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Autore: Amaya Lee    26/08/2014    2 recensioni
Arashi si scrive con lo stesso simbolo di "tempesta".
Questa storia comincia con due ferite verdi, limpide ma impenetrabili, e una cappa nera che viaggia imperturbata nella neve.
Poi gocce di sangue, un ticchettio semplice, distinto, elementare, che scandisce ogni istante di un tempo che scade.
L'attesa di un cambiamento si tramuta nella speranza di sopravvivere, scendendo a patti con incubi radicati troppo in profondità, mentre paure ipnotiche e scomode sbocciano in passione dolorosa.
La creatura più fragile non può sciogliere le catene del suo destino, non può ribellarsi al compito per cui è stata scelta, e più si dimena, più le ombre la trascinano a fondo.
Chi ha pianificato tutto questo e impugna i fili del fato resta nell'ombra, nell'attesa che la tempesta si faccia domare. Una risata disumana si eleva dalle profondità del Lago, una risata che per secoli è rimasta sepolta nell'oblio, nell'attesa di essere udita.
L'ultima parola di questa storia è "vendetta", e deve ancora essere pronunciata.
{tratto dal testo}
[...] Si trattava della legge del più forte, una regola che nemmeno le preghiere avrebbero potuto spezzare.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kanato Sakamaki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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III

Purple Shades

 





 

La mente è un suo proprio luogo,
e in se stessa può fare un paradiso dall'inferno
o un inferno dal paradiso.

John Milton

 














Seguii il ragazzo attraverso diversi corridoi e sale, finché non giungemmo in quello che doveva essere il cuore della tenuta. Era una stanza da salotto, con tre divani e altrettante poltrone, posizionati attorno ad un tavolino da caffè al centro della sala. C'erano poi dei cassettoni di legno e svariati quadri, oltre ad una breve scala che conduceva ad un pianerottolo sopraelevato.
L'arredamento rimandava all'ottocento, ed era decisamente nel mio stile. Purtroppo, la casa in cui vivevo nel mio paese era dotata di mobilia di stampo moderno, che trovavo estremamente noioso.

Notai però che tutte le tende scarlatte alle finestre fossero tirate, in modo che i pallidi raggi di luce che riuscivano a penetrare le nubi non illuminassero la stanza. A farlo, ci pensavano le candele di un lampadario appeso al soffitto, simile a quello dell'ingresso, ma più piccolo, oltre a numerose lanterne sulle pareti.

Non ero più molto sicura che quell'atmosfera macabra fosse artificiale, prodotta solamente per spaventare occasionali ospiti. Forse faceva davvero parte di quel luogo.

Il ragazzo dai capelli grigi, che durante il tragitto non aveva proferito parola, si sedette su una delle poltrone di tessuto verde, intrecciando le dita.

Io non fui invitata ad accomodarmi.

Passai qualche secondo sulla soglia, vacillante. Poi lui sbatté le palpebre e mi indicò con un gesto il divanetto.

“Vedo che le tue maniere non sono poi così disdicevoli. Prendi pure posto.” Lo disse con disinteresse, quasi le sue fossero battute di un copione, parti di una noiosa routine.

Solcai a grandi falcate la stanza, desiderosa di mettermi a sedere al più presto. Ne avevo bisogno per rilassare i nervi tesi. Il divano era insolitamente comodo, ma non osai lasciarmi andare del tutto, in presenza di quello sconosciuto.

“Ayato. Saresti così cortese da presentarti alla signorina?” Il suo sguardo saettò in un angolo della stanza, dove ad un tratto era comparso un ragazzo dai fiammeggianti capelli rossi e pungenti occhi verdi. Ne sarei rimasta incantata, se non avessero emesso quella luce sinistra che mi fece accapponare la pelle.

Non mi ero mai sentita attratta dai ragazzi in quel senso, ma lui era davvero bellissimo.

Ayato mostrò un sorrisetto arrogante, tenendo le braccia incrociate al petto. Non sembrava avere intenzione di fare come gli aveva implicitamente ordinato l'altro, che era senza dubbio più grande.

