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Autore: Alkimia    22/09/2008    3 recensioni
Una mia personalissima idea di come potrebbe continuare la storia del Fantasma dell'Opera, la fanfic comincia dove il film si interrompe, la sera del Don Juan. Erik è in fuga dopo l'addio di Christine ma alcuni incontri imprevisti gli mostreranno la prospettiva di una nuova esistenza, perchè anche il Figlio del Diavolo ha diritto a una vita normale...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate il ritardo...
grazie per le letture e le recensioni.
Monipotty: Vedrai che il nostro Erik ce la farà... come faccio a saperlo? bhe la storia è mia XD
Bloodred-rose: Sono contenta che ti piacciano le mie descrizioni astratte... in effetti è con la "roba concreta" che ho grossi problemi... specie quelle faccende tipo i baci e tutto il circondiario... infatti tremo alla sola idea di doverne descrivere uno prima o poi. La marchesa non è così stupida in effetti, non a caso il Master la definisce "sagace"... ma per non far fallire il 2+2 avrà bisogno di un piccolo aiuto... come vedrete nel capitolo che state per leggere.
Facy: grazie per i complimenti e benvenuta nel club dei candidati alla canonizzazione per il "sopportamento" dei miei deliri. Spero che andando avanti la storia non ti deluda.

Buona lettura...
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CAPITOLO DICIOTTESIMO

