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Autore: Mary P_Stark    01/09/2014    2 recensioni
Cecily Fairchild è l'insegnante di Inglese nel piccolo paesino costiero di Falmouth, Cornovaglia. Sbrigativa, spigliata, sincera e per nulla vanitosa, è amata dai suoi studenti e apprezzata dai suoi colleghi. Ma, cosa più importante, è Fenrir del Clan di Cornovaglia, la licantropa più forte dell'intero branco. Licantropa che, però, si ritroverà ad affrontare qualcosa per lei del tutto nuovo e inaspettato, e un uomo che la lascerà senza parole per la prima volta in vita sua. Un uomo che, tra l'altro, sembra nascondere una marea di segreti, sotto la sua eleganza e le sue buone maniere. Amore e mistero li accompagneranno verso un'avventura ai limiti del mondo... e forse anche oltre. SPIN-OFF "TRILOGIA DELLA LUNA" - 4° RACCONTO (riferimenti alla storia presenti nei 3 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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La primavera, almeno per il momento, sembrava averli graziati da acquazzoni improvvisi e folate di vento gelido.

Visitare i resti dell'abbazia di Glastonbury sotto un temporale, o con un fortunale a scombinare chiome e abiti, sarebbe stato decisamente disagevole.

I ragazzi si aggiravano per le rovine con sorrisi divertiti e aria rilassata, consapevoli che ben presto le loro pene scolastiche sarebbero terminate, a fronte di qualcosa di molto peggio, forse.

Come previsto, l'ipotetica tomba di Re Artù fu il luogo più gettonato e, anche quando la comitiva ripartì per tornare in città, non si parlò d'altro.

Chi imitando le gesta del fantomatico eroe, chi gorgogliando in falsetto per impersonare Ginevra, i ragazzi parevano frenetici e allegri.

Le ragazze, più contenute, osservavano i compagni con ampi sorrisi, e alcune si lanciarono pure in battute entusiastiche, o in autentici cori da stadio.

Tyler, più di tutti, si impegnò per essere il mattatore del gruppo e, forte delle sue capacità mimiche, impersonò un Artù davvero degno di nota.

Artù che, sceso che fu dall'autobus, prese la mano di Cecily per volgerla verso di sé e, ancora pienamente in parte, esclamò: “Voi, gaudente dama dalla fulgida chioma, aiutatemi a scacciar da lo mio core le pene d'amor perduto!”

Tutti risero di gusto, insegnanti compresi e Cecily, non volendo essere da meno, replicò con tono angosciato: “Ma onesto e gentil cavaliere, mai potrei donarvi un cotal sollievo, poiché lo cor mio già di quest'uomo è parte.”

Tyler allora, fissando bieco il professor Darcy, nascose dietro di sé Cecily come a volerla proteggere e, estratta un'illusoria spada, esclamò: “A singolar tenzone io vi sfido, fellone! L'incantevole dama non potrà mai esser vostra!”

Entrando in parte al pari degli altri, William si mise in posa e, estratta a sua volta un'ipotetica spada, declamò con voce tonante: “Pur se di Camelot signore, non lascerò mai la mia diletta al re! Ella per diritto divino mi appartiene, poiché possiede a sua volta lo cor mio, e tra le delicate mani lo protegge con ardore!”

“Sarà la lucente lama dell’onore, a decider di noi due! Orsù, combattiamo!” gridò Tyler, esibendosi in un affondo esagerato.

Darcy stette al gioco mentre Cecily, le mani giunte al petto e l'espressione fintamente terrorizzata, osservava al pari degli altri quell'incontro all'ultimo sangue.

Stephenie e Miranda applaudirono la scena e gli studenti, letteralmente rapiti, iniziarono a fare il tifo, chi per l'uno chi per l'altro.

Allievo e insegnante finsero mosse ai limiti del ridicolo, aggiungendovi suoni onomatopeici e sguardi impegnati, il tutto corredato dai gridolini di Cecily che, da brava dama, era in pena per l'amato.

Quando infine Darcy colpì al cuore uno sventurato Tyler, quest’ultimo crollò a terra con gran stile e, con mano tremante, chiese a Cecily di avvicinarsi.

