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Autore: Ayr    25/08/2014    2 recensioni
Quando Matisse incontra Zefiro, un ragazzo affascinante ma misterioso, la sua vita tranquilla viene completamente sconvolta: il ragazzo infatti le rivela che lei è la principessa perduta, la legittima erede al trono di Heaven. Inizia così per lei un viaggio in compagnia di Zefiro, il cui silenzio pare nascondere un grande segreto, che la porterà dal tranquillo villaggio in cui vive alla caverna di Procne, una potentissima maga che aiuterà Matisse ad affrontare quello che le aspetta: non si tratta solo di sedere su un trono e di prendere sulle spalle tutte le responsabilità che esso comporta, Matisse infatti, dovrà prepararsi anche per una guerra perchè non è l'unica che ambisce a quel trono e c'è già chi trama nell'ombra per strapparglielo via.
Preparatevi ad accompagnare Matisse in questo viaggio tra maghi, battaglie, segreti, elfi e misteri. Siete pronti a partire?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fogliadoro era accarezzata dai raggi rossastri del sole morente, Zefiro chiuse gli occhi lasciando che quella luce penetrasse dentro di lui e lo avvolgesse nel suo caldo e rassicurante abbraccio. Aveva sempre adorati i tramonti, anche se, nell’ultimo periodo aveva iniziato a temerli per ciò che portavano subito dietro di loro: la notte e con essa il buio e le presenze che lo tormentavano che si risvegliavano dentro di lui. Questa prospettiva aveva pian piano guastato il piacere che provava nel vedere il cielo incendiarsi e le nuvole tingersi di rosa e violetto, ma quella sera aveva deciso di assaporare quel tramonto, come faceva una volta. Il sole lambì l’orizzonte e già, il blu della notte stava avanzando nel cielo, coprendo le leggere pennellate rosate che screziavano il cielo cobalto.
«Non è bellissimo?» sussurrò una voce accanto a lui e Zefiro trasalì. Matisse era sbucata improvvisamente al suo fianco, i gomiti appoggiati alla balaustra della terrazza, una mano a sostenere la testa, lo sguardo immerso nelle sfumature del cielo. La sua suonava come una domanda retorica e come tale non esigeva necessariamente di una risposta, così Zefiro rimase in silenzio.
«Non avevo mai avuto occasione di vedere così bene un tramonto» continuò Matisse «A Verderamo il cielo è coperto dalle fronde degli alberi ed è quasi impossibile riuscire a vedere un alba o un tramonto»
«Io ne ho visti parecchi di tramonti, ma ogni volta questo spettacolo della natura mi toglie il fiato» confessò Zefiro
«Non ti facevo così romantico» osservò scherzosamente la ragazza, Zefiro si sentì arrossire senza un apparente motivo
«Perché come mi facevi?» domandò incuriosito, si era sempre chiesto cosa pensasse Matisse di lui, se lo trovasse pericoloso, affidabile, affabile. Nei suoi confronti si era posta con un’iniziale e giusta diffidenza che pian piano era scemata lasciando il posto ad una cauta e progressiva apertura, ma il ragazzo sentiva che lei non si fidava pienamente di lui.
«La prima volta che ti ho visto?» domandò la ragazza incerta, appoggiandosi con la schiena alla balaustra in modo da poter vedere in faccia il ragazzo
«In generale» rispose lui con una scrollata di spalle.
«Strano» fu la risposta della ragazza e Zefiro aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a capire
«Secondo me sei un ragazzo molto affabile, coraggioso e leale, ma nel contempo sei misterioso, enigmatico, indecifrabile a volte, e secondo me, sotto sotto, nascondi qualcosa ed è questo che non mi permette di fidarmi completamente di te. Questo e il fatto che ti conosca da pochi giorni» spiegò la ragazza di fronte allo sguardo interrogativo di lui, Zefiro sorrise sollevato, in fondo non dato una cattiva immagine di sè
«E tu?» domandò a sua volta Matisse «Come mi giudichi? Secondo te sarò in grado di governare un regno?»
Matisse se lo chiedeva in continuazione: sarebbe stata all’altezza della situazione? Sarebbe stata una buona e giusta governante? O sarebbe stata una despota crudele e tirannica? Sarebbe riuscita ad accontentare tutti e a non deludere le aspettative di nessuno?
