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Autore: Mary P_Stark    25/08/2014    1 recensioni
Cecily Fairchild è l'insegnante di Inglese nel piccolo paesino costiero di Falmouth, Cornovaglia. Sbrigativa, spigliata, sincera e per nulla vanitosa, è amata dai suoi studenti e apprezzata dai suoi colleghi. Ma, cosa più importante, è Fenrir del Clan di Cornovaglia, la licantropa più forte dell'intero branco. Licantropa che, però, si ritroverà ad affrontare qualcosa per lei del tutto nuovo e inaspettato, e un uomo che la lascerà senza parole per la prima volta in vita sua. Un uomo che, tra l'altro, sembra nascondere una marea di segreti, sotto la sua eleganza e le sue buone maniere. Amore e mistero li accompagneranno verso un'avventura ai limiti del mondo... e forse anche oltre. SPIN-OFF "TRILOGIA DELLA LUNA" - 4° RACCONTO (riferimenti alla storia presenti nei 3 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Atto III
“E allora non è notte se ti guardo in volto,
e perciò non mi par di andar nel buio,
e nel bosco non manco compagnia.
Perché per me tu sei l’intero mondo.”
 W. Shakespeare – Sogno di una notte di mezza estate –
 


 
 
 
Il suono di mille campane d’argento aleggiava nella corte, accompagnata dal canto di ancelle dalla voce angelica.

Arpe dalle corde ottonate erano pizzicate con maestria dai musici della nobile corte, e coppiere in eleganti abiti in seta di ragno offrivano libagioni ai pasciuti invitati del re.

Poiché nessuno avrebbe rifiutato un invito di Oberon, signore degli elfi e padrone della casa di Avalon, nel regno di Alfheimr.

Titania, sua signora e regina, sedeva alla sua destra, riccamente dorata la sua veste, mentre i biondissimi capelli erano ricoperti dei più splendenti fiori del giardino di palazzo.

Pan danzanti suonavano le loro spinette con abile maestria, lanciando accattivanti occhiate alle dilette figliole del re, o alle cortigiane di palazzo.

Uno svolazzare di veli, abilmente trattenuti dalle esili mani delle danzatrici, si intervallava al vagare elegante delle farfalle e degli uccelli boschivi, anch’essi presenti per rendere omaggio a Oberon.

Grande era la festa, magnificenti le opere offerte ai commensali, ma un elfo in particolare sembrava non essere lieto di quell’allegro vociare attorno a sé.

Syldar, fratello minore di Oberon e signore delle terre dei laghi, giaceva sul suo divanetto a mani conserte dietro la nuca.

Il desiderio era spento nei suoi occhi smeraldini, e le belle labbra erano piegate in smorfia pesante.

Da un uomo della sua sensibilità, e dall’occhio attento alle bellezze del creato, ci si sarebbe aspettati che apprezzasse un simile festeggiamento in onore della Madre.

Invece, così non era.

Il suo pensiero pareva distratto da argomenti così cupi da rendere i suoi occhi, solitamente sì belli da risplendere, niente più che uno sbiadito ricordo di essi.

Il nipote Puck, leggiadro e truffaldino come sempre, dopo aver rubato baci e promesse fatue, balzellò allegro fino all’oscuro angolo colmo di tristezza dello zio, e lì sedette.

Porgendo allo sventurato un sorriso consolatorio, il giovane elfo si vide restituire solo un vacuo sguardo.

Questo fece perdere di colpo al nipote ogni voglia di ridere e divertirsi e, più serio di quanto non fosse suo solito, egli domandò: “Cosa porta la sventura sul tuo volto, zio?”

“Nulla che io possa risolvere, mio candido e allegro nipote” replicò l’elfo, omaggiandolo di un breve sorriso.

Passandosi una mano tra la corta zazzera di capelli biondo platino, Puck replicò scontento: “Non accetto una simile risposta, Syldar. Non è lecito che tu rimanga qui in un angolo, senza divertirti. Di’ una semplice parola, e io ti porterò le donne più belle del regno, e potrai giacere con loro fino alla fine dei tempi. Proprio tu, che sei signore di uno dei reami più belli e desiderabili, non riesci ad apprezzare i festeggiamenti per Colei-che-tutto-è?”

Syldar scoppiò a ridere sommessamente nel mettersi seduto e, dopo essersi sistemato distrattamente la bionda chioma ondulata, sorrise affettuosamente al nipote.