La residenza dei conti de Chagny era una elegante villa nel cuore della città, il palazzo in stile neoclassico era di recente costruzione.
Diane scese dalla carrozza e si diresse verso l'entrata, accompagnata da un valletto in livrea scura, guardò il giardino e poi la facciata del palazzo e si ricordò che la famiglia de Chagny non doveva essere diversa dalle altre famiglie nobili della Francia e pensò a quanto dovesse essere difficile per la giovane Christine Daae vivere in quel mondo senza avere una sola goccia di sangue blu nelle vene e meno che mai una dote nuziale con cui pagare l'ammissione in una delle più vecchie e rinomate famiglie dell'aristocrazia parigina. La marchesa sospirò e si disse che l'amore doveva essere una ragione sufficiente per sopportare tutto quello che Christine stava certamente subendo.
Aveva detto a suo marito che sarebbe uscita dopo cena per andare a far visita a un'amica, senza nemmeno darsi la pena di dirgli chi fosse l'amica in questione. Louis non aveva fatto domande e lei non sapeva se interpretare questa cosa come una totale concessione di fiducia o come la più profonda dimostrazione di disinteresse.
Una giovane domestica dall'aria arcigna quanto quella di una vecchia zitella fece accomodare Diane in un salottino,
“Vado a informare mademoiselle Daae del vostro arrivo, madame” disse la cameriera con un compito inchino, sparendo dietro a una porta di legno scuro.
“Diane! Grazie di essere venuta!” quando Christine fece il suo ingresso nella stanza sembrava contenta, Diane si alzò dalla poltrona su cui era seduta e le andò incontro, si salutarono con un amichevole abbraccio e un sorriso sincero.
Quando si misero sedute l'una di fronte all'altra, nell'attesa che venisse servito il caffè, la marchesa ebbe modo di osservare la sua giovane ospite: Santo Cielo, era solo una bambina! La sera del ricevimento vestita in abiti da pomposi, con i gioielli e il trucco che le appesantiva il viso, le era sembrata molto più grande, ora sembrava uno scricciolo, ma la marchesa dovette ammettere che quella sua aria infantile e innocente le conferiva una bellezza quasi angelica.
“Come stai Diane?” chiese la ragazza poggiandosi contro l'alto schienale della poltrona
“Bene, e tu? Spero che i preparativi delle nozze non ti stiano creando troppi problemi”
“Se avessi saputo quanto è complicato organizzare un matrimonio forse non avrei accettato di sposarmi”
“Io avevo diciotto anni quando mi sono sposata e a dir la verità non feci granché per prepararmi al matrimonio, si occupò di tutto mia madre...”
Diane pronunciò quella frase con leggerezza, ma si interruppe pentendosi di averla detta perché Christine le rimandò uno sguardo malinconico
“Scusa, cara... non volevo” concluse la marchesa imbarazzata
la giovane scosse il capo
“No, non fa niente, almeno tu lo hai detto senza intenzione di ferirmi”,
un silenzio pesante calò per una manciata di secondi nel piccolo salotto, poi l'imbarazzo fu stemperato dall'arrivo della cameriera che posò sul tavolino un vassoio d'argento con due piccole tazze di porcellana, una caraffa fumante e un piattino con dei biscotti,
Diane prese un biscotto e scrutò la ragazza che osservava con aria indecifrabile la domestica lasciare silenziosamente la stanza,
“Ti ci abituerai a tutto questo” le disse con aria complice, indovinando i suoi pensieri
“Si, immagino di si, ma tu come fai a passare il tempo?”
“Dio mi ha voluto benedire dandomi mia figlia, vedrai, quando sarai anche tu madre non penserai più a fare biscotti”
Christine sorrise intenerita, figurandosi l'immagine di sé stessa che stringeva tra le braccia un neonato meravigliosamente somigliante a Raoul. Si i figli sarebbero stati una benedizione prima o poi, ma per ora era il fatto di non poter più cantare che le rendeva i giorni maledettamente lunghi e pesanti.
“E così, hai una figlia” disse
“Si, si chiama Vivianne, ha sei anni. Spero di fartela conoscere un giorno, è una bambina meravigliosa”
“Certo”
“Avete già fissato la data del matrimonio?” domandò Diane
“No, purtroppo no. Avevamo scelto un giorno, ma i genitori di Raoul sono in Spagna e ci hanno fatto sapere che non riusciranno a presenziare alla cerimonia, quindi abbiamo deciso di rimandare” rispose Christine mentre un ricciolo ribelle sfuggiva alla presa del fermaglio cadendole lungo la guancia
“Capisco”
“Si, capisco anche io... che l'hanno fatto di proposito, loro non vogliono che io e Raoul ci sposiamo”