Il turbine di avvenimenti e dichiarazioni sconvolgenti in cui era stata gettata all’improvviso, pur avendola colta alla sprovvista, la eccitava, ma nel contempo la preoccupava e la spaventava. Non riusciva ancora a credere di essere una principessa e che avrebbe dovuto prendere le redini del regno. Non si sentiva pronta. Le sembrava di essere stata strappata bruscamente alla serena e fanciullesca tranquillità del suo villaggio e di essere stata gettata senza alcun riguardo nella vita adulta, piena di preoccupazioni e di prove. Continuava a vacillare tra il mondo conosciuto, spensierato e tranquillo della sua infanzia e quello ignoto e tormentato della sua futura vita adulta come regina, che le si prospettava davanti in maniera poco chiara e pertanto poco allettante. All’inizio era stata ingenuamente entusiasta della prospettiva di poter vestire i panni di una delle principesse protagoniste dei suoi libri d’infanzia; ma pian piano a quest’immagine idilliaca se n’era sostituita una più realistica e terribile: la consapevolezza che tutto quello non fosse un gioco ma che di lì a poco il futuro del regno e dei suoi abitanti sarebbe dipeso da lei e dalle sue decisioni. Non avrebbe potuto abbandonarsi a egoistici capricci ma avrebbe dovuto governare con saggezza e rettitudine e Matisse non era sicura di esserne capace. La ragazza stava iniziando a sentire il peso del macigno delle responsabilità che il suo titolo avrebbe comportato.
Zefiro parve cogliere queste preoccupazioni che le tormentavano l’animo e cercò di rassicurarla.
«Secondo me sarai un’ottima regina, sei buona, gentile, coraggiosa e altruista. Un po’ avventata e impulsiva, ma forse è colpa della tua giovane età. Inoltre non concedi la tua fiducia a chiunque e questo è un ottimo pregio, secondo me»
L’espressione sul viso di Matisse si rasserenò un poco ma il suo sguardo era ancora preoccupato, Zefiro le posò delicatamente una mano sulla spalla
«Non ti preoccupare» la rassicurò «Procne ti aiuterà e ti insegnerà tutto quello che dovrai sapere per diventare un’ottima regina. È per questo che stiamo andando da lei»
Matisse sorrise mesta, ma la preoccupazione non abbandonò il suo sguardo, indurendole i tratti e incupendo il verde brillante dei suoi occhi.
«La cena è pronta» avvisò Corniolo distogliendo i ragazzi da quei pensieri.
«Procne com’è?» domandò di punto in bianco la ragazza a Zefiro, si era sempre ripromessa di porre questa domanda al ragazzo, per saperne di più riguardo a questa misteriosa figura, ma non aveva mai trovato il coraggio di dare voce ai suoi pensieri.
«Di aspetto fisico o caratterialmente?» domandò lui, rimasto leggermente sorpreso dalla domanda. Sentiva che prima o poi avrebbe fatto delle domande a riguardo, ma non se le aspettava in quel momento. Matisse sorrise
«È severa o piuttosto accondiscendente?» chiese, notando la momentanea confusione del ragazzo
«Oh, è abbastanza severa, ma non rigida. Inoltre è molto gentile e disponibile, anche se non sembra; è un po’ burbera e scontrosa e anche brontolona ma ha un grande cuore» rispose il ragazzo e Matisse si ritrovò a sorridere
«Assomiglia un sacco ad Ortensia» commentò e il pensiero della donna le fece provare un poco di malinconica nostalgia che rabbuiò il suo sguardo, spegnendole il sorriso
«Quella vecchia bisbetica» disse Corniolo, ma in tono scherzo e affettuoso «Se Procne è scontrosa solo la  metà di lei, stiamo freschi!»
Zefiro scoppiò in una risata cristallina «Purtroppo, mi spiace informarti che Procne è scontrosa almeno il triplo di lei»
«Andiamo bene!» commentò Corniolo suscitando una risata generale.
