Dov’erano
rimasti?
«Ciao,
Allie. Se ti venissi a prendere tra dieci minuti,
saresti pronta?» domandò.
La
ragazza trattenne il respiro, certa che forse uno
scherzo. Mancavano più di quaranta minuti alle sette e lei
non era minimamente
pronta. «No» rispose.
«Cos’è successo?»
«Beh…»
Thomas tentennò, non volendo rivelare il proprio
errore. Poi pensò che la verità era comunque la
migliore delle alternativa. «Ho
guardato gli orari sbagliati, il film inizia alle sette e non alle
sette e
mezza» rivelò.
Lo
sentì sospirare, prima di parlare. «Mi
dispiace» si
scusò. «Anzi, sai cosa?» riprese.
«Prenditi tutto il tempo che ti serve,
m’inventerò qualcosa.»
[…]
Thomas
la stava aspettando seduto sul divano.
A story of everyday life
Capitolo 3
Allie
capì di aver scelto l’abbigliamento adatto: Thomas
indossava dei jeans scuri e una camicia bianca che sembrava risplendere
sulla
sua pelle abbronzata. Non aveva mai capito come potesse avere sempre un
colorito tanto sano anche d’inverno. Si alzò non
appena la vide arrivare e
Allie si beò del sorriso che vide spuntare sul suo volto.
«Valeva
la pena aspettare» commentò, osservandola.
«Sei
bellissima.»
«Grazie.»
Allie lo guardò, senza riuscire a celare la
felicità che l’aveva improvvisamente avvolta.
«Stai molto bene anche tu, ti
posso addirittura perdonare il fatto di avermi messo fretta.»
In
realtà aveva impiegato meno tempo del previsto per
finire di prepararsi, ma non sarebbero comunque riusciti a raggiungere
il
cinema in tempo.
«Cosa
prevede la serata?» domandò, mentre si dirigeva in
cucina per lasciare una nota ai genitori, dove spiegava di essere
uscita e di
non essere certa dell’ora in cui sarebbe tornata.
«È
una sorpresa» le ricordò Thomas, aprendole la
porta di
casa.
«Non
è saltata anche quella?» chiese, curiosa.
«In
realtà è l’unica cosa che è
rimasta» confessò,
aspettando che chiudesse a chiave. Le aprì lo sportello
dell’auto, un’azione
che non aveva mai compiuto in vita sua per nessuno, se non per sua
madre quando
era incinta di Dafne. Allie sorrise, accomodandosi e sistemandosi il
vestito.
Considerò che, nonostante tutto, sembrava essere in grado di
salvare la
situazione.
In
fondo a lei non interessava affatto il film, aveva
accettato solo perché era stato lui a proporlo.
Thomas
si allacciò la cintura e mise in modo, posò un
braccio dietro al suo schienale per fare la retromarcia e, prima di
inserire la
prima, si fermò un attimo a guardarla, finché lei
non gli intimò scherzosamente
di muoversi, per non bloccare il traffico.
Allie
non tentò nemmeno di capire dove la stesse
portando: doveva essere una sorpresa e, ora che non poteva fare nulla
per
cambiarla, voleva davvero stupirsi. Così si mise ad
armeggiare con la radio,
consapevole che la cosa lo faceva innervosire. Si fermò su
una stazione che
trasmetteva una canzone dei One Republic: quel gruppo le piaceva,
sebbene non
riuscisse a ricordarsi i nomi delle loro canzoni. Riconobbe la melodia
e
cominciò a canticchiarla, accompagnata dalla risata di
Thomas. Di certo non era
per il suo tono, Allie sapeva di avere un’ottima voce.
Lately, I’ve been, I’ve
been
losing sleep
Dreaming about the things that we
could be
But baby, I’ve been, I’ve
been
praying hard,
Said,
no more counting dollars
We’ll
be, we’ll be, counting stars
«Che
c’è di divertente?» domandò,
fermandosi.
Lui
scosse la testa, incitandola a continuare e smettendo
di ridere, sebbene fosse chiaro che c’era qualcosa che lo
divertiva in quella
situazione.
«Dai,
dimmelo!» insisté lei. Lui continuò a
negare, poi
tolse una mano dal volante per prendere qualcosa dallo scomparto al suo
fianco.
