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Autore: Strekon    13/01/2005    14 recensioni
Pochi anni di tranquillità sono stati lasciati ai nostri eroi. Ma ora i pericoli sembrano ricominciare. Una nuova minaccia, una vecchia vendetta, un promessa mai compiuta...
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Radunatemi tutti gli auror nel ministero”

“Radunatemi tutti gli auror nel ministero”

“Intende tutti gli auror del ministero o…”

“Nel! Dentro! Qui dentro, cazzo parlo arabo?!” sbottò Percy arrabbiato. Il giovane segretario si scusò e se ne andò di corsa vero i piani più in basso ad eseguire. Percy sbuffò e riprese a camminare rapido verso il suo ufficio.

“Signor ministro! Signore…”

Percy non sentiva quella voce alle sue spalle. Era troppo impegnato a pensare a come salvare sua sorella.

“Percy, per favore, aspetta!” Rebecca gli afferrò la spalla e lo costrinse a voltarsi verso di lei. Percy sembrò svegliarsi solo in quel momento.

“Cosa…che vuoi?” era nervoso. Arrabbiato. Forse un po’ ingiusto.

“Che voglio? Senti, ti sto rincorrendo da tre piani, hai fatto sempre finta di non sentirmi…”

“Non ti ho sentita” ribattè tranquillo Percy. Si voltò e riprese a camminare velocemente per il corridoio. Un paio di persone lo salutarono con un cenno del capo, scivolandogli ai lati. Rebecca seguì il suo passo svelto. Il suo tono risentito si trasformò presto in arrabbiato.

“Non prendermi in giro, Percy! Mi vuoi dire perché stai mobilitando tanti auror da scatenare una guerra? Cosa diavolo è successo al San Mungo?”

“Rebecca lasciami perdere, d’accordo?” Percy neppure si voltò per rispondere alla ragazza. Continuò per la sua strada dandole le spalle.

“No! D’accordo niente! Prima è tutto baci e carezze poi sono tagliata fuori?!” Rebecca alzò la voce. Percy fu costretto a fermarsi. Anche perché qualche curioso aveva aperto a spioncino la porta del proprio ufficio per vedere cos’era tutto quel trambusto in corridoio.

“Con ordine, Rebecca. Noi non centriamo con il lavoro qui al ministero. Il nostro rapporto è…”

“Col cazzo che non centriamo!” lo interruppe brutalmente Rebecca. Percy si guardò in giro nel breve momento di silenzio dopo lo sbotto della ragazza.

Troppe orecchie. Troppi occhi. Acchiappò Rebecca per un braccio e la trascinò dentro un piccolo ufficio vuoto. Accese la luce con un colpo di bacchetta e un lieve chiarore prese a illuminare la stanza. Chiuse la porta.

“Mi vuoi dire che cazzo ti prende?” sillabò secco Percy. Duro. Molto duro. Rebecca sbuffò divertita.

“Cosa prende a me? Prova a rivolgerti la stessa domanda, signor ministro

“Senti” gli rispose subito Percy “Stanno succedendo delle cose. Cose gravi. Con Harry, Draco e Ginny. Non so dov’è Ron. La Tana è stata attaccata. Ormai è l’alba e non dormo da ventisei ore…” si passò le mani davanti al volto, come se sfregandosi gli occhi si potessero schiarire anche le idee.

Rebecca lo sentì espirare addolorato. Non voleva certo farlo sentire un tale farabutto. Soltanto non conosceva il motivo di tutto questo. Non conosceva quello che era accaduto. E soprattutto non avrebbe mai immaginato di dirglielo in tale modo.

“Percy…” gli si avvicinò e lo abbraccio, appoggiando la testa sul suo petto “…c’è una cosa. So che non è il momento migliore, forse, però…” Percy la afferrò per le spalle, la stacco dal suo petto e la guardò negli occhi, preoccupato.

“Cosa? Cos’è successo ancora?” Rebecca trasse un respiro e buttò fuori tutt’in una volta.

“Credo di essere incinta”

Un lungo momento di silenzio. Interrotto soltanto dal boccheggiare di Percy. In parte troppo stanco per elaborare completamente quelle informazioni.

“Ah…e, quando? Cioè, come…?” Rebecca piegò le labbra in un sorriso ovvio.

“Credo nel modo tradizionale… ecco, ora lo sai” Percy le tolse le mani dalle spalle. Camminò all’indietro, fin contro al muro. Ci si appoggio, o forse ci si schiantò contro. Lo sguardo era perso nel vuoto. Immobile a fissare un punto sulla parete di fronte a se, proprio poco distante dalla spalla di Rebecca.

“Wow…” prese fiato, e tirò su col naso “…è…è una bella notizia. Un po’ forte, ma bella…no?” Rebecca gli si schiacciò contro, abbracciandolo. Sorrise contro il suo petto.

“Io direi di sì…e tu?”

“Certo…certo che è bella” le accarezzò i capelli neri e ricciuti, senza togliere lo sguardo da quel punto sul muro “Dammi solo un minuto per riprendermi” ridacchiò nervosamente. Anche Rebecca rise per scaricare la tensione.

Passarono qualche minuto in balia di risolini e respiri sofferti dal troppo sghignazzare prima di tornare in se stessi, di tornare a pensare razionalmente.

“Sarà…” iniziò Percy, ma venne preventivamente interrotto dalla porta, spalancata di scatto. Si sollevarono entrambi da contro al muro, più per lo spavento che per il timore di farsi scoprire insieme.

“Percy!” fu Neville ad entrare come una furia nella stanza. Sembrò ignorare che quei due fossero soli e abbracciati.

“Percy, perché si sta tenendo una riunione del consiglio senza di te?” chiese cinicamente Neville. Il ministro Weasley sembrò dimenticare tutto quello che era appena successo per concertarsi su quella nuova notizia.

“Senza…senza di me? C’è una riunione senza ministro?” da incredulo il suo tono passò presto a nervoso. Forse anche un po’ infuriato. Come un turbine scattò fuori dalla stanza ordinando ai due di seguirlo. Rebecca gli fu dietro in un lampo. Neville già si fregava le mani soddisfatto.

