Eccomi tornata. Volevo scusarmi per
l’enorme ritardo, ma sono stata davvero incasinata e non sono riuscita a
postare prima di adesso. Tra il lavoro, la casa, la famiglia non ho avuto
tregua. Sono stata fuori casa per un po’, poi ho partorito e poi è arrivata l’estate
e ho avuto quasi un mese ospiti a casa. Credetemi non avevo tempo neppure per
grattarmi la testa, senza contare che i gemelli (sono nati per tutti coloro che
me l’hanno chiesto e purtroppo non hanno ricevuta risposta) mi tengono
impegnatissima, senza contare poi che ne ho un altro di quasi due anni che
definirlo una peste è poco. Perdonatemiiiii…spero di
essere più frequenti negli aggiornamenti da adesso in poi. Adesso vi lascio al
capitolo. Buona lettura…
10.
Pov Bella
Ero rimasta
davanti al portone di casa per qualche istante dopo che l’ascensore si era
chiuso, poi spinta da non so quale forza dentro di me socchiusi la porta di
casa per non rischiare di rimanere fuori e a velocità sproporzionata mi diressi
verso le scale scendendole a due a due.
L’ascensore
avrebbe certamente fatto prima di me, quindi dovevo sbrigarmi. Quando finalmente
raggiunsi il pianerottolo d’ingresso del palazzo mi resi conto che l’ascensore
non era ancora arrivato così mi posizionai proprio di fronte ad esso e quando
questo si riaprì mi ritrovai Edward davanti che mi fissava con espressione
stupita. Non si aspettava di vedermi lì e nemmeno io visto che non sapevo
neppure il motivo per cui mi ero fiondata lì sotto.
“Che ci fai…”
tentò di dire, ma io non gli permisi di aggiungere altro.
“Resta con me
ancora un po’” riuscii a dire senza nessuna cognizione di causa.
Con molta
probabilità mi avrebbe mandato a quel paese, ma, invece, mi sorrise sghembo e
mi attirò dentro l’ascensore impostando nuovamente il numero del piano dove
c’era il mio appartamento. Restammo in silenzio senza dirci nulla, limitandoci
solo a guardarci come se non lo facessimo da anni e anni. Quando le porte si
aprirono nuovamente ci fiondammo dentro casa e io richiusi la porta alle mie
spalle.
C’era ancora
silenzio e nessuno sembrava sentire il bisogno di dire niente, forse perché ci
bastava essere lì insieme a dispetto di tutto e tutti.
Poco prima
avevamo finito la cena prima di affrontare quel discorso che ci aveva condotto
poi a separarci, ma restavano tutti i piatti sul bancone.
“Tu lavi io
asciugo” mi disse lui accorgendosi che bisognava comunque dare una sistemata.
“Come ai
vecchi tempi” gli risposi conscia che facevamo così quando ci ritrovavamo a
mangiare insieme a casa dell’uno o dell’altra.
Ci mettemmo
all’opera mantenendo il silenzio, ma poi non resistetti più e mi decisi a
parlare.
“Di solito
dovevo pregarti per convincerti a darmi una mano con i piatti” gli feci notare.
“Era prima”.
“Prima di
cosa?” chiesi curiosa.
“Prima di
passare molto tempo in un motorhome dove non c’è mamma che mi prepara da
mangiare o che mi lava i piatti”.
Era chiaro
che si riferisse al fatto che viaggiando per il suo folle lavoro non
trascorreva sempre del tempo in hotel o ristoranti e quindi doveva darsi da
fare da solo.
“Pensavo che
del motorhome se ne occupasse James. Vic mi aveva
detto così”.
“Infatti è
vero, ma non mi piace starmene fermo a non fare nulla”.
“Non è una
novità. Non ti è mai piaciuto startene con le mani in mano”.
“No, in
effetti no” mi rispose.
Ci fu un
attimo di silenzio, poi io ripresi a parlare.
“James come
occupazione sulla sua carta d’identità potrebbe farsi scrivere migliore amico di Edward Cullen” lo
presi in giro “in fondo non è questo il suo lavoro?” continuai.
“Perché non
lo dici a lui invece che a me?” mi domandò ridendo alzando un sopracciglio e avvicinandosi
a me ritrovandoci praticamente l’uno di fronte all’altro.
“Perché lui,
a quest’ora, mi avrebbe tolto dalla circolazione” ci scherzai su ed entrambi
prendemmo a ridere mentre io tornai a dargli le spalle per finire di lavare i
piatti.
Gli ero grata
del fatto che non avesse detto nulla e che si stesse comportando come se nulla
fosse. Mi conosceva bene e sapeva perfettamente che nemmeno io mi spiegavo il
motivo del mio comportamento, non mi spiegavo perché fossi corsa a prenderlo,
ma forse in quel momento non gli importava neppure saperlo. Sembrava seriamente
felice di essere lì, con me, anche se stavamo parlando di sciocchezze.
“Sai cosa non
capisco?” mi chiese.
“Cosa?”
“Perché tu,
andando via, abbia allontanato anche lui. Credo non se lo spieghi neppure lui”
mi rivelò.
“Non volevo
metterlo tra due fuochi. So quanto entrambi contante l’uno per l’altro e mi
sentivo un peso ad essere amica sua sapendo che c’eri comunque tu”.
