Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _White_    25/08/2014    2 recensioni
La vita di Irina potrebbe essere un racconto, infatti gli ingredienti necessari ci sono tutti: lei è la goffa eroina e vive accanto a Thomas, il classico bel ragazzo solitario e distaccato che la tratta come un suo pari. Ma si sa che le apparenze ingannano... Una piccola love story cresce sotto il cielo della Liverpool universitaria.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

2. 'Cause I know that you feel me somehow



Irina si guardò attorno, cercando un posto in cui potersi nascondere. Aveva già girato l’isolato quattro o cinque volte e adesso voleva solo fermarsi da qualche parte, un po’ per la stanchezza dovuta alla camminata e un po’ perché si sentiva stupida a passare davanti alle stesse case in continuazione. Era certa che qualche residente si fosse già accorto della sua ennesima ronda e che avesse già preso in mano il telefono per chiamare la polizia. Doveva assolutamente cambiare zona.
Poteva dirigersi al campus. Sebbene le aule fossero ancora chiuse, si sarebbe potuta appostare lo stesso sulle gradinate della sede della Scuola di Culture e Lingue, ma c’era freddo e inoltre Thomas poteva essere lì, ad aspettarla, e lei non aveva voglia di vederlo. Non poteva nemmeno tornare da Starbucks: per quel che ne sapeva, lui poteva essere ancora seduto al tavolo dove lo aveva lasciato, da solo o con la bionda. Lui era dappertutto, maledizione!
Appoggiò la schiena ad un muro di mattoni rossi, la tipica recinzione delle case di Liverpool, e alzò lo sguardo. Nella sua testa continuava a rivivere le dure parole di Thomas e il suo atteggiamento distaccato. Dannazione, era mai possibile che quello non si fosse ancora reso conto che lei non era un amico con il quale poteva parlare delle ragazze che frequentava e renderlo complice dei suoi abbordaggi? A quanto pareva no e probabilmente non ci sarebbe mai arrivato da solo. Doveva assolutamente affrontarlo e spiegargli tutto. Ma non oggi, non ne aveva il coraggio.
Un fulmineo movimento della tenda della casa di fronte la fece insospettire. Cercando di essere il più naturale possibile, prese il cellulare e finse di usarlo. Lo ripose con cura nella tasca della giacca e se ne andò con aria scocciata. Decise di andare all’università e, se avesse incontrato l’amico, di ignorarlo.
Il quartiere universitario era già pieno di vita: le auto dei professori e dei ricercatori occupavano le strade, tutte intenzionate a parcheggiare non troppo lontano dal luogo di lavoro, mentre alcuni studenti facevano jogging sui marciapiedi. Invece Irina passeggiava con calma, ben attenta a scansare i corridori troppo concentrati nell’attività e che si dimenticavano dell’esistenza dei pedoni. Quelli erano i peggiori.  Una volta un jogger era stato messo sotto da una bicicletta e si era ritrovato una gamba incastrata fra i raggi della ruota anteriore. Fortunatamente non aveva riportato danni permanenti, però da allora prestò maggiore attenzione alla strada.
Era già arrivata nel parco di Abercromby Square. In primavera, quando il clima era più mite, vi trascorreva volentieri le ore buche ed era solita studiare sotto una grossa quercia vicina al palazzo della facoltà. Ora, vederla spoglia le metteva tristezza e sperava che quell’ondata di gelo fuori stagione cessasse presto, facendo sì che il caldo facesse spuntare le prime gemme. La ragazza si voltò di scatto, interrompendo la contemplazione del suo albero, tuttavia non si accorse della studentessa che si stava avvicinando, carica di libri in mano.
- Maledizione, scusami, non ti avevo visto! – gridò Irina così forte da attirare l’attenzione dei passanti, che non si preoccuparono nemmeno di accorrere quando videro che due ragazze si erano scontrate.
- No, scusami tu, dovevo fare più attenzione io. – la rincuorò l’altra. Era una bella ragazza dai capelli rossi, raccolti in una disordinata crocchia. Gli occhi nocciola chiaro erano protetti da un paio di occhiali dalla montatura sottile.
