Questa storia partecipa al
contest a turni “1 su 24 ce la fa” [Hunger Games Contest]di ManuFury.
Premessa. la storia è
suddivisa in prologo più tre mini-capitoli. Il prologo è ambientato quando Posy
ha più o meno quattro anni. Il primo capitolo è ambientato quando Posy ha sei
anni, dunque dopo Mockingjay. Il secondo quando è
alla soglia dell’adolescenza e l’ultimo quando è ormai una donna adulta. Le
altre note le aggiungo al fondo!
Qualcosa da chiamare Blu(e)
Posy Hawthorne aveva quattro anni
e mezzo la sera in cui, per la prima volta, si sorprese a domandarsi se il rosa
fosse per davvero il suo colore preferito. Stava osservando il cielo stellato
dalla finestra, con il mento appoggiato ai palmi delle mani e un’espressione
incantata dipinta in viso. Il fascino che provava nei confronti di quella
distesa blu era tale che per un istante si sentì quasi mancare il respiro, immergendo
lo sguardo nel mare di puntini luminosi.
Rivolse poi un’occhiata impensierita ai capelli rosa
della sua bambola e fu costretta ad ammettere a se stessa che, per quanto
belli, non reggessero il confronto con lo spettacolo che stava avendo luogo
sopra i tetti e le loro teste. D’un tratto le venne in mente un pensiero
bellissimo e prese in braccio Lilo per poterglielo
rivelare all’orecchio.
“Il cielo ha i capelli blu” mormorò, arricciando le
labbra a formare un sorrisetto birichino, divertita dal pensiero buffo che
aveva formulato. Pensò che le piacesse da matti, quel colore. Faceva sembrare
tutte le cose infinite e incrollabili, proprio come il cielo. Eppure, fin da
piccolissima, Posy aveva sempre preferito a tutte le tonalità che conosceva
quella del rosa brillante: era allegro e piaceva molto anche a Lilo, perché era da
femmina e s’intonava bene ai suoi vestiti. Mise a confronto con una lunga
occhiata il colore sgargiante delle ciocche di lana di Lilo
e le sfumature dai toni più scuri che tinteggiavano il cielo; fu in quel
momento che una domanda le piombò addosso, talmente all’improvviso da rubarle
il respiro per un istante: quale dei due colori preferiva di più? Quel problema
la crucciò per giorni interi e la ragazzina mise il broncio quando i suoi
fratelli maggiori non riuscirono a trovare il modo di aiutarla a sciogliere il
dubbio. Rory, Vick e Gale, si era detta per
consolarsi, erano troppo grandi e pure maschi,
quindi non potevano capire quanto fosse importante il suo dilemma. Impiegò
qualche settimana a risolverlo; ci riuscì un pomeriggio, mentre sfogliava le
pagine di un vecchio libro di testo di Gale. Trovò un capitolo che parlava di
fiori e ammirò affascinata il disegno di una rosa. Si trovò di fronte al primo
vero e proprio indizio per aiutarla a chiudere tutta quella faccenda del colore
preferito.
“Il rosa è talmente importante che ci sono dei fiori che
si chiamano come lui” commentò rivolta a Lilo, che
giaceva sulle sue ginocchia con il capo appoggiato alle pagine del libro. “Ma
non ci sono delle cose che si chiamano come il blu!”
Quel pensiero la colpì talmente tanto che fu costretta a
restituire al rosa brillante il trono da ‘Re dei Colori’:
se dava il suo nome a un fiore, doveva per forza avere qualcosa di speciale.
Tuttavia, l’indecisione riprendeva a punzecchiarle lo stomaco ogni volta che
la bambina si appoggiava al davanzale della finestra per osservare il cielo
notturno: il suo blu era talmente bello e intenso che alle volte Posy aveva
l’impressione di poterci cadere dentro solo guardandolo e, in quei momenti, le
mancava perfino il respiro. Il rosa era allegro e importante, ma non le mozzava
il fiato: non la spingeva a sentire il bisogno di respirare, come quando faceva
il bagno e la mamma le versava un po’ d’acqua sulla testa per lavarle i
capelli.
Quell’emozione speciale che riusciva a sorprenderla solo
quando guardava il cielo la spinse a decidere che il blu fosse destinato a
diventare il suo colore preferito.