“Conosci
James esattamente da quando lo conosco io, dovresti saperlo che ti adora”.
“Anche io
adoro lui, ma era difficile restare in contatto con lui. Mi ricordava troppo
te, credo”.
“Ti vuole
bene” mi rispose ignorando le mie ultime parole.
“Gliene
voglio anche io”.
Ci fu un
attimo di silenzio, poi entrambi tornammo a ridere e scherzare rinvangando
vecchi episodi della nostra infanzia e adolescenza. Quando terminammo di
sistemare la cucina ci buttammo entrambi sul divano del salone con il chiaro
intento di goderci un bel film in tv.
“Allora che
cosa proponi?” mi domandò.
“Non saprei.
Adesso vediamo” gli risposi.
Feci un po’
di zapping con il telecomando cambiando canali su canali visto che non c’era
nulla che attirava la mia attenzione.
“Aspetta, aspetta, torna indietro” mi disse.
Lo feci e
quando alzai gli occhi alla tv compresi il motivo di quella richiesta. Stavano
trasmettendo un film sulle moto e lui aveva già gli occhi a cuoricino nel
vedere una moto sfrecciare sulle strade di una vecchia città in mezzo al
deserto.
“Non ti
piacerà” gli feci notare avendo già visto quel film.
“Non dire
stronzate” mi rispose.
“L’ho già
visto ed è completamente surreale quindi ti garantisco che non ti piacerà”
continuai.
“Cos’altro
proponi?”
“Non lo so”.
“Bene, allora
guarderemo questo” mi disse convinto spaparanzandosi sul divano “com’è che si
intitola?” mi chiese poi.
“Torque” gli
risposi “se non erro” aggiunsi poi essendo sicura solo al 90 %.
Lui non
aggiunse nulla e cominciò a concentrarsi sulla tv e io, avendo già visto quel
film compresi che era iniziato da meno di cinque minuti.
“Prendo qualcosa
da bere nel frattempo” gli dissi “cosa vuoi?” domandai.
“Una birra”
mi rispose “se c’è l’hai preferirai una…” tentò di dire, ma lo interruppi
comprendendo che si stesse riferendo ad una Corona.
“C’è l’ho”
gli dissi guardandolo alzando un sopracciglio, mentre lui se la rise sotto i
baffi contento che mi ricordassi della cosa.
Mi avvicinai
al bancone e presi due Corona dal frigo bagnando il collo con il sale e
mettendo una fettina di limone dentro, poi tornai da Edward che non appena vide
che avevo messo il sale il limone mi sorrise sornione.
Ricordavo
perfettamente che la amava in quel modo e anche io, se per questo. La Corona
era una delle poche cose che piaceva ad entrambi.
Gliela passai
e lui subito affondò il limone dentro e ne bevve un sorso, poi si voltò a
guardarmi.
“Ghiacciata
esattamente come piace a me” commentò “comunque sia devo farti provare la Michelada. Sono sicuro che ti farebbe schifo” mi disse.
“La che?”
domandai non capendo e ignorando il fatto che avesse detto di volermi fare
assaggiare qualcosa che sapeva già che mi avrebbe fatto schifo.
“La Michelada. È un cocktail messicano che si prepara con la
corona” mi spiegò.
“E tu come
fai a conoscerlo?”
“L’ho bevuto
in Messico”.
“Sei stato in
Messico?”
“Due anni fa
circa, con alcuni ragazzi del mio vecchio team di Moto2, sono andato a vedere
una corsa di Formula 1 all’autodromo Hermanos Rodrìguez in Messico” mi raccontò.
“C’è un posto
in cui non sei stato?” gli chiesi curiosa.
“Qualcuno,
forse, ma più o meno ho visto tutti gli angoli del pianeta”.
Lo guardai e
sorrisi, quasi invidiandolo per qualche istante.
“E quindi
cos’è sta Michelada?” domandai tornando all’argomento
principale della nostra conversazione.
“Lo fanno nei
pub messicani con il nome completo di Michelada preparada. In sostanza mettono del sale ai bordi di un
boccale di vetro poi sul fondo mettono un dito di tequila, il succo di un
limone, un pizzico di sale ed uno di pepe, qualche goccia di tabasco e qualcuna
di salsa perrins, qualche cubetto di ghiaccia e poi
finiscono di riempire il boccale con della Corona ghiacciata. Mescolano il
tutto ed esce fuori un cocktail…” tentò di raccontarmi.
“Da fare
rivoltare lo stomaco” conclusi io al suo posto.
“Con i
fiocchi stavo per dire” mi corresse sorridendo “ma non avevo dubbi che
l’avresti detto. Tu e le cose messicane proprio non andate d’accordo” aggiunse.
“Il fatto che
ho iniziato a mangiare cibo messicano non significa che io sia diventata forte
di stomaco”.
“Ma
finiscila, è tutto buonissimo”.
“Non credo
che sia molto credibile detto da uno che mangia ogni cosa schifosa che esiste
sulla faccia del pianeta” lo rimbeccai facendogli una linguaccia.
Edward stava
per rispondermi, ma non ne ebbe il tempo perché la sua attenzione venne
attirata dal rombo di un paio di moto che comparvero nel film che si era
ostinato a voler guardare per forza.