la giovane pronunciò quelle parole con tristezza, ma senza risentimento, cercando di riportare indietro la ciocca di capelli che le solleticava il viso. Diane la osservò oltre il bordo della tazza, doveva avere una grande forza d'animo per accettare tutto ciò con rassegnata sopportazione, e in più doveva essere davvero molto innamorata del visconte. Un pizzico di invidia solleticò l'animo della marchesa, anche lei avrebbe sopportato tutti quegli ostacoli pur di stare vicino a un uomo che amava, ma a diciotto anni, quando le era stato detto che avrebbe sposato Louis non aveva trovato l'energia di ribellarsi.
“Devi amarlo davvero tanto Raoul, confesso che ti invidio”
a quelle parole Christine sospirò: era vero, sopportava tante cose per amore di Raoul, ma in fin dei conti le opposizioni dei genitori del suo promesso sposo le sembravano il male minore, dopo tutto quello che avevano passato. Dopo tutta l'amarezza e il rimpianto con cui lottava ogni giorno.
“E' che... abbiamo sopportato di peggio” ammise la giovane trovando finalmente la forza di guardare Diane negli occhi, senza imbarazzo.
Lo sguardo di Christine non aveva niente di quell'alone infantile che caratterizzava il suo aspetto, non più almeno. Era lo sguardo di una donna, di una persona che cercava dentro di sé la forza di districarsi tra la prospettiva di un futuro che aveva sempre sognato e i ricordi dolorosi di un passato che era impresso troppo a fondo nella sua anima.
“Di peggio? Cosa c'è di peggio di due vecchi genitori dal sangue blu con la mente confinata al medioevo?!” esclamò Diane sarcastica,
Christine non poteva concedersi il lusso di ridere a quella battuta, Diane le sembrava una persona sensibile e se avesse conosciuto la storia non avrebbe parlato in quel modo. Ma la marchesa non poteva sapere. Il dramma, la leggenda del Fantasma dell'Opera, che aveva coinvolto così a fondo lei e Raoul stava per essere dimenticata, soppiantata da nuovi scandali, nuove storie con cui alimentare il focolaio di chiacchiere nei salotti e nei caffè. Fa parte della natura umana dimenticare, anche ciò che ha più sconvolto: sostituire l'orrore di una vicenda violenta con un'altra storia nuova e più sconvolgente. Tutti sono in grado di farlo, ma non chi ha guardato in faccia l'inferno che quella violenza ha potuto provocare. Christine non aveva dimenticato, e anche se certi ricordi erano spariti dai suoi discorsi, non erano certo scomparsi dal suo cuore. Non ne aveva più parlato con nessuno, non aveva mai nemmeno raccontato cosa fosse successo davvero quella notte nei sotterranei. Non aveva raccontato di come un Angelo all'Inferno può piangere, redimersi, sparire...
Diane posò la mano su quella della giovane che era rimasta immobile a fissare il vuoto con sguardo vacuo,
“Christine, tutto bene? Ho detto qualcosa che non va?” chiese la marchesa preoccupata,
la ragazzi si scosse
“No, no Diane, non è colpa tua...”
“Cosa c'è? Sembri turbata”
gli occhi di Christine si fecero sottili, il suo sguardo si fece cupo,
“Non ho mai raccontato a nessuno la verità- disse con la voce ridotta ad un soffio- le persone a me care non mi hanno mai chiesto niente, le persone curiose e insensibili mi hanno fatto molte domande ma io non ho mai risposto. Mi illudevo che non parlarne mi aiutasse a dimenticare, ma non è così”
Diane non ci mise molto tempo a capire a cosa si stesse riferendo la sua interlocutrice,come tutti, era a conoscenza del fatto che Christine era stata coinvolta nella storia del Fantasma dell'Opera, ma, come gli altri, non sapeva fino a che punto, non conosceva i motivi, i veri retroscena di quella vicenda destinata a restare una strana favola ma resa realtà dall'edificio dell'Opera Populaire che rimaneva una carcassa vuota a cui l'incendio aveva consumato il cuore, rendendolo solo un vistoso sfregio sul volto di Parigi. Lei non voleva essere una di quelle tante persone pettegole e indelicate che facevano domande per saziare la propria curiosità, ma si rese conto che quella storia le stava a cuore: pochi giorni prima aveva fatto un sogno che aveva gettato strane ombre sulla figura di un uomo a cui stranamente aveva permesso di entrare nella sua vita, seppure per un breve periodo. Un uomo a cui aveva pensato con una certa insistenza nei due giorni trascorsi dal loro ultimo incontro.
Diane si impose di restare calma e lucida, di tacere. Le sue perplessità, i suoi strani sospetti su Erik erano un problema soltanto suo, Christine non meritava di essere strapazzata solo perché lei aveva viaggiato un po' troppo con la fantasia.
“Non sei obbligata a raccontarlo, meno che mai a me Christine” disse la marchesa senza riuscire però a trattenere un gesto di nervosismo al quale la giovane sembrò non fare caso
“E se invece io volessi farlo, Diane? Sta diventando un peso così grande...” gli occhi della ragazza esprimevano un bisogno così urgente che la donna non seppe come replicare.

