A story of everyday life
Capitolo 2
Mancava
meno di mezza giornata all’appuntamento con Thomas e Allie
era piena di impegni
e commissioni. Di questo passo, sarebbe arrivata distrutta alla serata.
I suoi
genitori erano entrambi di turno e quindi, come al solito, toccava a
lei pagare
le bollette e fare la spesa. Aveva passato più di
un’ora in fila per completare
la prima parte del suo compito e ora, alle undici passate e con il
portafoglio
decisamente più leggero, stava entrando nel supermercato.
Gemette quando notò
le code sulle due sole casse aperte e sperò che si
liberassero prima che
giungesse il suo turno. Prese un carrello e cominciò a
percorrere la prima
corsia, quella dedicata al banco frutta, consultando attentamente la
lista per
non dover tornare indietro in continuazione.
Infilò
un guanto usa e getta e afferrò una mela, controllando che
non avesse
ammaccature. Nonostante fosse circondata dal cibo, l’idea di
mangiare non
l’attirava per niente. Iniziava già ad avere un
po’ d’ansia, quella sensazione
inspiegabile che non l’abbandonava nemmeno quando si ripeteva
che tutto sarebbe
andato bene e che non c’era motivo di preoccuparsi. Sentiva
una morsa allo
stomaco da quando si era svegliata quella mattina e la consapevolezza
che
avrebbe dovuto fare tutto di fretta per ricavare il tempo necessario a
prepararsi non l’aiutava. Cercò di concentrarsi
sulla canzone che trasmettevano
alla radio e sulla sua respirazione, mentre riempiva il carrello e
spuntava la
lista con una penna. Stava voltando l’angolo, la testa bassa
impegnata a
scorrere i nomi dei prodotti, e non si accorse che c’era
qualcuno che si
avvicinava nella direzione opposta. Ci fu un fragore metallico quando i
due
carrelli si scontrarono e Allie trattenne il respiro mentre andava a
sbattere
contro il manico in ferro.
Rialzò
subito il capo, scusandosi per la sua distrazione, e guardò
la ragazza che
aveva davanti. Stupita, si rese conto di conoscerla.
«Alice»
la salutò con un sorriso. «Come stai?»
Alice
era stata una sua compagna di classe fino a un paio di mesi prima,
quando il
liceo era finito. Allie aveva sempre creduto che fosse carina sotto
quell’aspetto trasandato che si era cucita addosso, ma la sua
timidezza le
aveva impedito di scoprire se le sue supposizioni fossero vere. Da che
la
conosceva, aveva sempre portato degli occhiali pesanti che, sebbene
fossero
tornati di moda, nascondevano i suoi occhi di un bel verde scuro. I
capelli
erano sempre raccolti in una coda di cavallo, gonfia a causa della
massa riccia
che racchiudeva, e l’assenza di trucco la faceva passare
inosservata, quasi
fosse invisibile, tra tutte le altre ragazze perfettamente curate. Era
forse un
po’ in carne, ma non grassa. Ciò che
più di tutto la rendeva invisibile, e
talvolta la faceva sembrare addirittura indisponente, era
l’espressione apatica
del suo viso. Allie poteva contare sulle dita di una mano le volte che
l’aveva
vista sorridere ed era un peccato, perché aveva un sorriso
meraviglioso e dei
denti perfetti.
«Bene,
grazie» rispose lei, con gentilezza ma senza entusiasmo.
Quasi scordò di
ricambiare la domanda, cosa che poteva anche non interessarla ma che
era
simbolo di cortesia. «Tu?» chiese infine, notando
che Allie rimaneva lì a
fissarla.
«Magnificamente.
Finalmente le vacanze, eh? Io sono appena tornata, tu vai da qualche
parte?»
Allie
era curiosa, lo era sempre stata, e forse
quest’incapacità di farsi i fatti
suoi poteva essere un difetto, ma nulla l’avrebbe fermata
dall’interessarsi a
chi la circondava. Inoltre, senza rendersene conto, ora che aveva
incontrato
Alice non pensava più all’ansia che
l’aveva attanagliata fino a un attimo
prima. Quella agitata, ora, sembrava Alice. Subito non ci aveva fatto
caso, ma
ora che la osservava meglio si rese conto che non sembrava poi
così felice di
vederla e, se in un primo momento ne fu delusa, poi si sentì
confusa. Non erano
mai state grandissime amiche, perlopiù conoscenti che
avevano condiviso cinque
anni della loro vita, ma non credeva che ci potesse essere
quell’indifferenza
tra loro. Alice sembrava non sapere cosa risponderle.