 

Marciò teso lungo il corridoio dell’ultimo piano del ministero. Una riunione del consiglio del ministro senza il ministro! Un po’ come accendere un falò senza fuoco. Chi poteva aver osato tanto? Soprattutto in un periodo come quello.

Soprattutto, come sperava di passare inosservato? Probabilmente, in realtà, non lo sperava affatto. Sapeva che sarebbe stato scoperto. E allora rimaneva un’altra domanda.

Perché?

Percy raggiunse la porta d’ingresso della sala riunione del consiglio. Intravide, lungo il vetro opacizzato, una luce accesa. Camminò fiero e spalancò la porta. Il lieve brusio che aveva avvertito un attimo prima si zittì in un lampo.

I volti, illuminati da quella piccola luce, sembravano essere a metà fra lo spaventato e il sorpreso. C’era aria di complotto nell’aria. Percy intravide soltanto alcune delle facce dei suoi consiglieri.

Le dieci poltrone, oltre la sua, erano tutte occupate. Tranne quella di Lupin, naturalmente.

Percy fece pochi passi nel silenzio generale. Lenti, controllati, e intanto scrutava i volti che, mano a mano, si illuminavano. Quelle facce lo osservavano. Le ombre lunghe sui loro volti erano mitigate dalle prime luci dell’alba che filtravano dalla finestra.

“Allora” inizio Percy, freddo e duro come il più mastodontico degli iceberg “Qualcuno mi può dire cos’è questa novità?” accennò con la mano intorno a se. Guardò dritto negli occhi uno dei consiglieri.

“Donhev, che state facendo?” l’uomo, chiamato per nome distolse lo sguardo e lo puntò verso il lato del tavolo dove di solito sedeva Percy. La sua poltrona, ora era in ombra. La luce presente non bastava ad illuminarla completamente. Anche se, guardando meglio, socchiudendo gli occhi, Percy intravide una sagoma seduta composta sullo scranno.

“Loro non hanno colpa, ministro Weasley” intervenne una voce proveniente dall’oscurità. Molto probabilmente proprio dalla sedia del ministro. Percy guardò meglio attraverso le tenebre.

“Non potevano sapere tutto di te. Non potevano decidere liberamente” Percy allungò la mano in avanti e la luce flebile si intensificò fino ad illuminare tutta la stanza.

“Dopotutto, sono solo consiglieri, no?” Rodolphus Lestrange gli sorrise, sereno, seduto su una sedia che non era sua. Teneva le dita intrecciate poco sotto il mento e le gambe accavallate ad angolo retto. Era fiero di quello che stava facendo, o almeno così pareva.

“Cosa diavolo sta succedendo!?” fu Neville a sbraitare, avvicinandosi a Percy. Si interpose fra lui e Rodolphus e lo guardò in cagnesco. Percy gli poggiò una mano sulla spalla, come a calmarlo. Non era quello il momento della rabbia. Non più, ormai.

“Benvenuto ministro Weasley. Mancava solo lei per concludere la riunione”

“Concludere?” chiese Percy con un bruttissimo presentimento che gli vagava per la mente “Lestrange, dimmi cosa ci fai tu qui. Su quella poltrona”

Rodolphus sorrise amabilmente. Si aggiustò il ciuffo brizzolato così che non gli cascasse davanti agli occhi.

“Sì, vede ministro, ho cercato di spiegare ai consiglieri cosa è successo in questi mesi sotto il suo governo” si alzò in piedi e cominciò a camminare, lentamente, intorno al tavolo.

“Sembra che da questa estate i rapporti con la Germania si siano un pochino raggelati, o no?” domandò, braccia incrociate dietro la schiena. Percy lo seguiva con lo sguardo mentre Neville si limitava a mantenere una smorfia disgustata sul voto.

“L’omicidio del ministro Jagd è stato sconcertante per tutto il mondo magico. Le indagini sono in corso…”

“Ah già!” lo interruppe subito Rodolphus “L’assassino. Il killer. Il mezzo drago. Ne ho sentito parlare. Ed ho sentito cosa ha fatto il ministero per catturarlo. Ha speso, ministro Weasley. E molto”

Da un angolo della stanza ancora in ombra una donna dai lunghi e fluenti capelli corvini camminò fino allo scranno vuoto di Lupin. Teneva in mano una pergamena e, senza staccare gli occhi da essa, leggeva meccanicamente cosa vi era scritto.

“Trecentocinquantamila galeoni per il completamento in tempo di record dello stadio di quidditch. Decine di morti, e feriti. Spese di riparazione e ricostruzioni pari ad altri cinquantamila galeoni” Bellatrix Lestrange alzò gli occhi verso Percy “Sono una bella somma, signor ministro”

La donna si sedette, volteggiando nella sua ampia tunica blu notte, sulla poltrona vuota.

“Quella sedia non è tua, Lestrange” parlò secco Percy. Lanciò un occhiataccia in direzione di Bellatrix la quale nemmeno si scompose a replicare a quella provocazione.

“Oh, bè, ma non è nemmeno di Remus Lupin, credo” puntualizzò di rimando Rodolphus, appoggiato con le mani ad uno schienale di una sedia occupata da un consigliere.

“Vede, pare che Lupin sia un lupo mannaro. Già, credo che la cosa sorprenda anche lei” il tono di Rodolphus fu palesemente ironico. Anche la persona con meno senso dell’umorismo in tutta la terra avrebbe colto l’ironia nella sua voce.

“Dato ciò, il signor Lupin viene rimosso immediatamente dal suo incarico di consigliere. Gli auror lo stanno cercando con un mandato d’arresto fra le mani…” sorrise compiaciuto e riprese a camminare attorno al tavolo.

“Proseguendo, nonostante tutte queste spese e la figuraccia con l’amministrazione tedesca…questo assassino è ancora in libertà” scosse la testa divertito “Che brutta situazione signor ministro. Però…” prese fiato e fece altri due passi, lenti e controllati.