Presa nella sua le mani di lei, mormorò roco: “Giunge infine la morte, ma lo cor mio è lieto, poiché so che costui sarà degno protettore e onesto cavaliere. Muoio sereno.”

E, con gran diletto delle ragazze, esalò l'ultimo respiro prima di balzare in piedi per esibirsi in profondi inchini e ampi sorrisi.

Cecily e Darcy applaudirono al pari degli altri e la donna, con tono più che ironico, celiò: “Certo che, per fare il buffone, sei proprio fatto apposta.”

“Lo considero un complimento, prof.”

Ammiccando, le fece il baciamano e, giusto per non farsi mancare nulla, concesse medesimo servizio alle altre professoresse, che ridacchiarono deliziate.

Cecily le fissò a dir poco disgustata – ma si poteva essere più galline? – ma non disse niente, limitandosi a sorridere divertita a Darcy.

“Combatti bene, messer cavaliere” dichiarò lei, dandogli una pacca sul petto col dorso della mano.

“Anni di pratica, madama” replicò lui, lanciando un'occhiata a Tyler, in quel momento circondato dalle compagne di corso. “Devo essere geloso?”

“Di Tyler? Per l'amor di Dio!” esalò la donna, scoppiando a ridere. “Quel ragazzo gioca con me perché sa che può farlo, ma non devi temere ci sia del torbido.”

“Non so... ti guarda come un cucciolo adorante. Magari, si è preso una cotta per te” buttò lì Darcy, lanciandole un'occhiata divertita soltanto a metà.

“William, credimi, Tyler non ha una cotta per me” lo tranquillizzò Cecily.

Come spiegare che quello sguardo, bene o male, lo avevano tutti i membri del suo Clan?

“Scusa. Non dovrei neppure pensarle, certe cose” ridacchiò imbarazzato Darcy, scuotendo una mano per liquidare il discorso.

Stephenie, battendo le mani, richiamò all'ordine tutti gli studenti, che ormai erano al limite del controllabile, e disse con tono autoritario: “D'accordo, ragazzi! Pomeriggio libero per tutti. Non pensate neppure di creare guai e, soprattutto, non fatemi pentire di questa scelta. Ci ritroveremo all'albero alle sei di stasera. Mi raccomando!”

Un coro di giubilo seguì la dichiarazione della professoressa e, mentre la fiumana di studenti si allargava a ventaglio nella piazza centrale di Glastonbury, Darcy chiese a Cecily: “Ti andrebbe di venire con me da mia madre? Non abita molto distante da qui.”

“Va bene” assentì lei, salutando con un cenno Miranda e Stephenie che, assieme agli autisti del pullman, se ne andarono a passeggio per il centro.

Dopo aver chiamato un taxi, che li raggiunse in breve tempo, la coppia si fece accompagnare poco oltre i confini della cittadina, in aperta campagna, e lì si fermò dinanzi a un cancello in metallo.

Discesi, William si sorprese di trovarlo aperto – sua madre era solita tenerlo chiuso – e, mano nella mano con Cecily, si incamminò lungo la carreggiata che conduceva al piccolo cottage in sasso.

Dall'ampia canna fumaria del camino usciva uno sbuffo di fumo, segno che sua madre era in casa.

Cecily, osservando l'ampio giardino curato e la struttura semplice del cottage, sorrise e disse: “E' davvero molto carino. Sei cresciuto qui?”

“Sì. Al piano di sopra, nel sottotetto, ci sono le stanze mie e di mia madre, mentre al pianterreno ci sono cucina, bagno e soggiorno. Non è una casa molto grande, ma è calda e accogliente e, visto che siamo sempre stati in due, ci bastava” le spiegò lui, lasciandosi trasportare dai ricordi dell'infanzia.

“Non conoscesti mai tuo padre?” si informò la donna, chiedendosi cosa volesse dire crescere senza padre.

La sua vita, per quanto assurda e strana, era comunque stata piena d’amore, e d entrambi i genitori l’avevano sempre protetta e tenuta al sicuro.

“Mia madre mi disse che morì poco tempo dopo la mia nascita e, di lui, non ho neppure una fotografia. Io somiglio abbastanza a mia madre, perciò non ho idea di che lineamenti potesse avere.”

“Che peccato” sospirò Cecily.