«Io…»
temporeggiò, vagando con lo sguardò in cerca di
un appiglio. «Non sono andata
da nessuna parte per ora» mormorò infine, con il
basso tono dolce che ricordava
Allie ma anche con una punta di imbarazzo.
«Ti
ho offesa in qualche modo?» domandò Allie, con la
sua tipica schiettezza. Non
capiva perché la ragazza si comportasse a quel modo: era
sempre stata timida e
riservata, ma non la ricordava così.
Alice
fu colpita da quelle parole e la osservò dubbiosa, incerta
su come rispondere. Cosa
intendeva dire Allie e perché pensava che si sentisse
offesa? Doveva essere
colpa sua e della sua solita insicurezza, che la rendeva incapace di
sostenere
una conversazione senza apparire sciocca e scialba.
«No» rispose infine,
scuotendo il capo ma senza guardarla negli occhi. Gli occhi di Allie
erano
grandi e limpidi, la osservavano diretti, la mettevano in soggezione a
causa
della certezza che trasmettevano.
«Scusami,
è che sei…» replicò allora
Allie, cercando le parole giuste per non offenderla,
«non sembri molto contenta di vedermi. Ma se non
c’è problema, ti va di
prendere un caffè quando abbiamo finito qui?»
propose, dimenticando la montagna
di cose che aveva da fare, affascinata da quella vicenda. Voleva
scoprire perché
Alice fosse così riservata, perché si fosse
chiusa così in se stessa e, poiché
dentro di sé aveva da sempre una vocazione da crocerossina,
aiutarla a superare
quel momento.
Era
una decisione improvvisa, dettata più che altro dalla
curiosità e dalla necessità
di una distrazione, ma Allie la stava già prendendo sul
serio e non avrebbe
mollato facilmente la presa.
«Mi
dispiace, non posso» rifiutò subito, quasi senza
pensarci, come se fosse una
reazione istintiva. E lo era: Alice non si trovava a suo agio a stare a
lungo
fuori casa con persone che non conosceva bene e, negli ultimi tempi, la
situazione era peggiorata.
«Nemmeno
cinque minuti?» insisté Allie.
«No,
davvero, scusa» rifiutò ancora, cercando una scusa
per andarsene. Perché Allie
si era intestardita tanto? Non erano mai state amiche, non erano mai
uscite
insieme e di certo Allie non si era mai interessata a lei nei cinque
anni
precedenti, non in quel modo.
«Beh,
almeno dammi il tuo numero di cellulare, così ci mettiamo
d’accordo per
un’altra volta» propose allora. A
quest’idea, Alice non sapeva proprio come
opporsi senza sembrare scortese e, per liberarsene in fretta, compose
il suo
numero sul telefono della ragazza. Non pensò nemmeno di
digitarlo sbagliato, in
modo da impedirle un futuro contatto: per quanto le avrebbe fatto
comodo quella
strategia – dopotutto non desiderava essere disturbata, stava
tanto bene da
sola nella sua stanza – non aveva la capacità di
concepire un gesto tanto
meschino.
Biascicando
un saluto riuscì quindi a sorpassarla in fretta e
tirò un sospiro di sollievo,
mentre si sbrigava per non fare altri incontri.
Allie
rimase lì per un altro momento, confusa ma soddisfatta di
ciò che aveva
ottenuto. Quando sentì la radiocronista informare gli
ascoltatori dell’ora,
però, si rese conto del tempo che era passato, del fatto che
doveva finire di
fare la spesa e altre mille cose e poi, quella sera, andare a un
appuntamento.
∞
Allie
scese dall’auto e si avviò verso la casa di Dafne.
