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Autore: Aelian    28/08/2014    4 recensioni
John faceva di tutto per evitare di pensare alle leggende che si sussurravano al villaggio, ma quelle continuavano a ronzargli in testa, insistenti; l’Albero aveva un guardiano unico nel suo genere, una creatura solitaria che aveva votato la sua esistenza immortale alla protezione di quell'albero, probabilmente antico quanto lui.
* * *
«Intendi dire che dovrò rimanere qui per sempre?» mormorò, la gola secca ed il cuore che perdeva un battito.
Fawnlock tirò su col naso, inclinando la testa da una parte.
«Oh no, certo che no, non per sempre;» rispose infine. «solo fino alla tua morte.»
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Furry
Capitoli:
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VIII.

Jealousy

 

my walls are crumbling down
each brick
collapsing
each tear
relapsing,
and when the last brick
falls
I’m scared
So scared
That I will too

 

La risposta era sì, voleva strappare John da tutto e da tutti e tenerlo con sé. O almeno voleva provare a parlargli, cercare di dominarsi e chiederglielo con gentilezza.

A questo pensava mentre correva con leggerezza tra gli alberi secolari, evitando senza sforzo radici sporgenti o rami troppo bassi, nel tentativo di raggiungere il villaggio il prima possibile.

Era uscito solo un’altra volta dal territorio familiare della Foresta, centinaia di anni prima, ed era stato quasi massacrato da uomini spinti dalla paura: era uscito in pieno giorno, stoltamente, e si era presentato apertamente a quei contadini dall’aspetto rozzo e sciocco, credendo che l’avrebbero accolto come un dio.

Invece l’avevano additato come demonio, abominio, e l’avevano accerchiato, pestandolo con zappe, forconi e i nudi pugni. L’avevano lasciato a terra semisvenuto in una pozza del suo stesso sangue, probabilmente pensandolo morto, ed erano tornati alle loro futili occupazioni.

Lui aveva atteso il calar del sole per strisciare al sicuro nella Foresta, umiliato e ricolmo di rabbia verso quella razza inferiore; si era curato all’ombra dell’Albero ancora giovane, bevendo il succo dei suoi frutti e spalmandone la polpa sulle ferite sanguinolente. Si era ripreso completamente, ma aveva giurato di uccidere qualsiasi umano avesse da allora sconfinato nel suo territorio, arrivando troppo vicino all’Albero a cui aveva dedicato l’esistenza.

Lasciava che facessero legna lungo la prima linea d’alberi, ma sterminava con freddezza chiunque osasse inoltrarsi più a fondo.

Si fermò di scatto in un fruscio di foglie. Aveva raggiunto il limitare della foresta, e riusciva a scorgere il villaggio festosamente illuminato; rumori allegri gli giunsero alle orecchie tese, ed odori sconosciuti gli solleticarono il naso.

Inspirò a fondo, domandandosi cosa stesse succedendo al villaggio e come avrebbe potuto avvicinarsi senza farsi vedere. Scivolò fuori dalla protezione familiare della cupola di rami, raggiungendo il muro di una stalla.

Non aveva idea di quale fosse la dimora di John, e non era in grado di affidarsi all’olfatto perché quella cacofonia di odori sconosciuti ed invasivi lo mandava in confusione.

Si diede dello sciocco per essersi avventurato così lontano dalla sua casa solo per inseguire un umano dall’odore indimenticabile, pensando semplicemente di ritrovarselo davanti e di poterlo convincere a seguirlo nella Foresta ed a rimanerci per sempre, solo per non farlo più sentire solo.

I rumori festosi continuavano, e lui si insinuò in un vicolo vuoto, spinto dalla curiosità.

Rimase nascosto tra le ombre vischiose, spiando le figure che si agitavano intorno al gigantesco falò che ardeva nella piazza del villaggio; alcune avevano movenze inusuali che seguivano il suono melodioso che gli giungeva alle orecchie, ma la maggior parte pareva girovagare senza scopo tra piccole costruzioni di legno

Fawnlock era ipnotizzato dai movimenti delle sagome che danzavano intorno al fuoco, e forse fu proprio questo a condannarlo; non si accorse infatti che una porta nel muro di fronte a lui veniva aperta fino a quando la luce violenta proveniente dall’interno quasi lo accecò. Sbattendo le palpebre cercò di schermarsi gli occhi e mettere a fuoco la figura ferma sulla soglia, ma quella emise un grido pieno di panico e lui si ritrovò a scappare lungo il vicolo.

