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Autore: _Carrotscupcake_    31/08/2014    8 recensioni
Sono John Watson e oggi risolvo casi con il mio migliore amico e marito Sherlock Holmes. Sherlock è un genio, un vero e proprio genio, l'ho visto risolvere i quesiti più assurdi in meno di un minuto, davanti ai miei occhi. Ho deciso di scrivere questo blog affinché tutti possano apprezzare la sua intelligenza quanto l'ho sempre apprezzata io, e amarlo, anche se sembra impossibile dato che al mondo non esiste una testa di cazzo più insopportabile di lui. Questa storia parla del nostro primo caso assieme e di come, lentamente, ha fatto sì che lo amassi, e aveva solo diciassette anni.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal blog di John Watson: Diciassettenne e psicopatico.

<< Allora, che cosa ne pensi? >> dissi a Sherlock, mentre percorrevamo la fine di Harley Street.
<< Su cosa? >> chiese lui, bloccandosi di colpo.
<< Sul cadavere, ovviamente. >>
<< Cosa importa cosa penso, la polizia ha trovato la soluzione, no? >>
<< Ma tu non sei d’accordo, vero? >> insistetti io, smettendo di camminare per rimanere al suo fianco.
<< La polizia, John, ha il suo parere. Perché ti interessa del mio? >> chiese lui.
<< Oh, Sherlock, non insultare la tua intelligenza. >> citai le sue parole, e ridemmo entrambi. Poi lui si face serio, si voltò e si mise di fronte a me.
<< Ti interessa davvero sapere cosa penso? >> mi domandò.
<< Ovviamente. >> risposi, guardandolo dritto negli occhi.
<< D’accordo. Quell’uomo non era un senza tetto, inoltre non è caduto, penso si sia buttato, ma non da quel palazzo. >> rivelò.
<< Cosa? Come fai a dirlo? >> domandai perplesso.
<< Varie cose. La giacca troppo è stretta, nulla di strano per un senza tetto certo, ma mi ha permesso di vedere la sua pelle, è molto abbronzata. Se fosse stato un senza tetto non lo sarebbe stata aldilà dei polsi, invece è chiaro che quest’uomo ha preso il sole appositamente, inoltre una pelle così abbronzata non si può ottenere con il sole di Londra quindi l’uomo o faceva regolarmente le lampade, ma non credo perché si vedeva il segno della fede più chiaro sull’abbronzatura, e quando ti fai una lampada è necessario togliere tutti i gioielli, oppure viaggiava molto e in località di vacanza, questo ci fa pensare che non solo non fosse affatto un senza tetto, ma fosse anche abbastanza ricco. D'altronde lo si nota anche dai capelli, ben curati, puliti, recentemente tagliati, un senza tetto non li porterebbe mai così. Come si deduce dal segno della fede era sposato, e anche felicemente, perché non la toglieva mai, né ci giocherellava spostandola, non la toccava mai per paura di perderla. Come faccio a capire che non è caduto, John? E’ cristallino, cristallino! Come fate a non vederlo? E’ altamente improbabile che qualcuno inciampi e cada a testa in giù, come puoi cadere da un palazzo perpendicolarmente all’asfalto? E’ da escludere che anche che lo abbiano spinto, per lo stesso motivo, quindi è ovvio che si sia buttato. >>
<< Meraviglioso.. Meraviglioso. >> dissi, ancora a bocca aperta, facendolo sorridere. << Ascolta, non capisco ancora una cosa però: che significa che non si è buttato da quel palazzo? >>
<< La sua posizione era insolita, nessuno cade con le gambe in quell’angolazione, e poi i vestiti? Perché aveva quei vestiti se non era un senza tetto? Io penso che l’abbiano messo lì dopo che si fosse buttato da un altro palazzo e gli abbiano cambiato i vestiti dopo la morte. >>
<< Ma il sangue, Sherlock, c’era troppo sangue perché il corpo possa essere stato trasportato. Avrebbe perso sangue lungo la strada… >> sentii che almeno i miei studi di medicina stavano servendo a qualcosa.