Non poteva ancora esserlo, però: per guadagnarsi il posto
sul trono da ‘Re dei Colori’ gli mancava qualcosa di
importante, una cosa a cui poter prestare il suo nome, così come il rosa aveva
fatto con un fiore.
Così, a quattro anni e mezzo, Posy incominciò la sua
ricerca: voleva trovare qualcosa di speciale da poter chiamare Blu.
Water
Blue
Posy strizzò gli occhi e serrò le labbra, dimenandosi con
forza per restare a galla. Aveva bisogno di respirare, ma l’acqua le lambiva il
volto fino alla punta del naso, impedendole di concedere aria ai polmoni. Cercò
di sollevare la testa per riprendere fiato e gridare il nome di Rory, ma per quanto scalciasse e agitasse le braccia non faceva
altro che bere, soffocata dai colpi di tosse e dal panico. Se avesse saputo
nuotare come i suoi fratelli non si sarebbe mai trovata in quella situazione,
ma aveva solo sei anni e Vick e Rory ne avevano nove
quando Gale aveva insegnato loro a muoversi in acqua. Prima o poi il maggiore
di casa avrebbe dovuto farlo anche con lei, ma era quasi un anno che non faceva
più ritorno al Distretto 12 e al Due non c’erano molti laghi. Rory rimandava sempre, quando Posy lo supplicava di
insegnarle, e Vick non nuotava ancora abbastanza bene da fidarsi a portarla con
sé. Così, quel pomeriggio, la bambina aveva deciso di provare da sola. Aveva
aspettato che Rory incominciasse ad aggirarsi dalle
parti del lago e l’aveva seguito di nascosto, rassicurata dal pensiero che il
fratello fosse lì con lei. Non voleva veramente entrare in acqua: si era solo
sporta un po’ per cercare di capire quanto fosse profonda. Ma quando Rory si era accorto della sua presenza aveva gridato il suo
nome e la bambina, per lo spavento, era sobbalzata, scivolando in acqua prima
che il ragazzo potesse impedirlo. E adesso stava sprofondando in un vortice di
paura tinteggiato di blu: un blu verdastro, come l’acqua che le aveva
ingabbiato il respiro, obbligandola ad annaspare in cerca d’aria.
“Rory!” riuscì ad urlare infine, prima di tossire.
Sentì un rumore poco distante da lei e individuò a fatica
la figura di suo fratello, che si era appena tuffato in acqua. Rory nuotò fino a raggiungerla e le circondò la vita con un
braccio, sforzandosi di farle tenere la testa fuori dall’acqua. Mentre si
spostava più in fretta che poteva verso la riva Posy si aggrappò al suo collo,
nascondendo il volto contro il petto del fratello. Una volta usciti fuori, la
bambina si acquattò a terra, stringendosi nelle braccia per scaldarsi.
Tremavano entrambi e i lineamenti contratti di Rory
erano segnati dalla rabbia e dallo spavento: in quel momento Posy non riuscì a
fare a meno di pensare che somigliasse tanto a Gale.
“Stai bene?” mormorò in quel momento il giovane,
inginocchiandosi per essere all’altezza della sorellina. Quando fu sicuro che
fosse tutto a posto, inspirò con forza e si passò una mano fra i capelli
bagnati.
“Tu sei tutta matta!” sbottò infine, scuotendo la testa.
“Mi hai spaventato a morte! E se non ti avessi vista?”
“Volevo solo toccare l’acqua, ma sono caduta” mormorò la
bambina, chinando il capo. “Non gridare così, mi fai paura!” aggiunse, mettendo
il broncio. Il fratello sospirò di nuovo, prima di sedersi di fianco a lei.
Posy si strinse le ginocchia al petto per scaldarsi: aveva freddo e le mancava
ancora un po’ il respiro, ma si sentì meglio quando Rory
le circondò le spalle con un braccio.
“Non farlo mai più” la ammonì infine il ragazzo, ammorbidendo il tono di voce e
stringendola a sé. Posy annuì, tirando su col naso. Sollevò lo sguardo in
direzione del lago e gli rifilò un’occhiataccia, offesa dallo scherzo che lo
specchio d’acqua le aveva giocato. Non poté comunque fare a meno di notare
quanto fosse bello, esteso e uniforme com’era. Se fosse stato più grande
avrebbe potuto essere il gemello del cielo: forse era suo fratello minore, si
disse.