Quella mattina l’aveva
avvertita che aveva intenzione di andare a trovarla, aveva bisogno di
aiuto per
prepararsi a quella serata e, se per l’abbigliamento sarebbe
stato più comodo
un incontro a casa sua, per la preparazione psicologica poteva andar
bene
qualsiasi luogo. Ora era meno agitata di quella mattina, si sentiva
più sicura
di sé e non ne poteva più di aspettare: era
l’attesa a ucciderla.
Non
aveva considerato, però, che andando da Dafne aveva la
possibilità di incontrare
Thomas. Lui passava sempre molto tempo fuori casa, in giro con gli
amici o
all’università a studiare, era raro trovarlo a
casa di pomeriggio. Anche in
quel momento stava uscendo: quando Allie sollevò la mano per
bussare alla porta
d’ingresso se lo ritrovò davanti e per un soffio
non si scontrarono.
«Ciao»
si salutarono, quasi in contemporanea, e quasi allo stesso tempo
sorrisero.
«Dove…»
Allie stava per chiedergli dove stesse andando, ma lui la
zittì, posandole un
dito sulle labbra. La prese per mano e la condusse silenziosamente nel
garage,
richiudendo la porta dietro di sé. Erano stretti in quella
stanza che conteneva
fin troppe cose: un auto – la seconda non c’era
solo perché il padre era andato
a lavoro – e quattro biciclette, senza contare il divano
vecchio che i coniugi
non volevano buttare.
«Che
succede?» domandò allora, mentre lui si sporgeva
per accendere la luce.
«Mia
madre era in cucina, non volevo che ci sentisse»
spiegò.
Allie
sorrise, riconoscendo la comicità della situazione.
«Ti rendi conto che non
siamo nemmeno mai usciti e ci stiamo nascondendo dalla nostra prima
fan?»
chiese, ridendo.
Lui
si appoggiò all’auto con la schiena, ammettendo la
verità della sua
affermazione. «Non voglio che si metta in mezzo, non
ora» insisté. «Pronta per
stasera? O stai avendo dei ripensamenti?» Thomas sembrava
sicuro di sé ma nel
suo animo non lo era poi così tanto: temeva davvero che
Allie potesse tirarsi
indietro.
«E
tu sei pronto con l’appuntamento a sorpresa?»
replicò lei, senza rispondere
alla sua domanda. Notò il suo disappunto, sebbene si fosse
affrettato a
rassicurarla sulla sua organizzazione perfetta.
«Hai
qualche richiesta?» domandò allora, curiosa di
carpire qualche dettaglio in
più.
«Cosa
intendi dire?» Non aveva capito il significato di quelle
parole, era certo che
non fosse ciò a cui la sua mente era corsa.
«Come
devo vestirmi? Siamo all’aperto o al chiuso?»
specificò Allie.
Thomas
non voleva svelarle nulla: aveva già un po’ paura
che ciò che aveva preparato
non le sarebbe piaciuto, vedere una sua espressione dubbiosa ora non
l’avrebbe
aiutato. E poi, non c’era davvero bisogno di nulla di
particolare. «Sarai
perfetta in ogni caso» rispose con un sorriso.
Allie
sbuffò, vedendo andare in fumo le sue possibilità
di conoscere qualche
dettaglio. Inoltre, quella frase non era affatto rassicurante per una
ragazza:
non c’era un abbigliamento che andasse bene in ogni caso e
lei non poteva
passare ore davanti allo specchio, indecisa, poiché lui non
le dava nessuna
indicazione.
«Non
è vero, dai!» insisté. «Devo
vestirmi elegante, casual» elencò, fissandolo,
«…sexy?» provò infine,
sperando in una reazione migliore.
Il
sorriso sul suo volto si allargò e Thomas dovette
distogliere lo sguardo per un
attimo, sospirando. Lo stava già mettendo alla prova.
«Sarai
perfetta in ogni caso» ripeté con convinzione.
«Potresti venire anche in
pigiama, non mi lamenterei.» Sperò che non lo
prendesse alla lettera: era certo
che sarebbe stata adorabile anche in pigiama, sì, ma vederla
con un bel vestito
non gli sarebbe dispiaciuto.
«Sei
odioso» lo rimproverò lei, senza riuscire a non
sentirsi comunque gratificata
da quelle parole.
