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Autore: Ayr    25/08/2014    2 recensioni
Quando Matisse incontra Zefiro, un ragazzo affascinante ma misterioso, la sua vita tranquilla viene completamente sconvolta: il ragazzo infatti le rivela che lei è la principessa perduta, la legittima erede al trono di Heaven. Inizia così per lei un viaggio in compagnia di Zefiro, il cui silenzio pare nascondere un grande segreto, che la porterà dal tranquillo villaggio in cui vive alla caverna di Procne, una potentissima maga che aiuterà Matisse ad affrontare quello che le aspetta: non si tratta solo di sedere su un trono e di prendere sulle spalle tutte le responsabilità che esso comporta, Matisse infatti, dovrà prepararsi anche per una guerra perchè non è l'unica che ambisce a quel trono e c'è già chi trama nell'ombra per strapparglielo via.
Preparatevi ad accompagnare Matisse in questo viaggio tra maghi, battaglie, segreti, elfi e misteri. Siete pronti a partire?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La piana di Myr si stendeva davanti agli occhi increduli di Matisse, una distesa infinita della quale non si riusciva a scorgere la fine. Matisse, abituata alla realtà più circoscritta del suo villaggio circondato e protetto dai boschi si sentì persa ed ebbe paura di annegare in quel mare ininterrotto d’erba bagnata dal sole, che ondeggiava lievemente, accarezzata dal vento.
«La piana di Myr» disse Zefiro, con il vento che gli schiaffeggiava il volto e gli spettinava i capelli «La pianura più vasta e ventosa di tutta Heaven» spiegò, scostandosi un ciuffo di capelli corvini dagli occhi. Corniolo brontolò qualcosa e sospinse in avanti il suo cavallo. Avevano avuto la fortuna di incontrare un mercante di cavalli parecchio disponibile che aveva venduto loro tre magnifici esemplari ad un prezzo ragionevole. Grazie a questo espediente, avrebbero potuto compiere il viaggio in meno tempo. Solwin, infatti, distava circa dieci giorni di cavallo da Fogliadoro, un tempo lunghissimo, che si sarebbe dilatato ancora di più se fossero andati a piedi.
Matisse adorava cavalcare, Corniolo le aveva dato delle lezioni, ma era ben diverso fare dei giri nell’aia davanti a casa sul vecchio ronzino malmesso di Harvy e cavalcare quel magnifico esemplare pomellato “esile ma scattante e resistente”, come l’aveva descritto il mercante dando una pacca sul fianco del cavallo. Zefiro, invece, stava ritto su un magnifico morello nero, aveva assunto una scherzosa aria di regalità che, però, lo faceva davvero assomigliare al principe delle favole che Matisse aveva sempre sognato di incontrare, da bambina. Era un principe un po’ atipico: nonostante avesse il mantello blu scuro gettato sulle spalle che svolazzava al vento e una spada al fianco, per quanto lei ne sapeva, non pareva ricco e non viveva in un castello, inoltre non aveva sangue blu nelle vene. Per quanto riguardava Corniolo, era stato costretto a montare un pony, l’unico cavallo alla sua altezza: era un animale davvero carinissimo con una folta criniera bionda e due occhioni dolcissimi. Matisse l’aveva ribattezzato Miele e sentiva che quel nome gli calzava a pennello. Pioggia, invece, era il nome del suo cavallo e Zefiro aveva chiamato il suo Tempest. Dal momento che avrebbero passato la maggior parte, se non il resto del viaggio, in loro compagnia, tanto valeva dargli un nome e considerarli definitivamente come parte integrante della loro compagnia.
Matisse spronò il cavallo che partì al trotto seguendo Tempest. Stavano percorrendo una stretta via laterale e poco frequentata. Non potevano permettersi di venire rallentati, e magari bloccati, dal traffico di carri e mercanti che invadeva le vie principali alla volta dei mercati estivi che si tenevano nelle principali città.
Quella del mercato era anche un’occasione per entrare in contatto con altre realtà, come per esempio quella degli elfi del sud che attraversavano il deserto di Syaram per giungere fino a lì e vendere i loro raffinati prodotti. Matisse aveva sempre provato una sorta di reverenziale rispetto e ammirazione per gli elfi, li trovava affascinanti ma nel contempo distanti ed eterei con i loro corpi slanciati, i lunghi e lisci capelli chiari, gli occhi limpidi e cristallini, la voce pacata e musicale e quell’aura di serenità che li circondava e pareva provenire da loro stessi.