Irina si sentì in soggezione. Preferiva di gran lunga gli uomini alle donne, ma non riusciva a restare indifferente di fronte a quella sconosciuta. Era troppo bella, maledizione! Già che Irina si sentiva un brutto anatroccolo, ma davanti alla ragazza dai capelli rossi non c’era competizione: Irina era un insetto stecco con capelli color paglia, dritti come fil di ferro. L’unica cosa che le piaceva del suo aspetto erano gli occhi verdi. Sua nonna Nadiya non faceva altro che ripeterle che era uguale a lei alla sua età e che, quando era in Russia, gli uomini facevano a gara per corteggiarla. Tuttavia non erano in Russia, ma in Inghilterra e Irina non si sentiva affatto bella.
- Io sono Irina, piacere. – si presentò lei, mentre stavano raccogliendo i testi scolastici sparsi a terra.
- Piacere, Hannah. – la rossa sorrise timidamente e strinse a sé la pila di libri ricomposta. Le due ragazze si studiarono per qualche secondo, non sapendo bene come comportarsi.
- Scusa se te lo chiedo, ma non ho potuto fare a meno di notare che i libri sono in francese. Frequenti la Scuola di Lingue anche tu? – infine fu la bionda a rompere il silenzio.
- Sì, sono al secondo anno. – rispose Hannah, distogliendo lo sguardo. Era tremendamente imbarazzata: era la prima persona al campus che le aveva rivolto la parola in modo così energico e solare. Di solito le sue compagne di corso la evitavano come la peste, ritendendola la secchiona che si siede sempre in prima fila e fa le domande più noiose a pochi minuti dalla fine della lezione, tenendole bloccate ancora in aula. Per non parlare poi dei terribili scherzi che le aveva fatto la sua compagna di stanza al primo anno!
- Che coincidenza, anch’io! Però mi sembra di non averti mai vista in giro. Che lingue studi? – Irina continuò a riempirla di domande, sperando di scoprire qualcosa d’interessante su di lei. La incuriosiva in particolare il fatto che, sebbene fossero entrambe coetanee, non si erano mai incontrate prima.
- Spagnolo e francese.
- Ecco perché: non abbiamo gli stessi corsi. Io faccio tedesco e italiano, anche se stavo pensando di aggiungere francese l’anno prossimo. È una bella lingua?
- Non è male. – disse Hannah, sentendosi sempre più in soggezione per la conversazione. Doveva allontanarsi da lì alla svelta, non ce la faceva più a sostenere il dialogo. – Scusami, ma devo andare. Ci rivedremo in facoltà, no?
- Sì, certamente! – le promise l’altra, ma non fece in tempo a finire la frase che Hannah si era già volatizzata. Che strana ragazza, pensò. Le era bastato poco per inquadrarla: era una tipica ragazza da parete che aveva paura delle persone, però la trovava simpatica. Non le sarebbe dispiaciuto conoscerla meglio e diventare sua amica. Forse perché era proprio di un’amica di cui entrambe avevano bisogno.
Mentre stava ancora fissando il vuoto davanti a sé, immersa nei suoi pensieri, il bidello della facoltà arrivò, irritato per la nuova giornata lavorativa e aprì le porte dell’istituto. Lei aspettò una decina di minuti, giusto per non sembrare una stalker, poi entrò a sua volta. Dopo tutto quello che le era successo quella mattina, adesso non aveva voglia di seguire le lezioni, ma il suo buon senso le diceva che almeno fisicamente doveva essere presente in aula, ma con la testa poteva spaziare dove voleva. Passò così quasi l’intera giornata a scarabocchiare trame per possibili racconti, fregandosene degli appunti. Tanto i professori mettevano sempre sul sito le diapositive con la spiegazione della lezione.
 
La chiave girò nella serratura e Irina entrò in casa. Si tolse senza troppa cura gli stivali alti e li lasciò cadere rumorosamente a terra nel minuscolo antro dell’ingresso che fungeva da scarpiera. Li guardò per una manciata di secondi, indecisa se lasciarli lì o metterli sul poggia scarpe. La sua pigrizia avrebbe preferito dimenticarseli in mezzo allo stanzino, ma il senso pratico le ordinava di tenere in ordine. Se ci fosse stata un’emergenza che l’avrebbe costretta a uscire di strada in pantofole e in fretta, quegli stivali non erano un tantino tra i piedi? Irina sbuffò di fronte a quell’argomentazione estremamente convincente e decise di ascoltare la sua coscienza. Scocciata, acciuffò gli stivali e li mise da un lato, accanto alla scarpiera. Ora che il passaggio era sgombro poteva finalmente affondare i calzini nella moquette dell’ingresso. Quanto le piaceva sentire quel pizzicorino morbido e affettuoso sotto la pianta dei piedi dopo un’intensa giornata all’università!
