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Autore: Ignis_eye    06/09/2014    1 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Cos’hai detto?!» gracchiò la misteriosa ospite con un tono da smorfiosetta.
«Se non ci sei ancora arrivata, ti ho detto di chiudere il becco, gallina» ribatté Elsa con ostilità.
Poche parole erano bastate a riaccendere in lei l’antipatia per sua cugina Michela: quella biondina con la puzza sotto il naso le faceva venire l’orticaria.
«Tsk, sei sempre stata maleducata».
«E tu hai sempre meritato la mia maleducazione».
La famiglia di Pietro sembrava non gradire la situazione, così Elsa tagliò corto e andò subito al sodo:
«Come mai sei qui? Perché sei venuta a disturbare queste persone?».
«Quasi quasi non te lo dico, mi hai fatto passare la voglia».
Prima che ad Elsa venisse un attacco di furia omicida, Damiano si mise in mezzo al loro discorso.
«Che ne dite se andiamo a discuterne a casa nostra?» propose con tranquillità «potremo parlarne con calma».
Le due annuirono mentre si guardavano ancora in cagnesco, pronte a scambiarsi una valanga di “complimenti”.
«Signori, mi dispiace di avervi disturbato. Siete stati molto gentili ad ospitarmi fino all’arrivo di mia cugina Elsa».
Disse questa frase con un sorriso affabile dipinto in volto, chiunque avrebbe creduto alla sua maschera di bontà. Con quei lunghi capelli biondi e il viso da angelo, avrebbe potuto ingannare anche il demonio.
«Ma figurati» rispose il padre di Pietro «non c’è di che».
La moglie pareva visibilmente sollevata di vederle andare via, era una donna che mal sopportava i bisticci, e dopo aver visto quanto fosse stata scortese Elsa, non era più tanto contenta di doverla ospitare anche la notte.
I tre ragazzi se ne andarono apparentemente pacifici, pronti in realtà a cavarsi gli occhi non appena nascosti tra le mura di casa.
 
 

  
«Che cazzo ci fai qui?» urlò sbattendo la porta.
«Calma Elsa, non ti ho fatto niente».
«La tua presenza è irritante, basta quella».
Detestava sua cugina Michela, non poteva vederla neanche in foto.
E chi voleva prendere in giro con i suoi modi raffinati e la falsa innocenza?
Chiunque, ecco chi. E tutti ci cascavano sempre.
Tutti tranne lei.
«Michela, dicci che cosa ci fai qui! Abbiamo perso la pazienza!».
Ah già, anche Damiano non si faceva prendere per il naso da quella specie di top-model con le tette giganti.
«Damiano, anche tu? Ma cosa avrò mai fatto di male?» si lamentò lasciandosi cadere sul sofà di pelle bianca «è così che si tratta la famiglia?».
Accavallò le gambe, lasciando scoperta una buona dose di cosce abbronzate.
«Megera, smettila di usare la mossa “accavallamento gambe” per portare Damiano dalla tua parte».
«Hey!» si lamentò lui «non sono così scemo da cascarci!».
«Non si sa mai».
Sapeva che persona fosse Michela, non voleva perdere l’unico alleato che aveva nella battaglia contro di lei.
Sua cugina era quel tipo di ragazza sempre curatissima, con le unghie in gel troppo lunghe, con i capelli sempre perfetti, modi provocanti e una capacità innata di sembrare onesta agli occhi di tutto il genere umano e licantropo.
In poche parole, era quel tipo di ragazza che ti fa fare la conoscenza di ogni malattia venerea presente sulla faccia della terra.
«Cara cuginetta, così mi ferisci!» esordì portandosi una mano al viso con teatralità «non potrei mai! Soprattutto in un momento difficile come questo».
«Ecco, comincia a parlare».
 
 