<< Non parlare per un secondo, devo capire.. >> disse lui. << Ah, e non guardarmi per favore, mi distrae. >>
Così rimasi fermo come un’idiota a fingere di guardare dall’altra parte, mentre in realtà studiavo ogni sua mossa. Aveva gli occhi vitrei, quasi stesse guardando altrove, in un posto dentro di sé, a volte scuoteva la testa, si mordeva un labbro, o muoveva le mani come per scacciare un insetto fastidioso. Quasi mi sembrò di trattenere il respiro per tutto il tempo in cui lui stava pensando. Poi improvvisamente vidi comparire sulle sue labbra il solito sorriso selvaggio, e capii che era arrivato ad una soluzione.
<< Ho capito, John. L’ho risolto! >> quasi mi urlò nell’orecchio.
<< Allora? >>
<< Un doppio omicidio, non c’era un caso così bello da.. Non c’era mai stato, forse. >> mi chiesi se fosse normale per un adolescente essere così esaltato dalla morte, ma poi dopotutto niente in Sherlock Holmes era normale, e forse ero io quello pazzo a stargli ancora dietro. << Qualcuno si è davvero buttato da questo palazzo, ma non era quest’uomo. Due persone diverse di buttano da due palazzi diversi, magari in due posti diversi di Londra, o meglio dell’Inghilterra. Si buttano di testa, in modo da non essere identificati. Poi qualcuno, scambia loro i vestiti e per sicurezza scambia anche i luoghi da dove sono caduti, nessuno riconoscerà il nostro uomo qui e la polizia non verrà mai a sapere dell’altro omicidio. E’ geniale. Davvero geniale. Che classe.. Che originalità. >>
<< E’ un assassino, Sherlock. >> cercai di redarguirlo, ma mi accorsi che le mie parole non ebbero alcun effetto su di lui  sul suo sorriso selvaggio.
<< Già.. Probabilmente lo ha già fatto, o lo farà di nuovo. >> mentre lo disse mi resi improvvisamente conto di non essere in un videogioco: vite reali di persone reali, che avevano mariti, mogli, genitori, amici e figli, erano in pericolo. La polizia avrebbe archiviato il caso, l’assassino non sarebbe stato preso.
<< Dobbiamo avvisare la polizia! >> esclamai.
<< La polizia, John? >> si lasciò sfuggire una risata amara. << E tu credi che la polizia presterà attenzione a questa storia assurda dei due omicidi che gli viene suggerita da un diciassettenne psicopatico? >>
<< Non psicopatico, sociopatico iperattivo, Sherlock. >> questa cosa che gli dissi, per tranquillizzarlo, lo fece sorridere, molto dolcemente, ma nel suo sguardo c’era anche il segno di un’amara rassegnazione. Non pensavo che avrei mai visto un simile sguardo nei taglienti occhi azzurri di Sherlock Holmes.
<< Non possiamo fare niente.. >> disse lui.
<< Possiamo indagare da soli. >> proposi io.
<< Ma come? Ma come.. Non posso rivedere il cadavere, né toccarlo, non potrò tornare sulla scena del crimine, non ho un nome, non un luogo, non ho nulla da dove cominciare. >>
<< Ma se è facile è noioso per te, no? E’ questo che lo rende divertente. >> lo incoraggiai. << Ora pensa, Sherlock, so che puoi farlo, so che tu puoi trovare qualcosa. Hai 17 anni e riesci a capire in pochi secondi quello che uomini adulti non capiscono in anni. Sei incredibile. >> gli dissi, e poi posai le mani sulle sue spalle costringendolo a guardarmi, era nervoso. << Ci sono delle vite in gioco, ti prego.. Pensa! >> gli dissi infine, senza mollare la presa su di lui.