Il resto della serata passò allegramente: Matisse e Corniolo parlarono di Verderamo, descrivendone gli abitanti e rievocando aneddoti divertenti. Raccontarono di Rurk, il mastro fabbro che aveva una gamba artificiale e di Ulia, sua moglie che preparava le focaccine dolci più buone del paese; narrarono di quando Slem, un ragazzino esile e pallido, figlio del falegname, era caduto in una trappola ed era rimasto a penzolare a testa in giù fino a quando non era venuto Corniolo a salvarlo; descrissero il lago Ocred e come mutava il colore delle sue acque al variare delle stagioni; parlarono del mercato di fine estate e di tutto il movimento e la confusione che portava nel paese. Erano piccoli bozzetti di semplice e rustica vita quotidiana di un piccolo paesino del sud, ma avevano riscaldato il cuore e avevano fatto spuntare un caldo sorriso nostalgico sulle labbra dei narratori.
Dal canto suo Zefiro parlò dei suoi viaggi e dei luoghi che aveva visitato: parlò dell’incantevole foresta dei Frassini d’argento, del vicino villaggio di Rovonero e di Ripascura, sulle rive del fiume Irah, descrisse gli imponenti massicci del nord e degli specchi d’acqua limpida che li costellavano, parlò di Neherin, la città tra i due fiumi e della piccola piana di Derbran, descrisse la città di Briseida che pareva essere stata scolpita nella roccia e dei tetti scintillanti della Città d’oro che si accendeva di mille colori quando calava il sole, descrisse i giochi di luce che creava il sole sulle acque del fiume Asgra nelle diverse stagioni e i piccoli paesini nascosti tra le colline di Darmstron, richiamò alla mente la possenza dei cacciatori delle montagne Solwen e gli parve di sentirne gli stridenti richiami. Matisse ascoltava i suoi racconti, affascinata e rapita e cercava di immaginarsi tutto quello che Zefiro le raccontava, le sarebbe piaciuto vedere di persona tutti quei luoghi e assicurarsi di persona che davvero la foresta dei Frassini d’argento nelle notti di luna piena pareva rilucere di luce propria o sentire con le sue stesse orecchie il vento soffiare tra le gole e i crepacci delle montagne di Morongard assumendo il tono lamentoso di un bambino piangente o le grida strazianti di qualche donna morta per amore. Si stupì del fatto che Zefiro fosse stato in così tanti posti e avesse viaggiato così tanto. Matisse avrebbe voluto ascoltare ancora le mirabolanti meraviglie che Zefiro aveva visto durante i suoi viaggi, ma Corniolo decretò che era giunta l’ora di andare a letto. Così i racconti vennero troncati bruscamente. Matisse e Zefiro si augurarono la buonanotte e si lasciarono con la promessa da parte del ragazzo che avrebbe continuato i suoi racconti.
Matisse, distesa sul letto, con gli occhi appesantiti dal sonno, prima di addormentarsi si ripromise che la prima cosa che avrebbe fatto una volta divenuta regina sarebbe stata quella di fare un viaggio attraverso tutto il regno e di vedere ogni singolo luogo e angolo di questo. Con le immagini dei luoghi meravigliosi descritti da Zefiro ancora negli occhi e le sue parole che rimbombavano ancora nella sua testa, si addormentò e quei luoghi di incanto la seguirono anche nel mondo dei sogni.
 
Lo sguardo bramoso di Radamanto indugiò sul profilo degli edifici che si stagliavano sul cielo scuro nel quale iniziavano ad ammiccare le prime stelle. I tetti scintillanti della Città d’oro riempivano i suoi occhi avidi. Stentava ancora a credere che presto tutto quello sarebbe divenuto suo.
Aspetta, Radamanto. Non correre. Non hai ancora la corona in testa e lo scettro in mano, la regina non ha ancora esalato l’ultimo respiro e quella zelante Erborista è ancora viva e più determinata che mai a metterti i bastoni tra le ruote.
Fortunatamente il suo intrepido apprendista non l’aveva più seguito e tenuto sotto controllo, con suo sommo sollievo. Ogni tanto incrociava ancora lo scocciatore, ma questi non aveva più l’ardire di seguire l’uomo con lo sguardo e abbassava gli occhi vergognoso. Radamanto sorrise, nulla si sarebbe più frapposto tra lui e il trono una volta morta la Guaritrice. L’uomo poteva già sentire il peso della corona sulla sua testa, il sapore del potere e l’ebbrezza che questo gli dava. Finalmente avrebbe potuto riscattarsi e mostrare a tutti il suo volto. Non se ne sarebbe stato più in un angolo polveroso dimenticato da tutti, presto avrebbe avuto la sua rivincita.