Puck non era esente da difetti e, spesso e volentieri, la sua esuberanza verso il genere femminile lo aveva cacciato nei guai.

Non di rado, finendo con l’insultare impunemente diversi nobili del regno di Oberon, o dello stesso Syldar.

Ma se c’era una cosa in cui eccelleva, era l’amore verso la famiglia.

Dandogli una pacca sulla spalla, suo zio disse onestamente: “C’è solo una donna con cui vorrei giacere per l’eternità, e festeggiare con lei le celebrazioni per l’Albero della Vita, caro e premuroso nipote, ma ella non dimora in queste terre, né mai potrà.”

“E a cosa è dovuto un simile scorno, zio?” esalò sorpreso Puck, facendo tanto d’occhi.

Sfiorando le orecchie del nipote, dove si potevano scorgere due diamanti di chiara origine midgardiana, Syldar ammise: “Tuo padre non permetterebbe mai a un’umana di essere mia compagna, essendo ella mortale.”

“Hai donato il tuo cuore a una creatura simile? A una midgardiana, spero! Sono le uniche mortali per cui valga la pena di spendere un pensiero!” cercò di ironizzare Puck, pur non trovando la sua solita verve a dargli man forte.

Era evidente quanto, lo zio, fosse effettivamente preso dalla donna appena accennata.

L’elfo annuì in risposta e aggiunse: “Avrei voluto concedere la grazia del mio sangue al frutto del nostro amore, ma non mi fu concesso. La fonte dell’eterna giovinezza mi fu preclusa da Vivianne1 , e per un tempo superiore a quello concessomi per la mutazione, così dovetti abbandonare anche lui.”

“Ho… un cugino mortale?” esalò Puck, sempre più sorpreso.

“Ebbene, affermi il giusto, nipote. Ma che questo segreto muoia con te, giovane elfo, poiché non è lecito che sangue elfico resti al di fuori di queste sacre terre, come tu ben sai.”

“Vivianne mantiene il segreto da quel giorno?”

“E’ obbligata a mantenerlo, se desidera continuare a vegliare il sonno del suo amato. L’avermi negato l’accesso alla Sacra Fonte, le è quasi costato la vita. L’ho risparmiata unicamente perché so quanto il suo cuore sia turbato dall’odio e dal rimorso.”

Il suo tono fu gelido e assai irritato, sintomo di quanto il tradimento della sua Guardiana lo toccasse ancora.

“Non capisco… perché impedirti l’accesso alla Fonte?” mormorò Puck, dubbioso.

“Vivianne odia i midgardiani, poiché essi decretarono la fine del suo Artù in tempi immemori. Nell’estremo tentativo di salvarlo, lo rapì morente dal suo regno, confinandolo in queste terre per l’eternità a vegetare senza più una vita vera, schiavo di questo posto fino alla fine dei tempi.”

“E’ dunque vero, che Vivianne si prende cura del suo corpo inerme e senza spirito!” gracchiò il giovane elfo, ormai al di là di qualsiasi sorpresa.

“Ciò risponde a verità, nipote. Oberon si infuriò molto, quando scoprì le sue macchinazioni, ma Vivianne è l’unica che può leggere le Divinazioni della Sacra Fonte, perciò non ha potuto farle nulla. Condurlo qui, comunque, non le è servito a nulla, se non a consolare il suo cuore infranto.”

Sospirò, lisciò distrattamente le sete della sua tunica, e aggiunse: “Neppure le acque della Sacra Fonte poterono salvarlo, e così ora vegeta su un letto di foglie e pianto, vegliato dalla sua amata, per il resto dell’eternità. Un corpo senz’anima, non ha valore. Non avrebbe mai dovuto condurlo qui, ma lasciarlo ai suoi prodi guerrieri perché lo tumulassero.”

“Davvero non capisco le donne” sospirò Puck, scuotendo il capo. “Perciò, in spregio al tuo desiderio, ti negò l’accesso alla Fonte, a cui tu puoi accedere solo dietro il suo consenso. Lei non aveva avuto ciò che desiderava, perciò non avresti dovuto averlo neppure tu.”

“Il Fato si burla dei suoi figli, non lo sapevi, Puck?” ironizzò Syldar, scrollando le spalle.

“Molto più di quanto non si pensi” esordì una voce a poca distanza da loro.

Irrigidendosi al solo sentirla parlare, Syldar si volse a mezzo mentre Puck, impallidendo di colpo, puntò i suoi chiari occhi di cielo sul viso niveo di Morgana la Fata.

