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Autore: Francesco Coterpa    26/08/2014    1 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Il passo era sempre più affrettato. Il tempo correva troppo rapidamente, un'eterna scansione di vita e morte che si alternano come il giorno e la notte. Chi avrebbe mai potuto dire che il giorno fosse la vita o viceversa? Chi poteva mai sapere se oltre il decadimento fisico vi era una rinascita spirituale? Da secoli si creavano dei su dei senza senso. Come era possibile l'esistenza di tutti queste divinità? Se vi era realmente un unico credo, non si spiegava il perché di tante divinità, fortemente differenti tra loro, tra l'altro. Una mente confusa è una mente persa. Chi dunque poteva considerarsi certo senza certezze? Chi avrebbe vinto questa lunga guerra?

Perché pensava a certe cose. La partenza era oramai alle porte. Non aveva tempo per porsi certe domande, i filosofi di ogni era che avevano scommesso la loro intera vita non erano ancora giunti a nulla. C'è chi si era gettato nei vulcani per provare la propria teoria di immortalità, chi fissava talmente a lungo il cielo da cadere sottoterra e anche chi, nonostante sapesse lo scibile umano, non si rendeva conto di sapere ciò che la sua mente realmente possedeva. Come è possibile che gli uomini, considerati illuminati da Atena, dotati di enorme sapere e conoscenza arrivassero a tal punto? Ah, se solo lo Stagirita fosse ancora qui! Dove ha nascosto i suoi volumi? Chi li ha nascosti? Perché?

No, no, non doveva pensare a certe cose, era in guerra. Una delle guerre più importanti della storia, uno di quegli scontri che si ricorderanno nei secoli a venire e che segneranno per sempre l'evolversi della storia dell'intera umanità. Nonostante tutto ciò non riusciva a fermare il suo continuo flusso di pensieri, che come un torrente in piena travolgeva il suo fragile essere.

La morte è veramente il male peggiore? Oppure solo una semplificazione malvagia della realtà. Perché stava accadendo tutto questo? Chi lo ha voluto? Chi lo ha deciso?

Nel fondo del lungo corridoio che attraversava e sembrava non finire mai, vi era un'ombra. Non era una semplice ombra di un edificio, ma nemmeno di una semplice persona, era troppo deformata. Mentre continuava a camminare celermente verso le stalle, cercò di capire chi fosse o cosa.

“Tu! Laggiù! Chi sei? Cosa ci fai qui?”

La lontana ombra si mosse ma non riusciva a comprendere se avesse mosso solo il volto oppure il corpo. Non capiva. Iniziò a correre per capire realmente cosa fosse, chi fosse, ma appena avvicinato un poco, l'ombra sparì nel nulla. Egli cercò delle tracce che potessero aiutarlo a comprendere chi fosse stato lì e come fosse sparito così all'improvviso. Nulla. Sparito nel nulla. Lo sguardo suo cadde poi oltre una delle finestre del corridoio. Giù a distanza di circa duecento metri, vicino alla piazza centrale dove aveva tenuto il discorso e che ora era quasi del tutto svuotata, c'era quell'ombra vista precedentemente.

Le pupille si allargarono per amplificare meglio la vista. Non poteva crederci, quale essere vivente avrebbe potuto mai saltare da un'altezza simile e spostarsi per altri metri in così poco tempo. Ma soprattutto, solo il salto avrebbe dovuto ucciderlo. Chi era?

Appoggiò con forza la mano sul muro e cercò di urlare a qualche soldato che era rimasto in piazza di catturare quell'individuo ma d'un tratto la voce non gli apparteneva più. Non riusciva più a parlare, non emetteva più alcun suono. Era muto. Non era dolore né paura, aveva semplicemente perso la voce. Iniziò a sbattere contro i muri calci e pugni ma nessuno lo poteva né sentire né vedere, era come uno spettro in mezzo alla folla. Una folla solitaria.

L'ombra nel frattempo alzò ciò che sembrava una mano e la tirò indietro. L'imperatore vide uscire dal suo cuore un lungo filo blu. Cosa diamine era? Il terrore iniziò la sua ascesa dalle gambe fino alla gola, soffocandolo. Non respirava. Sudava.

Non fece in tempo a tirarsi indietro che l'ombra si avvicinò talmente tanto a lui da farlo cadere pesantemente a terra. Cercava in tutti i modi di urlare, di chiedere aiuto, ma non vi riusciva. Era una foglia dinnanzi ad un albero, una nullità di fronte ad una entità sovrannaturale. Ad un certo punto l'ombra chinò in dietro il capo, ed emise un urlo agghiacciante, freddo come un cadavere e lungo, eterno come la morte. Cercò in tutti i modi l'imperatore di tapparsi le orecchie con le mani e di urlare per il dolore all'udito ma non vi riusciva, nonostante i suoi sforzi il suono era troppo forte e la sua voce era completamente sparita.