Si voltò verso Rory e analizzò
la sua espressione, come se volesse assicurarsi che non fosse più arrabbiato
con lei. Gli occhi del ragazzo erano grigi – da Giacimento – come i suoi, ma in
quel momento sembravano quasi venati della stessa tonalità bluastra dell’acqua
del lago. Erano occhi spaventati, di chi ha sentito il respiro mozzarsi e il
panico crescere, proprio come era appena successo a Posy.
La paura, pensò in quel momento la bambina, aveva il
colore dell’acqua e schiacciava i polmoni: rubava l’aria, proprio come il blu.
Era forte come il cielo e speciale come i fiori che dovevano il proprio nome al
rosa. Era proprio quello che cercava per poter risolvere il suo dilemma del
colore preferito.
Fu così che, a sei anni, Posy Hawthorne decise che
il blu era il colore della paura. E, come tale, le prestò il suo nome.
Pastel Blue
Dru[1] appoggiò la schiena alla parete del fortino e si passò
una mano fra i capelli rossi, per sistemare le ciocche spettinate dal vento.
“«Ma
se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro… »” lesse nel
volumetto che aveva sulle ginocchia, prima d’indirizzare una rapida occhiata a
Posy. La ragazzina lo stava ascoltando con attenzione, tenendo le gambe
incrociate sulla piattaforma di
legno blu. “«…Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo[2] »”.
Un
lieve sorriso arricciò gli angoli delle labbra della giovane: quando Dru leggeva o raccontava una delle vecchie favole di suo
nonno Jonathan, la sua voce assumeva un’insolita sfumatura di dolcezza che
aveva il dono rilassarla, con lo stesso tocco delicato di una carezza. Le
piaceva ascoltarlo, ignorando lo scricchiolare delle assi e il poco spazio a
loro disposizione per distendere le braccia o le gambe: incominciavano ad
essere troppo grandi per quel fortino di legno[3],
ma il quartier generale del Regno di Posy continuava ad essere il loro luogo
d’incontro preferito. Tutto quel blu s’intonava alla perfezione con le
sensazioni contrastanti che aveva incominciato ad avvertire ogni volta che il
suo migliore amico si sedeva un po’ troppo vicino a lei: al suo fianco si
sentiva bene e al sicuro, come quando da piccola sollevava gli occhi per
guardare il cielo, ma di tanto in tanto l’agitazione prendeva il sopravvento,
rubandole l’aria come aveva fatto l’acqua del lago la volta in cui, a sei anni,
ci era caduta dentro.
“«Comincio a capire» disse il piccolo
principe” lesse ancora Dru, prima di voltarsi una
seconda volta verso Posy. Si accorse che la ragazzina stava ricambiando il suo
sguardo e sorrise, prima di tornare al libro. “«C’è un fiore... credo che mi
abbia addomesticato...»”.
S’interruppe per voltare pagina e
arrossì leggermente, quando si rese conto che l’amica lo stava ancora fissando.
“Questo pezzo è uno dei miei preferiti”
ammise Posy, facendo scivolare le gambe oltre la piattaforma di legno. Dru fece oscillare le proprie, prima di sospirare.
“Lo immaginavo, me l’hai già fatto
leggere almeno tre volte da quando abbiamo incominciato il capitolo.”
Posy roteò gli occhi.
“Antipatico…” replicò, dandogli un
colpetto scherzoso con il piede.
“In realtà mi fa pensare un po’ a te”
ammise improvvisamente il giovane, sfregandosi il capo con fare nervoso. La
ragazzina gli rivolse un’occhiata sorpresa.
“Come mai?”
Dru
temporeggiò per qualche istante, sfogliando distrattamente le prime pagine del
capitolo.
“Beh, il tuo nome…” rispose infine,
voltandosi verso l’amica. “… significa fiore, no? E credo che tu mi abbia un
po’ addomesticato” ammise, minimizzando con una scrollata di spalle. Fece poi oscillare le gambe, sfiorando con la
punta della scarpa uno dei piedi della giovane.
