In
questa prima e breve fanfiction ho voluto immaginare come sarebbe
andata se
Eveline, la protagonista dell'omonimo racconto di James Joyce, avesse
seguito
Frank a Buenos Aires, per incominciare una nuova vita.
Eveline
stava seduta alla finestra della sua casa a Buenos Aires. Osservava
la gente che stava nel piccolo parco proprio sotto la sua abitazione.
Due
anziani signori sedevano su una panchina e dal movimento concitato dei
loro
gesti sembrava stessero intrattenendo una discussione piuttosto
animata. Più in
là, una giovane coppia passeggiava sui bordi di un laghetto,
lei rideva
mandando indietro la testa mentre lui la abbracciava teneramente,
contento di
renderla felice.
Ad
un tratto Eveline la vide, una bambina accovacciata ai piedi di un
albero, con gli occhi coperti dalle piccole mani. Pareva piangesse.
Quei lunghi
capelli color mogano, quel vestito color panna leggermente strappato
sul bordo
e quelle scarpe consumate sulla punta le ricordarono quando
all’età di sei o
sette anni, lei viveva con i fratelli e i genitori e usciva a giocare
con i
vicini di casa. Da quanto tempo non riviveva così
vividamente quei ricordi,
“sarà passato almeno un anno”
pensò.
Nel
frattempo la piccola che aveva socchiuso le dita e si guardava
intorno, saltò
su velocemente e iniziò
a correre e ad urlare per il parco. Eveline sgranò
gli occhi. Un altro
ragazzino, che doveva avere qualche anno
più di lei, spuntò da dietro una siepe
correndo verso l’albero. La bambina, nonostante
l’abbigliamento inappropriato
raggiunse l’albero prima di lui, urlando e ridendo.
Eveline
sorrise vedendo tanta allegria, le capitava spesso in quel periodo.
Gli abitanti di Buenos Aires, specialmente i bambini, erano molto
solari e
allegri. Trasmettevano tanta gioia di vivere anche a chi, come lei,
non
sapeva quasi cosa significasse.
“Sei
felice tesoro?”. Si volto di scatto e corse ad abbracciare
Frank che
tornava dal lavoro. “Si tantissimo”. Se non fosse
per lui ora non lo sarebbe
per niente. Lo guardò negli occhi e rivide nel suo sguardo
lo stesso che
aveva il ragazzo della coppia nel
parco.
Mentre
Frank si cambiava Eveline mise in tavola la zuppa e il pane.
Ripensò al giorno in cui era partita. “Eveline!
Eveline!”. Frank
l’aveva chiamata, ma lei non aveva risposto.
Paralizzata dalla malattia che accomuna la maggior parte dei Dublinesi.
La
staticità. La voglia di non cambiare la loro vita, anche se
questa è fatta di
sofferenze e fantasmi del passato. Poi, all’ultimo
momento, come se si
fosse svegliata da un incubo, si fece trascinare dalla folla verso
Frank:
la sua via di salvezza. Lui la abbracciò.
Trasmettendole una sicurezza
che nessuno le aveva mai dato.
Erano
passati tre mesi da quella fuga d’amore che l’aveva
trascinata nella
sua nuova vita. Allontanò quei cattivi pensieri che avevano
tormentato la sua
infanzia: suo padre, sua madre e la sua città
così grigia e triste. Ora aveva
un altro pensiero per la testa, più bello e importante.
Proprio quando credeva
di non poter desiderare una vita migliore era arrivata quella splendida
notizia
che l’aveva riempita di gioia.
Frank
entrò in cucina con un grande sorriso. “Sono
contento che stai
meglio” esclamò a gran voce mentre la aiutava a
sistemare la tavola. “Niente
nausea stamattina?”. Eveline lo guardò seria.
“ Si.. e il medico dice che
continueranno per un po’”. Frank
lasciò
cadere le posate. “Sei stata dal medico senza dirmi
nulla?” Si avvicinò e le
mise le mani sulle spalle: “che altro ti ha
detto?”. “Che aspetto un bambino”.
Frank fece per dire qualcosa. Eveline scoppiò a ridere e lo
abbracciò forte.
Quella
sera diedero una festa e invitarono tutti i loro nuovi amici.
Eveline rideva e parlava con tutti. Frank la guardava, pensando alla
loro nuova
vita e a quanto sarebbero stati felici.