Nera di capelli come di occhi, la pelle simile all’alabastro più puro, Morgana era da almeno un migliaio di anni la consigliera del re.

E, tra le altre cose, innamorata non corrisposta proprio del biondo Syldar.

Sempre rifiutata, poiché troppo legata al sotterfugio e all’inganno, due doti detestate dall’onesto Syldar, ma non certo da Oberon – che invece le teneva in grande considerazione – Morgana non aveva mai fatto mistero dei suoi sentimenti.

Più di una volta, si era offerta in sposa al fratello del re, e sempre era stata rifiutata con decisione.

Levandosi in piedi per bloccarne le mosse, Syldar si ritrovò ad afferrare solo nebbia e, nel sentire la sua cupa risatina rimbalzare tra le cupole a volta del palazzo, l’elfo rabbrividì.

Puck non perse tempo a osservare l’emanazione spirituale della Fata e, di corsa, cercò di raggiungere per primo il palco di suo padre il re.

Tutto però fu vano.

A Morgana non la si faceva.

Giunta per prima al fianco di Oberon, si inginocchiò graziosamente al suo fianco e, all’orecchio attento del sovrano, confidò il mistero appena scoperto.

Nera fu l’ira che sorse lesta sul suo volto perfetto, e dalle sue labbra sottili, ferale come uno strale, giunse l’ordine di ritirarsi.

Gli ospiti nulla domandarono, né nulla dissero in merito a quell’improvvisa decisione.

Si limitarono a svanire in silenzio nelle loro stanze, tanti servi leziosi e senza spina dorsale.

Soddisfatta e sorridente, Morgana sedette accanto al suo re, mentre una confusa Titania osservava il marito in cerca di spiegazioni.

Puck fissò irritato la Fata e Syldar, muto, scrutò il fratello studiandone l’irritazione sempre crescente.

Quando nessuno, a parte loro, rimase nell’immensa sala dei rifreschi, il vociante e allegro divertimento ormai del tutto dimenticato, Oberon parlò.

“La follia che mi è giunta a orecchio è dunque vera, fratello? Hai copulato con un’umana donandole il tuo seme? Ingravidandola?”

“Rendi meschino un atto d’amore” sottolineò Syldar, irritato dal tono sprezzante del fratello.

Amore? Con una creatura inferiore come una midgardiana?!” sbottò il fratello, gelandolo con lo sguardo.

“Non v’è nulla di inferiore, in lei.”

“Il di lei figlio è in questo regno senza che egli mi sia mai stato presentato?” si informò allora Oberon, la rabbia a stento trattenuta dai suoi pugni tesi.

“Egli è rimasto a Midghard, mio signore e fratello, poiché Vivianne non mi concesse la grazia di renderlo immortale.”

“Quella maledetta strega. Ossessionata dal suo cavaliere senza anima!” ringhiò Oberon, furente e ormai privo di controllo. “Non permetterò che egli rimanga un giorno di più su suolo midgardiano! E’ già passato troppo tempo, e dubito che persino con i miei poteri potrò sistemare questo orrendo guaio, ma non permetterò mai che un figlio di Alfheimr rimanga sul suolo infetto di Midghard!”

“Non puoi strapparlo al suo mondo come se niente fosse, fratello! Lui ha una sua vita, ha sua madre!” protestò vibratamente Syldar, avanzando di un passo verso di lui, ben deciso a fermarlo.

Oberon schioccò le dita di una mano e, dalle alcove nei muri di bianco marmo, comparvero come per magia le sue guardie armate.

Al cenno del loro re, bloccarono Syldar ai polsi e, con catene d’acciaio siderale, gli negarono qualsiasi utilizzo dei suoi divini poteri elfici.

Negatagli la possibilità di smaterializzarsi a piacimento, l’elfo fissò rabbioso il fratello e sibilò: “Non è un tuo diritto negargli la libertà!”

“Sono il suo re! E lui starà dove è meglio per la sua esistenza, cioè qui!”

La minaccia sibilante di Oberon fu sottolineata dal suo sguardo di pietra.

Scesi i gradini del palco sotto gli occhi orgogliosi di Morgana, quelli terrorizzati di Titania e quelli sconcertati di Puck, il re si pose innanzi al fratello e depose una mano sulla sua fronte.