Le porse un pezzo di stoffa nera e Allie
l’afferrò, rigirandoselo tra le mani.
«Che
cos’è?» domandò, sollevandolo
per studiarlo.
«Una
benda» rispose lui. «Indossala, per
favore.»
Allie
lo guardò, scioccata. Stava scherzando? Voleva
farle una sorpresa, okay, ma non era necessario arrivare a quel punto.
«Perché
mai?»
«Perché
non voglio farti vedere dove andiamo finché non
siamo arrivati» spiegò.
«E
chi mi assicura che non ti approfitterai della mia
momentanea cecità?» chiese, in tono di sfida.
«Fidati
di me» disse semplicemente. «Fa parte della
sorpresa.»
Sbuffando,
Allie lo accontentò, attenta a non rovinare i
capelli. Thomas ne fu soddisfatto: se lei avesse visto dove si fossero
fermati,
di certo non ne sarebbe stata entusiasta. La vera sorpresa, dopotutto,
non era
visibile da una prima occhiata.
Thomas
fermò l’auto dopo pochi minuti e
l’aiutò a
scendere, sostenendola con un braccio intorno alla vita per guidarla e
non
farla cadere. L’aiutò a salire un paio di gradini
e la fece entrare
nell’ascensore, sorridendo divertito al suo sussulto quando
cominciarono a
salire.
«C’è
molto silenzio qui» commentò Allie, riferendosi
non
soltanto all’ascensore ma anche agli attimi precedenti. In
effetti
l’appartamento del suo amico si trovava in una zona
abbastanza fuori città, c’era
poco traffico e non avevano incontrato nessuno nell’androne
del palazzo. Anche
l’illuminazione stradale iniziava a farsi più rada
del solito, ma questa
caratteristiche poteva avere anche un lato positivo.
Le
porte dell’ascensore si aprirono e Thomas le fece fare
solo pochi passi, prima di aprire la porta dell’abitazione.
La richiuse dentro
di sé e, accese le luci, le slegò la benda.
Quando aprì gli occhi, Allie si
ritrovò la vista occupata da un fiore: un tulipano rosa, di
un colore caldo e
accogliente che esaltava quella forma particolare. Alzò lo
sguardo, incontrando
quello incerto di Thomas.
«Un
fiore al primo appuntamento?» domandò, notandolo
vacillare.
«Troppo
presto? Mi avevano avvertito che non si fa, ma mi
sembrava un’idea carina» si scusò
guardando in basso.
«Non
è troppo presto» lo rassicurò.
«È un bel gesto,
grazie.»
Strinse
a sé quel fiore; pensava realmente ciò che aveva
detto. È vero che solitamente non avrebbe gradito un simile
regalo al primo
appuntamento, ma la loro situazione non era ordinaria e dopotutto non
si
trattava di un mazzo di rose rosse, solo di un semplice tulipano.
Thomas
tirò un sospiro di sollievo vedendo spuntare un
sorriso sul suo volto: aveva scelto di lasciare quel piccolo dono
all’appartamento, un po’ perché portarlo
al cinema sarebbe stato scomodo, un
po’ perché temeva una reazione peggiore e voleva
evitarla in pubblico.
«Dove
siamo?» domandò poi Allie, guardandosi intorno. Si
trovavano in un corridoio stretto che portava a una stanza ancora al
buio.
«Vieni»
disse lui, porgendole una mano. Quando sentì
Allie stringere la sua, s’incamminò verso la
stanza e accese la luce. Era un
salotto arredato in modo semplice e moderno: un divano rosso con un
tavolino
basso davanti e un grande televisore corredato di registratore e
lettore dvd
appeso al muro di fronte.
Thomas
la invitò ad accomodarsi mentre si spostava in una
stanza vicina, quella che sembrava essere la cucina. Allie si sedette,
cercando
di ascoltare cosa stesse succedendo. Sentì un ronzio simile
a quello di un
forno microonde in funzione e un noto scoppiettio. Popcorn?
pensò, confusa.
Dopo
poco Thomas tornò con una vaschetta di popcorn e due
bottiglie di birra tra le mani.
«Ho
pensato che potremmo concederci queste, dato che non
c’è nessuno che ci controlla»
spiegò, posando tutto sul tavolo.