“Lei mi ha sempre detto che era alto, bello e forte, con lunghe chiome bionde e occhi verdi come i miei, ma non so quanto di questo sia vero, e quanto sia fantasia.”

“Non guasta, avere una fantasia così bella” scrollò le spalle la donna, accigliandosi per un istante quando percepì un odore strano nell'aria.

Ma che diavolo...?

Guardandosi intorno furtivamente, per non farsi scorgere da William, si chiese cosa vi fosse di strano nei dintorni ma, prima ancora di poter fare qualsiasi cosa, la porta del cottage si aprì.

Sull'entrata, una figura alta e sottile, avvolta da un gradevole chemisier fiorato, sorrise loro con calore e, passatasi una mano tra la folta chioma castana, ormai tendente al grigio, la donna disse: “William, ciao!”

“Mamma” mormorò lui, lasciando per un momento il fianco di Cecily per abbracciarla.

Beh, ora sapeva da dove veniva l'altezza eccezionale di Darcy.

Sua madre superava abbondantemente il metro e settantacinque e, senza dover faticare molto, ipotizzò che anche il padre fosse stato alto.

Osservandoli con un sorriso sulle labbra, apprezzò quel momento di sincera intimità e calore.

Un attimo dopo, si ritrovò addosso gli occhi azzurri di Cordelia Darcy che, curiosa, domandò: “Non mi presenti la tua amica, caro?”

Scostandosi dalla donna, William allungò una mano in direzione di Cecily e, sorridente, disse: “Lei è Cecily Fairchild, mamma. Io e lei, beh, ci frequentiamo da un po'.”

“Dio sia lodato!” esclamò Cordelia, facendo scoppiare a ridere Cecily, che le strinse la mano con cordialità. “Sono veramente felice di conoscerti, cara.”

“A quanto pare, Darcy non è solito portarle a casa donne da conoscere” chiosò Ceel, strizzando l'occhio all'uomo, che appariva chiaramente in imbarazzo.

“E' molto parsimonioso nel concedermi scoop, questo è sicuro” assentì la donna, invitandoli poi a entrare. “Oggi deve essere un giorno davvero speciale, visto che è la seconda visita di giornata.”

“Sicura che non disturbiamo?” si affrettò a dire William, premuroso.

Sorridendo con amore incondizionato, Cordelia replicò sentitamente: “Tu non potresti mai disturbare, caro. Inoltre, penso che questa visita in particolare ti farà molto piacere.”

Sorpreso, Darcy lanciò un'occhiata confusa a Cecily, che scrollò impotente le spalle.

La padrona di casa li condusse senza ulteriori indugi in un piccolo soggiorno, tutto pannelli di legno, tappeti e colori caldi.

Cecily si fece sempre più guardinga, man mano che lo strano aroma percepito all’esterno, si fece più intenso e stuzzicante.

La matrona, sorridendo allegra al figlio, disse con eccitazione: “Lascia che ti presenti tua zia e tuo cugino, William.”

Sgranando gli occhi per la confusione e la sorpresa, l'uomo fissò lo sguardo sulla bellezza bionda e senza età che, seduta compostamente sul divano in broccato, lo stava guardando con aria timida e sorridente.

Accanto a lei, più spavaldo nei modi e nell'abbigliamento, un giovane dai chiari capelli a spazzola e brillanti orecchini di diamanti ai lobi, gli sorrise deliziato e curioso.

Ma entrambi gli ospiti sgranarono gli occhi un secondo dopo quando, nel loro raggio d'azione, entrò anche Cecily.

Questo riconoscimento silenzioso portò entrambe le parti a irrigidirsi, e gli sguardi si fecero immediatamente preoccupati quanto turbati.

Subito, ogni desiderio di conoscere la famiglia di Darcy si sciolse come neve al sole e, messasi in posizione di difesa, ringhiò: “Chi siete?!”

La bionda donna senza età, letteralmente, impallidì per il terrore e il giovane, levandosi in piedi con le mani dinanzi al volto, esalò turbato quanto spaventato: “Pace, Figlia della Luna. Non siamo qui per portare disordini o sofferenze.”

Cordelia e William li fissarono ai limiti della confusione ma Cecily, preferendo essere scoperta piuttosto che mettere in pericolo il suo uomo e sua madre, replicò gelida: “Siete ljósalfr, vero? Ecco perché l'aura di Darcy era così strana. E' un mezzosangue!”

