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Autore: emotjon    03/09/2014    10 recensioni
QUESTA STORIA E' IL SEGUITO DI "HIGHER.".
SE NON AVETE LETTO LA PRIMA, NON CAPIRETE QUESTA.
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"Una volta mi hanno chiesto come facessi ad amarli entrambi.
All'inizio non capivo. Amare entrambi nello stesso momento.
Era folle. Totalmente fuori di testa.
Poi ho capito.
Io amavo ognuno di loro in modo che non mi mancasse l'altro.
Ed era folle. Ma era il meglio che potessi chiedere..."
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Deeper - capitolo 1. // Don't wanna hurt you.

 


Giappone, 1580.

L'odore dei fiori di ciliegio era ovunque. Arrivava dappertutto, impregnava i vestiti, l'aria, i capelli, persino la pelle. C'era la pelle leggermente olivastra di una ragazza dagli occhi castani, le ciglia lunghe e i lunghi capelli castano scuro legati e perfettamente stretti nel più complicato degli chignon. O la pelle quasi traslucida di un'altra ragazza, dai limpidi occhi azzurri e i capelli neri come il catrame.
Odoravano di ciliegie, ogni centimetro coperto o meno delle loro pelli finemente ricoperte di biacca, per renderle perfettamente bianche e senza la minima imperfezione. La polvere bianca ricopriva ogni millimetro visibile delle due ragazze, facendole somigliare più a delle bambole di porcellana che ad altro.
In fondo, lo scopo era proprio quello.
Bianca, la pelle dei loro visi. Nera, la spessa linea di eye-liner che decorava loro gli occhi. Rosse, le labbra. Dello stesso colore della ceralacca, del sangue o del colore del succo delle ciliegie. Lucidi, i capelli; e stretti in quello chignon a tal punto da non sentirli, tanto da sentir male al cuoio capelluto, tanto da far fatica a sopportarlo, quel dolore.
Erano sedute sulle radici di uno dei tanti ciliegi, in quel giardino in stile giapponese che sembrava immenso, che pareva non finire mai. Davanti a loro, un piccolo sentiero di ghiaia che curvava leggermente verso destra, fino ad un ponticello di legno su un laghetto costellato di carpe e di ninfee.
Le due ragazze parlavano sottovoce, quasi senza guardarsi negli occhi. Ma parlavano e ridevano come se fosse davvero concesso loro. Ridevano a voce bassa, in modo da non disturbare gli usignoli e gli altri uccelli colorati che popolavano il giardino; in modo da riuscire comunque a sentire il rumore delle foglie cadere.
Il fruscio dei loro kimono risuonava leggerissimo nell'aria, un sussurro portato dal vento che muoveva tutto con una delicatezza inaudita. E i loro abiti di seta erano una macchia di colore anche più satura di tutto il resto. Rosso, quello della castana, e decorato con una cascata di piccoli fiori bianchi; blu, quello della mora, con una banda bianca per il colletto e i polsi, e la stessa cascata di fiori, rossi e bianchi.
Ai piedi portavano dei semplici e rudimentali zoccoli di legno.
Sotto il kimono, nient'altro se non la propria pelle.
Era tutto tanto colorato da sembrare un quadro. Tutto tanto fantastico da non sembrare reale. Tutto tanto profumato da rischiare di svenire. E tutto tanto pacifico da potersi aspettare che prima o poi qualcosa sarebbe successo.
E poi... il rumore di passi contro il legno del ponte distrasse le due ragazze dalla loro chiacchierata. Il demone dagli occhi celesti cercò invano di reprimere un sorriso, ma gliene scappò un accenno, che non passò del tutto inosservato all'altra ragazza. Ma la castana la ignorò, concentrando interamente la propria attenzione sul giovane guerriero che aveva appena varcato la soglia di quel giardino.
Irreale, il giardino. Ma mai irreale quanto lo sembrava quel ragazzo, come se egli provenisse da un altro pianeta. Lontano, alieno, diverso. Un samurai con tanto di armatura in un mondo di geisha coperte solo dai vari strati leggeri del kimono.
Remember - così si chiamava la ragazza dagli occhi azzurri - guardò il ragazzo dritto negli occhi. I loro sguardi fecero pensare all'altra ragazza che si sarebbe dovuta alzare e lasciarli soli. Non riusciva nemmeno a guardarli - soprattutto lui - da quanta tensione sessuale poteva percepire nell'aria.
Fece un respiro profondo, Madeleine. Ma mentre stava per alzarsi e sparire tra i ciliegi, una mano dell'altra ragazza sulla coscia la fermò. Un sorriso, un'occhiata inequivocabile, e la mora si alzò, lasciandola sola col proprio sopracciglio elegantemente inarcato e il samurai in armatura grigio fumo che la fissava. Teneva lo sguardo basso, la ragazza. Le era stato insegnato così; non poteva guardare un uomo negli occhi a meno che non le si dicesse di farlo.
E in realtà, la tensione che poteva percepire non era per chi si aspettava. Era proprio per lei, in effetti. Forse se ne accorse solo quando sentì il ragazzo avvicinarsi, fino a fermarsi a un metro scarso da lei, a fissarla. «Guardatemi», le disse con voce ferma, cercando di non mostrare l'emozione che stava provando a vederla lì, tanto vicina da poterla toccare.
Lo guardò.