«Hai
rubato la pellicola per caso?» chiese Allie. Non
poteva avere davvero il film che avrebbero dovuto vedere al cinema.
«No,
ho pensato di andare sul sicuro. Non avevi detto che
questo è il miglior film degli ultimi dieci anni e che
dovevo assolutamente
vederlo?» domandò lui, avviando il dvd e sedendosi
accanto a lei.
Sullo
schermo comparve la sigla de Il discorso del
re.
Allie
batté le mani in un istante di gioia, provocando
una risata da parte di Thomas. Era contenta, non tanto per la scelta
del film
che adorava, ma perché questo dimostrava che lui
l’aveva ascoltata davvero.
«Non
te ne pentirai!» gli assicurò, infilando la mano
nella vaschetta in equilibrio sulle loro gambe.
| { |
Thomas,
che non era appassionato di film storici e
preferiva di gran lunga guardarsi Il
signore degli anelli, ogni tanto sembrava perdersi. Non
capiva cosa stesse
succedendo, quale personaggio interpretasse quell’attore, che
anno fosse.
Allora Allie gli spiegava tutto con gentilezza, con una voce
interessata che
permetteva di capire quanto le piacessero certi argomenti. Aveva
imparato a
conoscerla grazie alle loro lunghe telefonate, ma ora che ce
l’aveva davanti
era tutto diverso. Vedeva i suoi occhi brillare mentre ripercorreva la
storia
del re, mentre combatteva con se stessa: era troppo entusiasmata per
raccontare
tutto con calma e le parole si accavallavano in discorsi contorti.
Aveva dovuto
fare uno sforzo enorme per non scoppiare a ridere alla vista di quel
dibattitto
interiore. Gli era andata bene, dopotutto: lei era così
impegnata a guardare il
film che non si sarebbe nemmeno accorta del suo sguardo insistente. Era
anche
per quello che si distraeva tanto: invece di prestare attenzione agli
attori,
si ritrovava a osservare lei.
«Che
c’è?» domandò Allie,
voltandosi per guardarlo in
faccia.
Lui
aggrottò la fronte, confuso. Forse stava osservando
con meno intensità di quanto immaginasse il film.
«Mi
stai fissando» disse Allie. Avrebbe giurato di averlo
visto arrossire, anche se in modo molto lieve.
«Ehm…»
temporeggiò lui. «Preferisci che guardi la
regina?» chiese, cercando di salvarsi.
«Che
significa?»
«Beh,
lei è una bella donna, ma stavo pensando che tu sei
più carina» inventò, anche se a
un’attenta analisi quelle parole si sarebbero
rivelate vere.
Lei
sbuffò, dandogli un pugno sulla spalla e mormorando
un «idiota!» prima di tornare alla tv.
Thomas
decise di provare a seguire il film e, cercando di
agire con nonchalance, passò un bracciò intorno
alle spalle della ragazza,
appoggiandosi allo schienale del divano e sfiorandola appena. Si
sentiva come
un quindicenne alle prese con il primo appuntamento al cinema, un
insieme di
occhiate nascoste e tocchi improvvisati.
La
sentì fremere al contatto, ma non commentò.
Non
l’avrebbe mai ammesso, ma quel film iniziava a
piacergli. Al di là del soggetto storico, la relazione tra
il re e sua moglie
era ammirevole. Era una storia molto romantica che in fondo lo
attraeva: lei
aveva scelto di sposarlo non per il suo ruolo, dopotutto era il figlio
minore e
non sarebbe dovuto diventare sovrano, piuttosto per la sua dolcezza nei
suoi
confronti. Il suo supporto nei lunghi anni spesi cercando di vincere la
balbuzie, il fatto che nonostante questo per lei era l’unico
uomo, ma anche il
rapporto con le due figlie. Tutto aveva un’aria domestica e
veritiera, anche se
le loro vite dovevano essere alquanto pubbliche all’epoca.
Thomas
apprezzava la naturalezza con cui veniva
rappresentato il loro amore e sperava un giorno di raggiungere quel
sentimento.