“Però aveva pronto un piano di riserva. Scatenargli contro qualcuno di più terribile e micidiale di lui: Harry Potter” si sentì Bellatrix ridacchiare. La donna si copri la bocca con le mani per non farsi vedere.

“Incredibile, non è vero? Il bambino sopravvissuto trasformato nel più spietato degli assassini. Neanche io ci potevo credere quando l’ho saputo, eppure…” Neville minacciò col dito indice teso il vecchio mago, in piedi a pochi passi da lui.

“Harry Potter era controllabile. E’ stato Cornelius Caramel a…”

“Caramel! Certo, Cornelius Caramel, uno stretto collaboratore del ministro, scelto da lui medesimo” fece una pausa in cui incrociò gli occhi con Percy “Un collaboratore che ha tentato di ucciderlo e ha portato scompiglio per tutto il ministero. Ottimo lavoro ministro Weasley”

Terminò il suo giro intorno al tavolo e si rimise seduto sullo scranno di Percy.

“Per questi motivi, ministro Weasley, ho personalmente chiesto la sua rimozione dalla carica di ministro della magia” Percy trattenne il fiato. Rebecca, rimasta taciturna sulla soglia della porta fino a quel momento, scattò in avanti.

“Voi non potete farlo!” agitò una mano in maniera seccata. Neville le diede manforte.

“Non ne avete il potere!” Rodolphus si limito a scambiare un rapido sguardo con la moglie. Bellatrix estrasse una lunga pergamena da una tasca della veste. Con un gesto noncurante la lanciò ai piedi del terzetto. Il foglio ingiallito si srotolò davanti ai loro occhi.

“Quella che vedi è una richiesta ufficiale. Le firme in calce sono quelle dei tuoi consiglieri. I tuoi fidati consiglieri, Weasley”

“Ah, dimenticavo” Rodolphus indicò la base della pergamena “Quelle poche righe sul fondo mi indicano come ministro provvisorio, in attesa di nuove elezioni. Naturalmente anche questa decisione è stata approvata e controfirmata da tutto il consiglio. Oh, da tutto tranne Lupin, naturalmente”

Percy non si scompose di un millimetro. Dentro avrebbe anche potuto bruciare di rabbia, ma il suo volto, le sue mani non lasciarono trasparire neanche una emozione. Neville, al contrario, strinse i pugni fino a sbiancarsi le nocche. Boccheggiò interdetto verso il tavolo circondato dai consiglieri che evitavano accuratamente lo sguardo di Percy.

“Voi…non po-posso cre-credere…” balbettò scioccato Neville. Bellatrix si alzò in piedi per raccogliere la pergamena e gli sfiorò con le dita la spalla.

“Balbetti anche tu Paciock…proprio come tua madre” gli sussurrò nell’orecchio non troppo forte, ma abbastanza perché lo udissero sia Percy che Rebecca. Neville vide rosso.

Afferrò il braccio magro di Bellatrix e la strattonò all’indietro.

“Ripetilo maledetta puttana!” strillò diritto in faccia alla donna. Bellatrix sembrò perdere il controllo sulla situazione solo per un attimo. Il suo volto non lasciò trasparire nulla, come quello di Percy pochi minuti prima.

Rebecca afferrò Neville per le spalle e fece in modo che lasciasse andare la donna. Bellatrix si aggiustò la manica della veste e con indifferenza arrotolò nuovamente la pergamena. I consiglieri assistettero muti alla scena.

“Questa è la volontà del consiglio?” la domanda di Percy fu semplice e diretta. Il silenzio degli uomini intorno al tavolo fu una risposta sufficiente. Percy Weasley abbassò il capo e strinse le labbra.

“Bene…molto bene”detto questo uscì rapido dalla sala per gettarsi nelle ombre del corridoio.

*****

Silenzioso. Cupo. Sicuro di se. Ginny non aveva mai visto Harry Potter così. E mai avrebbe pensato di vederlo. Quel volto tirato, in tensione. Quegli occhi…spiritati. E spietati. Vedeva il vuoto nelle sue pupille. Nulla, nulla e ancora nulla.

Harry balzò rapido da un lato all’altro del corridoio tenendo stretta a lui Ginny. Atterrò dopo un salto nel vuoto di quasi tre metri, silenzioso come un gufo in picchiata. Sfiorò appena il terreno e poi partì ancora, di corsa.

Ginny rimaneva stretta, con le braccia attorno al suo collo. Era da anni che non vedeva Harry Potter. Non lo vide neanche quando venne rinchiuso ad Azkaban. Eppure, nonostante quell’aria terrificante che lo circondava, nonostante Ginny sapesse i terribili crimini di cui si era macchiato, nonostante tutto ciò, Ginny si fidò di lui. Lui la interrogò sul suo passato, sulla sua vita. E sui loro rapporti. Anche quelli, infine.

E lei rispose. Raccontò tutto. Non perché fosse costretta, no. Fu Harry a farla parlare. Quell’Harry che ormai lei ricordava soltanto in fugaci immani nella mente.

Lei non poteva sapere cosa si nascondeva ora sotto l’aspetto di Harry Potter. Non poteva sapere quello che gli altri sapevano già. Quell’ Harry Potter non esisteva più, e mai più sarebbe esistito. In comune con lui, questo aveva soltanto l’aspetto esteriore. E a volte nemmeno quello.

Ginny aveva notato quella mano metallica. All’inizio l’aveva scambiata per un guanto, ma poi, appena l’aveva afferrata e stretta a se aveva intuito subito il suo errore. Un arto artificiale. I capelli più lunghi, ma sempre scompigliati. Quel ghigno…

“Ci siamo quasi. Sento odore di combattimento” Harry interruppe i pensieri della ragazza. Fece un ultimo balzo in avanti e poi si fermò dietro un angolo di roccia. Fece scendere Ginny coi piedi a terra e le fece cenno di rimanere ferma. Si sporse di poco dietro lo sperone di roccia. Una larga caverna. Un paio di persone a terra. Più in là un’altra. Poi ancora una.

“Ma quello…” sospirò a mezza voce. Ginny gli si avvicinò piano e si sporse anche lei.