“Colpevoli, Figlia della Luna” assentì in fretta il giovane, mentre la donna al suo fianco ancora osservava terrorizzata Cecily. “Ma siamo davvero venuti qui in pace e, anzi, volevamo mettere in guardia mio cugino da un pericolo incombente.”

“In guardia?” ripeterono in coro Cecily, Darcy e Cordelia, ma per motivi ben diversi.

Il giovane elfo, sospirando afflitto, asserì: “Permettimi di presentarmi, Figlia della Luna. Io sono Puck, del regno di Avalon, e costei è mia madre Titania, sposa di re Oberon. Al momento siamo fuggiaschi e, oserei anche aggiungere, a un passo dall'essere condannati per tradimento.”

Cecily fece per parlare ma William, ora più furioso che confuso, levò una mano per bloccare qualsiasi altro intervento, ed esclamò: “Siete forse tutti impazziti?!”

“Figliolo, so che è difficile crederci, ma...” iniziò col dire Cordelia, subito azzittita da un'occhiata gelida da parte di Darcy.

Puck e Titania fissarono madre e figlio senza sapere bene cosa dire e Cecily, ben comprendendo la difficoltà dell'uomo, dichiarò torva: “E' la pura verità, William.”

“E tu come puoi saperlo, visto che è la prima volta che li vedi?” le ritorse contro lui, con occhi spiritati e feroci. “E poi,  vuoi spiegarmi perché diavolo continuano a chiamarti figlia della luna?”

Lei fece per rispondere, ma il suo udito sopraffino la mise in guardia, bloccandola sul nascere.

Accigliandosi, Cecily fissò dubbiosa Puck e gli chiese: “Siete stati seguiti?”

“Abbiamo cercato di uscire da palazzo non visti, ma le guardie di mio padre erano già dirette qui per prelevare William, perciò...”

Senza voler sapere altro, la donna prese la via della porta, subito seguita a ruota dagli altri e, a gran voce, lanciò un urlo in direzione del vicino bosco.

“Hati! Mánagarmr!”

William la fissò senza capire, incredulo di fronte al suo sguardo volitivo e, soprattutto, a causa dell'uso di quei nomi ancestrali e senza tempo.

“Cecily, ma cosa...?”

Lei lo fissò spiacente e, mordendosi il labbro inferiore, mormorò: “Non avrei mai voluto fartelo sapere a questo modo, William, credimi. Ma preferisco proteggerti e smascherarmi, piuttosto che vederti trascinato via da un branco di elfi della luce.”

Quell'ultima menzione squarciò un velo nella memoria dell'uomo che, rammentando le antiche favole sui miti nordici e sui Nove Regni, si passò una mano sul viso con aria sconvolta.

“Ora ricordo quei nomi... ma... ma non sono reali, vero?”

“Più di quanto tu pensi” dissero all'unisono Puck e Cecily, gli occhi puntati verso la foresta nelle vicinanze.

Dal folto del bosco, in formazione semicircolare, otto uomini e due donne si avvicinarono alla casa e William, basito, riconobbe tra loro la figura imponente di Hugh.

Titania si strinse al figlio ma Cecily, sorridendole a mezzo, la rassicurò sulle loro intenzioni.

“Sono le mie sentinelle e la mia guardia del corpo. Non vi faranno nulla, Maestà.”

Hugh lanciò un'occhiata rapida a Darcy, che sembrava essere stato appena preso a mazzate in testa e, nell'ossequiare la sua Fenrir, domandò confuso: “Perché c'è questo strano odore, Cecily? E loro, chi sono?”

“Elfi della luce. Sono andata un po' a esclusione, dato che gli altri abitanti dei Nove Regni dovrebbero essere un tantino diversi ma, visto che me l’hanno confermato…” spiegò sbrigativamente lei, facendo spallucce senza terminare la frase.

C’era ben poco da dire, in quel momento. Solo agire.

“C'è lo stesso odore nel bosco, ma abbiamo preferito venire qui e abbandonare il perimetro, quando ci hai chiamati.”

“Avete fatto bene” sospirò Cecily, tornando a guardare spiacente Darcy che, dalle sue ultime parole, non aveva più emesso fiato.