«È
meglio che vada ora» mormorò lui, guardando
l’orologio. «Passo a prenderti alle
sette» le ricordò, prima di posarle un bacio tra i
capelli e uscire.
Allie
lo osservò allontanarsi e lo vide quando, dopo pochi metri,
si voltò e incrociò
il suo sguardo con un sorriso. Sospirando, uscì anche lei
dal garage e andò a
bussare alla porta d’ingresso. Sperava che Dafne fosse
più informata di lei.
Martha
le aprì e la fece entrare, sorridente. «Cerchi
Dafne?» chiese, osservandole il
volto.
«Sì,
grazie» rispose Allie, aggrottando la fronte davanti a quello
sguardo inquisitore.
«È
per un ragazzo, vero?» le domandò la donna,
lasciandola basita. Come poteva
saperlo? Li aveva visti per caso?
«Ehm…»
temporeggiò, lanciando un’occhiata alle scale alla
ricerca della sua amica.
«Io…» Prese un profondo sospiro, non
sapendo cosa risponderle.
«Oh,
tranquilla, cara! Non ne farò parola con nessuno»
le promise, strizzandole un
occhio. «È solo che ho riconosciuto il tuo
sguardo» spiegò. «Spero che lui ne
valga la pena» le augurò, implicando che lei aveva
un candidato perfetto e
sicuramente migliore del ragazzo a cui doveva pensare Allie.
Chissà cosa
avrebbe fatto se avesse saputo di chi si trattava!
«Lo
spero anch’io» ribatté Allie,
trattenendo una risata. «È di sopra?»
chiese,
alzando lo sguardo. La donna annuì e la salutò,
rientrando in cucina, dove
sembrava stesse cuocendo qualcosa di buono.
Allie
salì le scale e bussò alla prima porta a destra;
fu accolta da un “avanti!”
gridato con disperazione. Entrò nella stanza e si
fermò sulla soglia,
sbigottita. Tutti i vestiti erano sparpagliati sul letto, qualcuno
addirittura
a terra, senza parlare delle scarpe, gettate alla rinfusa sul pavimento.
«Che
diavolo è successo qui?» chiese, senza fiato.
Dafne aveva disfatto la valigia
la mattina precedente, ne era certa perché l’aveva
vista.
La
sua amica alzò lo sguardo sconsolata, prima di lasciarsi
ricadere tra le
coperte. «Volevo riordinare l’armadio dato che ieri
ho buttato tutto a caso, ma
ho scoperto di avere più indumenti di quanto
ricordavo.»
«Ma
stai bene?» domandò allora, insicura. Non capiva
se era solo stanca o se
quell’espressione nascondesse uno stato depressivo.
«Sì,
sì, sto bene» sbuffò.
«Michael è a Rodi e io sono qui, me ne sto facendo
una
ragione. Sono solo un po’ irritabile oggi, deve arrivarmi il
ciclo» disse,
stringendosi al cuscino.
Con
un sospiro di sollievo, Allie si accomodò accanto a lei.
«Rimanda lo stress a
domani, ora ho bisogno di te» la pregò.
«Sai qualcosa di quello che ha
organizzato Thomas per stasera?»
Dafne
scosse la testa. «Ho provato a indagare, immaginavo che me
l’avresti chiesto,
ma non ha voluto dirmi niente» rispose.
«Ma
non mi ha neanche detto come devo vestirmi!»
piagnucolò Allie, sconsolata.
«Onestamente,
non credo che gli importi molto come ti vesti. Potresti anche andarci
nuda, per
lui non farà differenza» considerò.
Allie
le scoccò un’occhiataccia. «Spero che,
in caso decidessi di seguire il tuo
consiglio e mi presentassi nuda, abbia una reazione diversa da quella
che ha
quando mi vede con tanto di sciarpa e cappotto»
commentò, rubandole il cuscino
che stringeva tra le braccia e lanciandoglielo addosso. Dafne
scoppiò a ridere,
prima di riprenderselo e posarlo al suo posto.
«Come
ti senti?» chiese, curiosa. «Ansia?
Perché lui l’ho visto alquanto agitato
oggi» rivelò.
