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Autore: FairLady    27/08/2014    5 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Los Angeles, la città degli angeli.
Da quando Michael era entrato nella vita di Aura, lo era di sicuro.
Lasciare Burlington, salutare la sua famiglia – con la promessa di rivedersi da lì a un anno – non le era sembrato mai così poco doloroso. Il suo cuore non era mai stato così trepidante nell’attesa di qualcosa, di qualcuno. Traboccava di desideri inespressi, ma così nitidi e determinati che quasi le facevano paura.
La sua vita era stata per troppo tempo chiusa in un bozzolo dal quale non era nemmeno mai stata interessata a scappare, e ora si ritrovava a voler strappare via con le unghie quei fili e volare via libera. Il bruco si era finalmente trasformato in farfalla.
 
La mattina in cui riaprì il negozio si sentiva così energica, così diversa dalla solita lei, che decise in un attimo di rivoluzionare lo showroom. Chiamò l’impresa che si era occupata dei lavori per l’inaugurazione qualche anno prima, prendendo appuntamento per la settimana successiva, e iniziò a buttare giù qualche idea su come avrebbe voluto che fosse.
Era talmente immersa nel lavoro che a stento si accorse del telefono che squillava, e quando giunse all’apparecchio questi smise di suonare. Per un istante non se ne curò, certa che non fosse particolarmente importante, ma quando rimise piede alla scrivania e l’occhio cadde sulla ciotolina di M&M’s – di cui ormai non poteva più fare a meno – si maledisse a voce alta.
«E se fosse stato Michael?!»
 
***
 
«Aura, dove sei?»
Michael l’aveva cercata al negozio più volte e, non avendo ottenuto risposta lì, anche a casa. Aveva un bisogno disperato di sentire la sua voce, da quando era tornato non l’aveva più vista, né sentita. Sapeva che era rientrata a Los Angeles, ma non aveva avuto modo di andare di persona in città: John e Frank avevano messo il turbo e le prove per il Dangerous Tour lo stavano tenendo costantemente impegnato. 
«Mike, riprendiamo. Stanno arrivando Pete e Merle con il progetto finale delle luci…» Suze lo stava richiamando. Sospirò di frustrazione, guardò il telefono un’ultima volta e tornò all’interno della sala.
Riprese a lavorare con la solita dedizione e professionalità, quel tour era l’impresa più ardua, impegnativa e mastodontica che avesse mai cercato di mettere in piedi e tutti in quella stanza ci avevano investito sudore, risorse e denaro. Lui per primo. Non poteva permettersi errori, di nessun genere; ma Aura non era un errore e se avesse potuto condividere quello che stava vivendo con lei, tutto avrebbe avuto un gusto senza dubbio migliore. Il problema era che, seppur odiasse ammetterlo, lei non faceva parte del suo mondo e, presto o tardi, avrebbe potuto pagare le conseguenze dello stargli vicino… e avrebbe sofferto. Un brivido lo percosse al solo pensiero di vedere Aura stare male, soprattutto se lui e il suo essere Michael Jackson “Il Re del Pop” ne fossero stati la causa.
 
«Una delle cose che più mi fa star bene è che non mi sento un personaggio, quando sto con lei.
Sono solo Michael,
un uomo timido, un po’ imbranato che non sa mai cosa dire quando guarda i suoi occhi verdi
e spesso si ritrova imbambolato a fissare le sue labbra,
sperando che lei gli permetta di baciarle.»
 
Lo aveva confessato a Liz, il giorno del suo rientro a Neverland. Avevano fatto una passeggiata, arrivando fino allo zoo – mentre i bambini dell’orfanotrofio di Chino, in visita al parco divertimenti, continuavano a chiamarlo – e le aveva raccontato di Auralee, di come si fossero incontrati e di quanto bene si sentisse soltanto al pensiero che lei ci fosse, che esistesse. Si era aperto come non avrebbe mai creduto di riuscire a fare, scoprendo lungo il racconto cose che non pensava nemmeno di provare. E Liz li aveva benedetti con le sue solite, delicate, amorevoli parole.
«Michael, capisco che temi di rovinarla, di macchiarla con la sporcizia che il nostro mondo riserva alle anime pure» Elizabeth aveva alzato una mano verso il volto serafico del cantante, cercando di cancellare qualche ruga di preoccupazione che gli si era formata sulla fronte, poi gli aveva sorriso. «Ma non pensi che la faresti soffrire di più se la estromettessi? Se l’allontanassi?»
In quel momento Michael ripensò al sorriso raggiante che aveva illuminato il volto di Aura quando lo aveva visto a Capodanno, al calore che gli aveva trasmesso quando poco dopo si erano abbracciati al chiaro di luna; anche attraverso i vestiti pesanti era riuscita a donargli il piacevole tepore tipico solo dei sentimenti genuini – come quelli del bambino che gli stava stringendo una mano e gli ripeteva “Signor Michael Jackson, vieni, vieni con noi a giocare. Andiamo al carosello!”
Adesso, lei sembrava sparita – o forse era semplicemente impegnata –, e a lui non era permesso nemmeno uscire per andare a vedere dove si trovasse, se fosse tutto ok. Era frustrante!
Se solo fosse stato un uomo normale, avrebbe preso l’auto e sarebbe corso in città a cercarla come un disperato.
«… poi Michael, lo vedi qui in questo punto? Le botole si apriranno e, quando tu darai il via, i ballerini salteranno fuori. Bisognerà costruire il palco qui, per far provare i ragazzi. Le pompe idrauliche…»
Era seduto al tavolo con Frank, John, i tecnici che Kenny aveva chiamato apposta e che avevano sputato sangue per portargli in tempo i progetti rivisti e corretti, e lui non aveva ascoltato quasi nulla.
«Ok, - riuscì a dire quando si accorse che tutti i presenti lo fissano in attesa di un cenno – direi che ci siamo, potete iniziare a montare il palco di prova.»
Probabilmente nella mente dei suoi collaboratori aleggiava il dubbio: quando Michael era diventato di così poche parole e, soprattutto, non aveva alcun tipo di appunto, modifica o semplicemente cambio repentino di idea riguardo le correzioni delle correzioni? Nonostante questo pensiero, però, lui si alzò e si diresse verso Siedah, che era appena arrivata per provare con i coristi.
Aveva bisogno di cantare e di ballare, di sfogarsi, così la prese e andarono verso il teatro.
 