“Cazzo quella
è una Triumph Daytona” commentò guardando una per una
tutte le moto presenti “e quella una Honda VTR 1000 Sp-2. Era un po’ che non ne
vedevo una” aggiunse poi indicando una tra le tante due ruote che erano a
raccolta nel film.
“Hai
intenzione di nominarle tutte?” domandai alzando un sopracciglio “sembrano
tutte uguali” aggiunsi.
“Tutte
uguali? Tu sei fuori” mi disse “quella è un’Honda CBR 1000R” iniziando ad
indicarle con il dito “quella una Kawasaki Ninja e l’altra ancora un’Aprilia
RSV 1000” iniziò a spiegarmi “poi ci sono…” stava per continuare indicando le
ultime due moto, ma non lo feci finire.
“Una Yamaha
R1 e una Yamaha R6” gli dissi riconoscendole.
“Non hai detto che sembravano tutte uguali?” mi domandò retorico
confermando che non mi fossi sbagliata.
“Si, l’ho
detto ed è vero, ma non posso sbagliare sulle Yamaha. Devo ricordarti di quanto
tu mi abbia fatto la testa come un pallone quando hai comprato la tua prima
moto pur non avendo neppure gli anni giusto per guidarla?” gli chiesi ridendo.
Mi aveva
fatto uscire fuori di testa visto che non parlava di altro se non di quella
moto che voleva assolutamente comprare e ovviamente la scelta cadeva su quelle
due tipologie di moto tra l’altro marcate dalla stessa casa costruttrice, la
stessa per cui oggi faceva il pilota professionista.
Lui mi guardò
e scoppiò a ridere di gusto e alla fine anche io mi lasciai andare alle risate
e proprio in quel momento la porta di casa si aprì e Angela fece il suo
ingresso in salone restando per nulla sorpresa dal fatto che Edward fosse
ancora qui. Io e lui smettemmo di ridere subito, ma lei si scusò con lo
sguardo, poi prese a parlare.
“Non volevo
disturbare” disse solamente “sono solo venuta a prendere un cambio per domani”
spiegò imbarazzata probabilmente dalla presenza di lui “resto a dormire da Ben
stanotte” aggiunse rivolgendosi a me facendo per dirigersi di là.
Io ed Edward
ci guardammo per qualche istante, poi io scrollai le spalle.
“Scusami un
attimo” gli dissi “vado a parlare con lei” aggiunsi alzandomi dal divano e
dirigendomi nella camera della mia coinquilina.
Non sapevo
neppure cosa avrei dovuto dirgli e la paura che lei avesse capito come stavano
davvero le cose si impadronii immediatamente di me.
“Posso
entrare?” le domandai bussando alla porta che lei aveva lasciato semiaperta.
“Certo” mi
disse soltanto “scusami, non volevo disturbarvi” aggiunse poi con tono di voce
più basso.
“Non ci hai
disturbati. Stavamo solo guardando un film” le spiegai sincera.
Lei non mi
rispose, si limitò solo a sorridermi.
“Se vai da
Ben perché di là c’è Edward non farlo. È un vecchio amico che mi è venuto a
trovare, tutto qui” tentai di dire.
“Resto da Ben
perché stasera ha la casa libera, non perché il tuo vecchio amico è qui” mi spiegò lei marcando un po’ sulle parole che
io stessa avevo utilizzato.
“Angela…”
tentai di dire non sapendo bene cosa dire in realtà.
“È lui, non è
vero?” mi chiese con tatto facendo un cenno con la testa quasi come a
confermarsi da sola quello che mi aveva appena chiesto.
Non era il
tipo da fare domande troppo personali, ma forse aveva capito che c’era qualcosa
che le stavo nascondendo, qualcosa di importante e nonostante non ci
conoscessimo da tantissimo tempo ci volevamo bene e lei si stava solo
preoccupando per me.
“Lui chi?”
“Edward è il
tuo lui, non è così? Quello che ti ha lasciata e che ti ha spinto a venire a
studiare qui a Seattle?” mi domandò “mi sto sbagliando?” aggiunse poco dopo.
Come diavolo
aveva fatto a capirlo?
“Lui…” tentai
di dire.
“Ho trovato
una foto vostra tempo fa” mi rivelò non facendomi finire di parlare.
“Cosa?”
chiesi non capendo.
“Ti ricordi
quando ti ho chiesto di prestarmi Via col Vento?” prese a dire e quando io
annuii lei continuò “mi hai detto di prenderlo io stessa dalla mensola che
avevi in camera tua. Quando ho preso il libro per sbaglio ho fatto cadere la
copia di Cime Tempestose e da lì è caduta una foto in cui c’eravate tu ed
Edward. Eravate seduti al tavolo di un locale e ridevate a chiunque vi avesse
fatto quella foto. Ho notato che le vostre mani erano intrecciate e mi sono
ricordata della storia del tuo ex di cui non vuoi mai parlare. Ho fatto due più
due e poi lui è apparso qui” mi raccontò quasi mortificata per aver invaso
involontariamente la mia privacy.
Restai
stupita da quello che mi aveva appena raccontato, ma non tanto perché aveva
scoperto della foto quanto per il fatto che non avesse minimamente accennato
alla cosa in tutto quel tempo.
“È una storia
complicata” tentai di dire non avendo intenzione di mentirle.
“Sicuramente
lo sarà, altrimenti non avresti fatto tante storie prima di deciderti ad andare
a quella corsa con Jake e gli altri”.