L’urlo si ripeté più e più volte; pareva provenire da ogni abitante del villaggio, e presto Fawnlock sentì lo scalpiccio di decine di piedi inseguirlo. Si sentiva un animale in trappola mentre correva ansimando tra gli stretti vicoli del villaggio, che però gli parevano tutti uguali alla luce incerta della luna; all’improvviso sbucò nella piazza al cui centro ardeva l’enorme falò, e sentì centinaia d’occhi terrorizzati fissarsi su di lui. Si gettò senza pensare in una strada alla sua destra, sperando si seminare i suoi inseguitori.

Finalmente uscì dal dedalo di vicoli stretti in un campo di erba alta, ai piedi di diversi colli poco elevati; prese a correre verso la più vicina, da cui una baita ed una stalla dominavano la stretta valle, ma in quel momento una voce chiamò il suo nome.

«Fawnlock!»

E quando il guardiano si voltò, il petto che si alzava ed abbassava febbrilmente, vide una giovane donna puntargli contro un arco troppo grande per lei; la freccia mirava dritta al suo cuore.

«Sally?» rispose lui, piegando leggermente la testa da un lato e trattenendo un sorriso malizioso quando scorse la confusione attraversare il viso tondo della ragazza. Confusione che lei si affrettò a nascondere mentre tornava a tendere l’arco.

«Hai fatto qualcosa a John, non è più quello di prima!» sbraitò continuando a tenerlo sotto tiro.

Fawnlock sospirò. «Non gli ho fatto nulla, donna, ve l’ho anche riportato indietro per evitare che bruciaste la mia casa; se è cambiato, non è certo colpa mia… Non gli ho fatto alcun maleficio, come forse voi pensate. Non sono quello che credete.» Ma nella sua mente si chiese cosa intendesse la giovane donna; era cambiato? In che modo? Lei non ne era di certo felice, da come ne parlava.

Contrasse le dita lunghe, stringendole a pugno; voleva parlare con John ora più che mai, voleva capire cosa intendesse quella giovane donna. Magari il ragazzo l’avrebbe seguito nella Foresta, ora.

Aggrappandosi a questa flebile speranza, Fawnlock si voltò, ricominciando a scalare la collina ripida.

«Guardiano!» urlò nuovamente la ragazza, ma lui la ignorò; aveva sentito l’odore di John, quella in cima alla collina doveva essere casa sua.

Perso a pensare al ragazzo, Fawnlock non sentì lo schiocco della corda quando Sally, accecata dalla rabbia, mollò la presa; non sentì nemmeno il sibilo della freccia che fendeva l’aria limpida della notte, ma percepì la punta acuminata e fredda mordergli la carne, strappargliela con violenza e fuoriuscire dal suo ventre con un suono quasi inudibile. Come in sogno, guardò stupito la punta grondante di sangue brillare alla luce fredda della luna sbucare dal pelo corto del suo ventre.

Cadde in ginocchio senza un suono, portandosi le mani a coppa allo stomaco e sfiorando quel piccolo pezzo di metallo che lo aveva dilaniato con tanta facilità.

Sentì dei passi avvicinarsi, e alzò gli occhi sul volto contratto della giovane donna.

«Perché?» chiese solamente, la ferita che bruciava come l’inferno ad ogni respiro.

Lei si piegò su di lui, le labbra che tremavano.

«Per John.»

 

John non era riuscito a trovare Fawnlock da nessuna parte, sembrava del tutto scomparso.

Più di uno dei suoi compaesani aveva giurato di averlo visto correre fuori dal villaggio, verso le colline, ma John non aveva trovato nulla. Aveva incontrato Sally davanti al pub, i capelli biondi scarmigliati e gli occhi cerchiati; reggeva in mano un arco troppo grande per lei, ma sembrava troppo sconvolta per parlare.

Si era quindi limitato a stringerla in un veloce abbraccio e a lasciarle un bacio sulla testa; voleva trovare Fawnlock, pensava che rivendendolo sarebbe forse stato in grado di mettere ordine tra i pensieri confusi che gli si ammassavano in testa.