Come sfogliando un libro, ogni suo ricordo giunse nella sua mente, che scorse ciò che sarebbe stato utile per la sua Cerca.

Ritirandosi come disgustato dalla visione delle memorie di Syldar, Oberon richiamò infine a sé il comandante delle sue guardie.

Dopo avergli ordinato di mettere ai ceppi il fratello, ordinò che una squadra di cacciatori si mettesse alla ricerca di Cordelia Darcy, nella contea midgardiana di Somerset, in Inghilterra.

Ciò detto, osservò irritato il fratello – trascinato via quasi di peso dalla sala dei banchetti – e dichiarò: “Avrei dovuto sapere che il suo divagare da un mondo all’altro, avrebbe portato solo guai. Chiuderò una volta per tutte l’accesso al Bifröst, così che eventi simili non possano mai più avvenire.”

Ciò detto, spiegò per filo e per segno al comandante come comportarsi su suolo midgardiano, Morgana al suo fianco sorridente e lieta, come un avvoltoio allettato dal sangue.

Titania sfruttò il momento di distrazione del marito per fingersi sconvolta e, mettendo in scena un principio di svenimento, esalò: “Dèi del cielo!”

Crollando senza forze sulla coltre di cuscini su cui, fino a poco prima, era stata accomodata, Titania lanciò uno sguardo implorante al figlio che, lesto a comprendere, la raggiunse subito.

Oberon, scrutandola dubbioso e, solo in parte, preoccupato, le domandò: “Debbo chiamare la guaritrice, cara? So di essere stato piuttosto brusco, e tu non ami le scene violente, ma…”

“Non temere per me, mio signore e marito. Puck avrà buona cura di me. Tu occupati pure di tuo fratello, così come merita” si affrettò a dire la donna, sorretta dalle mani premurose del figlio.

Il sovrano si limitò ad annuire e, richiamata l’attenzione di Morgana, si diresse con lei verso le segrete del palazzo.

Titania attese che fossero svaniti alla loro vista, prima di dire lesta al figlio: “Dobbiamo andare subito da Cordelia, prima che Oberon chiuda tutti gli accessi!”

“Tu… tu la conosci?” esalò Puck, ormai privo di comprensione, di fronte a quell’intricata faccenda.

“Syldar si confidò con me, una volta, e io lo consigliai di mantenere il segreto per non far infuriare Oberon. Mi domando come Morgana lo abbia saputo.”

“Per un mio errore, madre. A volte, il troppo discorrere è fonte di problemi, e io sono famoso per essere una lingua lunga” sospirò spiacente il giovane.

“Poco importa, ora, diletto figlio. Apprestiamoci a raggiungere il Ponte, prima che tuo padre lo faccia presidiare dai suoi armigeri” sentenziò Titania, sollevando le leggere vesti per meglio correre.

Puck la seguì a ruota, indirizzando furtivi sguardi a destra e a manca per essere certo che nessuno li seguisse.

Discesi in fretta i gradini che conducevano al giardino di palazzo, dove allegri uccelletti canori infondevano un’illusoria serenità a quei luoghi magnificenti, i due fuggiaschi presero la via del vicino bosco.

Senza guardarsi indietro, iniziarono a correre,  sperando che la via fosse ancora libera.

Raggiungere il Ponte con il teletrasporto era impossibile, a causa della barriera di potere che lo circondava, perciò non rimaneva loro altro che sbrigarsi. E pregare di fare in tempo.

Le correnti di potere di quel luogo ancestrale cominciarono a farsi sentire, scorrendo come acqua sulla loro pelle diafana e bellissima e Titania, accigliandosi, sbottò: “Dovrà pagarmi anche questa, Oberon. La veste si sta rovinando tutta, a causa dell’acqua magica del Bifröst!”

Puck rise, quando spinse sua madre verso il ponte e, non appena scorse le famigliari forme del passaggio acquatico, da cui si poteva scorgere Midghard, esclamò: “Solo tu potresti pensare alle tue vesti, in un momento simile!”

“Sono la regina, dopotutto!” replicò lei, gettandosi sotto le cadenti acque che si gettavano sul ponte da un punto imprecisato e invisibile del Cosmo.

 
§§§

Era notte fonda, quando misero piede sull’erba corta e ruvida del Tor.

Sopra di loro, l’arco a sesto del Glastonbury Tor incombeva con la sua ombra cupa, messa in evidenza dal brillare diafano e gelido della luna alta in cielo.