“Avevo paura
di rivederlo”.
“Ma l’hai rivisto e adesso lui è di là. Edward Cullen è nel salone della
nostra casa” mi fece notare quasi eccitata dall’idea.
“Vedi perché
è così difficile parlare di lui? Edward non è solo il mio ex fidanzato, lui è
anche un personaggio pubblico e non è facile dire al mondo che per me è solo il
ragazzino che mi visto crescere o l’adolescente che mi ha fatto perdere la
testa”.
“Lo capisco,
Bella, di certo non sarà facile”.
“Non lo è
infatti” gli risposi.
Ci fu un
attimo di silenzio e nel frattempo lei mise nella borsa tutto quello che gli
occorreva.
“Non me lo stai
chiedendo, però” gli dissi.
“Cosa?”
“Come mai lui
si è presentato qui”.
Angela era
una discreta, questo era vero, ma a chiunque sarebbe sorto il dubbio o la
curiosità.
“Avrà avuto
le sue buone ragioni per farlo. Sono fatti vostri Bella, io non c’entro” mi
spiegò e io riuscii solamente a sorridere.
“Come fai ad
essere sempre così dannatamente perfetta?”
“Non lo so,
solo che non faccio agli altri quello che non voglio sia fatto a me. Non mi
sembra il caso di mettermi a curiosare su questa storia. Se e quando vorrai
farlo mi dirai tu stessa quello che c’è da sapere.”
“Grazie
Angela, sei un vero tesoro” gli dissi.
Lei mi guardò
e mi sorrise, poi mi fece cenno di tornare di là visto che lei aveva finito.
“Bella?” mi
chiamò prima che raggiungessimo di nuovo il salone.
“Si?”
“Visto che
sono un vero tesoro” prese a dire ripetendo le mie parole “non è che mi faresti
fare il suo autografo sul pallone da basket che ho comprato a Ben per il suo
compleanno?” mi chiese.
“La firma di
un pilota di moto su un pallone di basket?” gli domandai curiosa.
Di solito non
funzionava così.
“Beh il
basket e le moto sono la sua passione, quindi faccio l’uno e l’altro” mi spiegò
“tranquilla che al massimo gli dirò che me l’hai fatto autografare tu quando
sei andata a vedere la corsa” continuò.
La guardai e
scoppia a ridere, poi le baciai una guancia.
“Non credo ci
saranno problemi. Avrai la tua palla autografata” gli dissi.
“Grazie
mille” mi rispose lei sorridendo mentre eravamo già arrivate in salone.
“Non dovresti
dire grazie a me?” domandò Edward quando ci vide rivolgendosi proprio ad
Angela.
“Scusa?”
“Io ti
autografo il pallone e tu ringrazi lei? È assurdo” si lamentò lui
scherzosamente.
“Ma tu non
stavi vedendo il film?” lo rimproverai io.
“Infatti” mi
rispose “ma le mie orecchie funzionano ancora bene e il corridoio e il salone
non hanno porte che impediscano di sentire” mi spiegò senza troppi giri di
parole.
Era evidente
che avesse sentito solo la parte di conversazione inerente l’autografo e
ringraziai che fosse così. Non avevo detto nulla di particolare ad Angela, ma
non mi andava comunque che lui ci ascoltasse. Erano cose da donna.
“Beh se dici
così significa che è un si?” gli domandò Angela
sorridendo.
“Per cosa?
Per l’autografo?” chiese lui.
“Esattamente”.
“Beh faccio
autografi a completi sconosciuti e non dovrei farlo a te che mi hai fatto
entrare in casa tua lasciandomi addirittura da solo? Avrei potuto essere un
maniaco, lo sai?” ci scherzò su lui.
“Sei Edward
Cullen” gli rispose lei come se quel nome la dicesse lunga sulla persona che
lui fosse nella vita.
“Un nome una
garanzia” commentai io per prenderlo in giro, ma non feci in tempo di
aggiungere altro perché mi arrivò un cuscino dritto in faccia “stronzo”
commentai mentre lui prese a ridersela sotto i baffi.
“Così impari”
mi rispose lui mentre io presi quello stesso cuscino che mi aveva lanciato e lo
tirai verso di lui che, però, riuscii a spostarsi “hai sempre perso a questo
gioco con me, dovresti saperlo che ho i riflessi troppo pronti” continuò come
se nulla fosse.
Sembravamo
due vecchi amici che si ritrovano, due amici che avevano un passato comune, ma
in realtà noi avevamo ben altro in comune.
“Bene, io vi
lascio scornarvi. C’è Ben sotto che mi aspetta” spiegò Angela ridendo per il
nostro siparietto “è stato un piacere conoscerti e grazie per l’autografo che
devi ancora firmare” aggiunse lei prima di voltarci le spalle per uscire “ah
Bella, il pallone è nella borsa blu ai piedi del mio letto” mi spiegò per
indicarmi dove lo avrei trovato.
Non ebbi il
tempo di aggiungere nulla perché lei uscì veloce come era entrata, mentre io mi
buttai nuovamente sul divano insieme a Edward.
“È tutto
apposto?” mi chiese subito dopo.
Era chiaro si
riferisse alla chiacchierata che avevo fatto con Angela.
“Diciamo di si”.