 
Dopo mezzora buona di insulti vari, i due cugini erano riusciti a capire il perché dell’indesiderato arrivo di Michela.
Avendo ormai venti anni ed essendo maggiorenne anche per la legge dei licantropi, era stata chiamata per aiutare le famiglie del nord.
Alla notizia del furto del Necronomicon, tutti i cercatori del mondo e tutti i licantropi europei si erano già messi in funzione per risolvere il problema, chiamando a raccolta i soggetti migliori.
Lei era rimasta a Latina da sola, i suoi erano partiti la settimana prima, e quando seppe del rapimento di una maga in Veneto, si offrì come aiuto.
Non sapeva si trattasse di un’amica di Elsa, lo scoprì solo una volta arrivata.
«E così resterai per un po’» concluse Elsa con le braccia incrociate «e cosa farai di preciso?».
«Sarò nella squadra di soccorso. Parto domani, abbiamo una pista».
Elsa non ci era mai rimasta così di merda.
«Cosa?! Come mai ci vai tu?».
«Non vedo perché non potrei, sono maggiorenne».
Tale precisazione scocciò parecchio la giovane licantropa, la quale non aspettava altro che raggiungere la maturità per poter andare a combattere contro tutto e tutti.
E per dirla tutta, considerava un’ingiustizia che quella stronza di sua cugina fosse già maggiorenne, mentre lei fosse ancora…
“Inutile. Cazzo. Merda. Lei può andare ovunque e io no! Sono inutile!”.
«Come mai così imbronciata, cuginetta?» domandò con falsa premura «Sei triste di rimanere a casa da sola?».
«Stai zitta!» urlò «Chiudi il becco, oca!».
Michela scattò in piedi.
«Hey, portami rispetto, sono più grande di te!».
«Di più grande di me hai solo le tette, nana malefica!» sbraitò alzandosi e sovrastandola di almeno due spanne «ricordati che io sono una Desdemoni, ti faccio a pezzetti prima che tu possa dire “coccodè”!».
Damiano si godeva la scena a distanza di sicurezza sgranocchiando dei cereali direttamente dal cartone.
Da bambino faceva la stessa identica cosa, solo che tifava per Elsa urlando e incitando.
Capì che non era il momento buono per mettersi in mezzo, così le lasciò fare, approfittando della sua temporanea “invisibilità” per aiutare la cugina a modo suo.
Si allontanò dal salotto, fece finta di sistemare alcuni soprammobili sulla scrivania antica vicino all’entrata e ritornò a mangiucchiare.
«… e smettila di fare la cugina premurosa e caritatevole con me, hai capito? Non ci casco!».
Un’Elsa infuriata prese per il collo Michela, la sollevò da terra con una mano sola.
«Mettimi giù!» gracchiò dimenandosi.
«Certo, ai tuoi ordini!».
La scaraventò addosso alla parete, ma non abbastanza forte da farle male.
Damiano, in perfetta sincronia, aprì la porta giusto in tempo: Elsa prese la biondina per i capelli e la buttò fuori di casa, seguita dalla borsa e un sacco di parolacce.
«E non farti più vedere!».
La voce di Michela arrivava attutita dal giardino.
«Oggi stesso lo dirò a Gaspare, non la passi liscia!».
E se ne andò sbuffando sonoramente, lasciando Elsa dietro la porta, pronta ad esplodere e distruggere i mobili di casa per l’ennesima volta.
«Cazzo, non è possibile!» sbraitò digrignando i denti «Non andava già abbastanza male?!».
«Elsa, calmati dai…».
«No che non mi calmo! Vorrei aprirle la testa in due come se fosse un melone!».
«E non sei l’unica, però…».
«Però niente! Quella stupida può andare a salvare Sefora e io no!».
«Elsa, smettila! Devo dirti una cosa!».
Lei si voltò verso di lui stringendo i denti per resistere e non litigare anche con lui.
«Elsa, ho nascosto una sfera del parva aurem nella sua borsa. Finchè se la porterà dietro, potremo ascoltare ciò che le diranno riguardi gli indizi».
La licantropa sembrò ritrovare nuova energia.
“Forse possiamo salvare Sefora, però…”
«Secondo me mentiva» disse rabbuiandosi ancora «lo ha detto solo per darmi fastidio, per farmi sentire inutile».
«No, ha detto la verità. Ho girato i mercati magici con tuo papà molte volte, so riconoscere le bugie, e quella squinzia di tua cugina ha detto il vero».
«Speriamo che sia così. Se domani parte, è probabile che la squadra di soccorso prenda ordini e istruzioni questa sera. Staremo ad ascoltare e vedremo».
 
 

 
Avvisarono la famiglia di Pietro che sarebbero rimasti a casa anche la notte, e dopo il battibecco avuto con Michela, la madre non fu per nulla contraria: meno Elsa stava in casa sua, meglio era.
Verso le otto, subito dopo una cena appena sbocconcellata, Damiano sentì qualcosa all’auricolare.
Era stato trovato davvero un indizio, una frase scritta sul soffitto della cucina di casa Scida con dell’inchiostro magico invisibile.
Era una specie di invito o di sfida: diceva che Sefora era prigioniera dei vampiri in un castello in rovina in Valle d’Aosta, nei pressi di Graines.
Era la stessa meta dei suoi genitori, il covo dei vampiri e dei mannari.
«Elsa, da quello che abbiamo sentito vogliono attaccare di giorno, ma se non sanno che i mannari possono trasformarsi anche con il sole in cielo, sarà una carneficina!».
«Dobbiamo avvertirli, ma prima voglio parlarne con il maestro Chan».
«Come vuoi, basta che lo facciamo prima della loro partenza».
 
