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Autore: Angie Mars Halen    03/09/2014    2 recensioni
Fin dal loro primo incontro Nikki e Sharon capiscono di avere parecchi, forse troppi, punti in comune, particolare non indifferente che li porta ad aggrapparsi l’uno all’altra per affrontare prima la vita di strada a Los Angeles, poi quella instabile e frenetica delle rockstar. Costretti a separarsi dai rispettivi tour, riusciranno a riunirsi nuovamente, ma non sempre la situazione prenderà la piega da loro desiderata: se Sharon, in seguito ad un evento che ha rivoluzionato la sua vita, riesce ad abbandonare i vizi più dannosi, Nikki continua a sprofondare sempre di più. In questa situazione si rendono conto di avere bisogno di riportare in vita il legame che un tempo c’era stato tra loro e che le necessità di uno non sono da anteporre a quelle dell’altra. Ma la vita in tour non è più semplice di quella che avevano condotto insieme per le strade di L.A. e dovranno imparare ad affrontarla, facendosi forza a vicenda in un momento in cui faticano a farne persino a loro stessi.
[1982-1988]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BORN TO RAISE HELL





Il signor John Gates si rivelò una persona più alla mano di quanto credessimo. Nikki mi aveva messa in guardia verso i discografici perché, data la sua ultima – e per ora unica – esperienza, riteneva che fossero tutti degli approfittatori col solo scopo di spremere la band come un limone per ottenere quanto più denaro possibile. Al contrario di ciò che Nikki ci aveva detto, il signor Gates era un tipo strambo ma appassionato di musica e, soprattutto, credeva in noi come nessun altro aveva fatto.

Ci ricevette nel suo studio nella sede della Platinum Records sul Santa Monica Boulevard, ci fece accomodare su quattro sedie di plexiglass trasparente all’ultimo grido, ci offrì un caffè e cominciò a elencarci le idee che avrebbe avuto per noi se avessimo accettato il suo contratto. Noi, tutti con la bava alla bocca come cani randagi seduti davanti a un chiosco di hot-dogs, dopo un’ora intera di spiegazioni, patteggiamenti di vario genere e condizioni, afferrammo la penna stilografica di Gates con sopra il logo della Platinum Records, ovvero un vinile argentato con le lettere “PR” incise al centro, e firmammo quello che era il nostro primo contratto discografico. E nuovo contratto discografico uguale festa. Ma non una di quelle al Whisky a Go-Go: un vero e proprio party all’insegna del divertimento eccessivo a casa di Tommy, che aveva messo il suo appartamento al piano terra a disposizione nostra band, della sua, e della marea di invitati, alla quale si aggiungevano altrettanti imbucati. C’era così tanta confusione che la baraonda si sentiva fino in strada.

Tommy, ora in piedi sul tavolo con addosso solo le mutande e un paio di Converse di colore diverso, era impegnato a tenere banco mentre agitava una bottiglia di birra in compagnia di Rita. Brett aveva iniziato a girare in tondo per il salotto, saltando e ballando in modo tutt’altro che coordinato, mentre Steven e Vince avevano preso di mira un crocchio di ragazze. Ma quella sera avevamo anche un ospite d’onore che, avvolto nella sua consueta aura cupa e misteriosa, aveva preso posto sulla poltrona, le braccia ordinatamente appoggiate sui braccioli come quelle di un re sul trono, e guardava tutti con gli occhi assottigliati come se fosse stato lì per tenere sotto controllo la situazione. Peccato però che il vecchio Mick Mars non si sentisse affatto a suo agio in mezzo a quel casino e, sebbene il nostro non potesse assolutamente essere definito un rapporto d’amicizia, mi guardava con occhi supplichevoli, come se avesse voluto implorarmi di sollevarlo di peso e portarlo il più lontano possibile da quella casa. Poveretto, lui voleva solo tornare in mezzo alla pace del suo appartamento vicino al mare, in compagnia della sua amata chitarra. Non ne poteva più di tutte quelle persone che si dimenavano come baccanti invasate, senza contare che la birra che gli avevano offerto faceva davvero schifo – e lo pensavo anch’io. La sua espressività raggiunse il culmine nel momento in cui un tipo sotto gli effetti di chissà quale sostanza si arrampicò sull’anta di una finestra per assumere una posizione alquanto strana e pericolosa in modo da poter battere le piante dei piedi contro il muro, urlando a squarciagola.

Intanto, sopra il tavolo della sala che fino a poco prima aveva ospitato un vaso con dei fiori, io e Nikki osservavamo Tommy che saltava come un grillo ubriaco. Agitava le braccia scheletriche in aria, teneva gli occhi spalancati e girava su se stesso. “Ehi, belli, sentite un po’ questa! Mi dovete ascoltare, ho una cosa importantissima da dire! State zitti tutti!”