“Diciamo?”
“Beh a quanto
pare lei sapeva di noi e non me l’aveva mai detto”.
“In che
senso?”
“Ha trovato
nella mia camera una nostra vecchia foto e ha capito che il mio ex non eri
altro che tu”.
“E l’ha
capito da una foto?”
“Eravamo mano
nella mano” gli spiegai “è la foto che ci ha scattato Jasper quando siamo
andati a quel nuovo pub che avevano aperto vicino casa di Vic.
Ti ricordi?” continuai.
“La serata si, ma non ricordo che avevamo fatto delle foto”.
“Eri mezzo
ubriaco” lo informai “ti sarà sfuggito” continuai ridendo.
“Che stronza
che sei”.
“Ho solo
detto la verità”.
Ci fu un
attimo di silenzio, poi lui riprese a parlare.
“Quindi hai
ancora le nostro foto”
“Che razza di
domanda idiota è?”
“Non era una
domanda, infatti, solo una costatazione”.
“Scusa, ma perché
mai non dovrei avere più le nostro foto?”
“Non lo so,
ti immaginavo a bruciarle mentre mi maledicevi”.
“Tu sei
idiota”.
“Avanti su,
ammettilo che hai fatto un pupazzo vudù con la mia faccia iniziando a
puntellarlo con gli spilli”.
Lo guardai e
scoppiai a ridere.
“Chi te le fa
venire in mente queste idiozie?” commentai ridendo.
“Io al posto
tuo l’avrei fatto” continuò lui chiaramente scherzando.
“O magari
invece posso prendere uno spillo e puntellare te adesso, invece che un semplice
pupazzo” tentai di dire giocosamente.
“O magari
invece possiamo semplicemente finire di vedere questo film che ha
dell’inverosimile” commentò facendo finta che io avrei davvero fatto quello che
avevo detto.
“Te l’ho detto
che non ti sarebbe piaciuto” commentai fiera di me stessa.
Lo conoscevo
e non avevo dubbi sul suo pensiero in merito. Il film era ambientato nel
deserto americano e raccontava la storia di un ragazzo tornato a casa dopo
essere stato lontano per sei mesi ed aver lasciato tutti senza sue notizie,
compresa la sua fidanzata. Sulla testa del ragazzo incombeva una falsa accusa
per spaccio di droga ed aveva sulle sue traccia sia l’FBI sia la banda di un
uomo che, in realtà, era il vero responsabile del losco traffico. La fidanzata
inizialmente sembrava non volerne sapere di lui, l’uomo della droga gli stava
alle calcagne e un altro ragazzo con la sua banda di
amici motociclisti lo voleva morto per vendicare la morte del fratello in
quando lo credeva, ingiustamente, l’omicida. La situazione per il protagonista
è altamente spinosa, ma lui grazie all’aiuto dei suoi due amici e della
ritrovata fidanzata riescono a risolvere ogni cosa restando coinvolti in una
lotta senza quartiere a 100 miglia all’ora per salvare la pelle.
Edward non mi
rispose, ma continuò a guardare il film senza aggiungere altro.
“Questa frase
l’hanno copiata da Fast and Furious” commentò sentendo il protagonista dire una
delle frasi più celebri dell’ancora più celebre saga di corse e battaglie di
auto “è chiaramente una frase di Toretto” aggiunse
riferendosi a uno dei protagonisti proprio di quel film.
La frase in
questione era: Vivo la mia vita un quarto
di miglia alla volta.
“Credo sia un
omaggio proprio a Fast and Furious” gli risposi.
Lui non
aggiunse nulla e continuammo a guardare il film, ma pochi minuti dopo lui
interruppe nuovamente il silenzio.
“Hai visto la
scritta latina sulla giacca del protagonista?” mi domandò.
A dire il
vero non ci avevo fatto caso, così aspettai che lo inquadrassero e compresi ciò
che Edward volesse dirmi.
Sulla giacca
rossa faceva bella mostra di sé la scritta bianca “Carpe Diem”.
“Cogli
l’attimo” tradussi a voce alta.
“Esattamente”
mi rispose.
“E allora?”
“Dovremmo
prendere esempio”.
“Il nostro
attimo è finito da un pezzo” gli risposi conscia di non voler tornare a parlare
di noi.
Si stava così
bene così che avevo paura ad intavolare una qualunque conversazione che avrebbe
potuto far scaldare gli animi come poco prima.
“Il nostro
attimo è esattamente quello che scegliamo. L’attimo è adesso, non domani, non
fra una settimana, non fra un anno”.
“Dove vuoi
arrivare?”
“Tu pensi
troppo a quello che sarà dopo, non riesci a goderti quello che hai adesso,
quello che potresti avere adesso. Il giorno migliore è oggi, non ieri, non
domani” mi spiegò.
Lo guardai e
gli sorrisi senza riuscire ad aggiungere nulla. Sapevo perfettamente che aveva
ragione, ma forse non lo avrei mai ammesso a voce alta. Mi avvicinai di più a
lui e appoggiai la mia testa sulla sua spalla stringendomi a lui. Edward mi
lasciò fare senza dire nulla e in silenzio riprendemmo a guardare il film,
anche se mancava davvero poco alla conclusione.
Non appena i
titoli di coda apparvero la bolla che avevo creato intorno a noi parve
esplodere. Avrei tanto voluto restare in quella posizione ancora per un po’, ma
non mi era concesso.