Matisse si chiese se avrebbero incontrato degli elfi a Solwin. Quella infatti, era la loro tappa successiva. Solwin era la città più grande di tutta Heaven, era grande anche più della capitale, e questo era dovuto alla sua posizione di centralità. Solwin era uno svincolo per raggiungere qualsiasi parte del regno. Come tale era enorme, caotica, affascinante ma pericolosa. Costruita interamente in pietra, era anche detta la Città Grigia, nome piuttosto triste, in netto contrasto con le sue strade affollate e caotiche, con il mosaico di colori, suoni, profumi che la rendeva, invece, allegra e movimentata. Il governo della città era affidato ad un Governatore, nominato dalla regina, che abitava nell’opulento palazzo, simbolo del suo potere e della sua ricchezza, che si ergeva prepotentemente nella parte nord della città. In quel periodo la città era gestita dal bonario e beneamato Sostrat, un uomo bonaccione e magnanimo, il quale adorava mangiare, bere e divertirsi. La sua risata risuonava nelle calde sere d’estate e aleggiava nell’aria assieme al profumo dei sontuosi banchetti che organizzava e al quale era invitata tutta la ricca e numerosa borghesia e la più rada aristocrazia di Solwin. Sostrat non era solo un amante dei divertimenti, ma anche un giusto e generoso governatore, che era riuscito a portare e mantenere l’ordine nella vasta e caotica città. Severo quando lo richiedeva l’occasione, non era solo capace di ridere facendo sussultare il suo triplice mento, ma anche di impartire ordini e di amministrare la giustizia. Sostrat era amato dai suoi cittadini, i quali non avevano mai vissuto un periodo più tranquillo e fiorente come quello nel quale aveva governato, e governava tutt’ora, lui.
Matisse era curiosa di conoscere questo eccellente governatore, conosceva solo attraverso i racconti di Ortensia e degli abitanti di Verderamo. Era anche curiosa di vedere una grande città e di immergersi nella sua multisfaccettata realtà. Per questo cavalcava di buon grado, in trepidante attesa di giungere finalmente a Solwin, mentre cercava di immaginarsi il palazzo del governatore e la fontana che dominava la piazza principale, e le piccole botteghe che si aprivano sul dedalo di strette strade in pietra levigata e i locali eleganti frequentati dalle nobildonne della città.
Zefiro, invece, aveva tutt’altri pensieri per la testa. La piana di Myr, sprovvista di boschi o di una qualsiasi altra macchia d’alberi, non offriva alcun riparo ed era estremamente esposta, non solo ai capricci del tempo ma anche agli attacchi di ipotetici nemici, e loro con lei. Era assolutamente sicuro che Radamanto avesse disseminato per quella piana manipoli di Elfi neri, pronti a tenderli un agguato, nascosti tra l’erba alta. E se non fossero stati loro ci sarebbero stati i briganti che approfittavano di quel periodo per assaltare i solitari mercanti che si arrischiavano a viaggiare da soli. Il ragazzo continuava a volgere lo sguardo da una parte all’altra della strada ma tutto ciò che vedeva era erba, nient’altro che erba smossa dal vento. Cercò di calmarsi, in fondo era appena metà mattina, i briganti non si sarebbero arrischiati ad assaltarli a quell’ora. Cercò di convincersi con questa blanda ed effimera speranza e ci riuscì, fino a quando non intravide un movimento alla sua destra.
Cavoli! Pensò, possibile che i briganti avessero deciso di far crollare così miseramente la sua ipotesi e volessero attaccarli in pieno giorno?
Anche Corniolo notò il movimento e si agitò sulla sella, preoccupato.
«Cosa credi che sia stato?» domandò a Zefiro
«Cosa?» chiese Matisse che procedeva tra i due e non si era accorta di nulla
«Niente, mi era solo sembrato di aver visti qualcosa muoversi. Magari è stato solo un gioco di luce o un’allucinazione» rispose il ragazzo poco convinto. Il movimento si ripeté.
Sembra piuttosto reale e concerta per essere solo un’allucinazione si ritrovò a pensare Corniolo.