“E’ Sirius!” esclamò a voce bassa.

“Già…e l’altro e il licantropo suo amico del cuore. Quello è il non morto che insegna ad Hogwarts” Harry accennò a Piton con un cenno del capo. Pareva disgustato.

“Piton è qui?” Ginny parve sorpresa “Ma…perché? Voglio dire cos..” Harry la zittì con un gesto della mano davanti alla bocca.

Piegò il capo leggermente. E strinse gli occhi. Piton teneva la bacchetta tesa verso i due a terra. Sirius sembrava ferito. Lupin era sicuramente ferito. Ma in mezzo a loro. C’era qualcun altro in mezzo a loro. Harry sorrise.

“Il vecchietto ha fallito” Ginny guardò meglio ma non capì le parole di Harry. Si sentì strattonare per il braccio e sollevare di peso, spintonata in avanti. Harry le teneva il braccio destro piegato violentemente dietro la schiena. La spinse lungo il corridoio, verso la caverna grondante violenza.

“Ah…Harry, ma…ma che fai?”

“Scusa dolcezza, i giochi finiscono qui” sibilò alle sue spalle Harry, e la sospinse ancora in avanti con uno spintone.

Forse Ginny si era fidata un po’ troppo di quella brutta copia di Harry Potter.

*****

“Che tu sia maledetto Severus!” sbraitò Sirius tenendosi la spalla ferita. Per tutta risposta ricevette un calcio in faccia da uno dei fanatici di Lucius.

“Zitto, verme!”

“Non esagerate, manteniamo la calma” Piton sorrise a Lupin, guardandolo con la coda dell’occhio “Questo è un momento da assaporare, non affogatelo subito nel sangue”

I seguaci vestiti di tuniche stracciate evitarono di replicare. Forse per paura, o forse semplicemente perché così gli era stato ordinato. Lupin non seppe darsi una risposta.

Piton sorrise, tronfio di essere l’unico ancora in piedi e armato di bacchetta. Con un riso trattenuto fra le labbra grinzose e verdi. Un riso che non poté fare a meno di scoppiare, echeggiando per tutta la caverna.

“Infine, un solo vincitore” camminò in avanti verso Lupin. Afferrò la bacchetta a pochi passi da lui e la mise in una delle tante tasche della sua tunica. Girò su se stesso e camminò verso Sirius, appoggiato contro la parete.

“Non sai che gusto provi a vederti ai miei piedi, Black” sibilò perfido Piton facendo vibrare la lingua fra i denti.

“Fottiti, Severus” sillabò Sirius sputacchiando sangue dal labbro inferiore. Piton smise di sorridere per assumere un espressione molto più seria e contrariata. Sollevò la bacchetta ed assieme a lei si sollevò anche Sirius. Si alzò in volo per una paio di metri. Con un solo gesto secco della mano Piton lo scaraventò in mezzo alla stanza, fra schegge e detriti. Sirius trattenne un goffo singulto prima di ritrovarsi piegato in due e con la sensazione di avere un elefante seduto sopra al petto.

“Imparerai a tenere a bada la lingua d’ora in poi, Black. Ora servo qualcosa di meglio che un vecchio mago con manie da super eroe” Piton lanciò un’occhiata di sbieco a Silente, ancora a terra e fermo da sembrare morto.

“Ora servo il nuovo Signore Oscuro” sorrise soddisfatto mentre Sirius cominciava appena a riprendersi e a riaprire gli occhi. E non credette a quello che vide.

“E quello che posso dargli io non può darglielo nessun’altro”

“Buona sera signori” una voce spietata interruppe il siparietto di terrore di Severus Piton. Assieme alla voce un lamento spezzato. Una voce femminile. Piton si voltò di scatto per ritrovarsi a neanche due passi da Harry Potter. E non solo lui. Con lui, o forse sarebbe stato meglio dire in suo potere, c’era Ginny Weasley. L’ultima persona che avrebbe dovuto essere lì.

“Mi chiedo se sia possibile unirsi alla festa” Lupin alzò lo sguardo verso Harry. E per un attimo Harry incrociò lo sguardo con lui. E per un attimo non vide quel ghigno sul suo volto. O forse no?

“Quello è Potter. Ha attaccato il nostro alto sacerdote Shelav!” strillò il fanatico mingherlino armato di spada. Piton lo zittì con un gesto.

“Tu…cosa vuoi? Perché sei qui?” lanciò un’occhiata a Ginny “Perché lei è qui?”

“E’ il mio regalo. A quanto sembra questo grosso demone infernale si diverte a collezionare i membri della famiglia Malfoy” alzò le spalle e girò il braccio ancora più stretto alle spalle di Ginny. Lei lanciò un grido e lo pregò di non farlo.

“Caschi male, Potter! Non ci serve a nulla quella lì!” replicò secco il lanciatore di coltelli, alle spalle di Piton.

Severus Piton non ci cascò. Per una frazione di secondo vide lo sguardo di Harry Potter cadere su Sirius e farsi umano. Niente ghigno. Niente arrogante sorrisetto sulle labbra.

Se Harry Potter si trovava lì c’era senz’altro un valido motivo. E lui non conosceva quel valido motivo. L’unica cosa che sapeva, o meglio, che aveva intuito, era il piano del ragazzo. Fra pochi secondi quella caverna si sarebbe trasformata in un inferno.

“Oh, davvero? Allora…” diede una spinta in avanti a Ginny che la fece ruotare su se stessa. L’ultima cosa che Ginny vide fu Harry Potter. Anzi, l’ultima cosa che vede, precisamente, fu un fulmineo occhiolino.

Avada Kadavra!” la scia di energia verde smeraldo centrò in pieno Ginny sbalzandola poco oltre il professore di pozioni. Piton la vide roteare al suo fianco per poi accasciarsi accanto a lui.

“Merda…” sibilò a bassa voce. Con uno scatto corse attraverso la stanza fino a raggiungere un cunicolo laterale nascosto da due imponenti rocce nerastre.

“Ma cosa…” fu uno dei fanatici a reagire per primo.