<< Ok, John.. Però così.. >> guardò le mie mani sulle sue spalle, e poi dritto nei miei occhi. << Tu mi distrai. >>
<< Oh, giusto, certo.. Scusa. >> lo lasciai immediatamente e questa volta mi girai del tutto, resistendo all’impulso di guardarlo pensare, sperando che questo lo avrebbe aiutato. Passarono almeno dieci minuti.
<< John? >> mi rigirai verso di lui, appena mi chiamò, aveva uno sguardo distrutto e si passò due volte la mano tra i ricci, guardando ovunque tranne che verso di me. << John, mi dispiace io.. >> capii che non aveva trovato nulla, era agitato e deluso.
<< Non fa nulla Sherlock. Hai ragione, non sono fatti nostri. Dai andiamo a casa.. >> dissi io. Mi dispiaceva che non avessimo alcun indizio, ed era estremamente frustrante, ma vederlo così devastato per una cosa che io stesso gli avevo chiesto mi faceva sentire in colpa e triste, quindi decisi di non rigirare il coltello nella piaga.
<< Sono stupido, come tutti gli altri. >> disse lui, con un’aria distaccata.
<< Andiamo Sherlock, lo sai che non è vero. Non avevi niente ‘sta volta. >> lo presi per un braccio e lo inizia a trascinare verso casa.
<< C’è sempre qualcosa… >> insistette lui.
<< Non ci pensare, ok? >>
Camminammo in silenzio per tutto il resto del tragitto. Sherlock era completamente assorto e io un po’ preoccupato per lui. Quando arrivammo a Baker Street dovetti frugare per tutte le tasche del suo cappotto per cercare le chiavi, visto che lui si rifiutava di collaborare, e fu anche piuttosto imbarazzante, dati gli strani sguardi di tutti i passanti.
Una volta a casa mi feci dare il mio mazzo dalla signorina Hudson, Sherlock nemmeno sorrise quando gli annunciai che sarei andato a vivere nell’appartamento. Mi sarei offeso, ma sapevo che aveva la mente troppo affollata dai pensieri, e che in parte era colpa mia.
Diedi un’occhiata in frigorifero e mi accorsi che non c’era nulla, capii che sarei stato io in quella casa a fare sempre la spesa, e che mi sarei dovuto in qualche modo prendere cura anche di Sherlock oltre che di me stesso, ma mi stava bene.
<< Ho bisogno di prendere alcune mie cose, che dici che mi traferisco qui domani mattina? >>
<< Mmh. >> fu il massimo che riuscii ad ottenere.
<< Sherlock, posso andare? >>
Nessuna risposta.
<< Sherlock? >> dissi un po’ più ad alta voce, quasi urlando
<< Mmh? Oh, sì vai pure.. >> dissi, con tono distratto.
<< Sicuro? Posso restare se hai bisogno di me. >>
Lui scosse la testa, per rispondermi di no.
<< Se vuoi posso rimanere a dormire qui. >>
<< Per l’amor del cielo, John. Vai! Io sto bene. >> esclamò infine Sherlock, spostandosi dalla poltrona al divano, e stringendovisi dentro perché era troppo altro per restarci con le gambe stese. A vederlo così mi faceva tenerezza. Quando si accorse che lo stavo ancora guardando, si girò con la faccia rivolta verso lo schienale, dandomi le spalle.
<< Va bene, ciao Sherlock. >> sussurrai, e me ne andai, senza aspettare di avere una risposta che, sapevo già non avrei comunque ottenuto.
 
Il giorno dopo mi presentai a casa di Sherlock, o meglio a casa nostra, alle otto del mattino. Era l’unico orario in cui mio padre poteva darmi una mano con gli scatoloni, e a me faceva piacere passare un po’ di tempo con lui. Si era preso un’ora di permesso e sarebbe tornato a lavoro subito dopo avermi accompagnato al 221b di Baker Street.