Si dimenava come poteva, come un bambino troppo pretenzioso che non aveva ricevuto ciò che voleva. Era stato atterrito solo due volte nella sua vita intera, e in combattimento. Ma contro quell'essere non poteva pretendere di essere un suo pari. La differenza era chiara. Lui era un mortale quell'essere chiaramente no.

Poi, nel momento in cui la sua testa stava per scoppiare, l'ombra sparì. Tutto cadde nel silenzio. L'imperatore era disteso a terra e fissava un punto fisso sul soffitto. Era terrorizzato. La testa gli faceva un gran male e le mani non riuscivano a calmarsi. Le guance vennero rigate da una scia sottile e lunga d'acqua, sia da un lato che dall'altro. Stava piangendo. Lui, il terrore dei ribelli, piangeva. Chi non teme la morte? Chi è così stolto da credere di non temerla? Fino a che essa non ti si presenta dinnanzi le parole rimangono vuoti soffi insulsi d'aria, ma quando la senti così vicina, nessuno riuscirebbe mai a non temerla. Solo un bugiardo affermerebbe il contrario, lei è la paura più grande che ogni uomo possiede nel fondo del proprio cuore. Nessuno è escluso, nessuno è salvo.

Le meningi gli pulsavano ancora. Appoggiò abbastanza saldamente la gamba destra al suolo e cercò di poggiare lì il suo peso per poi, reggendosi un po' al muro, alzarsi. Pian piano riuscì a tornare in piedi. Si asciugò il volto e prese da terra l'elmo che, senza nemmeno essersene accorto, gli era caduto precedentemente. Voleva correre ad informare tutti dell'accaduto e che forse quello era un chiaro segno del destino per cui non dovevano partire, non avrebbero dovuto andare a salvare la capitale. No. Non poteva chiaramente presentarsi senza voce e terrorizzato dinnanzi al consiglio e non poteva chiaramente annullare l'oramai iniziata marcia. Doveva far finta di nulla e proseguire ciò che aveva iniziato. Avrebbe chiesto consiglio in seguito al suo primo comandante una volta che le due frazione dell'esercito d'oriente si sarebbero incontrate nei pressi delle Alpi. Per il momento poteva fare anche a meno di parlare. Doveva riuscire a non insospettire nessuno. I più credenti avrebbero preso la sua rapida sparizione della voce come un segno divino, e in quel caso l'esercito si sarebbe facilmente spezzato e la vittoria sarebbe stata un'impresa molto più ardua di quanto già non fosse.

Una volta tranquillizzato e tornato sufficientemente lucido con la mente tornò sui suoi passi e si diresse verso la stalla, dove lo stava aspettando il suo cavallo e le ultime parti dell'armatura. Scese i gradini sulla sinistra e finalmente riuscì ad arrivare alla sua destinazione. I cavalli, però, non c'erano. Cercò per la vasta stalla del palazzo ed infine li trovò tutti ammassati in una celletta minuscola, poco più grande di due metri quadrati. Era morti. Tutti con la gola tagliata. Anche il suo amato stallone che lo aveva condotto durante le più grandi battaglie d'oriente. Santi numi! Oh dei!

“Spiacente ma lei non può andarsene via da qua, lei non partirà oggi.”

L'imperatore si voltò di scatto per vedere il volto di colui che gli stava rivolgendo la parola in modo tanto arrogante e che probabilmente aveva anche commesso quel tremendo crimine, quella carneficina insulsa contro dei semplici animali. Dal fondo della stalla vi era una grande finestra posta a circa mezzo metro da terra e lì, incappucciato, vi era un uomo seduto che lo fissava con un sorrisetto malvagio stampato sul volto. La luce dietro quel personaggio lo rendeva quasi divino, era il tramonto, era in ritardo. La figura aveva nella mano sinistra una spada lunga e ricurva sporca di sangue, che ancora fresco gocciolava al suolo dopo aver attraversato la lama.

L'imperatore non riusciva a vedere chiaramente chi fosse e se avesse aperto la bocca e non fosse riuscito a parlare avrebbe svelato subito la sua posizione di svantaggio. Doveva tacere e mostrarsi freddo ed impenetrabile. E in questo lui era estremamente capace di natura. Il suo gelido sguardo era rivolto all'uomo che aveva parlato. Rimaneva comunque fermo per non farlo fuggire. Se fosse stato veloce lo avrebbe seminato di sicuro vista la distanza che già li separava. Uno da un lato della stalla, l'altro nel lato opposto.

Scese dalla finestra e si avvicinò a passi decisi e sicuri verso l'imperatore. Passi scanditi, lenti.