Aveva avuto varie relazioni, più o meno serie, ma nessuna
sembrava essere
quella giusta. Anche mentre le frequentava, sapeva che mancava
qualcosa:
nessuna l’aveva fatto sentire a casa, nessuna era stata in
grado di rendere
così naturale la loro relazione. Si era sempre sentito quasi
in dovere di
uscire con loro, spinto dal desiderio o da un impegno: non aveva mai
passato
una serata semplicemente steso sul divano con loro senza far nulla,
aveva
sempre dovuto trovare qualcosa che riempisse il loro tempo.
Forse
stava aspirando a troppo, forse le parole
insistenti di sua madre gli avevano dato alla testa o forse stava solo
esagerando il momento, ma sentiva che in futuro avrebbe potuto avere
tutto ciò
con Allie.
«A
che pensi?» gli domandò la ragazza, notando il suo
sguardo perso.
Lui
le sorrise. «È un bel film»
affermò, senza mentire.
«Lo
so» concordò lei, sistemandosi meglio sul divano.
Il
braccio di Thomas era ormai finito proprio sulle sue
spalle, senza più il sostegno dello schienale, ma lei non
sembrò curarsene.
Anche
se non lo dava a vedere, nemmeno Allie stava
seguendo così attentamente il film. Lo adorava e lo
conosceva quasi a memoria,
ma in quel momento si sentiva circondata dal calore e dal profumo di
Thomas e
non riusciva a concentrarsi. Sentiva il suo sguardo addosso ma non
aveva il
coraggio di incontrarlo, così continuava a guardare davanti
a sé, beandosi di
quelle attenzioni.
Ogni
tanto, però, non resisteva e gli lanciava
un’occhiata mentre un sorriso si formava sulle sue labbra,
consapevole che si
sarebbe scontrata con il suo sguardo. Allora prendeva un sorso di birra
e
immergeva la mano tra i popcorn, ringraziando la sua
incapacità di consultare
gli orari delle programmazioni cinematografiche.
| { |
«Ora
sei tu che mi stai fissando» disse Thomas. Ed era
vero. Il film era finito e Allie aveva volto lo sguardo verso di lui,
curiosa
di sapere qual era il responso.
«Beh?»
domandò. «Che ne pensi?» Non si era resa
conto
subito di quanto erano vicini: lui la stava ancora abbracciando, i loro
fianchi
erano attaccati e le loro teste non poi così lontane.
«Mi
è piaciuto» affermò, indugiando con gli
occhi
sulle sue labbra. Avrebbe voluto baciarla, ma sapeva che sarebbe stato
davvero
esageratamente presto. Forse a fine serata, prima di tornare a casa.
«Certo
che ti è piaciuto, io
ho ottimo gusto» gli ricordò, allontanandosi quasi
impercettibilmente.
«Quindi
devo ritenermi
affascinante, dato che ti piaccio anche solo un
po’» considerò lui. Stava
scherzando e Allie non faticò a capirlo, non quando il tono
della sua voce era
così ironico. Thomas si era alzato e le stava porgendo la
mano per aiutarla a
sollevarsi, pronto a condurla in cucina, dove aveva apparecchiato il
tavolo.
Non
aveva previsto un grande
menu: aveva preferito non andare al ristorante per avere maggior
privacy, ma
credendo di riuscire ad andare al cinema non aveva nemmeno il tempo di
cucinare. Anche se la situazione era cambiata, non si riteneva un gran
cuoco e
aveva deciso di non avvicinarsi ai fornelli: aveva preparato dei piatti
freddi
che potessero essere pronti in qualsiasi momento.
Dopo
che Allie si fu seduta,
sistemò in tavola del riso alla cantonese, degli affettati e
della frutta. Lei
non si mostrò stupita da quella scelta, sebbene la trovasse
singolare, e
cominciò a servirsi mentre lo interrogava sulla provenienza
di quei piatti. Si
era messo a cucinare, se pur per poco tempo e con piatti semplici, o
aveva
ordinato tutto da casa?
Thomas
non aveva fatto altro
che passare al supermercato a ritirare gli affettati e sistemare la
frutta, il
riso l’aveva ordinato al suo ristorante cinese di fiducia.
Scelse di dire la
verità che, anche se non era lusinghiera, non era poi
così tremenda.
«Non
volevo rischiare di
avvelenarti» disse, «non sono stato io a
cucinare.»