Mio padre insistette per accompagnarmi di sopra e portare qualche scatola, magari vedere l’appartamento e conoscere il nuovo coinquilino. Io cercai di dissuaderlo, senza troppi risultati. Il problema non era che mi vergognavo di Sherlock, io ero molto fiero, in realtà, di aver conosciuto una persona così eccezionale tra le tante. Il problema in realtà era che Sherlock era un po’ difficile da capire e avevo paura che mio padre si sarebbe fatto un’idea sbagliata su di lui. Non volevo che nessuno al mondo sottovalutasse la grandezza di Sherlock Holmes.
Non ci fu verso, in ogni caso, di liberarmi di mio padre, così salì con me nel mio nuovo appartamento.
<< Sherlock! >> urlai appena varcato il ciglio della porta. Niente. << Sherlock? >> chiamai ancora, non c’era alcun motivo di turbarsi per la sua mancata risposta, avrebbe potuto essere uscito, o magari era sotto la doccia o dormiva, ma questa cosa in qualche modo mi preoccupava.
Tirai un sospiro di sollievo quando, entrando in salotto, lo trovai rannicchiato sul divano in cui l’avevo lasciato il giorno prima, aveva ancora le scarpe indosso e gli stessi vestiti, ed aveva il capo rivolto verso il soffitto, gli occhi sbarrati e le mani congiunte appoggiate leggermente sulle labbra, quasi stesse pregando. Sembrava quasi morto, così immobile e assorto, sembrava così in pace. Fui molto felice di vedere il suo petto alzarsi e abbassarsi ad ogni suo respiro.
Mio padre entrò nella stanza, posando uno scatolone con tutti i libri, e io mi affrettai a risvegliare Sherlock dalla sua estasi di intelligenza per riportarlo nel mondo normale.
Sapevo che chiamarlo sarebbe stato inutile, così lo scossi leggermente. Lui sembrò ridestarsi da un sogno, e i suoi occhi cambiarono espressione, ora non aveva solo lo sguardo rivolto verso di me. Poteva vedermi. Ne fui felice e gli sorrisi.
<< Sei qui da ieri sera? >> chiesi.
<< Sì certo. >> rispose lui secco.
<< Non hai dormito. >> aggiunsi, anche se i suoi occhi non erano stanchi.
<< E’ esatto. >>
<< E non hai mangiato. >> conclusi con un sospiro apprensivo.
<< Non mangio mentre penso, John. >> spiegò lui, mettendosi a sedere sul divano, sempre molto tranquillo. Mi sedetti affianco a lui per un secondo.
<< Beh, tu pensi sempre Sherlock. Qualcosa prima o poi dovrai anche mangiarla. >> asserii.
Mio padre fece un breve colpo di tosse per attirare la nostra attenzione su di lui, era rimasto fermo con gli scatoloni ammassati ai suoi piedi aspettando di essere presentato.
<< Oh, giusto. >> dissi non senza un po’ di imbarazzo. << Sherlock, questo è mio padre. Papà, lui è Sherlock Holmes, il mio nuovo coinquilino. >> li presentai in agitazione, sforzandomi di sorridere.
<< Piacere di conoscerti Sherlock. >> disse mio padre gentile. Di tutta risposta Sherlock lo fissò senza guardarlo, come se non avesse contezza della sua presenza, come aveva fatto con me la prima volta che mi aveva visto. Rimase in silenzio, non sapendo cosa dire, o forse non provando nemmeno a dire nulla. Gli sferrai una gomitata poco gentile nello stomaco.
<< Oh.. ehm. >> disse lui, e mi sembrava piuttosto confuso, ma addirittura imbarazzato. Non avevo mai visto Sherlock imbarazzato, mi fece tenerezza e divertì. Non sembrava più una macchina super intelligente e infallibile in quel momento, ma un ragazzino di diciassette anni messo in soggezione da un adulto, lo trovai molto dolce e mi fece sorridere. << Piacere mio, Signor Watson. >> disse infine recuperando una certa sicurezza, ma comunque non sperticandosi in un sorriso.