Quel gesto la faceva sempre sentire a casa e le alleviava la solitudine che si prova a vivere da soli in una grande casa, o almeno quel tanto che bastava a non telefonare in lacrime alla mamma come aveva fatto ogni giorno del primo semestre in cui si era trasferita. Per carità, sentiva ancora nostalgia della sua famiglia dopo quasi due anni di separazione, però ormai ci aveva fatto l’abitudine. Anche adesso la percepiva in quell’enorme silenzio di quella enorme casa vuota. Doveva assolutamente telefonare ai suoi genitori dopo cena.
Si issò la borsa sulla spalla e si diresse in cima alle scale, dove c’era la sua camera. Accasciò la cartella accanto alla porta e si buttò sul letto. Era sfinita! Quella giornata era stata massacrante sia a livello fisico sia a livello emotivo. Per farsi ancora più male, controllò il telefonino. Non le era arrivato niente, né un messaggio né una mail. A quel punto si chiese se Thomas non la stesse evitando: al campus non lo aveva incrociato neanche una volta e non lo aveva trovato fuori dalla sede di Lingue come faceva di solito. Per scrupolo, Irina aveva controllato la doppia tabella con i loro orari e quel giorno finivano alla stessa ora. Ma forse stava pensando troppo e si stava preoccupando inutilmente: lui poteva benissimo essere tornato a casa un’ora prima o un’ora dopo. Era comunque strano il fatto che lui non le avesse detto nulla in proposito…
Lei si sarebbe strappa i capelli dalla disperazione se in quel preciso istante il campanello non avesse suonato, facendola riemergere dalle sue congetture apocalittiche. Con gran fatica si alzò dal letto e corse al piano terra. Spalancò la massiccia porta colo bordeaux e si ritrovò davanti il suo bel vicino.
- Mamma vuole sapere se vieni a cena da noi adesso. – la informò Thomas tutto d’un fiato. Dal modo in cui la guardò, si capì che non era felice di essere venuto fin lì per una bazzecola. Irina ebbe una gran voglia di rifiutare l’invito, poi però pensò all’enorme dispiacere che avrebbe dato alla signora Johnson non presentandosi.
- Sì, va bene, vengo. – accettò infine.
- Ok, tra cinque minuti è pronto. – disse lui rapidamente e si dileguò, scavalcando abilmente la bassa recinzione che separava le due proprietà. Irina rimase intontita davanti all’ingresso: era successo tutto troppo in fretta. Quando realizzò che aveva tre minuti per andare alla villetta accanto, indossò il primo paio di scarpe da ginnastica logore che le capitò sotto mano, prese velocemente le chiavi, serrò la casa e si precipitò nel giardino confinante.
- Sei in ritardo. – la accolse Thomas sulla porta. Irina rimase scioccata: come poteva essere in ritardo se aveva avuto l’avviso poco prima?
- Non dargli ascolto, cara. Thomas sta solo facendo l’antipatico. – la voce della signora Johnson rimbombò potente tra le pareti della hall.
- Mamma, le ho detto che aveva cinque minuti e ne sono passati sei. È in ritardo! – strepitò il ragazzo, rivolto alla cucina, dove sua madre stava preparando qualcosa di buono. Ne era testimone il delicato profumo che sfuggiva dal forno e che stava invadendo il cortile.
- Non essere sempre così fiscale, figliolo, soprattutto con una donna. Ma che razza di educazione hai ricevuto? – riprese la donna, quando i due ragazzi fecero capolino nel suo regno. Yuki era intenta a mescolare una grossa pentola su fuoco medio. Stava preparando una delle sue tipiche salse piccanti che accompagnavano il pollo. Irina si leccò i beffi in segreto, ringraziando mentalmente la vicina per averla chiamata a cena: se non fosse stato per lei, la ragazza avrebbe riscaldato dei bastoncini di pesce. A Irina piaceva cucinare, ma non pranzava mai a casa e dopo un’intensa giornata all’università non aveva voglia di mettersi ai fornelli, così mangiava i cibi precotti che ogni nonna detesta.