“L’ha uccisa…” parlò piano, un paio dei suoi compagni annuirono, sbalorditi dal gesto. Non sapevano davvero che fare. Era o non era una vera minaccia quel Potter? Dopotutto aveva portato un ostaggio. Un ostaggio inutile che aveva subito ucciso e…ucciso? E allora perché si muoveva ancora? Perché fluttuava nell’aria? Perché aveva quello sguardo?

“RACCOGLIERETE LE VOSTRE MEMBRA ALL’INFERNO!”

 

 Shelav alzò la testa appena avvertì quella potente forza magica scatenarsi da qualche parte, proprio sopra la sua testa. Il tempo stava scadendo. Il suo Signore sarebbe dovuto tornare libero senza imprevisti. E quella energia stratosferica era un imprevisto. L’imprevisto più grande e fastidioso che Shelav avesse mai concepito.

Corse verso le stanze più remote di quel dedalo di caverne, le più profonde. Con un colpo di bacchetta aprì la porta di legno davanti a lui. Il chiavistello schioccò secco contro la parete.

Entrò e afferrò un fagotto di vestiti. All’interno di quei vestiti stava Eve, terrorizzata e stordita dalla paura.

“Andiamo piccola. I giochi finiranno fra un attimo” Eve tentò inutilmente di sottrarsi al suo assalitore. La raccolse di peso mentre lo picchiava su un fianco.

Shelav avanzò di nuovo verso il corridoio e afferrò un grosso tomo appoggiato sul tavolo. Assieme al tomo nascose fra le pieghe della veste un pugnale infoderato. Un lungo e tortuoso pugnale cerimoniale.

 

Le ampie doppie porte si aprirono e lo spettro luminoso di Lucius Malfoy alzò la testa da quello che sembrava essere un magro mucchio di carne torturata e sanguinolenta.

“Ah, figliolo, il momento è giunto, infine. Spero che la tortura non ti faccia morire o svenire nel frattempo” Draco, ridotto poco meglio che un cadavere, si poggiò sui gomiti e mugugnò qualcosa di incomprensibile. Un fiotto di sangue misto a saliva gli colò dalla bocca andando ad inzaccherare il pavimento già lercio del suo sangue.

Shelav percorse lo stretto corridoio fra i due laghi di melma e raggiunse la proiezione del suo Signore. Accasciò la bambina a terra e la tenne ferma con la stessa mano con cui l’aveva retta fino ad ora. Il libro cadde con un tonfo a terra.

“Mio Signore io…”

“Sì l’ho sentita anche io Shelav. Ho riconosciuto quella forza magica…”

“Avremmo dei problemi, mio Signore?”

“No” rispose subito Lucius “Non ci saranno problemi. Inizia il rito, ormai sono pronto” Lucius Malfoy si dissolse in un vago fumo scarlatto che venne risucchiato all’interno dello stretto portale di fiamme.

“Lasciami andare…lasciami…”piagnucolava ancora Eve. Vide suo padre, ma non ebbe la forza di chiamarlo. Il terrore ormai le aveva preso l’anima. Ogni fibra della sua carne gridava per fuggire da quel luogo. Per portare via suo padre con lei. Avrebbe voluto strapparsi di dosso quell’ingombrabte vestiti di strascichi e veli per poter correre via.

“Zitta” la ammonì Shelav senza neanche guardarla. La sollevò ancora di peso mentre il grosso tomo cominciava a volteggiare davanti al portale. La copertina si aprì e le pagine presero a sfogliarsi come condotte da un vento invisibile.

“E ora, liberami da questa lurida prigione infernale!” tuonò la voce di Lucius Malfoy, di nuovo cupa e cavernosa.

Le fiamme crepitarono alle spalle di Shelav. Lasciò andare Eve e per un attimo la ragazzina si sentì libera di correr via da lì. Ma l’attimo dopo era già ad un metro da terra, a mezz’aria, senza la possibilità di muoversi.

Shelav si concentrò e iniziò a recitare i passi indicati nel libro in maniera frenetica. Eve non riusciva a capire una parola di quello che sentiva. Ma non capiva se era per la velocità con cui pronunciava certe parole e se era davvero una lingua incomprensibile alle sue orecchie.

Strillo ancora e scalciò inutilmente. Chiuse gli occhi lordi di lacrime continuando a singhiozzare.

“Papà!” riuscì a gridare in un ultimo disperato momento di forza.

 

Draco sentì una voce lontana chiamarlo. Una voce, distante e disperata. Che conosceva, ne era sicuro. Era Eve, la sua Eve. Eve.

“Eve…” farfugliò sputando sangue e piegando la schiena in avanti. Sentiva le ossa rotte ovunque. Il sangue gli scaldava la pelle, o forse era quella melma ribollente a fargli così caldo.

Strisciò in avanti e si puntò sulle ginocchia. Resse un momento prima di crollare sul duro pavimento di roccia.

“Eve! gridò, provocandosi una forte raffica di colpi di tossa macchiati di sangue.

“Papà!” ancora il grido di Eve. Stava morendo. Sua figlia stava per morire. Lui era lì, a neanche un balzo di distanza, e non riusciva a fare nulla. Non poteva farla morire, non doveva morire.

“No!” un altro grido. Stoica Draco si puntò ancora sulle ginocchia, aiutandosi con le braccia. Inutile, non riusciva a reggersi di più. In un attimo fu di nuovo al suolo. Riuscì ad aprire gli occhi e vide il cerchio di fiamme farsi sempre più brillante. Shelav alzò il pugnale, estratto dalla sua veste con un fluido movimento di mano. Il grido di Eve. La cupa risata di sua padre. Era la fine.

*****

Accio Ragazzina!” Shelav abbassò il pugnale di scatto ma quello che colpì fu solo un lembo svolazzante del vestito della ragazza. Eve volò all’indietro fino a giungere fra le braccia di Harry Potter. La acchiappò al volo e con non curanza le mise a terra.

“No! Che tu sia maledetto!” tuonò Shelav e alzò il pugnale vero l’alto. E la vide. Una sottile striscia di sangue lungo la lama. Poteva bastare.