<< Beh. >> dissi io. << Io vado a sistemare la spesa, e già che ci sono ti preparo della colazione Sherlock. >> mi spaventava un po’ lasciarli da soli. Volevo tanto che mio padre apprezzasse Sherlock e sapevo che senza il mio controllo e il mio sussurrargli e fargli capire le buone maniere, non avrebbe fatto un’ottima impressione. Tuttavia, prima di andare in cucina gli lanciai uno sguardo, e capii che aveva compreso quanto fosse importante per me che lui facesse una buona impressione, e sperai che ci avrebbe almeno provato.
In cucina misi del latte nel bollitore, e, mentre aspettavo si facesse caldo, decisi di origliare i discorsi di mio padre con il mio futuro coinquilino.
<< Scusi se oggi sono un po’ assorto. >> sentii Sherlock dire, mi sembrava che si stesse impegnando. Già il fatto che facesse conversazione senza dedurre tutta la vita di mio padre in tre secondi era buono, e poi aveva chiesto scusa, cosa che non gli avevo mai sentito fare. << Un compito piuttosto importante a scuola. >> aggiunse, facendomi sorridere: che bugiardo. Sapevo benissimo che stava ancora pensando al caso del giorno prima.
<< Non dovrebbe essere molto difficile per te. >> commentò mio padre. << Mio figlio mi ha detto che sei un genio. >> Mi venne da arrossire, potevo sentire le labbra di Sherlock alzarsi in uno di quei suoi stupidi sorrisi compiaciuti, di quelli che mi fanno da sempre venir voglia di prenderlo a pugni.
<< Ecco perché e in cucina a preparami la colazione? >> sentii dire a Sherlock mentre ridacchiava.
<< Penso che a lui piaccia prendersi cura di te. >> commentò mio padre, facendomi arrossire ancora di più e mi affrettai a mettere i cacao e i cereali nel latte per portarlo a Sherlock.
<< Ecco. >> gli porsi una tazza rossa stretta e lunga e poi mi andai a sedere sulla poltrona del giorno prima, perché mio padre era seduto sullo stretto divano accanto a Sherlock.
<< Latte e cereali? >> disse lui un po’ schifato. << Sei serio? >>
<< C’è anche il Nesquik. >> lo corressi io, ridacchiando sotto i baffi. << Per l’amor del cielo Sherlock, hai diciassette anni, cos’altro vuoi mangiare a colazione? >>aggiunsi poi un po’ irritato, mentre lui odorava con circospezione nella tazza che gli avevo appena porso.
<< Che ne dici di nulla? >>
<< Non puoi saltare i pasti, fa male alla salute. E non fa bene al tuo preziosissimo cervello pensante. >> commentai io.
<< Non fare il dottore. >> rispose lui, che non si era ancora deciso a bere quello che gli avevo dato.
<< E tu non fare l’idiota. >> contrattaccai.
Mio padre ridacchio sotto i baffi, e Sherlock decise di non ribattere e iniziò, con mia gran soddisfazione a mangiare la mia colazione.
Feci fare a mio padre un giro per l’appartamento, che gli piacque molto, poi lui dovette scappare a lavoro e io tornai in salotto da Sherlock. Lui era di nuovo steso sul divano esattamente nella posizione in cui era quando ero entrato in casa, la tazza era sul pavimento ed era ancora mezza piena. Decisi di dovermi accontentare del fatto che ne avesse mangiato metà e la presi.
<< Te ne starai lì tutto il giorno? >> domandai.
<< Sì e ti sarei grato se non parlassi. >> disse lui.
Così sospirai, e sistemai in silenzio i miei libri e il mio computer su un tavolino davanti alla finestra, e mentre lui pensava mi misi a studiare, finendomi i suoi cereali.
   
 
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