«Non
sei capace?» domandò
allora lei, curiosa.
Lui
scosse il capo e si
sorprese di vederla ridere. «Nemmeno io»
confessò. «Oddio, so buttare un piatto
di pasta e cucinare una bistecca, ma nient’altro.»
«A
me piace la pasta» commentò
con un’alzata di spalle, versandole da bere.
«E
quindi?» Allie finse di non
capire dove volesse arrivare, ma si era resa conto che stava
cominciando ad
abbondare di allusioni a ciò che c’era tra loro.
«Chi ha detto che cucinerò per
te?»
«Come
fai a sapere che non lo
farai?» replicò lui.
«Al
massimo dovrei fare come
te: lasciare che se ne occupino gli altri per non rischiare di farti
star male»
ponderò, scherzando.
«Sono
pronto a correre il
rischio» le assicurò con un sorriso, scivolando
con lo sguardo sul tulipano che
era stato posato sulla tavola, accanto a lei.
«Poi
non ti lamentare se starai
male» lo avvertì.
«Conosco
alcuni dottori, non
sarà un problema farmi curare» rispose,
riferendosi chiaramente ai suoi studi
di medicina.
«Come
va con gli esami?»
domandò allora Allie. «Non ne hai uno tra
poco?» Durante le loro telefonate le
aveva raccontato di cosa l’avesse spinto a fare quella
scelta, delle difficoltà
degli anni passati e di quelle presenti, degli esami sempre troppo
corposi e
dell’imminente scadenza di alcuni di loro.
«La
prossima settimana» disse.
«Sono un po’ indietro a dire il vero ed
è colpa tua.»
«Come
sarebbe a dire colpa
mia?»
«Non
riesco a concentrarmi»
ammise, osservando la sua reazione. «Ho sempre la testa da
un’altra parte.»
Allie
rise a quella risposta:
un po’ le dispiaceva essergli d’intralcio, ma le
faceva anche piacere sapere
che pensava a lei. «Allora dovrò starti lontana
per un po’.»
«Non
è necessario» la fermò.
«In questo modo posso mettermi alla prova.»
«Non
vorrai propormi di
ripassare anatomia con te, spero.» Allie mise le mani avanti,
augurandosi che
non stesse per fare quella squallida battuta che aveva sempre odiato.
«Mi
dispiace deluderti, ma
l’esame è di farmacologia» concluse,
notando che Allie aveva smesso di mangiare
da un pezzo.
«Pronta
per la seconda parte
della serata?» chiese mentre si alzava. Lei annuì,
seguendo il suo esempio e
accodandosi a lui quando si diresse verso la porta
dell’appartamento.
«Andiamo
via?» s’incuriosì.
«Non
ancora» rispose, salendo
le scale che portavano al tetto. Quel pomeriggio, quand’era
venuto a
controllare che tutto fosse al suo posto, aveva sistemato una trapunta
e un
paio di cuscini vicino alla porta, così ora non dovette fare
altro che
sistemare un momento prima di invitare Allie a stendersi con lui.
Erano
le undici passate e il
cielo era illuminato solo dalle stelle. C’era qualche
lampione qua e là, ma non
sufficienti a impedire la visuale. Non aveva mai amato molto rimanere
fermo a
guardare il cielo, nemmeno quando andava al mare, ma aveva pensato che
era un
posto come un altro per parlare e certo a lei non sarebbe dispiaciuto.
«Tu
invece cos’hai intenzione
di fare adesso?» domandò, guardandola.
«Non
ne ho idea. I miei
vorrebbero che m’iscrivessi a medicina, ma ormai è
tardi e non fa per me. Credo
che mi prenderò un anno sabbatico: cercherò un
lavoretto e magari scoprirò cosa
fare poi.»
«Credo
che al Blue Secret
cerchino una cameriera» la informò, non del tutto
disinteressato.
«Come
fai a saperlo?» lo
interrogò.
«È
il bar più vicino
all’università, spesso mi fermo a mangiare
lì con i miei amici» spiegò.
«Quindi
avrei sicuramente un
cliente che mi farà laute mance»
scherzò.
«E
io che pensavo che mi
avresti fatto lo sconto!» rise Thomas. «Prova ad
andare a vedere» continuò poi,
più serio. «Sarebbe carino.»