“Mio Signore!” si voltò verso il portale e gettò l’arma fra le sue crepitanti fiamme. Il pugnale scomparve divorato dalle lingue di fuoco. Ci fu un attimo di silenzioso scoppiettio, poi le fiamme crepitarono soddisfatte, seguite da un profonda risata soddisfatta di Lucius.

“Sì! Ben fatto mio servitore. Il sangue è poco, e mi ci vorrà un po’ più di tempo. Intanto, occupati di lui” Shelav si voltò e puntò gli occhi su Harry Potter.

“Con immenso piacere, mio Signore”

Harry vide le fiamme farsi più rosse, più alte. E vide come lo stretto cerchio di fiamme si stesse allargando. Lentamente, ma inesorabilmente.

“Stai qui ragazzina” disse Harry senza neanche guardarla. Estrasse una lunga spada da sotto il mantello e la volteggiò davanti a se. Camminò in avanti facendo svolazzare il mantello alle sue spalle. Con un gesto secco della mano slacciò il fermaglio e il mantello scivolò a terra, fra il sangue e la polvere.

Shelav fece un gesto della mano e il bastone gli comparve fra le mani. Con uno scatto felino balzò in avanti schiacciando l’arma dall’alto verso il basso. Harry scivolò di lato e piegò il gomito colpendolo secco in faccia. Shelav arretrò offeso al volto. Vacillò per un attimo poi riprese l’attacco. Attaccò rapido in basso e in alto. E poi ancora in basso. Harry devio i primi due colpi e saltò l’ultimo, piegando di lato. Alzò la spada per affondarla nella spalla del suo avversario, ma quello fu più agile e si mosse all’indietro. La lama di Harry scalfì il pavimento con un clang. Ma non terminò qui. Alzò la spada affondandola in avanti con un passo rapido e la lama penetrò la carne di Shelav, dall’inguine fino al petto gli si aprì uno squarcio orrendo da cui uscì un rumore di ossa scheggiate e muscoli impazziti.

“Non puoi nuocermi, né con la tua spada…” Harry lasciò l’arma, fece un balzo all’indietro e estrasse la bacchetta, puntandola verso il suo avversario. Shelav sorrise.

“…né con la tua magia. Io sono un Lich! Non puoi sconfiggermi così facilmente!” questa volta fu Harry a sorridere. Alzò un sopracciglio perplesso, agitò la bacchetta per aria per un lungo attimo. Poi si fermo, puntandola addosso a Shelav.

“Hai ragione. Ho dovuto pensarci per quasi trenta secondi” si concentrò e lanciò l’incantesimo “Expecto Patronum!”

Un zampillo di energia brillante scaturì dalla punta della bacchetta di Harry. All’inizio fu soltanto un lungo filo argentato, poi divenne un fiume di energia magica, brillante come la luce del sole. Fece barriera davanti ad Harry fino a prendere forma. Un enorme testa di cervo partì caricando Shelav a forte velocità. La scia d’argento che ne seguì accecò il non morto che riuscì a malapena a rendersi conto di essere spacciato.

Quel fiume di energia positiva lo divorò fin nelle ossa. Gli frantumò ogni grammo della sua misera esistenza e infine gli purificò l’anima fino a farla dissolvere nell’aria. La luce esplose come un fuoco d’artificio. E Shelav non c’era più.

La spada conficcata nel suo petto cadde a terra con un forte clangore.

Harry abbassò la bacchetta.

“E così è questa la potenza di Harry Potter” parlò una voce divertita alle sue spalle. Harry si voltò per nulla sorpreso.

Lucius Malfoy era in piedi a pochi passi da lui. Alle sue spalle l’enorme cerco di fiamme era spalancato. Il portale, infine, era stato aperto. All’interno di quel cerchio di fuoco Harry vide il mondo degli inferi. Una distesa brulla, rossa come il sangue. E in lontananza, fiumi di lava. Vulcani. Fiamme sparse come se fossero piante e alte quanto un palazzo di tre piani.

“Così, quello è l’inferno” Harry accennò con il capo alle spalle di Lucius.

“Quello è un angolo degli inferi. E’, anzi era, la mia prigione” sorrise divertito. Harry lanciò un occhiata a Draco. A malapena si poteva considerare ancora in vita.

“Sono curioso di sapere perché ti trovi qui” continuò Lucius, facendo pochi passi in avanti, oltre Draco.

“Per lui” indicò Draco con un cenno del capo “Ho bisogno di alcune risposte”

“Draco?” Lucius lanciò un’occhiata a suo figlio che lentamente respirava ancora “Non capisco il nesso…”

Harry strinse le dita attorno alla bacchetta. Ora non si scherzava più. Anche se il suo aspetto era umano quel tizio era un demone. Un demone potente e appena tornato in liberta. Un’accoppiata pericolosa.

“La mia vita è stata lacerata. Fatta a pezzi” spiegò Harry “Io sono Harry Potter, eppure non ero sicuro se questo fosse vero” fece un passo laterale, lento, per evitare di dare nell’occhio. Quasi strisciato.

“Avevo bisogno di risposte alle mie domande. Chi era Harry Potter? Com’era Harry Potter?” Harry rise sentendosi parlare tanto liberamente di una cosa che aveva tenuto nascosta per tutto quel tempo. Ma era proprio di quello che aveva bisogno ora. Tempo. E raccontare la sua storia era il modo migliore per accumularne po’.

“Dovevo capire se ero davvero io questo” si indicò con la mano spalancata “Se quest’uomo, che tutti guardavano con paura era davvero Harry Potter. Per questo mi mancava ancora una chiacchierata con Malfoy”

“E a che conclusione sei arrivato?” domandò d’un tratto molto più incuriosito, Lucius. Harry sorrise.

“Io sono Harry Potter. Ero Harry Potter. Tutto quello che mi è successo è normale evoluzione. Nessuno di loro è rimasto uguale. Tutti siamo cambiati, tutti. Il tempo ci ha cambiati. E’…è il tempo che cambia”

“Brillante conclusione, ma credo che ora tu qui sia di troppo” spiegò Lucius sospirando, come se fosse dispiaciuto.