«Un
po’, ma mi sta passando. Sai come sono, odio
aspettare» rispose, ricordandosi
all’improvviso dell’incontro di quella mattina.
«Sai chi ho incontrato questa mattina?
Alice Turner» raccontò.
«Non
l’ho più vista da quando è finita la
scuola» rifletté Dafne. «Come
sta?»
«Neanche
io. In realtà, credo che non l’abbiamo mai vista
molto all’infuori della scuola
neanche prima» meditò Allie. «Non avevo
mai notato quanto fosse incredibilmente
timida, alla fine è quasi scappata via.»
«Addirittura?»
Anche Dafne era sorpresa da quel comportamento.
Tristemente,
si rese conto che avevano sempre ignorato quella ragazza tanto dolce e
tanto
riservata che avevano conosciuto il primo giorno di liceo. Era
così introversa
che difficilmente veniva notata e, tranne per qualche parola ogni tanto
e le
uscite di classe, non l’avevano mai coinvolta nelle loro
vite. Si sentiva quasi
in colpa, soprattutto ascoltando il dettagliato resoconto che Allie le
stava
facendo del loro incontro. Non aveva mai pensato che lei potesse essere
così
sola come appariva. Magari non lo era nemmeno, dopotutto la conoscevano
appena
e non sapevano nulla della sua vita privata, ma il comportamento che
aveva tenuto
non prometteva nulla di entusiasmante. Fu grata di sentire che Allie
aveva il
suo numero di cellulare e che programmava di incontrarla, si ripromise
di
seguire il suo esempio.
«Riuscirai
ad aiutarla, ne sono sicura» disse Dafne.
«Dopotutto, ci sei riuscita anche con
me.»
Allie
le sorrise e le strinse la mano, ricordando la ragazzina timida che era
stata.
Dafne
aveva portato l’apparecchio per i denti sin da quando aveva
sette anni, ma solo
con la pubertà se n’era sentita imbarazzata. A
causa delle risate dei suoi
compagni di scuola, si era chiusa in se stessa e aveva cominciato a
sorridere
sempre meno, per non far vedere la ferraglia che aveva in bocca. Quando
si erano
presentati anche i brufoli, si era sentita ancora più a
disagio, tanto da farsi
la frangetta per coprire la fronte e tenere sempre la testa bassa, in
modo da
nascondere il volto. Tutte le altre ragazze erano nelle stesse
condizioni, ma a
lei sembravano delle modelle in confronto al riflesso che il suo
specchio le
presentava ogni mattina. Si sentiva bruttina e inadatta e solo grazie
all’aiuto
di Allie, che l’aveva pressata per uscire a prendere un
gelato e si era
accampata a casa sua per risollevarle il morale, aveva superato quel
brutto
periodo.
«Lei
è messa peggio» commentò poi. Dafne
fece spallucce, come a dire che non era
rilevante. Avrebbe voluto avere la sua stessa sicurezza, ma sapeva che
avrebbe
tentato finché non avesse vinto.
∞
Allie
si avvolse in un asciugamano e uscì dalla doccia,
tamponandosi i capelli con un
altro panno. Aveva deciso di rimandare le pulizie di casa al giorno
dopo e di
passare il pomeriggio a rilassarsi, conscia che troppo nervosismo non
le
avrebbe fatto godere la serata. Aveva fatto un lungo bagno e aveva
finalmente
deciso come vestirsi. Aveva già preparato tutto sul suo
letto: un abito lungo a
fantasia floreale, in modo da poter mettere dei sandali bassi e
apparire
comunque slanciata, con una giacca leggera che lo faceva apparire meno
elegante
di quando non fosse in realtà. In questo modo si sentiva
abbastanza sicura per
ogni evenienza e, in casi estremi, avrebbe comunque potuto rimproverare
Thomas
per aver generalizzato troppo.
Si
asciugò con cura i capelli, mettendoci più tempo
del solito per assicurarsi che
non le scappasse nessuna ciocca, e cominciò ad arricciarli.
Non
voleva dar l’impressione di aver impiegato troppa cura alla
sua preparazione
per quell’appuntamento, ma nemmeno sembrare disinteressata.
Arrivata
al punto più arduo, quello dei capelli proprio dietro la
testa che faticava ad
acconciare, dovette desistere a causa dello squillo del telefono.
