata molto fortunata. La squadra, che godeva già di un’ottima posizione nella classifica del campionato studentesco, l’aveva accettata con simpatia e ben presto era entrata in sintonia con quasi tutte. Per la verità nessuna amicizia degna di quel nome, ma comunque dei cordiali rapporti che le permettevano di passare dei piacevoli pomeriggi, divertendosi. L’allenatrice, la signorina Akaime e le sue nuove compagne, erano rimaste di stucco di fronte ai suoi tiri portentosi a cui lei sapeva imprimere una forza quasi mascolina derivante da anni di duri allenamenti con i punch ball e i sacchi di sabbia. La cosa più difficile, all’inizio, era stato calibrare i tiri che spesso mancavano di precisione, ma in breve tempo era migliorata anche su quel fronte e nessuno ebbe niente da ridire quando, nonostante fosse l’ultima arrivata, l’allenatrice, decise di inserirla tra le titolari.
 
Tutto era perfetto. La sua vita era piena di soddisfazioni: membro di una delle squadre di punta della scuola, ottimi voti scolastici, un rapporto splendido con il padre e la malinconia per la morte della madre, avvenuta cinque anni prima, che si faceva di anno in anno più sopportabile. Insomma tutto andava per il meglio.
 
Sino a quella stramaledetta sera al ristorante in cui il padre le aveva annunciato il suo matrimonio.
 
Maledizione! Ma perché? Che diavolo aveva quella donna per avere fatto innamorare di sé suo padre? Neanche la sua bellissima mamma ci era riuscita! Un dongiovanni incallito, un amante della libertà e delle belle donne. Quante ne erano transitate nella sua vita? Impossibile contarle.
 
Sua madre e suo padre si erano conosciuti ad una riunione di lavoro. Avevano avuto un breve flirt che aveva fatto comprendere ad entrambi di non essere fatti l’uno per altra, anche se tra loro rimase sempre un indubitabile feeling, che fu la solida base della loro successiva e duratura amicizia. Tutto si sarebbe concluso nei migliori dei modi senza alcun trauma, se sua madre non si fosse accorta, dopo due mesi, di essere incinta. Ne avevano discusso a lungo e nessuno di loro due se l’era sentita di negare la vita a quella creatura innocente. E così per amore di quel figlio inaspettato, si erano sposati pur sapendo che tra loro non vi era amore. Ci avevano provato a far funzionare quel matrimonio in nome di quella bambina che era venuta alla luce in una tiepida giornata di inizio primavera. Lei la gioia di mamma e papà. Eppure neanche quella figlia tanto amata era stata sufficiente a salvare la loro inconsistente relazione. O perlomeno non quella tra marito e moglie. Ma in fondo era stato meglio così. Da persone moderne e intelligenti quali erano, avevano cresciuto quella figlia da separati senza disagi per la piccola che, ben presto, considerò normale passare dalla casa di mamma a quella di papà a suo piacimento. Sempre d’accordo su cosa fosse meglio per lei, avevano sempre avuto una condotta serena ed equilibrata, assicurandole un’infanzia tranquilla e piena d’amore. Non aveva mai fatto un dramma per le donne che erano transitate nella vita del padre, che puntualmente le venivano presentate come “amiche”, né si era scandalizzata le rare volte che aveva sorpreso sua madre con un uomo. Non era gelosa dei suoi genitori, non per quelle relazioni passeggere che non lasciavano alcuno strascico. Ma tutto era cambiato cinque anni prima. Sua madre era la guida turistica di un’importante compagnia di viaggi nipponica e quella notte avrebbe dovuto accompagnare un gruppo di facoltosi turisti ad Hokkaido. Purtroppo il velivolo privato su cui viaggiavano ebbe un’avaria e si schiantò al suolo nella fase di atterraggio. Non vi fu alcun superstite.
 
Una tragedia che lasciò un terribile vuoto in lei, ponendo bruscamente fine alla sua spensierata infanzia, catapultandola nel turbolento periodo dell’adolescenza.
 