... e se invece io non volessi ascoltare, Chirstine?

Diane posò le mani sull'estremità dei braccioli della poltrona. Non era certa di aver voglia di venire a conoscenza di quella storia, il racconto che fino a poche settimane prima tutta Parigi avrebbe voluto conoscere nei minimi dettagli.

*

Lo spettacolo era andato bene. Tutti nel circo si sentivano intimoriti dall'idea di confrontarsi con il pubblico di una grande città, ma il gran successo della serata aveva superato le loro più rosee previsioni.
Alain era contento e soddisfatto, corse spedito nella sua tenda a togliersi il trucco e il costume e indossò i vestiti migliori che aveva,
“Stasera ho voglia di festeggiare!” esclamò,
si diresse verso la tenda di Erik ma la luce era spenta: il musicista era già andato a dormire o aveva finto di farlo per non farsi importunare.
Lanciando un ultimo sguardo alla tenda del suo amico Alain scrollò le spalle e si diresse fuori dagli alloggi del circo, verso la città.

L'aria frizzante della sera era densa del frinire dei grilli, oltre la stradina di campagna che portava nel cuore della città il ragazzo si trovò ad osservare un mondo nuovo e affascinante. La notte parigina era, se possibile, ancora più viva del giorno stesso. Le strade secondarie erano illuminate a giorno dai lampioni e dalle luci provenienti dalle numerose osterie ancora piene di clienti. Le piazze erano percorse da carrozze di ricchi signori in doppiopetto, diretti verso qualche circolo culturale o verso la casa della propria amante. Qualche artista di strada allietava ancora i passanti in ritardo per la cena o qualcuno dei mendicanti che si scaldava attorno ai rari fuochi accesi all'angolo di una via. Tutto dava la sensazione di un energico movimento perpetuo, di un'instancabile voglia di vivere.
Alain osservava divertito la città sorprendentemente sveglia e popolata, i lampioni allungavano le ombre sul pavimento della piazza in cui si era ritrovato. Alzò lo sguardo ammirando incuriosito la costruzione che si ergeva su un lato dell'ampio piazzale: la facciata decorata da rilievi e semicolonne si apriva in tante finestre e in tre porte precedute da una scalinata di marmo, al centro del tetto si alzava una cupola che conferiva una certa maestosità all'edificio, il tetto era contornato da un parapetto di pietra sul quale poggiavano statue bronzee di angeli e cavalli alati, sull'edicola che sormontava la porta centrale si trovava invece una statua di Apollo che teneva tra le mani la sua lira e guardava benevolo verso la piazza. Il ragazzo osservò meglio quella strana costruzione, i tre portoni di legno erano sbarrati, chiusi con travi di legno inchiodate contro gli stipiti delle porte, le finestre erano tutte chiuse e non c'era una sola luce o un solo suono che facesse pensare che quella costruzione avesse qualcosa da spartire con l'aria di vitalità che si respirava nelle strade, anzi, a guardarla bene, Alain trovò quel palazzo buio e silenzioso quasi macabro per quanto potesse apparire bello.
Il ragazzo fermò un passante afferrandolo per un lembo della camicia,
“Scusate signore, mi sapreste dire che cos'è quello?” domandò indicando l'edificio,
l'uomo inclinò il capo da un lato guardando Alain con aria perplessa
“Quella è l'Opera Populaire!- esclamò come se si trattasse della cosa più ovvia del mondo- è il più famoso teatro della città, o meglio, lo era”
E dunque era quella l'Opera di Parigi famosa in tutto il mondo?
“In che senso? Perché non lo è più?” chiese ancora Alain, spostando più volte lo sguardo tra lo sconosciuto e la facciata del teatro
“Non conosci la storia ragazzo? Da dove vieni per non sapere?- borbottò lo sconosciuto- mesi fa è stata distrutta da un incendio”
il giovane guardò meglio l'edificio e notò che i vetri delle finestre erano rotti e i telai di legno consumati e contornati da macchie nere
“Non conosci la storia del Fantasma dell'Opera?” incalzò l'uomo sempre più sconcertato dal fatto che ci fosse qualcuno non al corrente dei fatti che riguardavano l'Opera di Parigi
