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Autore: FairLady    04/09/2014    4 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Michael non era mai stato un grande dormitore, pensava che sprecare troppe ore nel letto a dormire gli avrebbe tolto del tempo per fare cose più interessanti, più produttive. Aveva sempre avuto un sonno piuttosto leggero e movimentato. Spesso si svegliava nel cuore della notte e rimaneva lì a fissare il soffitto; altre volte si sedeva sulla chaise longue e scriveva.
Quella notte non era riuscito nemmeno a prendere sonno. Forse era troppo stanco persino per dormire – o forse era semplicemente il pensiero di Aura che lo faceva impazzire. Sentiva da sotto le lenzuola il richiamo pressante del telefono, ma sapeva che era troppo tardi. Non solo le avrebbe fatto prendere un colpo se l’avesse chiamata all’una, ma probabilmente si sarebbe pure fatto insultare per averla svegliata. O forse no.
Scostò le coperte con un gesto secco delle gambe e si decise a correre il rischio di farla arrabbiare; se non l’avesse sentita, il colpo al cuore sarebbe venuto a lui senza ombra di dubbio. Non sarebbe riuscito a dormire mai più, finché non avesse di nuovo sentito la sua voce.
Si avvicinò lentamente al telefono della camera da letto, alzò la cornetta e compose il numero al buio – ormai le dita lo facevano in automatico -, il cuore sembrò uscirgli dal petto, nella trepidante attesa di sentirla rispondere con la voce impastata dal sonno, dolcissima e disarmante.
 
***

Aura stava guidando lentamente lungo l’autostrada ormai deserta. Si era dovuta fermare un paio di volte, i singhiozzi e le lacrime non le permettevano di vedere bene le strisce della corsia e aveva paura di fare un incidente.
Era ancora abbastanza lucida per ragionare, ma non lo era abbastanza per smettere di piangere.
Michael si era rifiutato di vederla, poteva essere vero?
Mai, dal momento in cui i propri occhi lo avevano visto al negozio, avrebbe pensato che una cosa del genere potesse capitare. Il suo sguardo, il suo modo gentile di parlare, il suo sorriso le avevano trasmesso delle sensazioni meravigliose che discostavano troppo dal comportamento bizzarro che aveva mostrato quella sera, e lei non riusciva a farsene una ragione.
Più di un anno e mezzo fuori città, lontano da Los Angeles.
In che modo sarebbe sopravvissuta, se non poteva neanche salutarlo prima della partenza? Se non poteva nemmeno abbracciarlo un’ultima volta prima di vederselo risucchiare dal mondo, in quel vortice spaventoso che era il suo successo?
Piangeva e si dava della stupida perché stava piangendo. In fondo lo aveva appena conosciuto, tra loro non c’era stato niente di importante; avrebbe dovuto saperlo che certe cose accadevano solo nei film, e soprattutto non a una semplice ragazza dell’Illinois.
 
Eppure, sì, ci avevo sperato e avevo anche iniziato a crederci.
 
Quando finalmente arrivò a casa e si chiuse la porta alle spalle, improvvisamente le sembrò così grande, così vuota. Sentì come se, tutto a un tratto, quel posto una volta caldo e confortevole fosse diventato di ghiaccio.
Erano passate le due, fuori dalla sua finestra Los Angeles sonnecchiava pigramente, scossa di quando in quando da qualche sirena isolata, sinonimo di una città che non dormiva mai veramente. Lei avrebbe dovuto farlo, vista l’ora. Avrebbe dovuto infilarsi sotto le coperte e chiudere gli occhi, sperando che quella sensazione di sconforto che sentiva nel cuore, al risveglio, si potesse rivelare solo l’ombra di un brutto sogno.
Rimase in silenzio sul divano per un tempo indefinito, cercando di riportare alla memoria i ricordi della sera in cui Michael era stato tra quelle stesse mura; immaginandolo seduto accanto a lei, con il gomito sulla spalliera e quegli occhi da bambino sempre pronto a giocare e sorriderle con dolcezza. Alla fine, senza rendersene conto, su quello stesso divano si addormentò, trasportata dalla stanchezza e da quei sogni che sentiva lentamente scivolarle via dalle dita, ma che con caparbietà tentava di trattenere.
Non sapeva se Michael ci sarebbe stato nel suo futuro, ma almeno per quella notte voleva immaginare di sì.
 