Una buona parte degli animi festaioli radunati nell’appartamento non si degnò nemmeno di sollevare il naso dal proprio bicchiere, mentre alcuni si ammutolirono e lo fissarono con sguardo seccato in attesa che annunciasse la notizia che, a quanto pareva, doveva essere qualcosa di veramente sensazionale. Tommy sollevò la bottiglia di birra come se fosse stata un trofeo, buttò un’occhiata a me e al suo Gemello Terribile, ghignò e, un attimo prima che iniziasse a parlare, la porta principale si scardinò e cadde verso l’interno dell’appartamento mancando per un pelo il pacifico Mick, il quale si limitò a fissare il pezzo di legno scuro che giaceva sul pavimento con un cipiglio severo. Evidentemente non si era accorto che fermi sulla soglia, con le mani appoggiate sulle rivoltelle appese alla cintura, c’erano degli sbirri.

“Polizia di Los Angeles,” esordì uno degli agenti. “Portate tutti le mani in alto e si faccia avanti il proprietario di questo appartamento.”

Un silenzio surreale aveva momentaneamente invaso l’aria e tutti abbandonammo le nostre occupazioni e restammo immobili per una frazione di secondo nell’aria calda, stantia e invasa di fumo, marijuana e lacca per capelli. Tommy continuava a fissare i poliziotti con la bocca semiaperta e i grandi occhi scuri fuori dalla testa, Brett lasciò cadere per terra la sua bottiglia, e Nikki mi afferrò prontamente per un braccio.

“Via da qui!” sbraitò qualcuno, e dopo quell’orripilante urlo ebbe inizio una fuga di massa durante la quale a nessuno importava più del proprio amico, della propria fidanzata o della propria pista ben disposta per essere sniffata. La gente iniziò a scappare passando attraverso le finestre, alcuni si tuffarono letteralmente fuori come se oltre il davanzale ci fosse stata una distesa d’acqua abbastanza profonda, e i più flippati si arenarono contro la siepe che circondava il cortile della palazzina perché non erano in grado di scavalcarla.

Un braccio mi circondò la vita in una stretta ben salda: era Nikki, pronto a scappare da quell’inferno per portare in salvo le nostre pellacce e per evitare che facessimo la fine di Mick, che aveva avuto la terribile sfortuna di trovarsi vicino alla porta e di essere ammanettato per primo – proprio lui che, se solo avesse potuto e non lo avessimo obbligato, non sarebbe neanche venuto alla nostra festa.

“Dove avete parcheggiato?” mi chiese Nikki mentre correvamo verso la finestra.

“In fondo alla via, ma le chiavi ce le ha Brett,” risposi da aggrappata alla sua spalla. Era grande e grosso rispetto a me e mi portava in giro come se fossi stata una bambina capricciosa che si rifiuta di camminare, costringendomi ad avvinghiarmi a lui per non inciampare.

“‘Fanculo!” tuonò, poi girò sui tacchi, si diresse verso Brett e lo acciuffò per un braccio per condurlo verso l’esterno. Nel frattempo ci raggiunsero anche Vince e Tommy, il cantante sorretto da un batterista piuttosto seccato di dover compiere quell’immane sforzo proprio per lui.

Scavalcammo la finestra e attraversammo il cortile invaso da decine di fuggiaschi in preda al panico più totale, sotto la luna alta nel cielo notturno che vegliava sulla Città degli Angeli, forse ridendo di quella scena assurda che si stava ripetendo in chissà quante altre parti dell’immensa e selvaggia L.A..

“Ehi!” berciò Tommy preoccupato fermando la carovana. “Questo coglione sta per vomitare. Cosa facciamo?”

“Corri, stupido, corri!” lo esortò Nikki. “Lo vedi o no che qui marca male?”

Oltrepassammo il cancello aperto e ci trovammo finalmente in strada, rischiando di essere travolti da qualche guidatore in fuga con il fuoco sotto le chiappe per la paura. Adesso non ci restava che raggiungere il pick-up di Brett, salire a bordo e scappare, ma nessuno a parte me sembrava essersi ricordato che Steven e Rita non erano con noi. Presi a guardarmi intorno con apprensione, sperando di scorgerli tra le persone che scappavano dalle finestre come topi dal fuoco, ma non vidi altro che volti sconosciuti contorti in espressioni di puro terrore. Feci un respiro profondo e pregai che si salvassero, poi riprendemmo tutti a correre verso il pick-up. Per qualche miracolo Steven e Rita si trovavano già sul cassone del catorcio di Brett e potei finalmente tirare un sospiro di sollievo.