Ma alle due di notte, quando ormai il panico era passato e tutti erano tornati nelle loro case per riposarsi, John perse le speranze. Lentamente, trascinando l’arco lungo dietro di sé, iniziò la salita verso la sua baita.

Giunto sulla veranda, si lasciò cadere sul dondolo e scalciò via gli scarponi infangati.

Sospirò, premendosi due dita sulle tempie e ringraziando la notte per il suo silenzio immoto.

Rimase fermo così, i gomiti piantanti a fondo nelle ginocchia, per molto tempo, finché un suono attirò la sua attenzione.

Sollevò la testa, tendendo ogni muscolo del corpo; il mugolio sommesso si ripeté, e John scattò in piedi cercando l’arco lungo. Dopo averlo afferrato, fece in fretta i due gradini della veranda sul retro della casa, e rimase immobile a piedi nudi nell’erba gelida, le orecchie tese quasi dolorosamente per captare ogni minimo rumore. E per la terza volta il mugolio si ripeté.

Veniva dalla sua stalla, John ne era certo.

Muovendosi silenziosamente nella luce metallica della luna piena, raggiunse il muro marcio di quella che anni prima era stata una stalla, ed ora serviva solo da magazzino occasionale. Trattenendo il respiro, il ragazzo scivolò fino alle grandi porte accostate.

Sentiva il sangue rombargli nelle orecchie per la tensione, e scacciò le immagini inquietanti dell’incubo di qualche giorno prima; si disse che probabilmente era solo un animale spaventato quello che si era rintanato nella sua stalla.

Prese un respiro profondo prima di spalancare uno dei due battenti, illuminando leggermente l’interno; un sottile strato di paglia copriva il pavimento consunto di legno, e ad una prima occhiata l’ambiente pareva vuoto.

Poi il mugolio si ripeté, e John si rese conto che era carico di dolore; sentì un brivido lungo la schiena mentre si faceva coraggio ed entrava.

«John?»

Il ragazzo si immobilizzò, sconvolto. La luna illuminava Fawnlock accoccolato in uno dei box che anni prima avevano ospitato dei cavalli; ma la cosa che più sconvolse John non fu il tono carico di sollievo con cui la creatura aveva pronunciato il suo nome, ma il fatto che, come nel suo incubo, il guardiano si proteggesse il ventre con le lunghe mani tremanti.

Il ragazzo corse da lui, inginocchiandosi nella paglia putrida; il profumo selvaggio che accompagnava Fawnlock gli riempì le narici, e John si sentì stranamente felice per un momento, come se fosse tornato a casa dopo un lungo viaggio, ma questo prima di notare la pozza scura che inzuppava la paglia su cui giaceva la creatura.

Il suo ansimare sofferente lo riportò alla realtà, e John allungò una mano verso il ventre tremante del guardiano, chiedendogli il permesso con lo sguardo. Lui annuì, prima di nascondere gli occhi freddi carichi di dolore, sfinito.

John scostò con dolcezza le mani sottili, trattenendo un gemito alla vista della punta di freccia che spuntava grottesca dalla pelliccia chiara, stranamente intonsa; non una macchia di sangue infatti sembrava macchiare Fawnlock, come se non fosse sua la ferita.

«John…» ripeté lui, aggrappandosi al suo maglione e costringendolo a guardarlo negli occhi nuovamente spalancati. Il ragazzo sentì che finalmente il nodo alle viscere scompariva, mentre si lasciava scivolare dentro quei pozzi color del ghiaccio, ma sapeva di non poter rimanere imbambolato a fissare quegli occhi che gli erano mancati così tanto: doveva fare qualcosa.

«Posso salvarti, devi solo venire in casa e-» Ma le dita agili le guardiano lo misero a tacere premendo con forza le sue labbra; e John sentì il desiderio disperato di baciarle, quelle dita, di percorrere ogni centimetro di quel corpo così inusuale con le labbra, e soprattutto di soffermarsi su quella bocca così piena.

«No, John» mormorò lui abbassando le dita e carezzandogli appena uno zigomo. Avrebbe voluto evitargli quella visione, la vista di lui che moriva, avrebbe voluto evitare di vedere il dolore che ribolliva in quegli occhi blu, ma era necessario. Poteva però rendere tutto più sopportabile, almeno per lui.