“Allora?” gli
chiesi “ti è piaciuto o avevo ragione io?” continuai curiosa dopo aver spento
la tv.
“La trama
potrebbe anche non essere male, ma è fatto malissimo. Effetti speciali che sembravano
fatti dai bambini, scene scanzonate e al limite del surreale, per non parlare
dell’ultima scena che oltre ad essere paradossale è anche girata in modo
pessimo” commentò in modo molto critico.
Di solito non
si metteva ad analizzare così bene un film, ma in quel caso si trattava della
sua materia quindi era ovvio che ci mettesse più attenzione.
“Te l’avevo
detto io” gli risposi.
“Una cosa
però mi è piaciuta”.
“Cosa?”
chiesi.
“La ragazza
era davvero carina” mi rivelò sorridendomi sghembo.
“Se ti piacciono
le bionde” commentai infastidita “e comunque sia anche lui era davvero bello”
aggiunsi.
Il
protagonista era carino si, ma nulla di che. Avevo solo ingigantito un po’ la
cosa per riuscire a rispondergli a tono e non mi spiegavo neppure il perché di
quella mia reazione.
“Si è vero”
mi rispose dandomi ragione “ma nulla a che vedere con lei. Aveva curve da far
paura” aggiunse riferendosi sempre all’attrice senza farsi scomporre minimamente
da quello che avevo detto io.
“Pensavo che
le uniche curve che guardassi sono quelle della strada” gli dissi infastidita.
“Ci sono
anche altre curve che è bene ammirare”.
“Sarà”.
“Quella lì
poi, vestita in quel modo faceva…” tentò di dire.
“Ok, ho capito.
Non serve che continui” aggiunsi decisamente sull’orlo della gelosia più
assoluta.
Ero ridicola,
semplicemente ridicola e lui, in tutta risposta prese a ridermi in faccia.
“Cosa c’è di
divertente?” gli domandai.
“Tu che sei
gelosa, ma ti sforzi di non esserlo o comunque di non apparire tale è davvero
divertente”.
“Io non sono
gelosa” gli risposi colpita e affondata.
“Certo,
l’importante è crederci” mi rispose “e comunque sia preferisco ancora le more”
continuai.
“Beh non si
direbbe visto che ti scopi una bionda niente male” aggiunsi e solo dopo mi resi
conto di averlo detto a voce alta.
Lui mi guardò
e alzò un sopracciglio.
“Ti riferisci
a Tanya?”
“Non si
chiamava così?” domandai retorica.
“Siamo solo
amici”.
“Da quando si
va a letto con gli amici?”
“Ti stai
davvero arrabbiando per questo?”
“No, non lo
sto facendo” tentai di dire cercando di darmi una calmata.
“Si, invece”.
“Ti ho detto
di no”.
Lui rimase in
silenzio per qualche secondo, poi si voltò e puntò i suoi occhi nei miei.
“Quindi tu
puoi avere un ragazzo che può decidere di scoparti tutte le volte che vuole e
io non dovrei avere nessuna?” mi domandò retorico “è così che funziona?”
aggiunse.
“Non volevo
dire questo”.
“E allora
cosa?”
Abbassai lo
sguardo non volendo aggiungere altro.
“Niente, lascia
stare”.
“No, non
lascio stare” mi rispose sicuro di sé.
Lo guardai e
compresi che fino a quando non avrei parlato non si sarebbe arreso.
“È solo che
mi da noia pensare a te che ti scopi altre ragazze”
gli rivelai sincera.
Lui cambiò
totalmente espressione e si passò una mano tra i capelli come faceva tutte le
volte che era nervoso.
“Ti da noia?”
mi urlò quasi “hai idea, invece, di quanto faccia incazzare me sapere che c’è
qualcuno nella tua vita che ti tocca come solo io potevo fare? Eri la mia donna,
la mia” continuò sempre con lo stesso tono.
“Hai detto
bene: ero”.
Come al
solito non riuscivamo a stare insieme per troppo tempo senza finire per
litigare. Succedeva sempre. Questa era la costante del nostro rapporto.
“Sei tu che
vuoi questo”.
“Io lo voglio
adesso. Tu l’hai voluto prima” gli feci notare.
“Quindi mi
stai punendo?”
“Senti,
basta” gli dissi “ho sbagliato non dovevo dire nulla su Tanya
o su chiunque altro tu ti sia portato a letto. Mi dispiace” gli rivelai
chiaramente mentendo.
“A me no, invece.
A me non dispiace quello che ho detto perché è la verità”.
“E quindi?”
“E quindi un
cazzo”.
Si alzò dal
divano e si accese una sigaretta prendendo a camminare avanti e indietro per il
salone.
“Non potresti
semplicemente tentare di mettere da parte il passato e darci una possibilità?”
mi domandò “la ragazza del film l’ha fatto” tentò di dire non sapendo più dove
aggrapparsi.
Lo guardai e
mi venne da sorridere per l’esempio che aveva appena fatto.
“La ragazza
del film non è reale”.
“Noi invece
si e tu stai mandando a puttane qualcosa che, in fondo, vogliamo entrambi solo
perché hai paura”.
“Stiamo
affrontando nuovamente il discorso di prima?”