Alain scosse il capo, lo sconosciuto sbuffò
“Dunque, devi sapere che il teatro era infestato da un fantasma... probabilmente un'anima in pena che, forse per vendicarsi di qualche torto subito in vita, finì per dare fuoco al nostro bel teatro... forse da vivo era stato un orchestrale licenziato dai direttori” l'uomo spiegò la breve storia con aria seria e convinta, fissando il suo interlocutore per assicurarsi che avesse ben compreso l'accaduto
“Ah, si capisco!- rispose Alain senza riuscire a mascherare la sua aria divertita- devo dire a mio padre di non licenziare mai nessuno o il nostro circo potrebbe venire distrutto!”
l'uomo fissò il giovane con espressione piccata
“Si, ridi pure sciocco! Intanto puoi chiedere a chi vuoi, qui tutti sanno del Fantasma dell'Opera” concluse, per poi allontanarsi con aria offesa.
Alain si concesse qualche minuto per dare sfogo alla sua ilarità, l'aria grave con cui quello sconosciuto gli aveva raccontato una storia tanto stupida lo divertiva troppo, possibile che anche in una grande città la gente fosse così credulona e superstiziosa?
Ripresosi dall'incontro, il ragazzo decise di proseguire la sua passeggiata, si intrufolò in un vicolo laterale al teatro e guardò un'ultima volta l'edificio che una volta era definito un tempio dell'arte: in effetti i segni dell'incendio erano evidenti e quel luogo visto così, spento e deserto, metteva i brividi. Alain sbuffò pensando a quanto fosse stupido a lasciarsi condizionare da quel racconto senza capo né coda, tuttavia si affrettò ad allontanarsi dal teatro, addentrandosi sempre di più in quella sconosciuta e fitta rete di strade.
Persino i sobborghi di Parigi, situati così in prossimità della piazza dell'Opera e dei quartieri ricchi, erano vivi e affollati a quell'ora. Davanti agli occhi di Alain si apriva una strada stretta e dalla pavimentazione sconnessa sulla quale affacciavano numerose locande, bettole e case di malaffare dalle quali uscivano con aria disinvolta anche ricchi signori ben vestiti. Il ragazzo sentì un gran vociare provenire da un punto preciso della strada e si avviò a seguire gli schiamazzi, si rese conto che provenivano da una locanda in fondo alla strada, quella che sembrava la più grande e la meno squallida di tutte, l'insegna di legno sulla porta recava la scritta “les sept vieillards”. Si decise ad entrare nel locale, gli sembrò accogliente e arredato con gusto per essere una taverna dei bassifondi di una grande città. In effetti, i clienti non erano affatto degli avventurieri con abiti logori o operai venuti a sbronzarsi dopo una giornata di lavoro, sembravano piuttosto borghesi venuti a svagarsi in un posto del tutto decoroso.
“Sono finito in un posto di elite nel cuore povero di Parigi” mormorò il ragazzo andandosi a sedere a uno dei tavoli, ordinò un boccale di birra e si divertì ad origliare le conversazioni degli altri uomini seduti attorno a lui.
Il fitto vociare all'interno della locanda si interruppe quando un suono acuto arrivò improvviso quasi a spaventare i clienti. Tutti si voltarono verso una pedana di legno sistemata di fronte al bancone, Alain osservò la persona spuntata sulla pedana con la sua aria curiosa di bambino mai cresciuto. Si trattava di una donna sulla trentina, avvolta in un ricco abito viola, di una tonalità così carica e appariscente che era un vero strazio per la vista, soprattutto accostato ai folti capelli fulvi acconciati in larghi boccoli.
“Buona sera”disse la donna con voce squillante e con un forte accento straniero, il suo sguardo, stranamente altezzoso e penetrante, percorse tutta la sala in attesa di un applauso che non arrivò.
La donna si schiarì la voce e cominciò a cantare un'aria di Elisabetta dal Don Carlos di Giuseppe Verdi. Se qualcuno dei presenti fosse stato un frequentatore dell'Opera Populaire avrebbe potuto ricordarsi che era stata quella stessa donna a interpretare la composizione del maestro italiano sul palco del più grande teatro di Parigi solo tre anni prima.

