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Autore: Amaya Lee    28/08/2014    2 recensioni
Arashi si scrive con lo stesso simbolo di "tempesta".
Questa storia comincia con due ferite verdi, limpide ma impenetrabili, e una cappa nera che viaggia imperturbata nella neve.
Poi gocce di sangue, un ticchettio semplice, distinto, elementare, che scandisce ogni istante di un tempo che scade.
L'attesa di un cambiamento si tramuta nella speranza di sopravvivere, scendendo a patti con incubi radicati troppo in profondità, mentre paure ipnotiche e scomode sbocciano in passione dolorosa.
La creatura più fragile non può sciogliere le catene del suo destino, non può ribellarsi al compito per cui è stata scelta, e più si dimena, più le ombre la trascinano a fondo.
Chi ha pianificato tutto questo e impugna i fili del fato resta nell'ombra, nell'attesa che la tempesta si faccia domare. Una risata disumana si eleva dalle profondità del Lago, una risata che per secoli è rimasta sepolta nell'oblio, nell'attesa di essere udita.
L'ultima parola di questa storia è "vendetta", e deve ancora essere pronunciata.
{tratto dal testo}
[...] Si trattava della legge del più forte, una regola che nemmeno le preghiere avrebbero potuto spezzare.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kanato Sakamaki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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V

Echo

 




 

Tigre! Tigre!
Divampante fulgore
nelle foreste della notte,
quale fu l'immortale mano o occhio
che ebbe la forza di formare la tua
agghiacciante simmetria?

Tiger! Tiger!
Burning bright
in the forests of the night,
what immortal hand or eye
could frame thy
fearful simmetry?


William Blake

 












 

L'essere umano raramente riesce a svuotare completamente la propria mente. Pensare è un un'azione radicata in profondità in noi, fin da quando prendiamo coscienza di noi stessi.

Il nostro cervello invia continui impulsi, che ci permettono di formare idee, l'immaginazione, il giudizio, ogni nostra reazione, conscia ed inconscia.

La maggior parte dei nostri pensieri si plasma involontariamente, grazie ad un'identità che non controlliamo affatto. Eppure è parte di noi, per non dire che siamo noi stessi.

Pertanto, assai di rado accade che la nostra mente sia completamente vuota. Questo fatto può accadere quando, per esempio, si manca il gradino di una scala. O quando, per sbaglio, un bicchiere di vetro ci scivola di mano, andando a frantumarsi in mille schegge sul pavimento.

È un attimo confuso. Un frammento di istante, nel quale non pensiamo a nulla. C'è solo quella sensazione di vuoto, di stupore, di orrore.

Ma è solo un attimo. Poi torna tutto come prima.

Mentre correvo a perdifiato, avevo la sensazione di restare ferma all'interno del tempo, che questo avesse smesso di scorrere, e mi tenesse imprigionata all'interno di quell'attimo. Provavo la paura nello stato più puro ed orrendo, un perenne stato di panico che mi attanagliava perfino le ossa, e un dolore lancinante allo stomaco ad ogni minimo movimento.

La mia mente era completamente inglobata dal silenzio, interrotto solamente dallo scalpitio incessante ed ovattato del mio cuore.
Nel corridoio rimbombavano i miei passi veloci, ma ogni metro che percorrevo non serviva ad alleviare la sensazione di soffocare.
Mi scontrai di nuovo con il terrore quando, giunta ad un bivio, notai che Laito bloccava la strada di destra.

Non sentii ciò che mi disse, ma che sicuramente conteneva un “Bitch-chan”, il quale mi spronò ulteriormente a correre. Il corridoio di sinistra sboccava in una piccola stanza circolare, pavimentata con ampie piastrelle nere e bianche, come a formare una scacchiera a misura d'uomo. Sembrava emersa da un incubo.

Una scala a chiocciola conduceva al piano superiore, e corsi sui gradini senza esitazione.

I vampiri non esistono.

Ma allora come potevano avermi preceduta senza che me ne accorgessi?
Avrei voluto tirarmi uno schiaffo. Ma certo. Probabilmente quella casa era talmente antica da contenere dei passaggi segreti, magari cunicoli tra le pareti nascosti dietro le librerie. Era tutto ancora troppo strano, ma verosimile.