Posy, che di norma non si faceva
problemi a rivelare a voce alta tutto ciò che le passava per la testa, si
scoprì per la prima volta a corto di parole. Uno sfarfallio insolito le
punzecchiò lo stomaco e per un attimo avvertì il bisogno di respirare più a
fondo, come se le famose farfalle che - si diceva - infastidissero le persone
innamorate le stessero rubando tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si sforzò di
farsi venire in mente qualcosa di intelligente da dire, ma tutto ciò a cui
riusciva a pensare era che avevano le mani vicinissime e che le loro spalle si
toccavano al punto tale che, se uno dei due si fosse sporto di poco verso
l’altro, le loro labbra avrebbero potuto sfiorarsi.
“Forse allora è per questo che mi piace
così tanto la parte sul piccolo principe e sulla rosa” mormorò infine, tornando
a incrociare il suo sguardo. “Sembriamo un po’ noi.”
Dru
sorrise, leggermente in imbarazzato, e appoggiò le mani al pavimento di legno.
Nel farlo posò le dita su quelle della ragazza che arrossì, azzardando una
seconda occhiata nella sua direzione.
“Vuoi
che ti rilegga la parte dei tramonti?” chiese a quel punto l’amico, spostando
lo sguardo verso il volume che teneva ancora sulle ginocchia.
Posy
scosse la testa, continuando a esaminare il suo volto con attenzione.
Improvvisamente sorrise e gli sfiorò la guancia con l’indice.
“Posso
contarti le lentiggini?”
Dru
le rivolse un’occhiata sorpresa, arrossendo visibilmente.
“Cosa?”
“Vick
ne ha un po’ sul naso e mi ha detto che nostro padre cercava sempre di
contargliele, quando era piccolo[4].
Secondo te il piccolo principe le aveva, le lentiggini?” aggiunse, facendo
oscillare i piedi e urtando nuovamente una scarpa di Dru.
“Non
saprei…” rispose il ragazzo, stringendosi nelle spalle. “…Ma se vuoi puoi
provare a contare le mie” acconsentì infine, tornando a voltarsi verso di lei.
Posy avvicinò di poco al ragazzo e le farfalle ripresero a svolazzare nel suo
stomaco, donandole una piacevole sensazione di solletico. Riusciva quasi a
vederle, da quanto erano intensi i loro movimenti: le immaginava piccole e
aggraziate, con ali dalle venature color pastello.
“Va
bene!” esclamò infine, tendendo una mano per sfiorare una seconda volta lo
zigomo destro del ragazzo. “Una…” mormorò infine, sorridendogli e indicando la
prima lentiggine. Dru ricambiò il sorriso e avvicinò
ulteriormente il viso a quello di Posy. “Due…”
Mente
contava, la vicinanza con l’amico la sorprese all’improvviso, facendola
avvampare.
“Tre…”
L’emozione
tornò a rubarle l’aria, spingendola ad arretrare di poco con la testa. Aveva
bisogno di respirare e chinò il capo verso il basso, distogliendo lo sguardo da
quello del ragazzo. Si accorse che la vernice sulle assi della piattaforma era un po’ scolorita e che in alcuni punti aveva assunto
delle sfumature color pastello, simili alle venature azzurrine delle ali delle
farfalle. Improvvisamente sorrise: tornò a incrociare lo sguardo di Dru, che la stava fissando con espressione interrogativa.
“Tutto
bene?” chiese, intrecciando le dita alle sue. Posy annuì.
“Ho
le farfalle nello stomaco…” ammise poi, sorridendo imbarazzata. Il giovane
arrossì e si avvicinò ulteriormente a Posy.
“E
di che colore hanno le ali?” scherzò, stringendole più forte le mani.
La
ragazza sorrise di nuovo. Distolse lo sguardo da lui per un istante e lo
indirizzò verso l’alto. Il cielo, per lei, aveva ancora l’effetto mozzafiato di
sempre, ma a farle mancare l’aria in quel momento era il sorriso timido di quel
ragazzo dai capelli rossi e il naso puntellato di lentiggini.
“Le hanno blu”
rispose infine con sicurezza, prima di rivolgere a Dru
un sorrisetto sbarazzino. “Blu come il cielo: siamo o non siamo nel Regno di
Posy?”
Il giovane annuì,
prima di adagiare la fronte contro quella della ragazza.