Ma insieme a suo padre era riuscita a superare il trauma. Lui lo aveva fatto per lei. Lei per lui. Uno scambio reciproco di amore che aveva giovato ad entrambi, aiutandoli a placare il dolore per quella perdita incolmabile. Eliminarlo non era possibile. Per rispetto verso quella figlia, che ora viveva stabilmente con lui, l’uomo aveva posto un freno alle sue numerose relazioni. Shay, all’epoca, gli era stata grata per quella cortesia che comunque aveva ritenuto non necessaria: finché quelle donne non interferivano con il loro rapporto, non avevano alcuna importanza. Eppure una donna aveva conquistato il cuore dell’uomo, sostituendosi a lei. Prima c’era solo la figlia a fare il buono ed il cattivo tempo nel cuore di papà. Ora non più. Un’insignificante segretaria, sul cui volto non solo non scorgeva alcuna avvenenza, ma aveva dei seri dubbi che mai ve ne fosse stata, aveva stregato il padre, allontanandolo da lei.
 
Imprecò a mezza voce ingurgitando il resto del latte in un unico lungo sorso, asciugandosi la bocca con il dorso della mano ancora avvolta nel guanto di cuoio rinforzato.
 
Solo quando riappoggiò il bicchiere nel lavabo, si accorse della fiocca luce che filtrava appena attraverso la porta di vetro smerigliato accostata, che divideva la cucina dall’ampio salotto.
 
Shay trattenne il fiato per un istante: suo padre l’aveva aspettata in piedi!
 
Con la coda dell’occhio guardò l’orologio appeso alla parete sopra la cappa del fornello, le lancette segnavano le quattro e un quarto. Allora qualcosa gli importava ancora di lei!
 
La ragazza percepì con piacere il cuore balzarle in petto, era da tanto tempo che non sentiva addosso quella sensazione di appagamento: ora avrebbero finalmente avuto una bella discussione, come ai vecchi tempi quando andavano avanti ore ed ore a parlare di tutto e di niente.
 
Shay sapeva che non doveva illudersi, che sicuramente era molto arrabbiato e le avrebbe fatto un’interminabile ramanzina, ma era disposta anche a sorbirsi i rimproveri del padre tutta la notte pur di sentire le sue attenzioni nuovamente su di sé. Solo su di lei. Nessuna interferenza esterna, nessun moccioso, nessuna moglie. Solo lei e lui.
 
Si concesse ancora qualche istante sfilandosi lentamente i guanti e chiedendosi se era il caso di dare libero sfogo al suo istinto ed entrare in salotto piroettando su se stessa od optare per un più decoroso contegno. Decise ovviamente per la seconda, e si diresse verso il salotto con andatura solo lievemente affrettata. La stanza era nella totale oscurità eccettuato un cono di luce che proveniva dalla lampada alogena accanto alla poltrona. Intravide una grande mano a penzoloni sul bracciolo ed una sagoma corpulenta affondata nei cuscini, ma, in quella posizione, lo schienale del divano e la penombra, le impedivano di distinguere ulteriori dettagli.
 
-Papà...-chiamò speranzosa avanzando di un passo per poi balzare indietro delusa –Tu!- sibilò tra i denti -Ancora in casa mia!- sbottò furiosa riconoscendo il ragazzo che era entrato in camera, spegnendole lo stereo - Dov’é mio padre?-
 
Il ragazzo si alzò con lentezza, agile e attento, simile ad un felino prima del balzo decisivo -A letto, come é giusto che sia alle quattro del mattino...- disse in un sussurro -…e abbassa la voce che svegli i miei fratelli-
 
Shay sorvegliò allarmata quei movimenti calibrati, paragonandoli mentalmente a quelli di una tigre  pronta a piombare sulla preda, ma se era così, aveva fatto male i conti, lei nei panni dell’indifesa gazzella non ci stava proprio!
 
-Io non abbasso proprio niente- ribatté alzando ulteriormente la voce in gesto di sfida e gettando con rabbia i guanti sulla poltrona che per tutto il tempo aveva tenuto stretti nella mano destra.
 