 
 
 
«Maestro, è permesso?».
«Sì, avanti».
Elsa pulì le suole delle scarpe sullo zerbino ed entrò in casa.
Trovò il maestro Chan seduto a fiore di loto in mezzo al salotto, sopra un tappeto.
«Oh, non sapevo stessi meditando, non volevo distur-».
«Sapevo che saresti venuta,ti stavo aspettando» disse aprendo gli occhi «e credo di sapere di cosa vuoi parlarmi».
«Ho trovato un indizio. Sono stati i mannari a rapirla».
Chan si alzò in piedi e prese un vecchio libro da una mensola. Sembrava un libro sulla meditazione, ma quando lo toccò si illuminò, e quando l’iridescenza svanì, teneva in mano un tomo molto grande dalla copertina di giada verde.
Lo sfogliò fino a metà, lesse qualche riga e concluse:
«E’ proprio come credevo».
«Cosa? Maestro, non tenermi sulle spine».
«Anche tu hai scoperto l’esistenza dell’elmo magico, vero?».
«Sì».
Chan portò Elsa in cucina e la fece accomodare su una sedia, porgendole del tè verde.
«Maestro, ho letto il libro di Sefora, quello sulle leggende dei mannari. Lì parla del Gal-luni e della sua storia. Irma la nana mi ha raccontato storie simili oggi».
Chan impallidì.
«Le hai parlato dell’elmo?!».
«No, le ho solo fatto raccontare qualche vecchia storia. Non sa nulla del libro».
«Bene» sospirò più tranquillo.
«Chan, dimmi cosa sai. E non limitarti a risposte vaghe».
Quello della ragazza sembrava proprio un ordine, non un favore o una richiesta, ma un obbligo.
Guardò il maestro cinese così intensamente che avrebbe potuto leggergli nel pensiero anche non essendo uno spirito o un fantasma.
«Elsa, io credo ci sia una… cospirazione».
«Cosa?!».
«Non sono sicuro chi sia la mente che ha ideato tutto questo, tuttavia so che ci sono dei licantropi che hanno tradito tutti noi».
La tazza che Elsa teneva in mano si frantumò in mille pezzi appena udì la notizia.
«Ma cosa stai dicendo?! È impossibile!» urlò stringendo i cocci fino a sbriciolarli «non può essere vero!».
Era come se le mancasse la terra sotto i piedi: da sempre i licantropi crescevano con l’assoluta sicurezza di essere solidali tra loro.
Certo, c’erano le inimicizie, talvolta ci si sopportava a malapena, ma non si passava dalla parte del nemico. Mai.
«Ascolta, qualcuno ha aiutato i licantropi a rapire Sefora, e quel qualcuno è sicuramente un licantropo. I  cercatori sono qui da troppo poco tempo per aver tramato un piano così ben congegnato».
Elsa sentì che stava per perdere il controllo: la rabbia era così tanta che la trasformazione stava per avvenire spontaneamente.
La testa pulsava, il cuore batteva più veloce, lo stomaco diventava bollente… avrebbe certamente ceduto se Chan non l’avesse calmata con dell’altro tè.
«Cosa c’è in questa bevanda?» domandò storcendo il naso dopo il primo sorso.
«Erbe tranquillanti, niente di particolare».
“Ho pure bisogno di erbe strambe per non mutare forma? Questa roba è quella che si dà ai bambini troppo agitati per evitare che diventino lupi. Bleah”.
«Grazie ma non ne avevo bisogno» mentì.
«Comunque» continuò lei «come mai hanno preso Sefora? Perché lei?».
«Beh, lei sa delle cose…».
«Sei troppo vago. Cosa sa? È per via del libro, vero?».
«Diciamo di sì. Me lo mostrò alcuni giorni dopo essere arrivata a Villanova, e io le consigliai di tenerlo nascosto, tuttavia credo lo abbia fatto vedere ad altri prima di me».
«E quel qualcuno è il traditore».
«Esatto, l’unico a sapere dell’esistenza del volume magico oltre me».
«Maestro, se non avvertiamo la squadra di soccorso, potrebbe morire qualcuno, se qualcuno non è già morto…».
«Se ti riferisci ai tuoi genitori, ti assicuro che stanno bene».
Il consueto pallore di Elsa lasciò spazio ad un po’ di colore.
«Coma lo sai?».
«Perché ho ricevuto un loro messaggio, stanno tornando».
La ragazza fece i salti di gioia e urlò di felicità: non poteva credere che i suoi vecchi stessero veramente tornando a casa!
Ma un pensiero le si intrufolò in testa come fa un bruco che penetra in una mela: prima scalfisce appena la buccia, poi entra fino al centro, guastando il pomo prima succoso e perfetto.
«Loro non potrebbero mandare messaggi. Avevano il consenso di inviare qualche riga agli strateghi solo una volta arrivati sul posto e confermata la posizione del bersaglio, oppure…».
«In caso di emergenza» concluse sospirando.
«Cazzo. Chan, una volta per tutte dimmi cosa sta succedendo senza che io debba tirati fuori le parole di bocca!».
Se il maestro non si fosse messo a raccontare tutta la faccenda, neanche la più potente delle droghe avrebbe fatto calmare la ragazza, ormai al limite della sopportazione.
Spiegò che erano stati attaccati da alcuni mannari con strani elmi. Erano fortissimi e veramente tanti, più di dieci.
Si erano difesi, ma erano stati feriti e adesso stavano tornando indietro ad avvertire tutti del pericolo.
«Elsa, questo non è tutto. Loro dicono di aver scritto anche agli strateghi, ma quando ho chiesto informazioni, mi è stato detto che la squadra non ha mandato nessun messaggio!».
«Significa che il loro dispositivo per i messaggi occulti è stato manomesso per evitare che comunicassero con gli strateghi».
«Esatto. Per fortuna, la madre di Sefora ne aveva portato unno senza dire niente a nessuno, così ha mandato un resoconto a me».
«Allora significa che il traditore si nasconde sicuramente tra noi licantropi…».
«Purtroppo sì. E quando la squadra sarà tornata succederà un finimondo».
Elsa alzò un sopracciglio, non capiva cosa intendesse.
«Il traditore sa che sono vivi, i mannari lo avranno già avvertito. Quando i nostri torneranno e diranno a tutti delle capacità anormali dei mannari, la missione di recupero di Sefora verrà annullata».
«No! Non possiamo lasciarla là!».
Le si strinse il cuore al solo pensiero delle torture che subiva ogni ora, alla violenza con cui la trattavano… le ribolliva il sangue.
Avrebbe voluto ammazzarli tutti, dilaniarli, distruggerli tutti con le sue mani per quel che le facevano ogni secondo della sua prigionia.
«Lo so, per questo sto mettendo insieme una squadra per andare a riprenderla».
«Verrò anche io!».
«No, è pericoloso. Saremo solo in cinque, tutti combattenti esperti e fedeli alla tribù Italicum».
«Ma anche io poss-».
«No, starai a casa. Devi restare al sicuro».
La ragazza mostrò i canini aguzzi, pronta a litigare fino a non avere più voce pur di andare a salvare Sefora, ma Chan la liquidò con fermezza: non sarebbe andata con loro. Stop.
«Per favore, non avercela con me, ma sei troppo giovane, non sei abbastanza… come dire…».
«Non sono all’altezza, è così? Ho sconfitto un mannaro con la luna piena, ho battuto Carlo in combattimento, ho tenuto testa ai vampiri quando ci hanno assaliti, eppure sembra non importi a nessuno».
Si alzò e andò verso la porta. Ne aveva abbastanza di non essere minimamente considerata.
«Non è così, sei solo troppo giovane, è pericoloso…» tentò di ammansirla «se fossi maggiorenne ti lascerei venire».
«Sì, come no».
E sbatté la porta senza aggiungere altro, quelle scuse penose bastavano già a farla rodere di rabbia.
 