Posò il ferro
sul ripiano in marmo e corse in camera. Era Thomas.
«Pronto?»
rispose subito. Perché l’aveva chiamata? Era tutto
saltato? Cambio di
programma?
«Ciao,
Allie. Se ti venissi a prendere tra dieci minuti, saresti
pronta?» domandò.
La
ragazza trattenne il respiro, certa che forse uno scherzo. Mancavano
più di
quaranta minuti alle sette e lei non era minimamente pronta.
«No» rispose.
«Cos’è successo?»
«Beh…»
Thomas tentennò, non volendo rivelare il proprio errore. Poi
pensò che la
verità era comunque la migliore alternativa. «Ho
guardato gli orari sbagliati,
il film inizia alle sette e non alle sette e mezza»
rivelò.
«Quindi
immagino di non avere molta scelta» mormorò,
irritata. Che razza di errore era
quello? Anche un bambino sapeva consultare gli orari del cinema!
Lo
sentì sospirare, prima di parlare. «Mi
dispiace» si scusò. «Anzi, sai
cosa?»
riprese. «Prenditi tutto il tempo che ti serve,
m’inventerò qualcosa.»
«Sicuro?»
chiese, dandosi un’occhiata allo specchio. I capelli erano
fatti a metà e le
avrebbero richiesto almeno altri dieci minuti, senza contare che almeno
un filo
di trucco se lo voleva mettere.
«Sì,
sì, certo. Io sono già in auto, posso aspettare
lì da te?» domandò, pregando
che gli concedesse almeno quello.
«Sì,
certo. I miei non sono ancora tornati» lo
rassicurò, prima di chiudere la
chiamata e correre in bagno. Afferrò il ferro e
iniziò ad arrotolarci i
capelli, nella speranza che venissero bene.
Era
una fortuna che i suoi genitori avessero un orario tanto improponibile:
se
fossero stati a casa, suo padre avrebbe assolutamente voluto sapere con
chi
avesse appuntamento, senza contare che una volta visto Thomas, sua
madre
avrebbe chiamato Martha all’istante. Così era
tutto più tranquillo.
Aveva
appena terminato di farsi i capelli quando suonò il
campanello. Scese le scale
velocemente, ricordandosi solo quando fu davanti alla porta di essere
in
accappatoio. Con un sospiro, si decise ad aprire ugualmente. Lo scorse
con la
coda dell’occhio, perché mentre la porta si
spalancava lei era già voltata e
stava tornando di sopra. «Aspettami in salotto» lo
avvertì, prima di
richiudersi in bagno per applicare un po’ di trucco sul viso.
Non l’aveva
nemmeno salutato nel tentativo di non farsi vedere in faccia. Non che
lui non
l’avesse mai vista struccata, la conosceva da sempre;
tuttavia, non voleva
fargli notare la differenza immediata.
Aveva
messo solo un po’ di matita e mascara, un ombretto quasi
invisibile e un
rossetto chiaro. Un trucco naturale, ma che valorizzava comunque i suoi
lineamenti. Si infilò gli abiti e preparò una
piccola pochette e poi, con
un’ultima occhiata allo specchio, uscì dalla sua
stanza.
Thomas
la stava aspettando seduto sul divano.
Buongiorno!
Voglio ringraziare coloro che
hanno
inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno
recensita, ma anche
chi la sta leggendo silenziosamente.
Spero abbiate apprezzato questo
capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.
Intanto, vi lascio qualche riga,
nella speranza di incuriosirvi un po’.
Anche
se non lo dava a
vedere, nemmeno Allie stava seguendo così attentamente il
film. Lo adorava e lo
conosceva quasi a memoria, ma in quel momento si sentiva circondata dal
calore
e dal profumo di Thomas e non riusciva a concentrarsi. Sentiva il suo
sguardo
addosso ma non aveva il coraggio di incontrarlo, così
continuava a guardare
davanti a sé, beandosi di quelle attenzioni.
Ogni tanto, però, non resisteva e gli lanciava
un’occhiata mentre un sorriso si
formava sulle sue labbra, consapevole che si sarebbe scontrata con il
suo
sguardo.