La scala a chiocciola sbucava in un corridoio non molto lungo, che terminava con una parete. Una normalissima parete.

Il mio battito cardiaco non si era ancora calmato, e mi sembrava di poter vomitare da un momento all'altro. Si era attivato un istinto che non avevo mai avuto modo di conoscere; quello di sopravvivenza. Avevo bisogno di un rifugio. Un posto sicuro.

L'ultima cosa che volevo era essere aggredita di nuovo da uno di quei ragazzi, che presentavano chiaramente qualche disturbo sociale, della personalità, o qualcosa del genere.

Ascoltai attentamente se dalla scala provenivano rumori di passi, o suoni che potessero testimoniare l'avvicinamento di qualcuno. Le mie orecchie captarono soltanto il silenzio.

La situazione è troppo tranquilla.

Scacciai questo pensiero, cercando una via di scampo.

Nell'andito non c'era nulla con cui potessi bloccare definitivamente la scala, perciò non mi rimaneva che scegliere una delle due porte, perfettamente identiche, ai lati del corridoio.

Optai per quella a sinistra, anche se il dover decidere mi riempiva inspiegabilmente di tensione.

Afferrai quanto più saldamente potevo la maniglia, e la abbassai di scatto.
Non appena però socchiusi la porta, sbirciando all'interno, il mio sguardo si scontrò con un paio di occhi pervinca, nei quali vidi riflesso il mio sgomento.

“La tua stanza è la porta di fronte” mormorò una voce tranquilla, persino affettuosa.

Il cuore aveva smesso di battere, anche il mio respiro si era fermato di colpo. In preda al terrore più profondo e istintivo, sbattei la porta in faccia al ragazzo e mi precipitai oltre quella alle mie spalle.

Armeggiai con la serratura qualche secondo, ma alla fine questa scattò e mi ritrovai ad indietreggiare nella stanza con la chiave in mano. Ero chiusa dentro, ma almeno nessuno di loro poteva entrare.

Mi ero ritrovata ad un palmo dal naso il volto del giovane con le occhiaie, e ancora il respiro non era tornato regolare. Lui mi inquietava più di tutti, senza un'evidente ragione.

Forse, inconsciamente, sospettavo che il suo aspetto pacato e gentile nascondesse il peggiore dei mostri. Non era da escludere.

Impugnavo ancora la chiave quando caddi a sedere su qualcosa di morbido. Non mi ero ancora resa conto di ciò che mi circondava.

Quella in cui ero finita sembrava una normale camera da letto. Lui l'aveva definita la mia stanza.

Mi ritrovai ad apprezzare l'elegante letto a baldacchino, il grande armadio di cedro, il soffitto affrescato, i quadri alle pareti color lavanda e persino il caminetto di pietra. Era una stanza graziosa e ben arredata, molto più bella e comoda di quella nel mio paese d'origine. Odorava di pulito e, sorprendentemente, di nuovo.
Il cielo era stato coperto in breve tempo da pesanti nubi, che minacciavano pioggia. Il sole era sparito. Sobbalzai quando le porte di vetro che davano sul balcone si spalancarono, e una folata di vento gelido invase la stanza. Le tende nere erano sbattute qua e là dal vento, a plasmare figure sinuose ed agghiaccianti, dalle quali emergevano le mie paure più irrazionali.

Il nero. Ero terrorizzata dal nero.

Accanto alla porta erano stati sistemati i miei bagagli, e mi ricordai di avere il cellulare nella ventiquattrore. Lasciai la chiave sul materasso, lanciandomi ad aprire la valigetta.

Scostai i libri che avevo portato con me, uno ad uno, ma dell'oggetto che cercavo nessuna traccia.
Presi la ventiquattrore e la rovesciai completamente, disseminandone il contenuto sul pavimento. Lo sparsi poi con le mani, ma il cellulare non c'era.

Ero sull'orlo di una crisi isterica quando la sensazione di una presenza alle mie spalle mi fece voltare.

“Cerchi qualcosa?” chiese una voce divertita, persino beata.