“Il
mio nome fa rima con blu” osservò, eliminando con un ultimo movimento la poca
distanza che ancora separava i loro volti. Posy chiuse gli occhi e smise di
prestare attenzione al rossore delle proprie guance o all’insicurezza che
avvertiva nel sentire per la prima volta le labbra del suo migliore amico sulle
proprie. Il bisogno di respirare che l’aveva sorpresa al principio c’era
ancora, ma a provocarlo non era la paura. Era una sensazione più delicata, ma
altrettanto intensa, che le solleticava il petto dall’interno, come ali di
farfalla; un qualcosa che rubava l’aria, ma che faceva venir voglia di
sorridere, un po’ come il cielo quando era limpido e talmente pieno di stelle
che, a guardarlo, girava perfino la testa. Era una sensazione che le ricordava
un blu dalla tonalità tenue, come la vernice scolorita del suo fortino di
legno.
Posy
Hawthorne aveva quasi tredici anni quando decise che
il blu non fosse affatto il colore della paura. Prestò invece il suo nome a
quella sensazione di farfalle nello stomaco: farfalle dalle ali color pastello.
Baby
Blue
Aveva bisogno di respirare.
Posy non riusciva a pensare ad altro mentre il dolore la
trafiggeva, aumentando d’intensità man mano che le contrazioni si facevano più
ravvicinate.
“Respira lentamente, tesoro” continuava a ripeterle Hazelle, scostandole i capelli dal volto e tenendole la
mano. Di tanto in tanto sua madre scoccava qualche occhiata rassicurante in
direzione di Dru, che stava osservando la moglie dal
bordo del letto con lo stesso sguardo spaesato di quando era ragazzino: la sua
agitazione sarebbe risultata evidente anche a decine di metri di distanza; aveva
i capelli arruffati e la maglia indossata di traverso, con l’etichetta in bella
mostra sul fianco sinistro, ma nessuno ebbe il tempo di farci caso.
Respira, si ripeté Posy,
stringendo più forte la mano di sua madre. Si concentrò sull’aria che stava
immagazzinando nei polmoni per distrarsi il più possibile dal dolore. Era la
seconda volta che quella scena si ripeteva in due anni, ma le sensazioni che
stava provando in quel momento erano le stesse che aveva avvertito al momento
della sua prima gravidanza: l’emozione e il nervosismo facevano a pugni dentro
al suo corpo, mentre il bisogno di trarre lunghi respiri si faceva più
insistente e la sua mente reclamava a gran voce il desiderio che tutto finisse.
Chiuse gli occhi, schiacciata dalla stanchezza. Quando li riaprì la
determinazione era tornata a farsi strada nel suo sguardo. Quaranta minuti più
tardi il pianto di un neonato riempì la stanza e Posy appoggiò esausta la testa
al cuscino, ricambiando debolmente il sorriso di Hazelle.
La stanchezza oscurò tutto – il dolore provato, i rumori
che la circondavano – fino a quando non avvertì il corpicino del suo
secondogenito adagiato contro il petto. Lo osservò con orgoglio, sfiorandogli
il dorso di una manina. Sentì la carezza di sua madre sui capelli e la
vicinanza di Dru, che si era chinato sul letto per
baciarle la fronte e dare il benvenuto al nuovo arrivato di casa Callister.
“Buongiorno, Liam” lo salutò,
rimirandolo con una tenerezza quasi reverenziale nello sguardo che fece
sorridere la moglie. “Sei appena diventato ufficialmente il primo pel di carota
della famiglia Hawthorne” aggiunse, analizzando con fierezza
i pochissimi capelli del bambino: erano più chiari di quelli di Dru, ma tendevano al rosso, anche se avrebbero ancora
potuto cambiare colore man mano che il neonato cresceva. Solo in quel momento
la donna notò che il piccolo aveva aperto gli occhi e stava fissando il padre
con un’espressione spaesata.
“Ha la stessa aria intontita che avevi tu poco fa” mormorò
scherzosamente al marito, accarezzando di nuovo la manina del bimbo. Il suono
della sua voce attirò l’attenzione del neonato, che voltò appena la testa per
ricambiare il suo sguardo. Nel guardarlo negli occhi per la prima volta, Posy
si accorse che il respiro era tornato a mancarle. Il bisogno d’aria che le
impregnò i polmoni, tuttavia, non aveva nulla a che vedere con il dolore
provato al momento del parto o la paura con cui aveva imparato a fare i conti
sin da piccola. La sensazione che stava provando era più forte, piacevole come
le farfalle nello stomaco che aveva avvertito a ogni primo timido approccio
avuto con Dru. Aveva provato qualcosa di altrettanto
intenso solo una volta, prima di quel momento: quando era nata sua figlia,
Leah.