Le sue dita scivolarono lungo il collo fremente del ragazzo, soffermandosi su una clavicola lasciata scoperta dal maglione color crema, e finalmente si aggrapparono alla stoffa pesante dalle parti del suo cuore.

Senza staccare mai gli occhi da quelli di John, lo tirò a sé con le ultime forze rimaste, e finalmente premette le labbra sulle sue.

Il cuore di John parve esplodergli nel petto a quel contatto, e ricambiò con violenta disperazione quel bacio, tuffando le dita tra i ricci imperlati di bacche di Fawnlock, facendoseli scorrere tra le dita.

Fawnlock aveva il sapore fresco degli acquazzoni primaverili, velato d’amaro; sapeva della Foresta, di terre selvagge, e di cose che non avevano il tempo di dire, ma che sapevano entrambi; mentre John, John aveva il sapore semplice di un ragazzo, eppure così difficile da spiegare, per Fawnlock, che avrebbe solo voluto assaporarlo per ore ed ore, le labbra premute su quelle disperate dell’altro.

Il suo arco lungo giaceva dimenticato dietro di lui.

Fawnlock accarezzava con dolcezza i lineamenti di John, ubriaco del suo odore semplice ma così meraviglioso così come John lo era del suo odore selvaggio. Ma il bacio finì troppo presto, lasciando i due ansimanti e con le guance arrossate; Fawnlock aveva bisogno di un ultimo favore, e sperava solo che John fosse abbastanza forte per concederglielo.

«John, ascoltami ti prego» gli sussurrò mentre gli alzava con dolcezza il mento.

Era così bello alla luce incerta della luna, gli occhi quasi viola.

Annuì.

«L’ultimo favore che ti chiedo, prima di morire…» A Fawnlock non sfuggì la lacrima che corse lungo una guancia del ragazzo a quelle parole, ma andò avanti imperterrito. «Devi riportarmi nella Foresta, io ti guiderò fino alla radura; una volta giunto lì, dovrai seppellirmi tra le radici dell’Albero… È il mio destino, John, non puoi fare nulla per cambiarlo. Non posso essere salvato, non voglio essere salvato.»

Il ragazzo non faceva più niente per frenare le lacrime, ma annuì lo stesso, cercando la mano libera del guardiano morente. Quando le dita si intrecciarono, John strinse con tutta la forza che aveva.

Fawnlock sorrise, abbassando gli occhi sulle loro mani intrecciate. Per un lungo minuto rimasero così, il ragazzo che piangeva e la creatura morente che pareva consolarlo con la semplice stretta di una mano.

Poi le dita di John scivolarono via dalla stretta, ed il ragazzo si alzò in piedi, tremando.

Fawnlock non capiva, e continuò a non capire anche quando John si sfilò il pensante maglione e tornò ad inginocchiarsi al suo fianco.

«Mettilo» mormorò porgendoglielo, gli occhi spalancati. E Fawnlock si sentì più felice che mai, in quel momento, raggomitolato in una stalla con una freccia che gli spuntava dal ventre.

Senza un suono, accettò l’indumento e tentò goffamente di infilarselo. John rise, intenerito dalla sua goffaggine, e Fawnlock pensò fosse la melodia migliore dell’universo. Avvicinandosi a lui gli infilò con dolcezza il maglione, per lui troppo grande ma che al guardiano stava quasi stretto, nascondendo la ferita.

Solo una lieve sporgenza nella lana pesante rivelava la presenza della freccia.

Il maglione era impregnato dell’odore di John, ed il guardiano se lo tirò timidamente sopra al naso, cercando di respirarlo il più possibile.

«Devo trovare il modo di trasportarti fino alla radura senza farti perdere troppo sangue…» mormorò John mentre si passava ansiosamente entrambe le mani tra i capelli. Si bloccò a metà di quel gesto, lanciando un’occhiata in tralice a Fawnlock.

«Il sangue» sussurrò chinandosi nuovamente su di lui. «Perché hai perso così tanto sangue?» gli chiese.