***
 
Aura passeggiò nervosamente per circa mezz’ora nel piccolo ufficio del negozio, girando intorno alla scrivania e fissando il telefono come una pazza invasata; sperava di obbligarlo a suonare con la sola imposizione del pensiero, ma non aveva poteri cinetici o altre diavolerie simili; infatti, l’apparecchio rimase muto e lei si maledisse la successiva mezz’ora per essere stata così distratta da non sentirlo in tempo.
Quando più tardi fu tempo di chiudere, corse a casa e la prima cosa che fece una volta nell’appartamento fu prendere dallo scaffale il suo libro preferito, Hemingway, e sbatterlo fino a far cadere il foglietto che un mesetto prima vi aveva lasciato dentro.
L’indirizzo di Michael.
Non sapeva quanto tempo ci volesse a raggiungere Santa Ynez, né cosa vi avrebbe trovato una volta là. A dire il vero, non sapeva nemmeno se Michael si trovasse ancora a Los Angeles e iniziò a farsi prendere dall’ansia perché, in effetti, da Capodanno non si erano più sentiti.
E se al telefono non fosse stato lui? Se dall’ultima volta che si erano visti Michael non l’avesse mai cercata? Se… - rabbrividì al pensiero – se l’avesse già dimenticata, inghiottito nuovamente dalla frenesia della sua vita da star?
No, non poteva essere! Non Michael, non dopo le parole che si erano detti, dopo… dopo quei pochi, ma intensi momenti passati insieme. Avranno pur contato qualcosa anche per lui, vero?
Mentre la sua testa vorticava intorno a congetture e scenari per lei disastrosi, afferrò di nuovo la borsa e si decise a prendere in mano la macchina – che, tra l’altro, non guidava mai.
L’orologio digitale dell’auto segnava le 7.33 e, se riusciva a interpretare almeno a spanne quell’odiosa cartina, la collina di Michael si trovava a più di due ore dalla città; mentre percorreva la statale, colta da un istante di lucidità, realizzò che, se non si fosse persa, sarebbe arrivata con il buio. Non sapeva neanche se fosse possibile vederlo, se…
Inchiodò al semaforo rosso appena in tempo; si guardò nello specchietto e si accorse che lo spauracchio della disperazione amorosa le si leggeva in ogni pagliuzza dorata degli occhi verdi.
Fu allora che ricordò nitidamente perché l’amore le aveva sempre fatto paura: soffrire per un uomo era tutto fuorché una cosa delicata, romantica e dolce. Chi lo aveva detto che essere innamorati era così fantastico? Non lo era affatto!
Nonostante questi pensieri, comunque, quando la lanterna divenne verde ripartì, diretta fuori città. In qualche modo, si disse, lo avrebbe visto.
 
***
 
Erano da poco passate le dieci e Michael era stanchissimo. Tutto sommato sfogarsi sul palco era stata proprio una bella idea, si era divertito, e anche John sembrò essersi rilassato nel vedere il cantante tornare il solito stacanovista: non si era fermato un attimo da quando aveva iniziato le prove al teatro dopo pranzo.
«Vado a farmi una doccia, John, vuoi restare o vai via?» gli aveva chiesto prima di sparire in bagno.
«Penso che resterò, sono troppo stanco per guidare – confermò versandosi un bicchiere di whiskey – Frank e gli altri se ne sono andati da un pezzo.»
Michael sorrise all’amico. «La strada la sai, io poi vado a dormire. Buonanotte.»
Mentre camminava lungo il corridoio fino alla sua stanza, Michael scosse la testa, sogghignando, pensando tra sé e sé.
»Lui è stanco? Non ha fatto nulla tutto il giorno oltre che starmi con il fiato sul collo.»
Quando passò accanto al telefono, vi si soffermò un attimo con lo sguardo.
«Chissà se è sveglia?» senza preoccuparsi di dare una risposta a quella domanda e sospinto dalla voglia che aveva di sentirla, alzò la cornetta e compose il numero di Aura, che già conosceva a memoria, ma ancora una volta suonò a vuoto.
 
In quel momento…
 
Il custode del ranch chiamò al telefono interno. John rispose.
«Signore, al cancello secondario c’è una signorina che si chiama Auralee, dice di essere un’amica del signor Jackson e vorrebbe parlargli.»
Il manager non aveva mai sentito parlare di quella ragazza. Improvvisamente, senza un apparente motivo valido, la collegò agli strani comportamenti di Michael dell’ultimo periodo e prese istantaneamente una decisione, per qualcuno forse dolorosa, ma sicuramente a fin di bene.
«Le dica pure che il signor Jackson è molto stanco e non vuol essere disturbato. E aggiunga che domani partiamo per le prove generali del tour e con buona probabilità staremo fuori Los Angeles per almeno un anno e mezzo.»
 

 
I close my eyes
Just to try and see you smile one more time
But it’s been so long now all I do is cry
Can’t we find some love to take this away
Cause the pain gets stronger every day
 
 
   
 
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