Alzò lentamente lo sguardo verso di lui, col labbro inferiore protruso leggermente in fuori, a formare un tenero quanto irresistibile broncio sul suo viso. Lo guardò, e per un istante temette di svenire; temette di avere le allucinazioni, perché da qualche parte lei l'aveva già visto, quel ragazzo. Magari in sogno, magari era già stato suo ospite ma non se ne ricordava.
Fatto sta che quegli occhi scuri non le erano nuovi, né il luccichio presente in essi mentre la guardava. Non le erano nuove quelle labbra, che se ci pensava più del dovuto poteva sentirle addosso, a sfiorarla ovunque. Non le era nuovo il velo di barba ispida che gli ricopriva le guance e il mento, né la piccola ruga che poteva vedere formarglisi tra le sopracciglia.
Il sorriso che gli si formò sul volto non appena lei posò gli occhi nei suoi, poi, era anche più familiare di tutto il resto. Era il sorriso più incredibile che avesse mai visto o che riuscisse a ricordare. Era un sorriso allo stesso tempo strano e bellissimo, con i denti a mordicchiare leggermente la punta della lingua, e le labbra tese e un po' aperte a mostrare al mondo tutta quella meraviglia.
Lasciò che si avvicinasse ancora. Lasciò che le si sedesse accanto, sulla stessa radice contorta dello stesso ciliegio. E non abbassò lo sguardo da lui se non quando sentì il suo braccio sfiorarle il proprio; allora arrossì, nonostante il piccolissimo contatto, nemmeno pelle contro pelle. Seppure con lo sguardo basso, poté vederlo prendere un respiro più profondo degli altri, lasciato poi andare in uno sbuffo che sembrava di pura frustrazione.
Non sapeva da cosa, ma quel ragazzo sembrava davvero turbato da... qualcosa.
«Rimanete con me, stanotte».
Fu quel sussurro, probabilmente, a farla cedere. Forse furono le labbra del moro a contatto con il lembo di pelle poco sotto il lobo dell'orecchio; forse fu la mano del guerriero che a poco a poco scivolava sulla sua coscia, diretta sempre più in alto, in un punto troppo imprecisato per poterlo anche solo intuire; forse fu solo il suo tono di voce.
Roco. Pieno di aspettativa. Sensuale. Voglioso.
La ragazza semplicemente scostò uno dei lembi della parte inferiore del lungo kimono rosso, permettendo alla mano del samurai di sfiorarla direttamente, pelle contro pelle. Si lasciò scappare un sospiro, abbassando le palpebre e facendone sfarfallare le lunghe ciglia nero pece.
Non servì nemmeno che annuisse. Né che pensasse di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Il giovane samurai sorrise contro la pelle leggermente olivastra del suo collo, poco sotto la netta linea di biacca che le ricopriva il viso; sorrise, allontanando poi la mano dalla sua coscia solo per unirla a quella della ragazza che, anche se sorpresa, non poté far altro se non prenderla e farsi guidare attraverso il giardino, tra i fiori rosa che cadevano come neve a gennaio.
Non si curò di niente se non della sua mano un po' ruvida contro la propria.
Non fece caso a nulla se non a quegli occhi del colore della corteccia degli alberi, che non la lasciarono nemmeno per un attimo; quasi facendole mancare il respiro, quasi rendendole le gambe molle, da quanto era potente quello sguardo.
Non si accorse del buio, che in presenza del giovane sembrava essere anche più nero di quanto non fosse realmente. Tenne gli occhi aperti, ma riuscendo a vedere solo lui e i suoi occhi scuri; seguiva i suoi movimenti come se ne fosse dipendente, sentiva ogni singolo millimetro di pelle andare a fuoco, mentre lui le faceva scivolare di dosso tutta quella seta nella quale era immersa.
La castana si irrigidì sensibilmente, una volta completamente nuda e coi capelli sciolti. Si sentiva inerme, come si sentiva ogni volta che arrivava a quel punto con un uomo. Abbassò lo sguardo, trovando le dita del ragazzo a posarsi prontamente sotto al suo mento per farla tornare con gli occhi su di lui. Un mezzo sorriso gli increspava le labbra; un sorriso quasi tenero, l'unico sorriso non malizioso che le avesse mai rivolto un uomo, a pensarci bene.
«Non voglio farvi del male, Madeleine». Nemmeno si chiese come quell'uomo potesse conoscere il suo nome, troppo presa ad assimilare le sue parole successive, senza però riuscire a capirle. «Non ho mai voluto farvene», le sussurrò, portando le sue piccole dita a slegare i nodi che tenevano su la sua armatura grigia, quasi nera.
Quelle parole tanto strane e forse ambigue significavano qualcosa, per lei. Non capiva cosa esattamente, ma scatenavano una specie di scintilla, in lei, qualcosa che non riusciva né poteva capire. Ma ancora una volta non se ne curò.
Gli sfiorò la pelle con le dita a mano a mano che lo spogliava, lasciando cadere a terra un pezzo dell'armatura alla volta, godendo del rumore che provocava contro il pavimento di legno scuro. Lo fece stendere sul materasso posto al centro della stanza, sedendoglisi poi a cavalcioni, senza alcun imbarazzo, abituata com'era a fare quel genere di cose, con qualsiasi tipo di uomo.
Solo, con lui era diverso.
Con lui, sentiva.
Con lui, era viva.
Viva, prima di morire.