Fawnlock non capiva che importanza avesse. «Ho tentato di rimuovere la freccia, ma il dolore era insopportabile e-»

John gemette, le mani che si tuffavano di nuovo tra i capelli biondi. «La freccia era l’unica cosa che impediva un’emorragia interna, ora dovremo raggiungere la radura alla velocità della luce per evitare che tu muoia e-» John si interruppe, voltandosi verso Fawnlock al suo gemito di dolore; il guardiano aveva tentato di tirarsi in piedi, fallendo miseramente. Ansimava.

«Proprio non capisci, John?» gli domandò con gli occhi colmi di lacrime. «Io devo morire, te l’ho detto, non puoi salvarmi.»

 

Nessun rumore risuonava sotto la cupola d’alberi, e le uniche tre figure visibili avanzavano alla luce di una lampada ad olio.

John aveva caricato Fawnlock su Achille, il suo vecchio cavallo da tiro che trainava l’aratro nel piccolo campo sul pendio meno scosceso della collina, e teneva una mano sul fianco tremante dell’equino mentre Fawnlock si guidava con voce stentorea, una mano ferma sulla sporgenza nel maglione che rivelava la presenza della freccia ancora conficcata nel suo ventre. Nonostante il maglione pesante del ragazzo, Fawnlock sentiva sempre più freddo, e faticava a distinguere la strada tra gli alberi che gli parevano ad un tratto ostili, pronto a ghermirlo con i rami protesi.

John inciampò nell’ennesima radice nascosta, ma non si lamentò; continuava a ripetere all’orecchio del vecchio cavallo che presto sarebbero arrivati, che l’avrebbe riempito di carote e che si sarebbe finalmente potuto riposare.

«Dobbiamo andare a destra d-dopo…» La voce di Fawnlock si affievolì e lui tentò di nascondere un gemito di dolore; John avvertì come una morsa intorno al cuore, che andava stringendosi sempre di più ad ogni lamento della creatura.

Il guardiano da parte sua faceva di tutto per non aumentare il dolore già enorme dell’umano, reprimendo ogni gemito e cacciando indietro le lacrime; avrebbe voluto che tutto questo finisse in fretta, che John tornasse presto a sorridere e a baciarlo, perché quell’unico bacio disperato che si erano scambiati aveva riacceso prepotente in lui la voglia di vivere, assopita ormai da millenni.

«A destra dopo il faggio», riuscì a dire prima di crollare esausto sulla sella, semicosciente.

John sentiva la gola secca, ed ogni volta che posava gli occhi su Fawnlock infilato nel suo maglione color crema avrebbe voluto fermarsi e piangere tutte le sue lacrime; perché si sentiva inutile, sentiva il mondo scivolargli lentamente dalle dita come la vita gocciolava impietosamente lontano da Fawnlock da quel foro di freccia.

Gli aveva chiesto più volte se aveva visto in viso chi l’aveva scagliata, ma Fawnlock si era limitato a scuotere lentamente la testa, rispondendogli che non voleva vendetta.

Ma John sì, John voleva vendicare quella creatura leggendaria di cui, ormai l’aveva capito, era follemente innamorato. E si diceva che non aveva senso che l’amore fuggisse da lui così presto, quando l’aveva appena incontrato.

Achille lanciò un nitrito spaventato, e John non fece in tempo a scuotersi dai suoi pensieri che l’animale era finito in terra, una zampa piegata ad un angolo innaturale. Fawnlock giaceva esanime a poca distanza dall’animale terrorizzato.

John si precipitò su di lui, ignorando i nitriti del cavallo, e posò sul suolo umido la lampada ad olio.

Prese tra le mani tremanti il viso di Fawnlock, la bocca lievemente dischiusa e le palpebre fragili chiuse a nascondere gli occhi di ghiaccio.

«Dimmi che sei ancora con me» esalò con voce rotta dal pianto. «Ti prego, ti prego resta ancora con me, non sono pronto a lasciarti andare, è troppo presto…»

Una mano del guardiano si mosse e, lievemente, asciugò le lacrime che John non si era accorto gli scorressero sulle guance.

«È quasi ora» sussurrò in risposta, le palpebre che tremavano mentre si sollevavano quanto bastava per permettere al ragazzo di scorgere l’azzurro ancora vivido sotto di esse. «Siamo quasi arrivati alla radura, John, quasi arrivati…» e chiuse nuovamente gli occhi. Il suo petto si abbassava ancora, ma in modo quasi impercettibile.