“No, non lo
stiamo facendo o forse si, non lo so” mi rispose “comunque sia è vero, tu hai
paura e io non posso fare nulla per togliertela, non adesso. Le tue paure
possono andare via solo con il tempo, solo stando con me” aggiunse.
Rimasi in
silenzio senza aggiungere nulla per qualche istante, poi tornai a guardarlo.
“Torni a
sederti qui con me?” gli domandai indicando il divano.
Lui non se lo
fece ripetere due volte e quando lo ebbi di nuovo accanto ripresi a parlare.
“Ammettiamolo
Edward, noi siamo troppo diversi per stare insieme. Abbiamo in comune solo la
cocciutaggine e l’orgoglio ed entrambi amiamo bere Corona e fumare Marlboro.
Per il resto niente ci lega”.
“Le senti le
cazzate che stai dicendo?” mi domandò.
“Facciamo un
gioco, ti va?”
“Un gioco?”
mi domandò stranito “cazzo Bella, non abbiamo più dieci anni” continuai.
“Ti va o no?”
“Che gioco, sentiamo?”
mi chiese comprendendo che non avrei ceduto.
“Io dico una
cosa che mi piace e poi ne dici una tu finchè non
riusciamo a trovare una cosa che piace ad entrambi” proposi.
Era stupido,
ma era l’unico modo che avevo per fargli capire cosa pensavo.
“È ridicolo”.
“Proviamo”.
“Cosa vuoi
dimostrare con questo?”
“Che non ci
accomuna niente”.
“Gli opposti
si attraggono e per noi è sempre stato così”.
Lo guardai e
compresi che aveva poca voglia di assecondarmi, così decisi di iniziare
comunque.
“A me piacciono
le fragole”.
“Smettila”.
“Mi piacciono
le fragole” ripetei.
Lui mi guardò
e vedendo il mio sguardo decise di arrendersi e sbuffò prima di cominciare a
parlare.
“A me le
ciliegie”.
“La musica
melodica”.
“L’house”.
“Il
pianoforte”.
“La
batteria”.
“La macchina”.
“La moto”.
“I libri”.
“I film”.
“Il giorno”.
“La notte” mi
rispose “per quanto ancora dobbiamo continuare?” mi domandò.
“Finchè non troviamo una cosa che ci accomuna”.
“Vuoi davvero
continuare questo gioco stupido?” mi chiese.
“Si”.
“Bene. Allora
la prossima la dico io” mi disse con sguardo un po’ troppo furbo, ma cercai di
non farci caso.
“Ok, vai”.
“Tu”.
“Che?”
“Mi piaci tu”
mi disse “avanti, rispondi a questa altrimenti fine del gioco” continuò.
Lo guardai e
sbuffai, me l’aveva fatta.
“Sei un’idiota”
gli dissi non potendo aggiungere altro.
Era ovvio che
a quel “tu” avrei dovuto rispondere allo stesso modo perché era chiaro come il
sole che così come io piacessi a lui, lui piacesse a me.
“No, non lo
sono. Volevi giocare e abbiamo giocato” prese a dirmi “e a quanto pare abbiamo
trovato quello che ci accomuna. Entrambi vogliamo l’altro”.
“Non vale
questo”.
“Oh si che vale. Tu non hai specificato cosa si poteva o non
poteva dire. E tanto per la cronaca saremmo anche diversi, ma cose in comune ne
abbiamo tante”.
“Per
esempio?”
“Bella non
starò qui ad elencare cose che già conosci e non me ne frega nulla se a te
piacciono le fragole e a me le ciliegie, se ti piace il giorno e a me la notte.
Nessuna storia è mai andata avanti di queste sciocchezze”.
“Lo so”.
“E allora
perché dobbiamo fare gli stupidi?”
“Perché
volevo solo stare qui con te a parlare di tutto tranne del fatto che non riesco
a fare quello che vorrei fare”.
“E cosa
vorresti fare?”
“Lo sai”.
“No, non lo
so”.
“Ti
stringerei a me e non ti farei mai più andare via”.
“E perché non
lo fai?”
“Perché non posso”.
“Quindi non
vuoi stare con me, ma allo stesso tempo non vuoi lasciarmi andare” mi fece
notare.
Annuii senza
riuscire ad aggiungere altro e così fui lui a parlare nuovamente.
“E quindi che
dobbiamo fare? Quali sono le tue intenzioni?” mi chiese “perché mi hai chiesto
di restare qui con te ancora un po’?” mi domandò.
Io continuai
a mantenere il silenzio senza sapere cosa dire e lui mi studiò guardandomi
attentamente negli occhi, poi arrivò alla soluzione perché scosse la testa
incredulo.
“Volevi che
restassi perché speravi che io combinassi un qualche casino dei miei decidendo
così per te. Mi sbaglio?” mi domandò, ma vedendo che non rispondevo tornò a
parlare “mi sbaglio?” ripetè alzando la voce.
“Tu fai così
Edward, tu rovini le cose. Prova a pensarci. Ogni vola che c’è un problema tu
hai sempre perso il controllo e lo fai anche quando si tratta di noi”.
“E se,
invece, stavolta non lo avessi fatto? Se non ci fosse stato nessun problema?”
mi domandò retorico “mi dispiace Bella, ma questa volta non ti faciliterò il
lavoro. Se c’è qualcosa che devi capire dovrei capirla da sola” concluse
distogliendo lo sguardo da me.