“Ho un mondo da mettere a ferro e fuoco” lanciò un’occhiata a Draco “E un figlio da fare soffrire. Lui e tutta la sua sporca famiglia”

“Ho detto” sillabò Harry “Che devo parlare con Malfoy” Lucius alzò gli occhi verso quell’uomo. Per un attimo Harry vide le iridi di quell’essere brillare di rosso.

“Mi stai per caso sfidando?” ridacchio Lucius Malfoy “Va bene, ho giusto bisogno di un po’ di ginnastica. Sono stato in gabbia per troppo tempo”

Allungò una mano verso Harry e una cascata di fiamme scaturì dalle sue dita, veloci come un fiume in piena. Il torrente di fuoco si schiantò a terra e proseguì la sua corsa squagliando pietra e roccia.

Harry fece un balzo all’indietro per guadagnare qualche metro. Atterrò plastico, piegando le ginocchia. E solo allora si ricordò della ragazzina. Eve era mezza stordita e sicuramente sarebbe stata travolta dalle fiamme.

Harry la afferrò per il bavero e con un colpo di bacchetta fece sparire entrambi con un veloce incantesimo.

L’onda di fuoco e fiamme si schiantò contro la porta, colando anche lungo le fossa di melma che stridette al contatto con la materia bollente.

“Eccellente. A quanto pare non era un granché questo Harry Potter” Lucius si voltò di scatto per ritrovarsi faccia a faccia con suo figlio. Draco stava in piedi a malapena ed aveva il corpo lordo di sangue. Il volto era segnato in più punti per le percosse e le ferite subite.

Lanciò un grido e saltò addosso a suo padre con tutto il peso del suo corpo.

Lucius si lasciò travolgere, solo all’inizio. Afferrò il figlio per un braccio e lo sollevò a mezz’aria.

“Un patetico tentativo, mi chiedevo quando ci avresti provato” Draco lanciò un grido di dolore.

“Papà!” Lucius voltò di scatto il capo al sentire ancora quella vocina che credeva di aver sciolto insieme al buffone di poco prima. E invece no. A pochi metri da lui stava ancora, del tutto illeso, Harry Potter. Poco dietro di lui la ragazzina che doveva essere sua nipote.

“E-Eve…” parlò con voce strozzata Draco.

“Ma guarda. Sembra che mi dovrò impegnare di più” proclamò solenne Lucius. Harry alzò la bacchetta e mise l’altra mano in posizione d’attacco.

“Lascialo andare, ho detto. Mi serve vivo” Harry sapeva di azzardare a parlare così con un demone, ma ormai non era quello il problema. Se doveva morire sarebbe morto comunque, indipendentemente da quello che avesse detto.

Per tutta risposta Lucius strinse di più la mano attorno al braccio del figlio. Draco urlò e afferrò inutilmente il braccio del padre per allentare la presa.

“Oh, scusa. Non avevo capito” sghignazzò Lucius Malfoy. E strinse ancora la presa.

“Lascialo andare!” strillò Eve, in lacrime. Inciampò nel suo stesso vestito cercando di correre in avanti. Cadde faccia a terra, intrappolata dal suo lungo strascico.

Harry spiccò un balzo con un incantesimo a fior di labbra.

Elvet…” il suo balzò fu interrotto a mezz’aria da un calciò di Lucius. Harry venne scaraventato all’indietro e atterrò in malo modo ad un passo dalla pozza di melma.

“Bel tentativo, ma inutile” Lucius si concentrò ancora e dai suoi occhi uscì un getto di fiamme. Harry saltò via in un lampo, ma non fu abbastanza veloce. Il fuoco gli strinò i polpacci, riducendo il suo salto ad un capitombolo a terra seguito da un grido atroce.

Lucius gettò a terra Draco e lo calpestò con un tallone.

“Allora, com’è essere inermi davanti all’inevitabilità?” Draco lanciò un grido, sommesso dal sangue che aveva in gola.

“No! Papà!” strepitò Eve, fra le lacrime. Lucius alzò lo sguardo verso la ragazzina.

“La vedi figliolo? Dopo toccherà a lei” calpestò ancora Draco “Morirà, come la maggior parte di voi patetici mortali!” sillabò sputando aria bollente dalla gola.

“No!…Papà…papà…” Eve non riusciva a fare altro se non chiamare suo padre. Non sapeva neanche lei se lo chiamava per chiedere aiuto e per farlo scappare da quella tortura. Lei non sapeva cosa fare, lei non sapeva come…

Odia...

Fu una voce ovattata, ma chiara nella sua mente.

Odialo, piccola Eve...

Odiarlo? Odiarlo per cosa? Chi? Cosa stava accadendo?

Lo sappiamo che lo odi... senti l’odio crescere in te...

Lucius calpestò ancora Draco e poi lo raccolse di peso da terra.

Odialo con tutto il tuo cuore…odialo, non c’è altra via…

“Io…io non…io”

Odialo, ora! Dillo! Dillo!

Lucius voltò lo sguardo nel sentire parlare ancora quella ragazzina. Lanciò Draco ad un passo dal portale aperto.

“Tu cosa? Vuoi dire qualcosa al tuo papà? O magari a me?”

Devi odiarlo! Odialo! Dillo!

Eve alzò gli occhi verso Lucius Malfoy. E Lucius vide quegli occhi lacrimare sangue. Le iridi erano bianche come il latte e sprigionavano zampilli di sangue che bagnavano il volto della ragazzina come una fontana. E poi i capelli. I capelli di Eve presero a consumarsi e a ridursi in cenere davanti ai suoi occhi. Un vortice di cenere che circondò Eve, d’un tratto in piedi, come se avesse fluttuato nell’aria.

“Ma che diavolo è questo…?” chiese Lucius più a se stesso che a quella ragazzina. Eve strinse gli occhi e il sangue le imbrattò il vestito lacerato all’altezza del petto.

“Io…io ti odio!” gridò con tutta la sua forza in faccia a Lucius Malfoy. Lucius ridacchiò divertito.