... Di qual amor, di quant'ardor
Quest'alma è piena!
Al suo destin voler divin
Or m'incatena!
Arcan terror m'avea nel cor,
E ancor ne tremo...
Amata son io, gaudio supremo
Ne sento in cor!(*)...

Dopo i primi minuti di silenzio un borbottio sommesso cominciò a riempire nuovamente la sala. I clienti della locanda smisero di prestare attenzione alla cantante, anche se era difficile dimenticarsi di lei visto che la sua voce era così acuta e potente da risultare estremamente sgradevole.
Non passò molto che diverse persone cominciarono a protestare.
Alain non sapeva se ritenersi più divertito o intenerito da quella donna tanto bizzarra ed enfatica che continuava a cantare con aria decisa e saputa, malgrado le proteste dei clienti.
Quando la cantante ebbe terminato l'aria che stava eseguendo il padrone della locanda, in piedi dietro al bancone, le fece cenno di allontanarsi, lei rispose con uno sguardo adirato che non risparmiò di rivolgere anche a quello che avrebbe dovuto essere il suo pubblico, portò le mani ai fianchi e prese fiato,
“Statemi bene a sentire,- esclamò puntando l'indice contro gli uomini seduti davanti a lei- io sono Carlotta Giudicelli, primadonna dell'Opera Populaire! Ma evidentemente il mio talento è troppo sopraffino per le vostre orecchie da sempliciotti!!!"”
ciò detto la donna si voltò e se ne andò con un gesto stizzito, seguita dallo sbuffo della ampia gonna del suo vestito e accompagnata da una lunga serie di risate e borbottii di scherno.

Alain trascorse ancora qualche minuto seduto al suo tavolo, poi pagò la birra che aveva bevuto ed uscì dalla locanda con addosso una strana allegria non dovuta all'alcol ma a un inspiegabile sensazione di benessere. Era deciso a dirigersi verso uno dei bordelli che aveva visto sulla strada qualche metro più avanti, ma la sua attenzione fu attirata da uno strano squittio che proveniva dalla viuzza dove la taverna faceva angolo. Perplesso il ragazzo si affacciò al vicolo, una stradina stretta buia dove erano accantonati i barili vuoti della locanda. Su uno di quei barili c'era la donna che aveva provato a cantare, il suo suo abito praticamente brillava nella penombra, era impossibile non riconoscerla. Le spalle si sollevavano con piccoli scatti, una mano davanti alla bocca tentava di soffocare i singhiozzi striduli.
Quella scena fece svanire in un attimo tutta l'euforia di Alain il quale si avvicinò a passi cauti alla cantante, quella donna che fino a un minuto prima aveva dato prova di un immenso orgoglio ed era uscita a testa alta da una situazione tanto offensiva e imbarazzante.
“State bene, madame?” mormorò il ragazzo
la donna sobbalzò e guardò lo sconosciuto con aria piccata
“E tu che vuoi?” squittì tirando su con il naso e asciugandosi le lacrime con la mano guantata
“Vi ho sentita piangere, mi sono preoccupato”
la donna arricciò il naso e squadrò il giovane con aria di sufficienza
“Non voglio la tua compassione ragazzino... ma ti sarei grata se avessi un fazzoletto da prestarmi” disse ostentando una certa sicurezza che contrastava con il suo viso ancora rigato di pianto
Alai si frugò nelle tasche ed estrasse un fazzoletto di stoffa a quadri
“Ecco, madame” lo porse alla donna con un sorriso gentile, lei glielo strappò di mano e lo esaminò
“Almeno è pulito” borbottò per poi soffiarsi rumorosamente il naso e rendere l'oggetto al suo proprietario,
Alain sospirò e prese il fazzoletto con due dita poggiandolo sul davanzale di una finestra, poi si mise a sedere accanto alla donna,
“Posso capirvi, madame, sapete anche io mi esibisco e mi rendo conto di quanto possa essere bruciante non venire apprezzati...”
la donna interruppe il giovane con una risata sarcastica,
“Tu capisci? Tu capisci?! Ma sentitelo LUI CAPISCE!” esclamò ad alta voce
Alain arricciò il naso
“E io che pensavo che Erik fosse il peggio...” mormorò tra sé e sé
“Come?!” domandò lei fissandolo indispettita
“No, niente, pensavo ad alta voce- si affrettò a rispondere lui, per poi tornare in piedi- scusate del disturbo, madame, buona sera”
“E adesso dove vai?!” esclamò la cantante inarcando un sopracciglio con aria di rimprovero
Alain si grattò la nuca