La prospettiva fece allargare ancora di più il sorriso di Radamanto, il quale, però, si spense subito dopo. Uno dei suoi messi era giunto di corsa e tutto trafelato con la notizia che si erano perse le tracce degli Elfi incaricati di inseguire Zefiro. Radamanto non aveva mai visto di buon occhio il lacchè di Procne, come non aveva mai visto di buon occhio Procne stessa. Sotto quell’apparente coltre di impassibilità e indifferenza era sicuro che la donna stesse tramando qualcosa contro di lui e usasse il suo apprendista per attuare i suoi piani. Si irritò molto a quella notizia e chiese bruscamente come fosse possibile.
«Non lo so» balbettò il messo «Ma è da giorni che non riceviamo loro notizie»
«Quando le avete ricevute l’ultima volta?» domandò Radamanto cercando di calmarsi
«Tre o quattro giorni fa, quando hanno dato notizia della distruzione del villaggio di Belladonna»
Radamanto digrignò i denti, il nome di quel villaggio non gli diceva nulla, per lui era soltanto un inutile agglomerato uguale agli altri nel quale gli era giunta voce che si fossero nascosti dei sediziosi. Non che temesse per la propria incolumità, ma stavano iniziando a girare alcune voci sul suo conto, voci di scontento, di lamentela per il suo operato e anche insinuazioni sul fatto che potesse essere lui la causa dell’improvvisa malattia dell’amatissima regina. Erano solo flebili voci, scintille, ma che avrebbero potuto dare vita ad un incendio se avessero trovato un buon combustibile. La filosofia che seguiva Radamanto era quella del “meglio prevenire che curare” , che nel suo caso si traduceva nel soffocare le voci con una parvenza di ribellione, prima che si espandessero e si sviluppassero, dando vita a qualcosa di incontrollabile.
«E da Alcor? Si hanno notizie?» domandò Radamanto, impaziente
«Ancora nulla, signore. Sembra quasi che questo presunto figlio sia introvabile. Perso» rispose il messo
«È una figlia» lo corresse l’uomo, seccato «Ed è impossibile che sia svanita nel nulla. Sono quindici anni che la cerco. Il regno di Heaven per quanto grande non è infinito. Dovrà pur essere da qualche parte»
Nulla si sarebbe più frapposto tra lui e il trono una volta morta la Guaritrice, se non l’improvvisa comparsa di questa ragazza, la figlia di Ismene, la cosiddetta Principessa Perduta. Radamanto era a conoscenza della sua esistenza, l’aveva vista nascere e venire portata via una notte affinché venisse affidata ad una nutrice fino al compimento dei sedici anni, poi sarebbe stata portata da Procne per iniziare il suo apprendistato come principessa che l’avrebbe preparata a ricoprire il ruolo che sarebbe stato lasciato dalla madre. La ragazza, però, pareva essere scomparsa. Non che Radamanto volesse ucciderla, aveva altri piani in serbo per lei; se la ragazzina, però, si fosse rifiutata di collaborare, sarebbe sicuramente ricorso a metodi più persuasivi e nel caso in cui si fosse rivelata solo un ostacolo l’avrebbe eliminata senza farsi tanti scrupoli. Questo era il suo piano, ma per attuarlo c’era bisogno della ragazzina, sempre che si riuscisse a trovarla; altrimenti sarebbe stato meglio per tutti, cioè per lui, poiché avrebbe significato un problema in meno.
«Cerca di capire perché Izar non dà più sue notizie e dì ad Alcor di darsi una mossa, perché se la ragazzina dovesse spuntarmi improvvisamente davanti agli occhi senza che lui mi abbia detto nulla, sarà lui quello perduto, per sempre» ordinò Radamanto e il messo si inchinò ossequiosamente, facendo capire che aveva capito gli ordini e si allontanò tutto tremante, temendo che la punizione promessa ad Alcor sarebbe toccata anche a lui.