 

***


La ragazza se ne stava raggomitolata in un angolo di quel letto matrimoniale che improvvisamente le sembrava vuoto, troppo vuoto. Le ginocchia al petto, la guancia posata su di esse, e il pensiero fisso sulle parole che Harry le aveva rivolto quella che sembrava un'eternità prima.
Puttana. Nessuno l'aveva mai chiamata così. Nessuno, in nessuna delle vite che ricordava, né nelle altre, né tantomeno nella vita che stava vivendo. Nessuno si era mai permesso di definirla tale, per il semplice motivo che non lo era né lo era mai stata.
Era una parola forte, detta apposta per ferirla, per farle male, per vederla crollare.
Era una parola che non smetteva di tornarle in mente, ad intervalli regolari, facendo più male ogni volta che se ne ricordava. Distruggendola a poco a poco ogni volta che nella sua mente la voce di Harry la pronunciava, ancora è ancora, all'infinito, come non volesse smettere, come se pensarci potesse farla stare meglio. In realtà, stava solo peggio. E peggio. E sempre peggio.
Tanto male da stringere un lembo del sottile lenzuolo di cotone per non crollare. Tanto male da incastrarci le unghie e sperare che tutto il dolore semplicemente scivolasse via. Tanto male da lasciare che le lacrime scorressero quasi senza accorgersene, e che i singhiozzi le scappassero dalle labbra scuotendola, rischiando davvero di farla crollare, sperando quasi che il materasso si aprisse in due e la inghiottisse.
Niente più Madeleine, niente più dolore.
Un lungo sospiro, la distrasse dal suo pianto. Alzò lo sguardo dalle proprie ginocchia, con gli occhi gonfi e la scia delle lacrime sulle guance, per incontrare gli occhi color cioccolato del demone dai capelli scuri che la fissava. Gli occhi scuri sgranati e un po' tristi, al vederla in quello stato, ancora una volta per colpa di Harry.
Lui, non l'avrebbe mai trattata in quel modo, nemmeno se l'avessero costretto.
E meno male che lui era il cattivo della situazione.
Zayn fece scivolare il telefono nella tasca, prima di mettersi a sedere sul bordo del letto, il più lontano possibile da lei; le si sarebbe seduto accanto, se Madeleine non fosse stata tanto fragile e a pezzi. Aveva l'impressione che qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe bastata, che in qualunque modo avrebbe provato a toccarla, lei si sarebbe allontanata da lui.
Perché le parole di Harry la stavano logorando, poteva leggerglielo negli occhi.
«Dice Kismet di muoversi il più possibile, per non farci trovare...».
Era come se le stesse chiedendo di scappare insieme, con la differenza che quella del demone non era una richiesta. Era più un ordine ricoperto di belle parole, che altro. E la vide annuire appena, completamente assente, mentre l'ennesima lacrima le scorreva indisturbata sulla pelle leggermente olivastra parecchio arrossata e salata.
«Madeleine...», le sussurrò il moro, avvicinandosi di poco, senza toccarla. Quando però si avvicinò ancora e allungò una mano verso un suo braccio, la vide irrigidirsi e farsi piccola piccola. Ancora più raggomitolata su sé stessa, con le palpebre serrate e il labbro inferiore che le tremava, mentre tentava inutilmente di fermare le lacrime. «Principessa... ehi...». Le scostò una ciocca di capelli castani dal viso, ignorando le sue mute proteste; perché faceva male da morire, vederla in quello stato.
Come se lo sentisse anche lui, il dolore che provava lei.
Fece scivolare un pollice lungo la sua guancia, portando via ogni lacrima che riuscisse ad intercettare, ogni pezzetto di dolore che voleva scivolare via ma che in realtà veniva intrappolato dalla sua pelle, rimanendo con lei finché qualcuno non avesse avuto il coraggio di farselo passare.
Il demone si avvicinò ancora, posando le labbra sulla tempia della ragazza.