Si stava limitando a guardarla come se non l’avesse mai realmente conosciuta, e a ben d’onde.

Ora si trovava di fronte alla verità, e nel modo più cruento possibile.

Un disastro su tutta la linea, poco ma sicuro.

Impotente, Cecily preferì pensare ad approntare le difese, piuttosto che rimuginare su quel problema di proporzioni bibliche.

“Mi sa che potrebbe svenire da un momento all'altro” borbottò Hugh, contrariato non meno della sua capobranco.

“Che gran casino” sbottò la licantropa, passandosi una mano tra i capelli per l’esasperazione.

Di tutti gli scenari che si era creata in testa per ammettere la verità, questa proprio non l’aveva presa in considerazione.

E chi pensava che lui fosse un mezz’elfo, e che i suoi parenti fossero giunti per reclamarlo?!

Di certo, la sua fantasia non arrivava a tanto.

“Si avvicinano, Fenrir” intervenne a quel punto una delle sentinelle, gli occhi fissi sulla foresta e i sensi all’erta.

Puck emise un fischio di ammirazione e, rivoltosi a Cecily, mormorò ossequioso: “Le mie più sentite scuse, Bianca Signora. Non sono in grado di riconoscere le auree come voi, ma non volevo mancarvi di rispetto, in precedenza, quando non ho usato il vostro titolo onorifico.”

“L'ho ipotizzato, Altezza. Non c'è alcun problema” replicò lei, lanciando un'altra occhiata a Darcy, che ora sembrava in procinto di esplodere.

“Quanto non sa di tutto questo, il mio giovane cugino?” si interessò a quel punto Puck, presagendo guai, e tutti concentrati nello sguardo d’acciaio di William.

“Ogni cosa” dichiarò Cecily, lapidaria. “Rientrate in casa, e non uscite per nessun motivo. Roger, Maurinne, Cody, a guardia dell’entrata. Gli altri, con me.”

Già pronta ad allontanarsi, Darcy la bloccò a un polso, trattenendola accanto a sé mentre gli altri obbedivano lesti agli ordini.

I loro occhi si incontrarono, confusi gli uni, contriti gli altri e lui, con voce resa roca dall'ansia, le domandò: “Cosa vuoi fare?”

“Mostrarti chi è un figlio della luna. E, nel frattempo, pregherò che tu possa non odiarmi troppo per i miei silenzi.”

Scostatasi da lui, lo sospinse poi verso la porta.

“Vai! Entra! E' pericoloso qui fuori, per te!”

“E per te, no?” le ritorse contro lui.

Lei sorrise mesta e, scuotendo il capo, mormorò: “Come vedrai ben presto, no.”

Hugh si affrettò a condurla lontano, fuori dal muro di cinta che proteggeva la piccola proprietà.

William, sospinto all'interno dalle sentinelle di Cecily, si ritrovò nuovamente in soggiorno con la sua strana, nuova famiglia.

Seduti sul divano, che la madre aveva sistemato dinanzi a un'ampia vetrata, Titania e Puck erano già in osservazione della radura dietro casa, mentre Cordelia scrutava ansiosa il figlio.

“Scusami, avrei dovuto raccontarti ogni cosa.”

Darcy crollò su una sedia, si passò le mani su volto e capelli e, infine, esalò: “Mamma... ma che succede?”

“Puck e Titania sono realmente chi dicono di essere, e tuo padre è il fratello di Oberon. Si chiama Syldar, e non è vero che morì poco dopo la tua nascita. Dovette tornare ad Alfheimr per non mettere in pericolo me e te.”

Cordelia lo raggiunse dopo quell'ammissione, gli sfiorò le spalle squassate da tremori violenti e, aggiunse: “Non volevo mentirti, ma sapevo che la verità ti avrebbe sconvolto.”

“Poco ma sicuro” ironizzò aspro lui, lanciandole un'occhiata adirata.

“Arrivano!” esclamò Puck, spostando su di sé l'attenzione di tutti.

Darcy si levò in fretta dalla sedia e si precipitò alla finestra per vedere a sua volta ma, ciò che si presentò al suo sguardo, fu tutto tranne che normale.

O di questo mondo.

Alti elfi dalla bionda chioma, e dalle scintillanti armature brunite, avanzarono verso il gruppo compatto che proteggeva la casa.