- Ricordo che mi hai cresciuto tu. – Thomas continuò la diatriba, ormai abitudinaria. Sua mamma si lamentava sempre del suo carattere distaccato e quasi aggressivo, ma in fondo si volevano molto bene. In realtà Yuki aveva capito che il temperamento del figlio era causato dall’essere il piccolo di famiglia, oscurato da suo fratello maggiore, Matthew. Thomas non avrebbe mai ammesso che sentiva la mancanza di quelle piccole attenzioni che i suoi genitori avevano riversato sul primogenito e adesso che Matt viveva a Londra, non riusciva a colmare la sua solitudine. L’unica compagnia che aveva era Irina, ma era spaventato dal legame che si era creato tra loro e per questo a volte la allontanava, anche in malo modo.
- Non mi sembra di averti insegnato a trattare così una signora. Dev’essere tutta colpa di tuo padre.
- E io cosa c’entro? – s’intromise il signor Johnson, abbassando il Liverpool Daily Post. Dalla sua sedia della sala da pranzo poteva vedere la moglie indaffarata a cucinare e sentire ogni parola che diceva. Ripiegò con cura il quotidiano e lo appoggiò sulla tavola.
- Caro, non mettere il giornale lì, che bisogna apparecchiare. – ordinò la moglie, accortasi del gesto e lui subito obbedì. Si alzò in piedi e preparò quattro tovagliette di bambù. 
Irina cercò di aiutare Richard come poté: stava per prendere i bicchieri dalla credenza in cucina, ma Yuki la fermò, picchiettandole la mano con il mestolo di legno che stava usando. Irina era un’ospite, perciò non doveva occuparsi delle faccende domestiche. Doveva essere invece suo figlio ad aiutare in casa, ma Thomas se ne lavò bellamente le mani e si sedette al suo solito posto nella sala da pranzo, lasciando tutto il lavoro ai genitori.
La signora Johnson portò in tavola i piatti. Irina aveva immaginato bene: pollo arrosto, dalla doratura perfetta. Gustò ogni morso del petto che aveva davanti. Yuki la conosceva così bene, che le aveva dato la sua parte preferita di carne. Anche il dolce era squisito: una crema guarnita con le prime fragoline della stagione.
Finita la cena, i genitori si occuparono delle pulizie, mentre Thomas portò Irina in camera sua. Era una stanza abbastanza spaziosa, che si affacciava sulla strada. Thomas aspettò che la ragazza si sedesse sul suo letto per chiudere la porta a chiave.
- Si può sapere che cosa ti è preso stamattina? – iniziò lui.
- A me? Niente. – mentì lei, cercando di sembrare il più naturale possibile, ma l’amico non ci cascò.
- Irie, sei andata via prima. All’inizio pensavo che avessi guardato male l’orario del telefono, poi ho capito che era una balla. È tutta la giornata che ci rimugino. Avanti, dimmi cosa succede. – la incitò lui, sedendosi accanto a lei. Nonostante il tono autoritario, era davvero preoccupato per Irina: non l’aveva mai vista infastidita come quella mattina e impacciata come in quel momento. Voleva stringerle la mano, così vicina alla sua, ma qualcosa lo frenò.
- Mi ha dato fastidio il modo in cui mi hai parlato questa mattina. – confessò la ragazza, alzandosi e portandosi alla finestra. Lui era vicino, troppo vicino.
- Cosa, di preciso? – insisté Thomas, quando si accorse che la ragazza non continuava.
- Il fatto che mi tratti come un amico maschio. Non sono un ragazzo, Thomas! Mi dà fastidio quando parli delle tue avventure: tratti le donne come se fossero oggetti e questo non lo tollero. – infine Irina riuscì a dirgli la verità. Si sentì libera di un peso che stava portando da troppo tempo. Lo osservò, mentre gli stava dicendo la realtà. Lui rimase impassibile: se ne era ferito, non lo dava a vedere.
- Non lo sapevo. Mi dispiace. – disse alla fine lui, tranquillo. Questo atteggiamento irritò Irina non poco. Cominciava a credere che quel ragazzo non provasse sentimenti di alcun genere.
- Tutto qui? – Irina dovette farsi forza per non gridare. Sentiva gli occhi pungere, pronti a piangere.