Radamanto una volta che il messo si fu allontanato si appoggiò al parapetto e si lasciò andare ad una risata soddisfatta. Un gruppo di uccelli si alzò in volo, spaventato e si immerse nel buio della notte che aveva ormai conquistato il cielo, ricoprendolo con il suo mantello nero, trapunto di stelle.
Radamanto, seguì con lo sguardo il volo degli uccelli fino a quando non vennero inghiottiti dal nero del cielo.
 
Zefiro alzò lo sguardo verso il cielo, seguendo il volo di uno stormo di uccelli che si disperse nell’aria fredda della notte. Non avrebbe dormito, non si fidava, sentiva quelle presenze rimescolarsi e agitarsi nel suo animo, rendendolo irrequieto. Fin da che aveva memoria aveva auto quelle presenze dentro di sé, ma all’inizio erano state solo flebili e innocue; con il passare del tempo, però, avevano iniziato a tormentarlo, nel sonno, popolando i suoi sogni e tramutandoli in incubi. Le sue notti erano state accompagnate dai loro sibili suadenti e dalle loro risa agghiaccianti. Spesse volte avevano preso il sopravvento e Zefiro si era sentito investito da una potente energia negativa che si era avviluppata e incatenata a lui, cercando di eliminare gli ultimi brandelli di lucidità. Zefiro, però, era sempre riuscito a non lasciarsi completamente assoggettare da queste, aveva sempre trovato la forza di reagire. Ma pian piano le presenze si erano fatte più insistenti e più forti e la sua volontà più debole, logorata da tanti e continui sforzi, sempre maggiori. Non sempre riusciva a resistere e le presenze riuscivano a impossessarsi completamente di lui, come la prima notte passata in casa di Ortensia e Matisse. La presenza della ragazza le aveva rese addirittura più voraci e insistenti. Avevano preso con forza il sopravvento su Zefiro e solo grazie ad un enorme sforzo di volontà, che l’aveva lasciato esausto, era riuscito a scacciarle. Il ragazzo si chiese quando Matisse gli avrebbe chiesto spiegazioni su quella notte. La ragazza stessa gli aveva detto che sapeva che lui nascondeva qualcosa e con ogni probabilità si stava riferendo a quelle presenze oscure che lo assediavano e lo devastavano. Il ragazzo non sapeva assolutamente cosa rispondere ad una domanda del genere, e si chiese se la ragazza avrebbe continuato a viaggiare con lui una volta saputa la verità.
Zefiro non si riteneva un compagno di viaggio molto affidabile e aveva sempre paura che prima o poi avrebbe fatto del male a Matisse o a Corniolo. Ma aveva promesso a Procne che gli avrebbe portato la ragazza e a Matisse che l’avrebbe protetta, a qualunque costo. E Zefiro era un uomo di parola, più forte della sua paura era la sua determinazione.
Zefiro si chiese, però, se sarebbe riuscito a difendere Matisse da se stesso.
 
 


 
***
Un nuovo capitolo di stallo, in cui ci si addentra un po’ nella psiche dei personaggi: uno Zefiro tormentato e posseduto e una Matisse piena di complessi…dei bei personaggi, insomma. Non dimentichiamoci di Radamanto, l’ambizioso e crudele Radamanto che, come ogni cattivo che si rispetti, si abbandona ogni tanto anche lui a qualche risata malvagia. Spero che il capitolo vi piaccia e vi prometto che ci sarà un po’ più d’azione, almeno, cercherò di mettercela. Questi capitoli di pseudo-introspezione mi stanno logorando.
Il titolo è stato dettato dalla mia mente malata la quale tende ad associare pensieri e ricordi a degli uccelli che volano lontano nella notte, non sapevo che altro titolo mettere, sono ben accetti suggerimenti…
 
Per chi volesse avere un’idea dei luoghi visitati da Zefiro, ecco qui la mia indecente e vergognosa mappa…Abbiate pietà di me e delle mie inesistenti capacità artistiche, ve ne prego, confido nella vostra comprensione e compassione…
 
Ho inserito anche un omaggio ad una saga che ho letto, vediamo chi lo riesce ad intuire :)
Ayr
   
 
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