«Cosa?»
«Beh,
avrei una scusa per
tormentarti e vederti di più» rivelò.
| { |
Già
da un po’ avevano smesso
di parlare ed erano rimasti semplicemente sdraiati in silenzio, a
guardare il
cielo e a pensare al rapporto inaspettato che stava nascendo tra di
loro. Il
fruscio degli alberi, mossi da un lieve venticello, li cullava in una
calma
quasi irreale per la città in cui si trovavano. Di tanto in
tanto sentivano
passare un auto e qualche risata giungeva dalle case vicine, ma nulla
sembrava
poter interrompere quello stato di quiete.
Allie
si rese conto di essere
più stanca di quanto si aspettasse, nonostante avesse preso
parte del
pomeriggio proprio per riposarsi. Le corse pazze di quella mattina
l’avevano
sfinita e ora sentiva che gli occhi lottavano per restare aperti.
L’agitazione
se n’era andata da un bel pezzo, da quando aveva incrociato
gli occhi di Thomas
nel salotto di casa sua, lasciandola però spossata.
Rotolò sul fianco in modo
da trovare una posizione più comoda e da poter guardare
Thomas in faccia.
«Spero
che tu non ti offenda
se per caso mi capitasse di addormentarmi»
sospirò, riuscendo appena a scorgere
i suoi occhi nel buio che li circondava.
Lui
ridacchiò prima di
risponderle. «Sono così noioso?»
«No,
ma oggi non ho avuto un
attimo di pace» si lamentò, prima di passarsi una
mano sulla fronte.
«Cosa
ti ha tenuto così
impegnata?» domandò allora, curioso.
«Le
solite cose: spesa,
bollette da pagare, lavatrici da riempire e poi svuotare, rapimenti in
garage…»
Thomas
rise a quella
frecciatina, prima di toccarsi la punta del naso. «Sta per
piovere?» chiese,
sentendo un’altra goccia posarsi sulla sua guancia.
«Credo
di sì» concordò Allie,
mentre sentiva che le sue braccia cominciavano a bagnarsi.
«È
meglio rientrare» disse
Thomas, alzandosi e dirigendosi verso la porta del tetto per accendere
la luce.
In fretta, perché la pioggerella si faceva sempre
più fitta, appallottolarono
la trapunta e raccattarono i cuscini, prima di ritornare
all’asciutto. Scesero
le scale, diretti all’appartamento, mentre Allie cercava di
dare una forma ai
suoi capelli che, a causa dell’acqua, avevano perso la piega
che si era tanto
sudata.
Thomas
entrò in bagno e tornò
con un asciugamano, che le porse mentre posava la coperta su un angolo
del
divano. Allie cominciò a tamponarsi i capelli, guardandolo
sistemare la stanza.
Si era bagnato anche lui, ma questo non sembrava infastidirlo. Aveva
passato
una mano tra i capelli per spingerli indietro e ora avevano assunto una
piega
assurda che gli conferiva un’aria quasi infantile.
Si
avvicinò e, fermatolo,
cercò di sistemarli, rendendosi conto però che
non sembravano propensi a
seguire le sue direttive. Sbuffò, abbassando lo sguardo per
incontrare il suo.
«Arrenditi,
non ci riuscirai
mai» le disse lui, con sicurezza.
«Sono
troppo stanca per
prenderla come una sfida» confessò, dopo averlo
studiato per un attimo.
«Vuoi
che ti porti a casa?»
domandò allora Thomas, sfiorandole il collo con una carezza.
Allie abbassò gli
occhi verso la sua mano, incerta.
Era
effettivamente sfinita ma
non era sicura di volerlo lasciare; inoltre, lui avrebbe potuto
interpretare
male il suo desiderio, sebbene credesse che ormai la conoscesse
abbastanza per
non farlo. Così si limitò a guardarlo, senza
parlare.
«Ti
porto a casa» ripeté,
questa volta con convinzione. Spense la luce della cucina –
sarebbe tornato a
sistemarla il giorno dopo – e
l’accompagnò alla porta, posandole una mano sulla
schiena.