***
 
Girovagava per casa da molto prima che il sole sorgesse, a piedi nudi e con l’espressione pensierosa, troppo pensierosa. Era stato in cucina già cinque o sei volte, finendosi una scatola di ciambelline glassate ed esaminando attentamente ogni minimo spostamento d’aria.
Non sapeva cosa fare, non sapeva a chi rivolgersi. Non voleva mettere in mezzo Frank o, peggio ancora, John; e nel modo più assoluto voleva evitare che Aura venisse troppo esposta.
Però aveva una voglia di vederla che lo stava mandando al manicomio.
D’un tratto sentì dei passi appena dietro l’ingresso della sala. Nel buio sentì la voce di Miko chiamarlo.
«Michael, ho sentito dei passi e sono venuto a vedere. Cosa ci fai qui? Sono le cinque.»
Il cantante raggiunse il suo bodyguard e amico, e gli mise una mano sulla spalla. Poteva intravedere, grazie ai bagliori provenienti dalle luci esterne, i suoi occhi buoni e comprensivi, sapeva che di lui poteva fidarsi.
«Mik, ho bisogno di un grosso favore» gli disse accorato come poche volte si era sentito «Stamattina dovresti andare da Aura, in negozio o a casa, e controllare se è tornata in città. Ti darò un biglietto da recapitarle.»
Il suo amico lo guardò un po’ strano, non capendo il motivo di tanto mistero.
«Non puoi telefonarle, semplicemente?» le chiese, infatti, con tono ovvio.
Michael sedette sulla poltrona – quella che aveva comprato al negozio di Aura – e sospirò.
«Ci provo da due giorni, Mik, ma non riesco a rintracciarla. Non risponde a casa e nemmeno in negozio. Non so se le è successo qualcosa, o… o magari non vuole più sentirmi…»
Mentre lo sentiva pronunciare quelle parole, Miko riuscì a percepire nello sguardo scuro del suo cantante – a cui tanto si era affezionato, come fosse un fratello – una vena di tristezza infinita. Non lo aveva mai visto così per una donna che non fosse Brooke, e anche per lei aveva sofferto come un cane. Odiava vederlo in quello stato, per cui gli sorrise comprensivo e gli diede una debole pacca sulla spalla.
«Ok, ci penso io, Mike… - confermò – Ora vado a dormire ancora un po’, preparami il biglietto.»
Michael si alzò di slancio e lo abbracciò forte. «Grazie, Mik, davvero. Grazie di cuore.»
  
Più tardi, quella mattina, Michael fece colazione silenziosamente, da solo. John, da che si era svegliato, se ne stava nello studio al telefono con alcuni produttori esteri ed era uscito solo per prendersi un caffè, per poi tornare a rintanarsi, tutto concentrato. Poco dopo Miko sbucò nella sala da pranzo, già pronto per uscire; si avvicinò al tavolo, prese la busta che Michael gli stava porgendo – e che aveva tenuta nascosta piegata in due nella tasca della vestaglia –, agguantò un donut e lo salutò con un occhiolino complice prima di sparire al di là della porta d’ingresso. Uscì di volata, per evitare che Suze o peggio, John, gli facessero qualche domanda. Prese l’auto e partì, diretto a Los Angeles.
 