Apparteneva al ragazzo che, nel salotto, si teneva l'orsacchiotto stretto al petto. Adesso invece esso penzolava sul suo fianco, tenuto solamente per il braccio destro.
Il ragazzo incombeva su di me, e mi fissava con espressione curiosa, come se si aspettasse una risposta.

Caddi a sedere, indietreggiando fino a ritrovarmi con il muro contro la parete. Le mie gambe, scalciando, avevano disperso ulteriormente gli oggetti prima contenuti nella valigetta.

“Come... come diavolo... sei entrato?” domandai in tono accusatorio, che non riuscì come avevo sperato, considerato che stavo boccheggiando.

Lui fece un passo verso di me, senza dare il minimo segno di turbamento. Il suo sorriso accrebbe la mia ansia.

“Sei spaventata” appurò con leggerezza. L'aria attorno a lui era in fibrillazione.

Si fece ancora più vicino, costringendomi a rannicchiarmi contro il muro.

“Stai lontano da me!” urlai, con la voce strozzata dalla paura.

Le mie iridi erano incatenate alle sue, viola, incorniciate da gravi occhiaie. Risplendevano di sadico piacere, e quel barlume assurdo si rafforzò quando le sue dita sfiorarono la mia guancia. Aveva in tutto e per tutto un'espressione ambigua, da psicopatico.

La sua mano tastò la mia pelle, nel preciso istante in cui la pioggia cominciò a cadere sul balcone, provocando un irregolare ed incessante ticchettio.

Feci per ritrarmi dal tocco del ragazzo, ma lui lasciò la presa sull'orsacchiotto e gremì saldamente il mio polso, costringendomi ad alzarmi in piedi.

Ero bloccata contro la parete, mentre le sue dita fredde e delicate come neve appena caduta carezzavano la pelle del mio collo, scendendo alla spalla.

“Emani un tepore delizioso” mormorò, appagato semplicemente dallo sfiorarmi.
D'impulso, la mia mano libera scattò ed afferrò la sua, interrompendo quel contatto sgradevolmente intimo.

“Basta, vattene” articolai, cercando di non far trasparire quando spaventata fossi, mostrando invece rabbia.

Lui inclinò leggermente la testa da un lato, e la sua espressione si illuminò. “Sei coraggiosa, Arashi-chan!”

Poi il suo sorriso si trasformò. Divenne dapprima un ridacchiare sommesso, di scherno, e poi una fragorosa, folle risata.

Dalle gengive sporgevano due canini acuminati, che si protendevano letali dall'arcata dentale superiore. Vidi il loro biancore, la loro purezza, e il solo guardarli mi diede l'impressione di sentirli trapassare la mia carne, senza pietà.

Rimasi a guardarlo, inorridita, pietrificata, mentre un lampo illuminava sinistramente la stanza.

Sbattei le palpebre, ma un attimo dopo la camera da letto era tornata normale, un tuono lambiva il cielo, le mie mani afferravano l'aria e il ragazzo era scomparso.

Ciononostante, l'eco della sua terrificante risata doveva ancora disperdersi. 

























 

Buonasera anche stasera c:
Non vedevo sinceramente l'ora di aggiornare, perché questo capitolo è decisamente uno dei miei preferiti, finora, anche se ancora non succede niente di che. Questi sono solo i capitoli di avvio, e mi scuso se sono brevi, ma altrimenti ho paura che si facciano troppo pesanti :(
Sotto al titolo ho riportato la mia poesia preferita, con tanto di testo in inglese, che secondo me rende molto di più. personalmente adoro William Blake, ma credo si capirà più avanti, se non si è già capito, perché sono una fanatica delle sue citazioni.
ma comunque, mi farebbe moltissimo piacere se lasciaste una recensione per farmi sapere la vostra opinione, che per me è molto importante. 
Ringrazio dal profondo del mio cuore Alyx Evans, UnaScuotitriceDiParole V i o l y per aver recensito il capitolo precedente, wow! siete grandiose, sul serio.
Bene, noi ci vediamo al prossimo aggiornamento, un bacio♥
Nico-chan


 

  
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