“Vede, se la lascio andare proprio ora lei condurrebbe l'armata a destinazione. E questo ovviamente io non posso permetterlo.” disse mentre con un panno sporco sfilato dalla sua tasca destra pulì la sua arma.

La luce che filtrava dal fondo non permetteva di distinguere chiaramente il viso ed i lineamenti del personaggio che si stava avvicinando.

“Perché non parla? Ha perso la parola?” rise. L'imperatore rimase impassibile.

“Ah, capisco. Non vuole svelare il suo segreto. Stia tranquillo non dirò a nessuno chi ha visto né che non può più parlare. Anche perché tra pochi secondi lei non apparterrà più a questo mondo.”

L'imperatore fece un passo indietro, poi due, tre. Come lo sapeva? Chi era quell'uomo? Lo doveva uccidere, sapeva troppo e queste informazioni avrebbero potuto, se trapelate, ribaltare l'esito dello scontro in qualunque momento.

“Mi vuoi uccidere, ti capisco. Sarà piuttosto difficile, si fidi.”

Come poteva leggere ciò che pensava? Assurdo. Chi era?

“Stia tranquillo. Lo scoprirà prima di esalare l'ultimo respiro.”

L'imperatore iniziò a tremare, la testa continuava a dolergli. Nel momento esatto in cui posò la mano sulla fronte per il dolore, l'avversario era già davanti a lui, pronto per scoccare il primo colpo. Senza esitazione sfilò la sua arma e riuscì in tempo a deviare il colpo diretto al suo cuore. Sapeva utilizzare bene la spada, era sicuro.

“Non si monti la testa, solo perché è riuscito a deviare un mio colpo, prima o poi le cadrà. È solo questione di tempo.”

Lo scontro iniziò. Una scoccata rapidissima del misterioso personaggio sfiorò il fianco dell'imperatore, egli notando la schiena del suo nemico scoperta freddamente cercò di colpirlo mentre era scoperto, ma il suo avversario posando una mano a terra si girò facendo leva col braccio e respinse l'attacco sfiorando la gamba destra dell'imperatore. Non era chiaramente un dilettante, anzi. Era chiaramente un maestro con la spada. Lo scontro continuò senza esclusione di colpi. Ma nessuno dei due dava segni di tentennamento o stanchezza. Era uno scontro epico, uno scontro misterioso senza pubblico. Solo gli altissimi forse guardavano con distrazione la loro battaglia. L'imperatore manteneva il suo nome. Stava pensando ad altro mentre combatteva, l'abitudine e la memorizzazione di tutti i possibili colpi con armi e senza gli fornivano un vantaggio notevole, senza considerare che non si stava ancora impegnando. Ma anche il suo avversario sembrava non impegnarsi, forse perché non voleva svelare subito tutte le sue carte o forse stava aspettando il momento giusto per eliminare l'imperatore con un sol colpo ben piazzato.

L'imperatore stava pensando alla sua situazione e come uscirne senza creare un'onda anomala come invece temeva sarebbe potuto succedere se avesse fatto passi falsi.

“Non le consiglio di distrarsi nel mezzo dello scontro, potrebbe perdere per questa arroganza.”

Mentre terminava la frase ruotando con l'intero corpo caricò un colpo secco e velocissimo che se non fosse stato tempestivamente parato avrebbe potuto facilmente uccidere chiunque. L'imperatore come svegliato da un sogno, distolto dai suoi pensieri, strinse più deciso la sua spada e scagliò un colpo talmente potente da rompere un robusto palo di legno che sorreggeva il piano soprastante. Il legno, tagliato di netto in due parti, non fermò nemmeno per un istante la spada. Fu tagliato come si taglia una sottile canna di palude. L'avversario però aveva schivato il potente attacco dell'arma, abbassandosi poco prima il lancio del colpo. Sorrideva.

“Mi stavo annoiando. Meno male che si è svegliato.” rise ancora.

Voleva sgozzarlo subito. Decise che prima avrebbe ucciso quel tizio, meglio era. Sfoderò l'altra arma e iniziò a tempestarlo con una serie di colpi a doppia lama. Precisione e potenza erano state portate a livelli inimmaginabili. Ogni colpo risuonava in tutta la stalla e non finiva mai contro altro se non la spada del suo avversario. Era una furia distruttiva, e ancora non si stava impegnando fino in fondo. Aveva solo negli occhi una forte sete di sangue che si esprimeva chiaramente ad ogni fendente che lanciava.

“Mai farsi prendere dalle emozioni, potrebbe risultarle fatale.”