-Zitta- le intimò piombandole addosso quasi di peso e tappandole la bocca con l’enorme mano mentre l’altra le scivolava veloce dietro la nuca, impedendole così qualsiasi movimento.
 
Il giovane premette entrambe le mani con tale forza che Shay sentì l’aria venire meno, la mano che le ostruiva la bocca era talmente ampia che le tappava anche il naso, soffocandola.
 
Si dimenò in preda al panico e puntellò le mani contro il petto di lui. Percepì i muscoli possenti del torace del ragazzo guizzare repentini sotto la pressione delle sue dita non appena accennò a spingere, ed ebbe la certezza che non sarebbe mai riuscita a spostarlo nemmeno di un solo millimetro. Stava per alzare gli occhi sul volto di lui per carpirne le intenzioni, quando si ritrovò improvvisamente libera, china ed ansante, le mani arpionate sul bracciolo del divano.
 
Solo quando quella fastidiosa sensazione di soffocamento cessò, Shay smise di annaspare goffamente alla ricerca d’aria e, in un baleno, ritrovò la forza di contrattaccare, raccomandandosi, però, di stare più attenta alle mosse di lui che, nonostante la stazza, si era rivelato dotato di un’insospettata velocità -Tu sei pazzo! Vuoi ammazzarmi!?!?- lo accusò, questa volta evitando di di alzare la voce per paura che lui la aggredisse ancora.
 
-No- rispose laconico scrutandola da capo a piedi con fare supponente -Ma meriteresti una bella punizione! Fuggire dalla finestra quando la tua famiglia ti aspetta a tavola, rubare la moto di tuo padre che legalmente non puoi neanche guidare e tornare pacifica alle quattro del mattino ubriaca fradicia-
 
Ma se era astemia! Solo l’odore dell’alcool le dava la nausea -Ma sarai tu ubriaco, imbecille-
 
-Attenta a quello che dici- gli occhi scuri di lui persero in un secondo tutta l’apparente pacatezza di poco prima e brillarono minacciosi nell’oscurità simili a schegge di acciaio - Non sono certo io a puzzare di alcool lontano un miglio-
 
Shay percepì la scarica d’adrenalina che l’aveva attraversata anche la prima volta che aveva udito la sua voce. Le faceva paura, inutile negarlo. Vi era qualcosa in lui di minaccioso, era un tipo estremamente pericoloso, su questo non aveva il benché minimo dubbio.
 
Se fosse stata una ragazza di buon senso, avrebbe dato retta al suo istinto e se ne sarebbe andata il più lontano possibile da quell’ individuo. Ma il buon senso non rientrava nelle sue qualità: la rabbia che provava era ormai incontenibile e niente le avrebbe impedito di sfogare su quell’essere odioso l’amarezza accumulata in quell’ ultimo mese.
 
-Idiota- sibilò guardandolo dritto negli occhi, vagamente consapevole che l’odio la stava accecando, facendole sfuggire il polso della situazione.
 
Un lampo fulmineo baluginò nello sguardo del ragazzo -Io non ti ho offeso, te lo ripeto un’ultima volta: attenta a quello che dici- la redarguì avvicinandosi di nuovo a lei ed incombendo con la sua imponente mole, sperando, in cuor suo, che questo fosse sufficiente a calmarla.
 
Si era aspettato una scena ben diversa: una ragazzina che avrebbe tentato di fare la spavalda, ma che alla sua prima occhiataccia sarebbe scappata a gambe levate, implorando perdono per le sue malefatte. Invece si ritrovava davanti un’indemoniata che lo offendeva sempre più pesantemente e per nulla disposta a farsi intimidire né dallo sguardo della Tigre né tanto meno dalle sue poco velate minacce. Decisamente una situazione che non aveva preventivato.
 
Mark Lenders frugò spiazzato in quelle iridi incredibilmente azzurre, colme di strafottenza.
 