Rita saltò al posto di guida, Tommy occupò quello accanto al suo e Nikki e io fummo relegati nei sedili posteriori insieme a Vince, il cui viso aveva assunto un colorito tutt’altro che rassicurante. La nostra batterista pigiò l’acceleratore e sfrecciammo via sgommando. Quando passammo davanti alla palazzina in cui viveva Tommy, ci accorgemmo che i poliziotti stavano uscendo e che avevano ammanettato il malcapitato Mick e altre tre persone.

“Bastardi!” urlò Nikki a squarciagola alla vista del loro chitarrista che veniva strattonato da una parte all’altra da una coppia di agenti che sembravano divertirsi a trattarlo in quel modo.

Vince si passò entrambe le mani sul volto e si tirò indietro la frangia, scoprendo la fronte imperlata di sudore e lo sguardo allucinato. “Potresti evitare di urlare? Non mi sento molto bene.”

“Porca miseria, Neil,” esclamò Rita battendo un pugno sul volante. “Metti quella cazzo di testa fuori dal finestrino e non ti azzardare a impiastricciare i sedili col tuo vomito.”

“Sto male per davvero, possiamo fermarci?” biascicò, poi si accasciò addosso a me come se lo avessero appena privato del sostegno delle sue stesse ossa. Fui costretta ad afferrarlo saldamente per il gilet di jeans e ad aiutarlo ad appoggiarsi al finestrino prima che facesse un vero e proprio disastro.

Intanto, accanto a me, Nikki borbottava parole incomprensibili con le braccia incrociate sul petto e i denti stretti, fissando il retro del sedile di fronte. Incuriosita dal fatto che si fosse incupito all’improvviso, diedi un paio di leggere pacche di incoraggiamento a Vince prima di abbandonarlo a se stesso e vi voltai verso Nikki.

“Stai bene o hai bevuto troppo anche tu?” domandai sarcastica.

Nikki strinse i pugni per poi riaprirli e battere i palmi sulle ginocchia. “Hai visto come trattavano Mick?”

Gli passai un braccio intorno alle spalle e sospirai. “Gli sbirri fanno così con tutti.”

“Lo so, è capitato anche a me, però–” si bloccò all’improvviso, lo sguardo assottigliato fisso nel vuoto e le mani tremanti aperte sulle ginocchia.

“Però?” lo incalzai. Intanto Vince continuava a dare libero sfogo a qualche birra di troppo e Rita si lamentava per il traffico intenso.

Nikki si morse un labbro e scosse convulsamente il capo. “Dio, è da quando vivevo a Seattle che li vedo fare gli stronzi con chi è più debole.”

“Seattle?” ripetei confusa. “Tu abitavi a Seattle? Anche Rita, lo sai?”

“Non voglio parlarne,” il suo tono freddo e diretto mi zittirono all’istante.

“Qualcosa non va?” azzardai, incurante del fatto che mi avesse appena chiesto indirettamente di smetterla di fargli delle domande.

Nikki fece cenno di no col capo e si passò le dita tra i capelli, poi mi rivolse uno sguardo stanco e speranzoso. “Vieni da me, adesso, vero?”

Annuii. “Per forza, io con te ci abito. Però prima ti avevo chiesto un’altra cosa.”

Nikki agitò le mani in modo confuso, come se avesse voluto scacciare del fumo da davanti ai suoi occhi. “Va tutto bene, grazie.”

“Qualcosa mi dice che non devo fidarmi,” ribattei.

“Come ti pare,” sibilò Nikki. “Basta che non mi lasci da solo in quel cazzo di appartamento.”

E tornò a fissare un punto a caso davanti a sé.

Nel frattempo Vince aveva smesso di vomitare, anche perché ormai non gli era rimasto più nulla nello stomaco, e si era accasciato contro il sedile, totalmente privo di forze. Lo tornai ad afferrare per il gilet per aiutarlo a sedersi in una posizione più comoda poi, una volta terminata anche quella missione, appoggiai il capo alla spalla di Nikki e presi a osservare il paesaggio urbano che scorreva fuori dal finestrino mentre ci muovevamo per uno dei viali di Hollywood.

La serata non si era conclusa nel migliore dei modi, però quel giorno non lo avrei dimenticato tanto facilmente. Era solo l’inizio di un’intensa carriera e di una storia tanto lunga quanto travagliata.




N.D’.A.: Salve!
Come suppongo abbiate ben intuito leggendo l’ultima frase, tra Nikki e Sharon non sarà tutto rose e fiori.
Colgo l’occasione per ringraziare chi ha aggiunto la storia tra le seguite e chi recensisce. ♥
Se avete qualcosa da dire, correggere o commentare, fate pure. :)
Ci si rilegge mercoledì prossimo!
Kisses,

Angie


Titolo: Born to Raise Hell - Motörhead



   
 
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