No, i briganti no stava intanto pregando Zefiro. Non che non avesse la forza o i mezzi per affrontarli, ma non ne aveva assolutamente voglia. Insomma possibile che in neanche una settimana di viaggio avessero già incontrato di tutto?
Le sue preghiere, però, non vennero ascoltate e vennero presto circondati da un gruppo di quattro persone, ammantate di nero e con il volto coperto.
«Dove state andando di bello, soli soletti?» chiese uno di loro, la voce soffocata dalla stoffa che gli copriva la bocca. Matisse sussultò, spaventata. I piccoli occhi avidi del brigante saettarono su di lei.
«Oh ma cosa vedo qui!» disse con voce suadente avvicinandosi alla ragazza
«Non la toccare!» ruggì Zefiro, frapponendosi fra i due
«Altrimenti cosa fai?» lo provocò il brigante, per nulla intimidito
«Ti lascio la possibilità di scegliere: o finisci ridotto a brandelli dalla mia spada o in cenere. Ti consiglio la seconda opzione, è meno dolorosa» sibilò il ragazzo minacciosamente, uno strano scintillio attraversò i suoi occhi turchini, facendo sussultare il brigante.
«E ne saresti davvero capace?» replicò questi, rimasto colpito dalla minaccia, ma ancora piuttosto scettico a riguardo
«Ne vuoi una dimostrazione?» chiese Zefiro e prima che il brigante potesse replicare qualcosa, il ragazzo sprigionò dalle sue dita una fiamma di un azzurro intenso che andò a colpire uno degli altri briganti. Questi si accasciò a terra, emettendo appena un gemito stozzato. Dal suo corpo si alzava del fumo ed emanava un leggero odore di bruciato.
«Hai ancora dei dubbi a riguardo?» domandò Zefiro con un sorriso storto che spaventò pure Matisse
«Chi siete?» domandò terrorizzato il brigante
«Solo un brutto ricordo, se te ne andrai da qui, ora!» soffiò il ragazzo, chinandosi sul cavallo. Era così vicino al viso del brigante che poteva leggere la paura racchiusa nei suoi occhi. Il brigante non se lo fece ripetere due volte e se ne andò a gambe levate, seguito dai due supersiti della sua compagnia. Corniolo scoppiò a ridere «Sei stato geniale!» si complimentò con Zefiro «Non mi sono mai divertito così tanto! Hai visto che facce? E come correvano veloci? Dovresti farlo più spesso»
Il ragazzo sorrise mestamente, non andava molto fiero di quello che aveva fatto. Fermò il cavallo davanti al cadavere fumante e smontò.
«Cosa hai intenzione di fare?» chiese Corniolo confuso
«Seppellirlo» rispose semplicemente Zefiro
«Ma è un brigante!» protestò l’ometto
«Innanzitutto è un uomo e va trattato come tale » replicò il ragazzo
«Allora potevi anche evitare di carbonizzarlo sul posto» commentò a bassa voce l’omuncolo. Zefiro fu costretto a dargli ragione. Non sapeva assolutamente cosa gli fosse preso, si era comportato in maniera impulsiva e violenta, non l’aveva mai fatto prima. Si chiese che giorno fosse e scoprì con rammarico che quella sarebbe stata una notte di luna nuova. Era durante i noviluni che le presenze nel suo corpo si facevano più forti e insistenti, come se la totale oscurità le rafforzasse e le incoraggiasse. Mentre stava minacciando quell’uomo si era sentito per un brevissimo tempo, solo per un attimo, completamente in balia di quelle presenze, ma era stato lui, di sua spontanea volontà, a lasciare che lo assoggettassero. Quindi non poteva dare la colpa interamente al novilunio, lui stesso stava iniziando a piegarsi davanti a quelle forze e con suo sommo ribrezzo sentiva che non gli era affatto dispiaciuto usufruire del potere che queste gli avevano concesso, anche se solo per un istante.
Il resto del viaggio continuò in silenzio, Matisse era rimasta turbata da quello che aveva visto. La sensazione riguardante il fatto che Zefiro nascondesse qualcosa, si era intensificata, prendendo i contorni sfuocati di una sorta di ipotesi.
E se avesse due identità? Rifletteva dentro di sé e se esistesse uno Zefiro buono dagli occhi azzurri e uno malvagio dagli occhi rossi?