John si asciugò rabbiosamente le lacrime, alzandosi poi in piedi; Fawnlock era indubbiamente troppo pesante per lui, e Achille non era certamente in grado di continuare. Si chinò sull’animale che roteava gli occhi terrorizzato, le orecchie appiattite sul cranio e le nari dilatate. «Mi dispiace, amico mio», gli sussurrò John carezzandolo con dolcezza. «Tornerò presto, te lo prometto, salverò almeno te…»

Si avvicinò nuovamente al guardiano, prendendosi un momento per contemplarlo forse l’ultima volta: pareva che dormisse, una mano a nascondere la freccia, e poteva sembrare illeso e pronto a rialzarsi in ogni momento.

John sfregò una manica sulla guancia, cancellando le ultime lacrime, e si chinò su Fawnlock per tentare di trasportarlo per quell’ultimo tratto.

Lo afferrò sotto le ascelle, il suo profumo di bosco che gli riempiva lentamente i polmoni, e prese a trascinarlo sul terreno dissestato, evitando quanto più possibile radici sporgenti o massi.

Presto i deboli nitriti si spensero, e rimase solo il debole fruscio che corpo di Fawnlock faceva smuovendo le foglie a far loro compagnia. Il guardiano apriva gli occhi, ogni tanto, e mormorava indicazioni al ragazzo sfinito che continuava a procedere al buio nella foresta che tanto spaventava i suoi compaesani.

«Siamo arrivati, John, dietro quel pino caduto, manca poco John…» Il guardiano continuò a ripetere il suo nome con voce sempre più debole finché, quando finalmente John lo adagiò in terra per scavalcare il tronco caduto, si spense del tutto.

Il ragazzo si ritrovò nella radura al cui centro campeggiava l’impressionante albero pallido, i suoi rami che nascondevano il cielo. Attraverso uno spiraglio tra questi, John poté vedere che il nero della notte andava lentamente sbiadendosi nel viola che precede il tramonto, e si affrettò a tornare dal guardiano morente.

«Siamo arrivati Fawnlock, guarda, la tua radura; sei a casa» sussurrò il ragazzo all’orecchio del guardiano dopo averlo trasportato oltre il tronco marcio del pino, proprio tra le imponenti radici dell’enorme albero.

Quando Fawnlock aprì gli occhi, John vide che erano pieni di lacrime di gioia.

«Casa…» mormorò, una parvenza di sorriso a stirargli le labbra esangui.

«Grazie, John, grazie di tutto» continuò attirandolo verso di lui, premendo con dolcezza le labbra su quelle del ragazzo.

Quando John si staccò da quelle labbra così inusuali, non c’era altro negli occhi di Fawnlock che il riflesso delle stelle.

 

John pianse tutte le lacrime che aveva sul corpo che diventava lentamente freddo, e quando pensava di averle esaurite si ritrovò nuovamente chino su di lui, il maglione zuppo stretto spasmodicamente tra le dita, a piangere ancora.

Quando i singhiozzi che gli scuotevano violentemente il corpo scemarono, si asciugò più volte gli occhi rossi, tentando di non guardare quel corpo che anche da morto conservava una grazia sovrannaturale.

Non era ancora l’alba quando si mise in ginocchio, le maniche rimboccate, e si chinò un’ultima volta sul viso spruzzato di macchie color dell’ebano. Calò con dolcezza le palpebre sulle due gemme color del ghiaccio, sfiorando appena con le labbra la fronte coperta di ricci scarmigliati.

Poi posò in terra la sacca che fino ad allora aveva portato appesa ad una spalla e, dopo averne estratto una pala, cominciò a scavare tra le radici color dell’avorio.

 

 

 

Note dell'autrice

Siamo giunti all'ultimo capitolo, manca solo l'epilogo... Ringrazio davvero di cuore chi mi ha seguita fino a qui, chi ha recensito, chi ha inserito la storia tra preferite, ricordate o seguite, e anche i lettori silenziosi. Grazie, davvero, vuol dire tantissimo per me. 

Spero non veniate a cercarmi armati di torce e forconi, dopo questo capitolo, e che resistiate fino all'epilogo; allora potrete venire a cercarmi ahahah

Detto questo, vi ringrazio di nuovo e aspetto le vostre recensioni. 

Aelian

 

Poesia anonima

  
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