Lo sguardo di lei non accennò neppure a vacillare, rimase fermo, fisso nelle profondità inquiete della Tigre.
 
Il giovane doveva ancora riprendersi dalla sorpresa di avere di fronte un essere capace di tenergli testa senza apparente paura, quando lei lo spiazzò ancor di più sollevando il mento in una posa fiera ed arrogante, comunicandogli così, se ancora ve ne fosse stato bisogno, la sua ostinazione a non farsi piegare né comandare da nessuno, tanto meno da lui.
 
-Altrimenti che mi fai, mi sculacci?- lo provocò con ghigno beffardo -E poi non é vero che non mi hai offesa- aggiunse tornando seria.
 
Mark strizzò gli occhi sino a ridurli a due minuscole fessure -E che avrei detto?-
 
La ragazza lo trafisse con un’occhiataccia -Non serve che parli, la tua sola presenza in casa mia é sufficiente ad offendermi- sentenziò con cattiveria, ignorando la vocina fastidiosa che le stava suggerendo di scappare lontano.
 
Se solo non fosse stato così alto. Se solo i suoi occhi non fossero stati così neri, Se solo il suo corpo virile avesse smesso di emanare quell’aurea di potenza e forza a cui lei era così schifosamente sensibile. Se solo…
 
-Mi spiace ma dovrai tollerarla, rimarrò qui ancora qualche giorno-
 
Accidenti a lui! Ai suoi muscoli, a quella voce impossibile che si ritrovava, a quello sguardo dominatore!
 
-Ma neanche per sogno! Tu te ne vai immediatamente e fai un piacere portati dietro quella sgualdrina di tua mad...-
 
Shay sentì l’aria mancarle e la paura si impossessò di lei tanto da credere di essere di nuovo prigioniera di quelle mani terribili, invece si ritrovò seduta in poltrona con gli occhi incatenati in quelli del ragazzo in piedi a gambe divaricate di fronte a lei.
 
Il sorrisetto sghembo che aleggiava sul volto granitico di lui, le fece perdere il lume della ragione -Come osi mettermi le mani addosso, vigliacco! - disse saltando in piedi e schiaffeggiandolo violentemente a mano aperta con mossa fulminea ed imprevedibile, caratteristica, che l’aveva resa molto pericolosa come boxeur.
 
Questa volta fu lei a sorridere mentre osservava compiaciuta la testa del ragazzo scattare bruscamente di lato e i lunghi capelli corvini sferzare le labbra serrate, le palpebre abbassate, gli zigomi marcati, sotto il colpo inferto dalla sua mano con tutta la forza di cui era capace.
 
Rimase lì ferma a godersi quell’attimo di gloria e boccheggiò incredula quando si ritrovò la testa voltata di lato e la parte sinistra del volto in fiamme.
 
Aveva intuito la pericolosità del ragazzo, ma non poteva immaginare che avrebbe ricambiato il suo ceffone, alzando le mani su una donna. Per questo non si era premurata di porre una qualche distanza tra di loro ed era rimasta immobile a portata di mano.
 
Il dolore bruciante alla sua guancia sinistra, che ora di stava diffondendo velocemente alla tempia e all’orecchio, le rivelò la cruda realtà. Scioccata si portò la mano al volto arrossato -Come hai osato...-
 
-Hai iniziato tu- replicò lui con un tono innaturalmente pacato come se si fosse trattato di un semplice scambio di cortesie.
 
-Ma io ti distruggo- strillò invece lei accecata dalla collera, tentando di colpirlo un’altra volta con un pugno. Ma questa volta Mark non si fece trovare impreparato e la bloccò afferrandole il polso al volo prima che riuscisse a colpirlo.
 
-Lasciami selvaggio- ordinò Shay dimenandosi con forza ma sentendo la presa attorno al suo polso farsi sempre più forte ad ogni suo movimento.
 
-Per permetterti di colpirmi ancora? No cara...e abbassa la voce- le ripeté per l’ennesima volta guardandola con astio e abbandonando la finta calma che si era faticosamente imposto.
 