Non si era dimenticata di quella notte e di quelle iridi color del sangue, che ogni tanto tornavano a farle visita nei suoi sogni, tramutandoli in incubi. Prima o poi avrebbe dovuto chiedere spiegazioni a Zefiro, ma non riusciva a trovare il coraggio né il modo di dirglielo. Sapevano perfettamente entrambi che quella notte non aveva avuto un’allucinazione, lei aveva visto quegli occhi e aveva sentito quella voce. Da dove provenisse non lo sapeva, ma non era poi tanto sicura di volerlo sapere. Eppure, doveva scoprire cosa nascondeva Zefiro, non sarebbe riuscita a fidarsi pienamente di lui se non l’avesse scoperto e non poteva certamente viaggiare per altre tre settimane con una persona di cui si fidava poco.
Zefiro, invece era scosso da altri pensieri, aveva paura di quello che avrebbero potuto fare quella notte le presenze, essendo più forti e lui più debole e assoggettabile. Inoltre era anche stanco, aveva alle spalle troppe notti insonni e troppe ore di viaggio; non era sicuro che sarebbe riuscito a rimanere sveglio anche quella notte. Il ragazzo imprecò sottovoce, odiava quelle voci che lo stavano deteriorando da dentro, odiava la causa che l’aveva portato ad averle dentro di sé.
Aveva solo quattro anni quando le voci entrarono dentro di lui; più che di voci, sarebbe stato più corretto parlare di spiriti o di demoni: esseri incorporei che avevano la capacità di penetrare all’interno della psiche delle persone e di sottometterla al loro volere. La loro origine era oscura, si sapeva solo che erano creature malvagie, subdole e crudeli che portavano le loro vittime a compiere azioni atroci solo per il proprio divertimento. Zefiro aveva accompagnato Procne aldilà della Barriera, era ancora troppo piccolo per poter essere lasciato solo a casa e la donna aveva fatto l’errore di portarselo dietro con sé. Il mondo aldilà della Barriera era stato, fin da subito, misterioso e affascinante. Tutto quello che era stato bandito dal regno di Heaven trovava rifugio lì: streghe, orchi, goblin e tutte le creature più ripugnanti, malvagie o ritenute pericolose erano state spedite lì nel corso dei secoli. Procne andava spesso aldilà della Barriera, lei stessa era una creatura della stessa risma di quelle che abitavano quei luoghi, ma, nel contempo era diversa da loro, in un certo senso superiore. Nonostante questo, frequentava spesso gli abitanti di quel luogo, in particolare gli Stregoni, era da loro che aveva appresso tutto il suo sapere ed era dai loro studi che continuava a imparare nuove cose. Gli Stregoni erano stati i primi a venire scacciati dal regno, a causa della loro capacità di poter adoperare la magia; avevano approfittato del regime di segregazione al quale erano stati costretti, per compiere studi approfonditi sulla magia e affinare le loro tecniche. Scoperta la magia nera e rimasti affascinati da questa, iniziarono a praticarla sempre con maggiore frequenza, fino a quando questa non si sostituì completamente alla magia bianca. La magia nera concedeva maggiore potere agli Stregoni e permetteva di fare molte più cose, tra le quali evocare gli spiriti. Procne era andata da uno di loro, proprio per apprendere questa tecnica. Non che lei adoperasse la magia nera, ma a volte la sfruttava, in quanto le dava maggiore possibilità di agire. Tutti i veleni che conosceva e i rispettivi antidoti venivano dagli studi degli Stregoni che abitavano aldilà della Barriera. Procne non aveva paura di loro ed era fermamente convinta che le loro conoscenze fossero fondamentali e potessero rivelarsi utili un giorno.
Zefiro non si ricordava il nome dello Stregone da cui andò la donna, ma si ricordava perfettamente l’abito scuro che indossava e gli attraenti occhi verde smeraldo che brillavano nell’ombra gettata dal cappuccio. Lo Stregone aveva mostrato a Procne come evocare e governare gli spiriti e l’aveva invitata a provare lei stessa, ma qualcosa era andato storto: Procne aveva perso il controllo sugli spiriti che avevano iniziato a fuggire da ogni parte, impazziti e felici di essere finalmente liberi. Tre di loro avevano pensato bene di seguire il proprio primario istinto ed entrarono nel corpo di Zefiro, l’unica persona abbastanza debole e indifesa, presente. Da quel momento Zefiro iniziò a portare gli spiriti dentro di sé e a nulla erano valsi i tentativi di Procne di scacciarli dal suo corpo. Ormai era da quasi sedici anni che conviveva con loro e condivideva con loro la sua mente e il suo corpo.