Il singhiozzo che ne seguì fu forse il suono più doloroso che le orecchie di Zayn avessero mai udito, in tutto quel tempo che era stato costretto a vivere. Era come sentire il vetro spezzarsi, o il calpestare le foglie secche in autunno. Era come un pugno che si scontra contro un muro di mattoni, o un lampo che squarcia il cielo estivo. Solo, cento volte più forte, mille volte più doloroso da ascoltare, e impossibile da sopportare.
Fu un unico singhiozzo. Solo uno, prima che Madeleine si sciogliesse in altre lacrime contro il petto di Zayn; solo uno, prima che potesse dargli il tacito permesso di stringerla a sé e accarezzarle i capelli; solo uno, prima che la cullasse come un padre con la propria bambina.
Perché Madeleine lo era; era la sua bambina.
E l'avrebbe protetta sempre, da qualsiasi cosa tranne che da sé stesso.
«Continuo a sentire la sua voce, Zayn... continua a dire che sono una puttana, che sono come Akielah... continua a dire che non mi ama... ed è come se ogni volta che lo risento mi si spezzasse il cuore...», ammise in un soffio una volta calmate le lacrime.
A me si spezza il cuore a vederti così, avrebbe voluto dirle, tra un bacio e l'altro tra i capelli. Non riuscì a dirlo; non riuscì a dire né a fare nulla, se non prenderle il viso tra le mani e spazzare via i rimasugli delle lacrime appena versate e posarle un bacio leggerissimo sulle labbra stanche, che in qualche modo riuscì a farla sorridere.
«Non voglio farti del male, principessa», le disse guardandola negli occhi e sfiorandole un labbro con il pollice. Piano, delicato e lento. Più piano che potesse, nel modo più delicato e lento che conoscesse.
E guardandolo, alla ragazza tornarono in mente un tempo ed un luogo lontani, quasi irraggiungibili dalla sua memoria ancora piena di buchi; le tornò in mente l'immagine di un kimono rosso, e quella di un samurai in armatura grigia che si lasciava spogliare, pronunciando le stesse parole, ma con una diversa forma di cortesia e in una lingua differente.
«Non hai mai voluto farmene», mormorò lei, finendo la frase per lui. Perché in qualche modo le era apparso tutto come se fosse un sogno, o addirittura un film. La memoria le era tornata ancora una volta senza che lo volesse, in un lampo di colori e suoni e odori. Tutto tanto all'improvviso da sconvolgere il demone e farlo ridere come se volesse solo stemperare la tensione; tutto tanto in fretta da far cozzare le loro labbra come se tutto il giorno non avessero aspettato altro.
Bacio voluto, cercato. Bacio che trasmette nient'altro che amore. Bacio assaporato. Dolce, salato, che sa del sapore delle stelle cadenti e dei desideri mai espressi; o di quelli espressi e mai realizzati. Bacio di demone a essere umano. Bacio giusto, nel momento e nel luogo giusti.
«Dov'è che andiamo?», gli chiese la castana con un mezzo sorriso. Ancora labbra contro labbra, per non perdere l'uno il sapore dell'altra; ancora attaccati, col desiderio di staccarsi molto lontano dalle menti di entrambi.
«Seattle», mormorò lui di rimando, leccandole il labbro inferiore.
E quel sussurro prometteva più di quanto si sarebbe aspettata Madeleine, decisamente.



 



non so da che parte cominciare... bene, tutto regolare.
non vi farò un discorso immenso, strappalacrime o altro.
solo, chiedo a chi non abbia letto Higher, di leggerla se vuola leggere Deeper.
in caso contrario non capireste nulla.
poi... primo capitolo ed è già una bomba.
bomba atomica con tanto di flashback.
e niente, vi chiedo cortesemente di farmi sapere che ne pensate, perchè ci tengo davvero tanto...
e perchè siamo alla seconda parte dell'esperimento sovrannaturale (detto tra noi, ancora non ci credo che stia funzionando, lol)
okay, sto divagando, quindi mi dileguo...
non so quanti spazi autrice scriverò, potrebbe anche essere il primo e ultimo di tutta Deeper, rido.
basta, vi lascio i contatti e sparisco...
un abbraccio,
- emotjon.



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