Rabbrividendo spontaneamente, Titania si strinse nel suo abito leggero e sussurrò preoccupata: “Non rammentavo Midghard così cupa e fosca, diletto figlio.”

“La notte rende tutto molto più oscuro e pericoloso, anche i luoghi più belli” assentì lui, avvolgendole la vita con fare protettivo.

Iniziando la discesa verso valle, le loro due sole figure nel mezzo della notte, principe e regina rimasero in silenzio per tutto il tempo, riflettendo su ciò che era appena avvenuto.

Oberon non avrebbe gradito scoprire il loro tradimento e, presto o tardi, la loro assenza da palazzo sarebbe stata sinistramente notata.

Se già Morgana non aveva sussurrato altre parole di fiele all’orecchio del re.

Se solo fosse stato possibile, Puck l’avrebbe già eliminata da tempo.

I suoi poteri, però, erano assai forti e, non essendo in grado di rivaleggiare con lei, poteva solo sopportarla le poche volte che era costretto a vederla, e rifuggirne lo sguardo le restanti.

Davvero non capiva come riuscisse ad avere così potere sul re suo padre e come, addirittura, fosse riuscita a farsi designare come suo consigliere personale.

Aveva più di un sospetto, ma non li avrebbe mai messi a voce, soprattutto non davanti alla madre.

Non era il caso di cercare di conoscere le cose, quando queste potevano essere foriere di dolore per colei che più amava.

No, sarebbe rimasto in silenzio almeno per una volta.

Già il suo parlare a sproposito, e il suo ficcare il naso, avevano messo nei guai lo zio.

Ora giaceva coi ceppi alle braccia e alle gambe in qualche segreta del palazzo, impossibilitato a teleportarsi a causa dell’acciaio che ne mordeva le carni immortali.

Anche di quello avrebbe dovuto rendere conto ma, se si fosse impegnato a salvare il cugino, forse avrebbe fatto almeno una buona azione.

E lo zio lo avrebbe perdonato per la sua lingua lunga.

“Pensi che mio padre infierirà sul fratello? Che cercherà vendetta per l’onta subita?”

“So quello che farà Morgana” brontolò Titania, reggendosi al braccio del figlio nel discendere l’erta discesa inghiaiata. “Sobillerà Oberon con le sue parole fruttate quanto venefiche e, al tempo stesso, verserà nelle orecchie di Syldar il suo desiderio di vendetta nei confronti di colei che lui ha così tanto amato.”

“Com’è Cordelia? Tu la conosci bene?”

“La conobbi anni addietro, e vidi anche tuo cugino. All’epoca aveva otto anni, e giocava nel giardino con un cagnolino. Preferii non rendermi nota a lui per non sgomentarlo, ma temo che ora si renderà necessario farlo.”

“Quanto tempo è passato, da allora?”

“In tutta onestà, non ne ho la minima idea. Il tempo scorre diversamente, in queste terre, e io non so quanta sabbia sia scorsa nella clessidra, da allora.”

“Beh, lo scopriremo presto” sentenziò Puck, dirigendosi verso una vicina fonte di luce.

Glastonbury.

Altre volte era stato a Midghard e, divertito quanto ammaliato da quello strano luogo, aveva girovagato e rallegrato salotti di ogni epoca e di ogni estrazione sociale.

Molto aveva parlato con un antico cantore di storie, tale William Shakespeare di Stratford upon-Avon.

Se non fosse stato per gli obblighi di corte, altre volte si sarebbe recato su quello strano mondo ricco di contrasti per dialogare con lui, ma il tempo era stato tiranno.

Quando infine era riuscito a tornare, di lui aveva trovato solo una tomba ad attenderlo.

Rammentava poco della sua ultima visita – il cielo plumbeo e le esplosioni ogni dove, lo avevano spinto a fuggire a gambe levate – ma sperava che, quella volta, non vi fosse pericolo.

Non voleva che sua madre rimanesse ferita in nessun modo.

“In che direzione, madre?”

“Verso levante. Dovremo costeggiare l’abitato, per raggiungerla, poiché la sua casa costeggia il bosco che vedi laggiù.”

“Molto bene. Non perdiamo altro tempo” assentì Puck.

Prima fossero arrivati, prima avrebbero potuto rintracciare suo cugino per evitare il peggio.

 






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1 Vivianne: o Viviana. E' la Dama del Lago delle leggende Arturiane. Rivisitata e corretta per i miei scopi, ovviamente.

  
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