“Oh, chi abbiamo qui!” esclamò una voce molto più suadente, proveniente dal lato opposto della stanza. Si era materializzato un giovane dal colore di capelli molto simile a quello di Ayato, ma sui quali era adagiato elegantemente un cappello nero. Sul volto di costui emergevano due occhi verdi, che mi gettarono un'occhiata molto diversa dalle precedenti. Mi studiò, compiaciuto da ciò che vedeva, e il suo sguardo mi fece sentire sporca, impura, nonostante il ragazzo non mi avesse ancora sfiorata. Fu estremamente sgradevole, e mi sistemai a sedere sul sofà. “Cosa c'è, Bitch-chan?” La sua voce accattivante si era fatta più vicina, troppo vicina, come se in un nanosecondo lui avesse percorso la distanza che si separava, e ora si trovasse al mio fianco.

Bitch-chan?

Storsi leggermente il naso a quell'epiteto di stampo inglese, chiaramente offensivo e canzonatorio, senza voltarmi verso la voce.

“Ehi, guarda che mica mordo” disse, persuasivo, ma la sua affermazione sembrava una presa in giro.
Ben due risate scoppiarono nella sala, facendomi sobbalzare. Infastidita, scoprii che una delle due appartenesse al ragazzo col cappello, che aveva distorto i tratti delicati del suo viso in una smorfia di divertimento dovuto alla sua stessa battuta.

L'altra era più docile, suonò come quella di un bambino, ma guardandomi intorno non avrei saputo capire di chi fosse.

In compenso, mi accorsi che le persone presenti nel salottino erano aumentate. Un ragazzo decisamente slanciato era disteso su un altro divano, degli auricolari infilati nelle orecchie sotto i capelli dorati, e pareva sonnecchiare. La sua espressione era impassibile. Un altro era apparso su una poltrona relativamente isolata, e associai immediatamente la sua immagine ad un lupo bianco. Sembrava un tipo piuttosto solitario, e la sua espressione aggressiva mi ricordò la concentrazione che precede l'attacco. Una parte di me era tentata di alzarsi e fuggire via da quello sguardo, ma rimasi immobile al mio posto, sostenendolo. Non c'erano dubbi, lui aveva qualche problema con me. Pertanto era improbabile che avesse riso.

Il lupo bianco grugnì, facendo cadere un'occhiata che avrei definito “assassina” sul rosso seduto al mio fianco. “Laito, non giocare con la preda. Le tue moine mi danno il voltastomaco.”

Al termine “preda” la mia bocca si asciugò di colpo. Mi hanno presa per un giocattolo, pensai.

“Oh, Subaru, ma questo è un gioco. Dovresti provare a divertirti un po'...”
“Cosa?” sobbalzai. Ero stata beneducata fin troppo. “Perdonatemi, ma credo che la mia posizione non vi sia chiara. Sono solo una studentessa, non ho intenzione di recitare la parte del vostro svago personale.” Sguardi attoniti si concentrarono su di me, persino il ragazzo che poltriva sollevò le palpebre per fissarmi. Non ero intimidita. “Con permesso, vorrei ritirarmi nella mia stanza” dissi, alzandomi in piedi.
Nello stesso momento, avvertii una mano gravare con premura sulla mia spalla destra. Un brivido percorse la mia spina dorsale, e le mie gambe cedettero da sole. Mi ritrovai di nuovo seduta sul divano, a disagio. Trovato il coraggio di voltarmi, scoprii che alle mie spalle incombeva un giovane un po' più basso degli altri, con folti capelli viola e brillanti occhi pervinca, a inghiottirne il volto dolce. Sotto ad essi comparivano due occhiaie scure ed evidenti, come se quel ragazzo non dormisse da un sacco di tempo. Notai che il suo abbigliamento particolare richiamava un che di gotico, ed una delle bretelle gli cadeva lungo un braccio. Teneva stretto al petto un orsacchiotto di peluche dall'aspetto insolito. Alcune cuciture erano lievemente sghembe, ma ad attirare l'attenzione era una benda nera, che copriva uno dei due piccoli occhietti circolari.

Il ragazzo mi mostrava un sorriso vago, inarcando le sopracciglia.

Era diverso dagli altri. Non ricercava nulla di particolare nei miei occhi, non sembrava nemmeno vedermi davvero. Aveva quello sguardo innocente e spensierato da bambino, che però celava una sfumatura inquietante. Come se, quello sguardo, fosse solo una delle tantissime angolazioni di un prisma, che riflette la luce a seconda del senso in cui la incontra.






















 

Buonasera,
eccomi ad aggiornare con il terzo capitolo, Purple Shades. 
Spero davvero che lo appreziate, mi farebbe molto piacere se lasciaste una recensione, e come sempre ringrazio UnaScuotitriceDiParole per aver recensito i capitoli precedenti♥
See you soon,
Nicole

 

  
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