Cecily si trovava innanzi a tutti, feroce nella posa e con la chioma scarlatta sparsa dal vento.

“Ma perché è la davanti? Che vuole fare?!” esclamò Darcy, già pronto a uscire per raggiungerla, a dispetto di tutto.

Puck ne bloccò i movimenti afferrandolo al polso e, serio in viso, disse: “E' là perché è la loro Signora, ed è la creatura più potente tra loro.”

“Creatura?” ripeté sconvolto lui.

Un attimo dopo, ebbe le sue risposte.

Uno dopo l'altro, i corpi di coloro che proteggevano la casa mutarono le loro sembianze umane per prendere quelle di enormi lupi, dai manti più disparati e multicolori.

Uno in particolare, però, attirò la sua attenzione e lo portò a reprimere un grido di puro sgomento.

Il lupo più grande, quello che aveva preso il posto di Cecily in maniera così terrificante, si rivelò essere la creatura più bella e fiera che lui avesse mai visto.

Si avventò per prima sugli assalitori, presi alla sprovvista dalla loro presenza, subito seguita a ruota dai suoi compagni che, con mosse rapide e precise, ingaggiarono battaglia con il nemico.

La battaglia fu breve e non cruenta.

Non vi fu spargimento di sangue, e solo un misero tentativo di lotta venne messo in campo dagli elfi, impreparati a quel genere di nemico.

Quando infine la radura fu nuovamente scevra di nemici, Darcy fuggì all'esterno.

Le tre sentinelle di guardia lo lasciarono passare, con uguali uggiolii di sorpresa e William, nonostante tutto, riuscì a non svenire per la paura.

Di corsa, raggiunse il muricciolo di cinta e lo scavalcò con un balzo, nella testa un unico pensiero.

Quel che gli interessava era più importante del suo timore, della sua confusione, di tutto ciò che di sconvolgente gli stava squassando l’animo.

Lui voleva Cecily.

Quando infine si ritrovò dinanzi a quella distesa di lupi enormi – il più piccolo raggiungeva al garrese la sua spalla – esclamò: “Cecily!”

La lupa nivea si volse verso di lui e, con passo esitante, si avvicinò all'umano che l'aveva chiamata, il turbamento ben evidente nei chiari occhi verdi.

Quegli occhi!

Darcy li aveva già visti, in almeno due occasioni.

Non era stato un gioco di luci, ma la pura verità. Il suo lupo aveva cercato di uscire, di prendere il sopravvento sulla donna.

“Cecily...” ripeté lui, con tono più quieto.

La lupa si avvicinò ancora e, quando fu a un passo da lui, si accucciò a terra e, a orecchie basse, uggiolò mogia.

Scodinzolando sull'erba smossa, Cecily lo fissò in cerca di comprensione, la lingua a penzoloni tra i denti e l'espressione più pacifica che il suo muso di lupa le permise.

Darcy la fissò senza parlare mentre gli altri lupi, immobili come statue, osservavano la scena senza fiatare.

Non seppe mai dire quanto tempo passò lì impalato a fissare quegli occhi di giada, ma alla fine si inginocchiò e, con mano leggermente tremante, accarezzò l'enorme capo del lupo bianco.

Cecily scodinzolò più forte e William, lasciandosi sfuggire una risatina isterica, esalò: “Sei tu? Non sto avendo un incubo a occhi aperti?”

Lei abbaiò una volta, facendolo sobbalzare per la sorpresa.

Levato il muso da terra, che venne a trovarsi più o meno alla sua altezza – Darcy era ancora in ginocchio – lo fissò con i suoi profondi occhi verdi e uggiolò.

Lui allora fece la cosa più folle che, una persona comune, avrebbe potuto fare e, con un sospiro, allacciò le sue braccia attorno alla gorgiera del lupo.

E pianse.

Lo fece in silenzio, senza singhiozzi o parole smozzicate.

Pianse e basta e, per tutto il tempo, Cecily rimase ferma mentre i suoi lupi, uno dopo l'altro, si rifugiarono nel bosco per recuperare i propri cambi d'abito.




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Ed ecco che parte dei nodi vengono al pettine. Di sicuro, William avrà un bel mal di testa, e per un po'. :-)


  
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