Shay ringhiò snervata da tutta quella situazione, non sopportava l’aria di impudente superiorità con cui si rivolgeva a lei, non ammetteva che si preoccupasse del suo tono di voce mentre lei rantolava con il volto in fiamme per il dolore e l’umiliazione, e, soprattutto, la faceva andare in bestia la forza di lui tanto sfacciatamente superiore alla sua. Tentò di liberarsi da quella ferrea e mortificante impugnatura che sembrava forgiata nel granito, ottenendo solo una maggiore pressione sul suo arto martoriato. Il polso le doleva da morire sentiva delle fitte partire dalla mano e giungerle dritte alla testa, ma mai gli avrebbe fatto capire che le stava facendo malissimo.
 
Continuò ostinatamente a dimenarsi e a contorcere il braccio stando attenta a non finire nel fascio di luce della lampada per evitare che lui scorgesse le lacrime amare che aveva cominciato a scendere, suo malgrado.
                                                                                           
-Ora mi ascolti ragazzina- le disse scuotendola avanti e indietro come se fosse stata un bambola di pezza e Shay si ritrovò costretta a mordersi a sangue il labbro inferiore per non urlare -Tuo padre lo metti nel sacco con qualche lacrimuccia, ma con me non funziona. Gli ho chiesto io di andare a letto e di lasciare a me la ... ramanzina. Adesso te ne vai a letto pure tu e ti fai una bella dormita e da domani metterai la testa a posto: basta bravate come quelle di stasera o veramente la prossima volta ti riempio di schiaffi sino a che non giurerai di rigare dritto, sono stato chiaro?-
 
Shay non rispose e smise anche di dimenarsi. Era annientata. Impietrita, più che dalle fitte sempre più ravvicinate e pungenti, dallo stupore: un perfetto estraneo, di cui non conosceva neppure il nome, la aspettava a notte fonda in casa sua e faceva le veci di suo padre! Ma era tutto ridicolo. Quella non poteva essere la realtà, era tutto troppo assurdo!
 
-Vedo che taci- proseguì lui annuendo compiaciuto, interpretando erroneamente il suo silenzio come una resa -Bene forse ci siamo capiti. Ora fila a letto- le ordinò mollandola bruscamente.
 
La ragazza vacillò e si appoggiò alla poltrona per non cadere mentre una fitta tremenda le partiva dal polso, trapassandola come una lama arroventata. Lacrime salate le scesero di nuovo giù dagli occhi, unendosi a quelle già versate, disegnandole il profilo delle guance e del mento.
 
L’unica consolazione era l’oscurità quasi completa che la celava e proteggeva, osò quindi lanciargli un’ultima impudente occhiata piena di rancore giurando, in cuor suo, che prima o poi si sarebbe vendicata in un modo talmente crudele che quel tale avrebbe per sempre maledetto il momento in cui l’aveva conosciuta.  
 
Mark Lenders attese qualche secondo in piedi osservando la figura della ragazza sparire su per le scale, quindi, solo una volta certo che non sarebbe più tornata indietro, si lasciò pesantemente cadere sul divano. Si massaggiò nervosamente la guancia che ora sentiva in fiamme, chiedendosi come avesse fatto a mantenere la calma. Quella furia scatenata lo aveva messo a dura prova e per un attimo aveva temuto di perdere qualsiasi controllo. Si era trattenuto, la sua reazione era stata violenta ma non esagerata. Forse avrebbe potuto evitare di prenderla a schiaffi e di scuoterla in quel modo indecente. Ma non si pentiva di niente. Non poteva farlo. Quanta arroganza, quanta strafottenza, quanto ingiustificato rancore c’era in lei. Offendere in quel modo sua madre, rifiutare delle creature adorabili come i suoi fratelli. Non poteva accettare un simile atteggiamento, gliela avrebbe insegnata lui un po’ di civiltà a quella ragazzina viziata. Eccome gliela avrebbe insegnata!
 
  
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