***
 
Come diceva quella canzone dei Queen che aveva sentito l’altra notte alla radio?
Lo spettacolo deve continuare?
Esattamente come il mondo continuava a girare sul proprio asse, così anche la vita di Aura – con o senza Michael – avrebbe dovuto proseguire sulla rotta che si era imposta, anche se nemmeno i chili di trucco erano riusciti nell’intento di coprire il corredo di occhiaie e borse che si era ritrovata in faccia quella mattina. Non riuscendo più a dormire – non essendoci riuscita comunque molto bene nemmeno nelle ore precedenti -, aveva deciso di uscire presto, fermarsi a fare colazione nel bar vicino al negozio, per mettersi poi il più presto possibile al lavoro. Era l’unica cosa che evidentemente riusciva a deviare la sua mente dal pensiero di Michael, e il suo scopo era proprio quello: non pensare più a lui.
Quando, finalmente, la sua concentrazione le aveva permesso di focalizzarsi solo sul progetto dei lavori di ristrutturazione erano già passate un paio d’ore. Il silenzio regnava sovrano. C’era solo il suo respiro a scandire i secondi a cui, poco dopo, si aggiunse lo scampanellio della porta d’ingresso che veniva aperta e la riportò alla realtà.
Si alzò di scatto e, come di consueto, si sistemò la camicetta, pronta a fare il suo dovere con il cliente appena entrato. Quando, però, varcò la soglia dello showroom, rimase senza fiato. Di fronte a lei c’era Miko, la guardia personale di Michael, e sembrava fosse venuto lì appositamente per lei.
«Buongiorno Auralee» esordì l’uomo, sorridendole educatamente. «Come stai? È tutto ok?» la sua domanda risultò di semplice cortesia, eppure lei sentiva gli occhi chiari di lui penetrarle il viso. Si ricordò del disastro che doveva essere e abbassò il volto.
«Buongiorno Miko. Sì, è tutto ok. Lei sta bene?» rispose senza però fare un passo verso di lui.
«Sì, grazie, è tutto ok» rispose cortesemente, avvicinandosele un po'.
«Michael si è ripreso? Sta bene oggi?»
Miko non capì come mai gli facesse quella domanda, ma lasciò correre. Non era andato fino a lì per fare conversazione.
«Sì, Michael sta abbastanza bene, ma mi ha mandato qui per darti questa. Ti cerca da due giorni senza risultato e voleva assicurarsi che fosse tutto a posto, che tu stessi bene.»
Michael le aveva scritto. Michael l’aveva cercata?
Aura non riuscì più a trattenersi e, viste le cose che la guardia le aveva appena detto, non si fece problemi a parlare.
«Se mi cercava ed era così tanto preoccupato per me, perché ieri sera mi ha mandata via? Perché non mi ha fatta entrare in casa? Mi sono fatta quasi tre ore di auto per venire a Los Olivos, e altrettante per tornare in città, e lui mi ha fatto dire dal custode che era troppo stanco e che comunque sarebbe partito oggi per il tour…»
Miko non sapeva cosa rispondere, non sapeva nemmeno di cosa la donna stesse parlando. Lui era semplicemente lì per portare a termine un compito che gli era stato assegnato.
«Non so risponderti, Aura, mi dispiace. Io dovevo solo accertarmi che stessi bene e darti quella lettera. Non ho altre informazioni.»
La ragazza abbassò il capo di nuovo, perché dire quelle cose a voce alta le aveva fatto male e sentiva gli occhi pizzicarle dalle lacrime ancora non piante.
Stropicciò brevemente la busta che conteneva la lettera di Michael; infine, con un po’ di coraggio e tanta curiosità, l’aprì.
La grafia graziosamente disordinata era sempre lì, a riempire quel foglio bianco un po’ spiegazzato.
 
“Ho vagato come un’anima in pena per tutta la notte
alla ricerca di risposte a domande che nemmeno credevo di essermi posto.
Ho provato ad ascoltare il mio cuore e lui mi diceva solo una cosa: cercala!
Spero ora di esserci riuscito, spero di averti trovata e che tu stia leggendo queste poche parole.
Mi manchi e ho bisogno di te.
Affidati a Miko, per favore.
Aspetto sempre il mio alito di vento, lo aspetto ogni sera.
Con amore.
MJ”
 
Senza accorgersene, Aura aveva iniziato a piangere, ancora. Teneva stretto fra le dita il foglio, in uno stato di totale confusione.
La sera prima l’aveva mandata via, le aveva detto che sarebbero partiti, e ora il registro era totalmente cambiato. Non sapeva cosa pensare, cosa credere, e un sottile timore si stava facendo largo dentro sé: sarebbe sempre stato così? Ogni giorno un continuo cambio di rotta?
Certamente non poteva sapere la risposta, non in quel momento. L’unica cosa che sapeva per certo era che il bisogno fisico di rivederlo si stava facendo più forte di qualsiasi reticenza.
Alzò il viso verso Miko, che la guardava con un’espressione ancora più interrogativa di quella che poteva avere lei, infilò il biglietto nella tasca dei jeans e disse:
«Prendo la borsa, mi dia solo un attimo.»
 

 
I remember, you and I, walking through the park at night
Kiss and touch, nothing much, let it blow just touch and go
Love me more, never leave, me alone by house of love
   
 
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