“E pensare che la serata era partita così bene...” sospirò
“Vieni qui” lo richiamò la donna con un gesto della mano, il ragazzo la guardò incredulo, che tipa strana, prima lo trattava come l'ultimo degli stupidi e ora gli chiedeva di rimanere, o era pazza o aveva un pessimo carattere, o forse tutte e due le cose insieme, ma sicuramente aveva un gran bisogno di compagnia.
Alain tornò a sedersi pensando che prima o poi gli sarebbe spuntata l'aureola a forza di avere a che fare con gente dal brutto carattere, poi all'improvviso si ricordò di quello che aveva detto la donna poco prima nella locanda.
“Scusate madame, Carlotta giusto? Prima avete detto di essere stata la primadonna dell'Opera Populaire” esordì il giovane
“Si! Perché? Non mi credi forse?” borbottò lei
“No, vi credo, certo che vi credo... è che sono passato fuori al teatro prima e ho incontrato un uomo che mi ha raccontato una storia, di un fantasma e di come questo fantasma abbia fatto scoppiare l'incendio che ha distrutto il teatro”
“Si, immagino... raccontano tutti strane storie”
“Allora non c'è nessun fantasma”
Carlotta spalancò la bocca in un'espressione stupita e contrariata
“Ma da dove vieni ragazzo, dalla Papuasia? Come puoi non sapere?!” esclamò
“Siete tutti ossessionati allora!” borbottò Alain
la donna si lasciò scappare una smorfia di amarezza
“E' la stessa cosa che dissero i nuovi direttori quando arrivarono all'Opera- commentò stringendo nervosamente un lembo della gonna- se non ci fosse stato nessun fantasma il mio Ubaldo a quest'ora sarebbe ancora vivo”
“Ah, mi dispiace madame... non volevo mettervi di cattivo umore”
Carlotta si sistemò i capelli
“Un sacco di gente mi ha chiesto di raccontare la storia- disse con l'aria infantile di un bambino che vuole mettersi in mostra per la sua buona azione quotidiana- ma io non ne ho mai parlato con nessuno, non è una bella storia, sono state raccontate molte versioni su come andarono i fatti, tanto che la verità è stata completamente stravolta, ma io so come è andata la sera dell'incendio, io ero lì! Anche il mio povero Ubaldo c'era, che Dio lo abbia in gloria”
Alain era incuriosito, quale era questa storia così avvincente e brutta da essersi meritata di diventare una leggenda? Chi era il Fantasma dell'Opera?
“Dunque c'è stato davvero un fantasma nel teatro!” disse sgranando gli occhi
“Oh si... solo che non era un fantasma, era un uomo” rispose Carlotta distogliendo lo sguardo e fissandolo nel vuoto come se stesse cercando di seguire il filo dei ricordi, Alain pendeva letteralmente dalla sue labbra,
“Raccontatemi, madame, vi ascolto...”.
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NOTE:
E ora, un bell'applauso per la Dea del canto!!! Amata e acclamata da tutta Parigi e da tutti i recensori di questa fanfic...
Visto, alla fine è arrivata!
Scherzi a parte, spero che vi sia piaciuta (e che vi piacerà, visto che ci terrà compagnia anche nel prossimo capitolo).

(*) A proposito, il "Don Carlos" di Giuseppe Verdi non l'ho citato a caso, ho fatto un pò di ricerche, ad onor del realismo e ho scoperto che è stato davvero suonato in anteprima all'Operà di Parigi nel 1867 (ovvero tre anni prima del 1870, anno in cui è ambientata la vicenda del Fantasma dell'Opera)

La mia betareader mi faceva giustamente notare che forse il discorso dell'uscita dopo cena (con annesso il totale menefreghismo del buon marchese) suona un pò anacronistico... in realtà ho pensato che all'epoca probabilmente si cenava molto presto e di conseguenza il "dopo cena" non era proprio "sera inoltrata"... e poi ai fini della storia mi serviva che il dialogo tra Diane e Christine avvenisse contemporaneamente all'incontro tra Alain e Carlotta (nel prossimo capitolo capirete perchè). In Quanto al marchese... nel capitolo 20 sono previste un pò di precisazioni sul caro vecchio Louis... e si capiranno un pò di cose...

Il nome della locanda "les sept vieillards" è il titolo di una poesia di Baudelaire

Per ora vi lascio con tante scuse da parte del Master che si è assentato da questo capitolo.

I remain, gentleman, your obedient servant
   
 
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