Meno di tre ore più tardi, Posy era stata spostata in
reparto e la stanchezza stava incominciando a gravarle sulle palpebre,
rendendole difficile concentrarsi su ciò che le stava accadendo attorno.
Immaginò che la porta della stanza dovesse essere aperta, perché sentiva delle
voci provenire dal corridoio, e le bastò origliare la conversazione qualche
secondo per riconoscerle.
“Fiocco rosa o fiocco blu?” stava esclamando un trafelato
Rory: né Dru, né Posy
avevano voluto rivelare il sesso del nascituro prima del parto ed era evidente
che i suoi familiari non fossero intenzionati ad attendere oltre per scoprirlo.
L’accostamento di quei due colori, il rosa e il blu, catturò per un istante
l’attenzione della donna, strappandole un sorriso. Le venne spontaneo ritornare
con la mente al grande dilemma di quando era piccola e alle ore che aveva speso a
riflettere su quale dei due colori preferisse. Il rosa brillante, che le
trasmetteva allegria e che aveva sempre associato alla sua prima infanzia e ai
giochi con la bambola Lilo. Oppure il blu, il colore
del cielo, che accostava alle emozioni più forti, quelle che le rubavano il
fiato, costringendola ad avvertire il bisogno di respirare: la paura, le
farfalle nello stomaco. La nascita dei suoi figli.
“È un maschietto” annunciò in quel momento Hazelle, strappando un “Sì!” entusiasta ad entrambi i
gemelli[5],
che dovevano essere appena arrivati in ospedale assieme a Vick.
“Ancora maschi?” si lamentò invece la piccola Sawyer[6],
facendo ridere qualcuno dei presenti. “Ma io volevo un’altra cuginetta!”
“Chiedi a zio Rory e zia ‘Leen se te la fanno” propose Gale alla figlioletta,
ottenendo in risposta un categorico “No” da parte della cognata.
“Se conto mio marito ne ho già tre di bambini” specificò
poi la donna, facendo sorridere Posy.
“Perché invece non ti fai fare una sorellina da mamma e
papà?” ribatté Rory, ancora rivolto a Sawyer. Un rumore improvviso venne seguito all’istante da
un’imprecazione a denti stretti.
“Se Hawthorne vuole un’altra
figlia se la fa da solo” esordì poi la voce di Johanna Mason.
“Ma perché devi sempre picchiarmi?” la rimbeccò il
mezzano dei fratelli Hawthorne, strappando un
risolino a Dru, che stava origliando la conversazione
seduto di fianco alla moglie.
“Hai la faccia da schiaffi, prenditela con il tuo corredo
genetico, non con me” fu la risposta spiccia di Johanna, che precedette
l’ingresso dei tre fratelli Hawthorne nella
stanzetta. Vick aveva in braccio la piccola Leah, che rivolse un sorriso
luminoso ai genitori non appena lo zio la depositò sul letto di fianco a Posy.
“Ciao, sorella maggiore” la salutò con tenerezza la
donna, quando la bambina si acquattò al suo fianco, succhiandosi il pollice con
espressione soddisfatta. “Sei pronta a conoscere Blue?”
Gale aggrottò le sopracciglia, visibilmente perplesso.
“Blue?” ripeté Gale, intercettando lo sguardo altrettanto confuso di Vick.
“Pensavo che se fosse stato un maschietto l’avreste chiamato Liam.”
“Liam Blue Hawthorne”
specificò Dru, passandosi una mano fra i capelli
arruffati. “Liam come suo nonno paterno e Blue come
uno dei colori preferiti della sua mamma. E della sua sorellona” aggiunse poi,
prendendo in braccio Leah, che stava gattonando sul materasso per raggiungerlo.
“Blue!” ripeté la bambina, giocherellando con l’etichetta della sua polo. Dru arrossì, accorgendosi solo in quel momento di aver infilato
la maglietta al rovescio.
“Blue Hawthorne suona bene” commentò in quel
momento Rory, attraversando la stanza per sedersi
vicino alla sorella.“Mi piace già, questo
piccoletto.”