Nella foga dei colpi che assestava l'imperatore non notò di aver lasciato una apertura nella sua difesa e come se il rivale non aspettasse altro che quella piccola debolezza scoccò un colpo ben assestato alla gamba sinistra che per poco non tagliò di netto l'arto. Svantaggio nello svantaggio. La ferita era abbastanza profonda. Ma l'imperatore un po' perché non poteva urlare dal dolore ed un po' perché durante tutti quegli anni aveva sentito di peggio, non tentennò nemmeno per un istante dinnanzi all'avversario. Il dolore alla testa era forte. Caricò con la sua spada destra un colpo, che doveva essere a suo giudizio il decisivo. L'urtò fece quasi tremare l'aria. La lama saltò via e si conficcò due metri e mezzo più indietro. La spada era stata spezzata di netto. Il nemico ora era disarmato.

“Ammetto la sua superiorità con la spada.” disse indietreggiando e tenendo la metà della spada in posizione difensiva.

Lui non poteva che accennare un sorriso semi vittorioso. A abbassò le spade con la punta verso il terreno. Era oramai certo del risultato. Anzi il risultato era oramai certo.

“Vede io non credo che ciò che lei pensa sia del tutto vero. E gliene darò una prova se vuole.” disse sorridendo con fare arrogante e presuntuoso.

La furia turbò nuovamente la mente ed il cuore dell'imperatore che si fiondò contro la sua preda disarmata. Ma ad un tratto i muscoli non rispondevano più ai suoi comandi, era completamente paralizzato. Immobile nel mezzo di un attacco. Come una piuma ferma tra i soffi del vento, sospesa eternamente e misteriosamente nel vuoto. Il personaggio misterioso si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi, poi prese con la sua mano la mandibola dell'imperatore e strinse la mano, non tanto però da romperla.

“Capisci ora?”

Non capiva. Cosa diamine succedeva al suo corpo? Perché non poteva muoversi? Cosa sarebbe successo?

“Non pensavo che tu fossi così scemo. Allora ti farò capire io.”

Continuava a non capire. Lo avrebbe ucciso? Alzò il braccio tenente la spada alla gola.

“Adesso guarda attentamente.”

La sua arma iniziò a brillare di luce propria , una luce forte, accecante, incantevole. Ciò che vide era folle. Inimmaginabile,impossibile per qualsiasi essere vivente. L'arma si ricompose. La lama si allungò pian piano fino a che non si completò con la punta e la luce che fuoriusciva dalla lama sparì.

“Vedi io ora potrei ucciderti ma se lo facessi non potrei poi sapere cosa potrebbe accadere in futuro, solo lei può far questo. Il mio scopo l'ho raggiunto, la mia missione l'ho completata. Posso anche andare.”

Indietreggiò di qualche passo.

“Signore signore! É quasi notte!” era un suo capitano che stava scendendo nelle stalle.

L'imperatore era ancora paralizzato posto dinnanzi a quello stronzo che lo aveva battuto.

“Alla prossima.” disse sorridendo, prima di sparire nel nulla proprio davanti ai suoi occhi.

Nello stesso istante la paralisi perse il suo lungo e sofferto effetto e il corpo dell'imperatore cadde pesantemente a terra con un tonfo.

Il capitano appena giunto sul luogo lo aiutò ad alzarsi. Non sentiva più dolore alla gamba, la guardò ancora tremando lasciando le spade a terra. La ferita non c'era più. Era come se non avesse mai combattuto. Come se tutto fosse stato un lungo e terribile incubo. La voce però non l'aveva ancora. Merda!

“Signore bisogna partire subito!” aggiunse il capitano.

Non parlò, si limitò a prendere le spade da terra e rinfoderarle. Poi a piedi si diresse verso l'uscita della stalla per cercare un altro cavallo pronto. Ma nello stesso istante in cui egli fece il primo passo, udì nitrire nelle cellette dei cavalli. Non era possibile. Corse verso tutte le piccole cellette e sbigottito notò come i cavalli non solo erano ognuno nella propria cella, ma erano anche tutti vivi. Non poteva crederci. Il suo sguardo era divenuto spento e vuoto.

“Signore si sente bene? Mi risponda la prego.”

Indossò velocemente le ultime parti dell'armatura e arrivato di fronte al suo stallone lo abbraccio e posta la sella gli saltò in groppa ed uscì dalla stalla. Nella cavalcata fino alla porta principale che dava sull'occidente indossò l'elmo.

Pochi minuti dopo era in testa all'esercito, pronto per partire. Uno stratega fidato anche lui a cavallo si avvicinò a lui e gli bisbigliò all'orecchio “tutto bene mio signore?”

Lui accennò solo col capo, ma il suo pensiero era ancora tormentato profondamente dall'accaduto. Fece segno di partire e l'armata iniziò ad uscire dalla capitale d'oriente. Uno degli eserciti più potenti della terra stava lasciando la sua casa verso le terre dell'ovest per una guerra di importanza vitale. Costantinopoli si apprestava a salvare la capitale. Costantinopoli aveva fatto il primo passo verso una lunga guerra.

  
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