Ci fu un
attimo di silenzio nel quale io restai colpita dalle sue parole, non sembrava
più nemmeno l’Edward che avevo conosciuto. Quegli anni, probabilmente non lo
avevano cambiato, ma certamente lo avevano reso una persona decisamente più
matura.
“E quindi
adesso te ne andrai?” gli chiesi sperando che mi dicesse che non l’avrebbe
fatto.
“Tu vuoi che
me ne vada?” mi domandò voltandosi nuovamente a guardarmi.
“No”.
“E cosa
vorresti?”
“Restare per
un po’ qui con te, tra le tue braccia” gli rivelai sincera.
Pensavo che
mi avrebbe mandato al diavolo, invece, fece esattamente quello che non mi
aspettavo che facesse. Allargò il braccio facendomi segno di avvicinarmi e io
appoggiai la mia testa nel suo petto, mentre lui mi avvolse con il suo braccio
e mi strinse a sé.
Non dicemmo
più una parola. Ci fu solo e soltanto silenzio. L’unico rumore che si sentiva
erano i nostri cuori che battevano all’unisono.
Non so per
quanto tempo restammo in quella posizione, stretti l’uno tra le braccia
dell’altra, ma prima che me ne potessi accorgere mi addormentai sprofondando
nel mondo dei sogni dove Morfeo mi avvolse con il suo manto.
Spoiler:
“Sembra
come se tu stai cercando un motivo per non stare con me e se continui a
cercarlo lo troverai. Forse, ad un certo punto, bisogna lasciarsi andare e
seguire quello che dice il cuore” mi disse “invece, tu dici che non vorresti
lasciarmi andare, ma che devi farlo. Perché?” mi chiese.
“Perché
ho paura che i problemi che avevamo, quelli che sono nati quando le moto sono
cominciate a diventare anche un lavoro per te possano ripresentarsi anche oggi
e non so se ho la forza di affrontarli. E non posso stare con te anche perché
ci sono delle cose che non riesco a perdonarti”.
“Quali
cose?”
“Che
negli ultimi quattro anni non sei stato all’altezza delle mie aspettative” gli
risposi conscia che quella frase potesse essere non compresa o mal
interpretata.
“Che
vuoi dire?” mi domandò dando conferma alle mie paure.
Dovevo
essere chiara anche se ammettere quelle cose a voce altra mi avrebbe fatto
male.
“Che
io ti vedevo bussare alla porta del campus quando ero al college dicendomi che
mi amavi e non potevi né volevi starmi lontano. Mi svegliavo tutte le mattine
pensando che sarebbe successo e ci ho impiegato quasi un anno intero a capire
che non sarebbe mai successo. Non posso perdonarti la delusione che provavo
tutte le sere quando mi mettevo a letto e tu non eri venuto, non posso
perdonarti la speranza che avevo poi la mattina successiva quando mi dicevo che
quello era il giorno giusto per vederti comparire” gli rivelai mentre lui
iniziò a guardarmi con sguardo decisamente ferito.
…Sic58…
Per chi volesse seguirla ho in
corso un’altra storia sempre con protagonisti Edward e Bella. Si intitola “This crazy
love” e la trama è la seguente:
Isabella Swan è una ragazza di Seattle che conduce una vita
normale finchè qualcosa non irrompe nella sua normalità sconvolgendo ogni cosa.
È per questo che, insieme al fratello, decide di trasferirsi a New York dal
padre per iniziare una nuova vita cercando di buttarsi alle spalle il suo passato.
Qui conosce degli amici e sembra ritrovare un’apparente stabilità.
È nella Grande Mela
che incontra Edward Cullen, un ragazzo difficile dal passato oscuro. Lui è
sexy, miliardario, irresponsabile, ribelle, irrispettoso delle regole e, a
volte, perfino autodistruttivo. Un ragazzo cresciuto tra i motori, le donne e
il sesso e che vive la sua vita in continua lotta con il mondo, sempre
accompagnato dagli amici di una vita.
Bella ed Edward non
potrebbero essere più diversi, eppure sullo scenario di una New York magica e
caotica i due si incontrano, si scontrano e imparano a conoscersi, ma tanti
ostacoli li attendono dietro l’angolo.
Lei lotta con le
questioni irrisolte che ha lasciato a Seattle, mentre lui combatte ogni giorno
con le scelte passate, tra tutte quelle di essersi allontanato inesorabilmente
dalla sua famiglia.
Saranno in grado di
scacciare via i fantasmi passati e aprirsi nuovamente, o per la prima volta,
all’amore?
Vi lascio anche il mio contatto facebook nel caso qualcuno voglia contattarmi: https://www.facebook.com/sic.efp
Vi lascio inoltre anche il link della pagina
facebook che ho creato dove troverete spoiler, anticipazioni e quanto altro sulla
storia e dove risponderò a qualunque vostra domanda. La pagina è stata creata
proprio per aggiornarvi sulle storie di mia invenzione e vi aggiornerò spesso e
volentieri di ogni cosa. Specificherò sempre in alto di che storia si tratta,
in modo che chi non segue le altre potrà comunque tenersi informato con questa.
Il link è il seguente: https://www.facebook.com/pages/This-crazy-love/395351823906419?ref=ts&fref=ts