Posy si limitò a sorridergli, troppo stanca anche solo
per formulare una risposta. La sua attenzione venne attirata da qualcosa di blu
che penzolava dal comodino, a cui non aveva fatto caso fino a quel momento: era
l’estremità di un fiocco, di quelli che si esponevano fuori dalla porta per
annunciare la nascita di un bambino; sua madre doveva esserselo procurato
subito dopo essere uscita dalla sala parto. Appendere fiocchi non era più di
uso comune da anni, ma Posy sapeva che in passato venivano utilizzati per
manifestare la felicità che comportava l’arrivo di un neonato in famiglia. ‘Felicità’
era il termine più adatto per descrivere ciò che stava provando in quel
momento: si sentiva come la bambina di quattro anni che ogni sera ammirava il cielo,
credendolo incrollabile, proprio come la torre di legno che aveva nel cortile
di casa sua. Era gioia quella che avvertiva, eppure a Posy venne più spontaneo
associare quell’emozione a una seconda parola: blu.
Posy Hawthorne aveva ventisette
anni, ormai, il giorno in cui il rosa brillante perse definitivamente il trono come
‘Re dei Colori’. La donna continuava a pensare che
fosse una tonalità allegra, ma non reggeva il confronto con la sensazione di
serenità e meraviglia che solo il suo rivale riusciva a comunicarle: la stessa
emozione che le aveva trasmesso suo figlio nel momento in cui l’aveva guardato
negli occhi per la prima volta.
Adesso, Posy aveva qualcuno di speciale da poter chiamare
Blue.
Note finali.
Quando ho letto la
frase su cui avrei dovuto basare questa storia storia
per il quinto turno del contest (“aveva bisogno di respirare”) ho immaginato
che o sarebbe uscito qualcosa di terribilmente angst,
oppure qualcosa di terribilmente fluff (il bisogno di respirare l’ho subito
associato al momento del parto e poi a un ipotetico primo bacio di Posy) e alla
fine ho optato per quest’ultimo, anche se non mi aspettavo di tirare fuori
qualcosa di così diabetico >.< Il ‘fluff’ mi è sfuggito un po’ di mano.
Ho cercato di inserire nel
racconto diversi riferimenti alle storie precedenti scritte per il contest e,
in particolare, credo che questo racconto si possa considerare una sorta di
“Spin-off” di “Il cielo non crolla”, visti tutti i riferimenti al blu e al
cielo. Il passaggio del Piccolo Principe che legge Dru
l’ho inserito per collegarmi a “A Flower that Blooms in Adversity”, poiché la storia si basa sul fatto che il nome “Posy”
significhi appunto ‘fiore’ o ‘mazzo’ di fiori.
Infine, la “e” fra
parentesi nel titolo è stata inserita appunto fra parentesi per fare in modo
che quel “Blu” possa riferirsi sia al colore in generale che al soprannome del piccolo
Blue Hawthorne. La stessa cosa vale per la frase di chiusura,
dove la “e” finale di Blue è stata evidenziata appunto in blu. E… niente,
questa storia non è il massimo, probabilmente è troppo sdolcinata, ma ci tenevo
a consegnare qualcosa per il quinto turno, visto che ormai ne mancano solo più
tre, e questo è tutto ciò che son riuscita a combinare xD
Un abbraccio e a presto!
Laura
[1] Dru Callister è un ragazzino del Distretto 13
che si trasferisce assieme alla famiglia nel 12 dopo la rivolta. Il suo
rapporto con Posy era già stato delineato in “Il cielo non
crolla (ed io nemmeno)”.
[2] I
passaggi che legge Dru sono tratti da “Il Piccolo
Principe” di Antoine de Saint-Exupéry.
[3] Fortino
di legno blu costruito nel periodo post-rivolta, a un mesetto di distanza dal
ritorno degli Hawthorne al Distretto 12. Il fortino è
stato costruito per Posy, che all’epoca aveva 5 anni, e se ne parla nella
mini-long “Il cielo non crolla (ed io nemmeno)”.
[4] Questo è un
riferimento alla storia: “Adesso mi ricordo” in
cui Hazelle racconta a Vick che suo padre giocava
spesso a contargli le lentiggini, quando era piccolino.
[5] Adam e Noel, i due gemellini figli di Vick
[v. S.O.S. Hawthorne].
[6] Sawyer è la figlioletta di Gale e Johanna [v. S.O.S. Hawthorne].