 
Procne seguì con lo sguardo le volute di fumo violaceo che si erano appena alzate dal suo calderone. Era appena stata aldilà della Barriera e gli Stregoni le avevano rivelato finalmente come liberare Zefiro dagli spiriti che lo tormentavano. Era stata tutta colpa sua e non se l’era mai perdonato, né lo avrebbe mai fatto. Era stata un’assurda sciocchezza da irresponsabili portare un bambino in un covo di Stregoni operanti la magia nera. Ma adesso aveva il modo di porre rimedio al suo errore. Un semplicissimo antidoto e un incantesimo, ecco cosa bastava per far sloggiare gli spiriti dal corpo di Zefiro e renderlo finalmente libero. L’unico problema era che in sedici anni durante i quali l’aveva cercato, l’aveva trovato proprio quando Zefiro era lontano e non sarebbe tornato prima di un mese. Procne era fermamente convinta che il ragazzo sarebbe riuscito a tenerli a bada ancora per quel periodo, come aveva fatto fino a quel momento. Un composto cobalto sobbolliva nel calderone, Procne aggiunse una manciata di erbe e questo esalò uno sbuffo di fumo argenteo. L’Oppio degli spiriti lo chiamavano ed era un composto capace di stordire gli spiriti e, in un certo senso, farli addormentare; li indeboliva, in modo da permettere all’incantesimo di fare effetto. Sarebbe stato devastante e spossante estirpare degli spiriti da un corpo quando questi erano ben consapevoli di quello che stava accadendo e per nulla contenti e disposti a lasciare la loro dimora. Con i sensi inebetiti, invece, sarebbe stato tutto più facile. Procne cercò di decifrare la grafia febbrile e spigolosa dello Stregone e riuscì ad intuire il passaggio successivo. Si fidava ciecamente di Alistair e non le aveva mai dato modo di pentirsi della fiducia riposta in lui. Era uno Stregone affidabile e disponibile, forse l’unico della sua razza. Tutti gli altri erano diventati troppo chiusi, scontrosi e diffidenti, avevano subito troppe torture e umiliazioni per riuscire ad avere ancora contatti con qualcuno. Procne non aveva modo di credere che Alistair l’avesse ingannata e sperava vivamente che il rimedio da lui proposto avrebbe funzionato.
Procne vagò con lo sguardo lungo le pareti del suo antro, alla ricerca dell’ingrediente successivo, con un sorriso sollevato lo trovò. Ne erano rimaste poche gocce, ma sarebbero bastate. Versò il liquido rosso cupo nel contenuto e questo prese un bel color indaco. Procne lo rimestò un’ultima volta e lo lasciò sobbollire per una notte. Fattolo restringere lo travasò in un’ampolla e sorrise soddisfatta, guardando in controluce il liquido all’interno: era di un intenso color viola con sfumature più chiare a seconda del taglio di luce…Il composto era pronto, mancava solo Zefiro.
 



 
***

Finalmente si è scoperto cosa tormenti Zefiro. Mi rendo conto che la causa scatenante è debole, banale, inverosimile ed estremamente stupida, ma non mi è venuto in mente di meglio, perdonatemi...
Per il resto spero che il capitolo vi piaccia: ancora nessuna azione rocambolesca o scene di combattimento, ma non sono mai stata brava a descriverle e non saprei assolutamente dove inserirle...Poverini! Non posso torturarli colpendo continuamente Matisse , Zefiro e Corniolo con attacchi di Elfi, briganti e lupi affamati, mi sembrano già abbastanza tormentati...Soprattutto Zefiro: riuscirà a non soccombere agli spiriti che lo tormentano, riuscirà a resisterli o cadrà nelle loro grinfie e verrà sopraffatto...Come affronterà l'imminente Notte degli spiriti?
Al prossimo capitolo ;)
Ayr  
   
 
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