“Mi sorprenderei del contrario” ma il riso gli si spense in gola trasformandosi in terrore “Ma che diavolo…”

La cenere che avvolgeva Eve turbinò addosso a Lucius. Cominciò a lacerargli la pelle, e la lunga veste che indossava. Lucius sentiva friggere l’intero corpo. Sentiva lo sfrigolio della propria carne e sentiva il dolore. Dopo tanto tempo sentiva ancora il dolore.

“Fottuta ragazzina!” camminò in avanti con le braccia protese per acchiappare Eve. Invano. Appena fu a portata, altra cenere gli annebbiò gli occhi e gli scavò fin dentro le orbite. Gli si attaccò ai palmi delle mani fino a consumarli, bucherellati e sciolti come un foglio di carta tempestato dalla grandine.

Lucius lanciò un grido di dolore, spalancando la bocca. E la cenere si insinuò anche al suo interno. Sentiva bruciare l’intero copro. Prima l’intestino, poi i muscoli, poi le ossa.

“No…non ancora!” forti raffiche di vento spazzavano la cenere addosso a Lucius Malfoy. Vento così forte che lo costringeva a arretrare.

“Maledizione…no!” strepitò Lucius prima che la cenere corrosiva gli squagliasse anche la lingua. Il suo grido si trasformò in un rigurgito gutturale. Non poteva finire così, non di nuovo. Sconfitto da un’altra donna.

In quella sentì due braccia avvolgerlo dalle sue spalle. Draco lo stringeva a se e lo trascinava all’indietro

E’ necessario eliminarli nel loro piano natio

“Praticamente impossibile, eh?” gli sillabò Draco all’orecchio. Lo strinse più forte e lo spostò all’indietro con forti strattoni. Lucius tentò di opporsi ma ogni sua azione veniva fermata da zaffate di cenere acida. Draco lo trascinò fino al limite del portale e con un ultimo sforzo vi saltò dentro assieme al padre.

Il calore dell’inferno fu lacerante per Draco come poche cose egli ricordasse. Il corpo di Lucius si schiantò a terra mentre la cenere gli circondava gli ultimi rimasugli del corpo. Lo scheletro avvolto in quel turbine si sbracciava per cercare un appiglio verso la salvezza. Allungava le braccia ormai ossute sperando di afferrare la vita che lo stava lasciando. Le orbite scavate e la bocca spalancata in un grido di muto terrore. Lucius stava morendo. Lucius era vivo e sapeva di stare per morire. Una volta per tutte. Un ultimo grido, come un prolungato richiamo di bestia ferita e poi la cenere consumò tutto ciò che rimaneva di Lucius Malfoy. Con uno sbuffo scomparve del tutto lasciando soltanto una zona di terra più nera delle altre.

“E’ finita…” sospirò Draco, steso a terra, a malapena cosciente.

“Papà!” si voltò per vedere la sua bambina al di là di quello stretto confine che era il passaggio fra quel mondo e quello dei mortali. La vedeva in ginocchio, coperta di sangue, eppure non ferita. Con i suoi bei capelli ridotti in cenere.

“Tesoro…” fu Draco a cercare di muoversi per uscire da lì. E fu Draco a sentire le centinaia di zampe in marcia dietro di se.

Alle sue spalle centinaia di demoni mostruosi marciavano, anzi, correvano verso di lui e verso il portale spalancato. Quel passaggio per il piano dei mortali era una vera manna per le decine e decine di demoni inferiori che abitavano gli inferi. Probabilmente facevano parte dell’armata che Lucius aveva intenzione di portare sul loro mondo.

Draco alzò gli occhi e vide uno stormo di uccelli infernali, grandi quanto cinque uomini e cavalcati da altre orribili creature zannute. Non avrebbe chiuso il portale in tempo. Sarebbe stata un invasione.

“Papà…scappa…corri via…” lo supplicava Eve al di là del passaggio. Fu in quella che Draco capì cosa fare.

Non doveva scappare. Non doveva correre da nessuna parte. Lui poteva fermarli. E lo avrebbe fatto.

Con fatica si alzò in piedi e vacillò fino al portale. I demoni si facevano sempre più vicini.

Per aprire il portale mi serve il sangue del mio sangue…puro

Draco alzò la testa ed incrociò lo sguardo con Eve. Le sorrise.

Ma non per chiuderlo.

“Fa la brava, tesoro” raccolse il pugnale con cui era stato aperto il portale, coperto di sabbia incandescente, ma pulito da ogni traccia di sangue. E si incise un braccio con la lama affilata. Il sangue cominciò a sgorgargli a fiotti. In quel momento Eve capì cosa voleva fare suo padre.

“No! Papà…no!” Draco non la ascoltò. I demoni ormai lo sovrastavano. Con le ultime forze rimastegli si gettò contro il portale tenendo stretto il pugnale fra le dita della mano. Il calore fu incredibile, ma finì quasi subito. Draco sorrise.

 

Con una guizzo di luce l’enorme cerchio di fiamme si strinse fino a scomparire, risucchiato in se stesso. La terra tremò per un lungo attimo e fece cadere al suolo Eve. Poi tutto cessò e non rimase nulla. Non un suono. Non un grido. Nulla.

“Papà…” piagnucolò Eve, stesa ancora a terra. Nessuno gli rispose.

“Papà!” gridò straziata, ma ancora non ottenne risposta. Le lacrime ebbero il sopravvento e si ritrovò a piangere piegata su se stessa.

“Papà!” non fu più un grido, quanto un lamento di dolore.

“Papà!” lei sapeva che non avrebbe ottenuto risposta. Sapeva che lui non gli avrebbe risposto mai più.

“Papà!” ormai la parola era irriconoscibile. Un solo verso lordo di lacrime, senza significato. Una mano la strattonò per un lato della veste zuppa di sangue.

“Andiamo ragazzina. Qui è tutto finito” Harry la sollevò di peso mentre lei ancora si sbracciava verso il piedistallo di pietra, scheggiato, sbeccato, ma ora vuoto.

   
 
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