Il
tragitto in auto fu
accompagnato solo dalle canzoni che trasmettevano alla radio, ma questo
silenzio non era pesante, né imbarazzato. Si trovavano in
uno stato di calma,
una tranquillità che non necessitava di parole. Solo quando
erano ormai
arrivati a casa di Allie e Thomas stava per parcheggiare la macchina,
sembrarono risvegliarsi da quel torpore.
«So
che dovrei aspettare i tre
giorni canonici, o perlomeno che tu rientri in casa così da
potermi rifiutare
senza vedere la mia faccia disperata, ma sono stato davvero bene con te
stasera. Mi piacerebbe replicare» disse, guardandola
sorridere alle sue parole.
«Saresti
davvero disperato?»
chiese lei.
«Immensamente»
dichiarò.
«Allora
suppongo di dover
accettare» concordò Allie, ridendo. Si fece seria,
però, notando lo sguardo di
Thomas. La stava fissando e quasi la metteva a disagio. «Che
c’è?» domandò,
mentre lo vedeva tentennare. «Thomas?» lo
chiamò ancora.
«Posso
baciarti?» chiese lui,
incontrando i suoi occhi. Allie sbatté le palpebre,
sorpresa. Non per la
richiesta, sapeva che quel momento sarebbe arrivato, anche se non
credeva
sarebbe stato quel giorno. Ciò che la stupiva era che lui le
stesse chiedendo
il permesso: aveva immaginato che l’avrebbe semplicemente
baciata, senza tante
esitazioni.
Non
pensò nemmeno alla
risposta, si avvicinò lentamente a lui, ricambiando lo
sguardo. Anche se non
aveva detto nulla, Thomas aveva capito. Lui non si mosse lentamente,
anzi: in
un attimo Allie si ritrovò le sua mani attorno al viso e le
sue labbra sulle
sue. Fu un piccolo bacio, dolce, a stampo. Niente di erotico o lascivo,
ma
sufficiente per chiudere nel migliore dei modi quella serata. Per un
attimo
Allie non sentì altro che lui intorno a sé: le
sue mani, il suo profumo, la sua
bocca. I respiri caldi che s’infransero l’uno
contro l’altro quando si
separarono sembravano testimoni di un’unione più
profonda di quel semplice
bacio.
«Ora
vado» mormorò Allie,
passandosi quasi inconsapevolmente la lingua sulle labbra.
Lui
annuì, sussurrandole un
saluto. «Buonanotte.»
«Notte»
ripeté lei, chiudendo la portiera dell’auto.
Thomas
la guardò rientrare, prima di lasciarsi andare contro il
poggiatesta con un sospiro.
Cosa
gli aveva fatto quella ragazza?
La
canzone dei One
Republic citata è “Counting
Stars”.
Thomas ride perché, nel pezzo del brano riportato, cantano
“we’ll be, we’ll
be, counting stars” e
lui ha previsto di terminare la serata sotto le stelle, una coincidenza
che
trova curiosa.
Detto
questo, voglio
ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e
coloro che
l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo
silenziosamente.
Spero
abbiate
apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.
Vi
ricordo il gruppo
facebook dove potrete trovare spoiler della storia: Il
diario di Aras
Intanto,
vi lascio
qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.
Nel
giro di qualche secondo, la porta si spalancò. Ora aveva
davanti a sé un ragazzo poco più grande di lei,
con i lineamenti simili a
quelli di Alice.
«Ciao,
posso aiutarti?» le domandò, appoggiandosi allo
stipite.
Allie
gli sorrise. «Sto cercando Alice» lo
informò.
«Posso
chiederti chi sei?» domandò, un po’
confuso. Lei non
comprese subito quell’espressione, ma gli rispose comunque.
«Mi chiamo Allie,
sono una sua amica.» Beh, era solo una mezza bugia. Non erano
propriamente
amiche, ma forse in futuro avrebbero potuto esserlo.
Lui
aggrottò la fronte, come se quella frase non
l’avesse
convinto, ma la invitò comunque a entrare, mentre si
presentava e chiamava la
sorella, che doveva essere al piano di sopra. Si chiamava Nicholas ed
era il
fratello di Alice, come Allie aveva supposto.
Il
prossimo capitolo
arriverà tra una settimana, mercoledì 10
settembre.
Buona
giornata :)