- Sei un’amica, cosa posso dirti? Certo, forse ho esagerato. – ammise lui e la raggiunse, per poi abbracciarla. La strinse così forte a sé, che Irina scoppiò in lacrime. – Ti prometto che ti terrò fuori dalle mie “avventure”, se questo ti farà stare meglio. – le giurò in un rassicurante sussurro. Irina afferrò la sua camicia e si lasciò cullare dalla sua tenerezza. Le sue braccia la tranquillizzarono. Lo aveva giudicato male, come faceva spesso. Dopo tutto, Thomas non era una cattiva persona e intuiva sempre come si dovesse comportare in momenti come quello. Faceva solo finta di essere indifferente, ma aveva un cuore, Irina ne era sicura. Inspirò il suo profumo delicato, che tanto le piaceva e si lasciò trasportare dal momento.
 
Thomas si abbottonò la camicia. Era un capo d’abbigliamento un po’ elegante da indossare per andare all’università, ma dopo anni che era stato costretto a portarla come divisa scolastica, ci aveva fatto l’abitudine. Oltre tutto, l’uomo con la camicia piaceva sempre. Si riguardò attentamente allo specchio. Ora era pronto per andare. Si mise la tracolla e scese le scale. Uscendo da casa, diede una rapida occhiata alla villetta accanto. Si sentì solo, se pensava al fatto che oggi doveva fare la strada senza di lei, la sua vicina. Infatti Irina era andata via un’ora prima per preparare una presentazione. O qualcosa del genere. Da quando si erano chiariti, le cose tra di loro andavano meravigliosamente.
Si fermò da Starbucks a prendere un cappuccino da portar via. Con la biondina non era andata bene, ma questo non lo aveva fatto desistere dal continuare a passare in quel coffee shop prima delle lezioni. C’era sempre così tanta gente da osservare! Una ragazza in particolare aveva attirato la sua attenzione: era seduta su una poltroncina in fondo al locale e leggeva. Le piaceva il modo con cui si tirava su gli occhiali, portando un lato della mano sotto la montatura e spingendo. Non era la solita preda dallo sguardo ammiccante e dall’atteggiamento sensuale. Quella ragazza non era truccata e non indossava nulla di appariscente. Thomas scommetteva però che quel maglioncino sformato celasse un abbondante seno. Ma fu la sua mano che scostava e arruffava i riccioli rossi a fargli perdere la testa. Si diresse sicuro verso di lei, decidendo mentalmente che tattica d’approccio usare.
- Scusa, è libero questo posto? Gli altri tavoli sono tutti occupati. – chiese educatamente il ragazzo, indicando la poltroncina di fronte a lei. Riccioli di Fuoco, così l’aveva battezzata Thomas, si staccò dal libro e prima guardò lui imbarazzata, poi il locale. Era pieno. Non aveva voglia di far sedere uno sconosciuto, per quanto bello e affascinante lui fosse. E quello era davvero aitante. La buona educazione prevalse però, così fece un accenno di assenso con la testa.
Thomas la ringraziò e si sedette. Accavallò le gambe e bevve il suo cappuccino, cercando di non guardarla per non scoprire le sue vere intenzioni. Lei era davvero timida e lo provava il fatto che non osava staccare gli occhi dal libro. Serviva una strategia diversa. Con tipe del genere a volte bastava solo sicurezza e spirito di intraprendenza.
- Cosa leggi di bello? – e attaccò. Riccioli di Fuoco quasi sobbalzò per la sorpresa. Nessuno si era mai interessato a lei, soprattutto un bel ragazzo. Sollevò il volume e gli fece leggere il titolo. – “I Miserabili”, ottima scelta. L’ho letto al liceo e mi è piaciuto molto. – se Thomas era rimasto affascinato dall’aspetto di lei, adesso lo aveva incatenato la sua mente. I due iniziarono una conversazione intellettuale su Hugo e i romanzi francesi. Era incredibile il modo in cui si capivano: avevano gli stessi gusti.
- Si è fatto tardi, tra poco ho lezione. – la informò Thomas, sinceramente dispiaciuto di abbandonarla.
- Anche io.
- Perfetto, allora possiamo andarci insieme! – esclamò il ragazzo, contento di poter trascorrere dell’altro tempo in sua compagnia. La ragazza annuì e si alzò. Lui la seguì, come un cagnolino che fa le feste perché la padrona lo porta a spasso.
- A proposito, non ci siamo ancora presentati. Io sono Thomas, è un piacere conoscerti. E tu come ti chiami?
- Hannah, mi chiamo Hannah.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _White_