 

  
Una volta a casa, non spiegò a Damiano il motivo del suo malumore, ma lo avvisò che Chan avrebbe avvertito le squadre e gli strateghi, e che avrebbero comunque tenuto il segreto sul libro, così, per sicurezza.
Lui parve convito e non fece domande, lasciandola andare a letto per sbollire la rabbia con una bella dormita.
Solo che quella sera Elsa non dormì affatto bene: si rigirava nel letto, scalciava via le lenzuola, stropicciava il cuscino, ma era tutto inutile, non riusciva a prender sonno.
E pensare che la notte prima aveva dormito come un angioletto nel letto di Sefora.
“No, basta pensare a lei, devo smetterla! Di questo passo mi addormenterò tra mille anni…”
Eppure, più si imponeva di non pensarla, più la sua mente si concentrava su di lei.
È come quando ti dicono di pensare tutto tranne alla zebra, e finisci per pensare solo alla zebra.
“Maledette zebre”.
Immaginava di correre con lei nei boschi, come avevano fatto fino a pochi giorni prima, oppure di fare colazione al bar, o di girare per il centro, o di nuotare nell’acqua fresca del laghetto, lo stesso in cui le loro labbra si erano toccate per la prima volta.
Quanta emozione era condensata in quell’unico ricordo?
Il suo corpo dalla pelle perfetta e dalle forme delicate…
Gli occhi, due pozzi verdi in cui affogare…
E al bocca, con due labbra rosse e morbide…
“Basta, cazzo, basta! Sefora, come mai solo tu mi fai quest’effetto? Come mai solo tu fra tutti?”
Ma non smetteva di pensare, anzi, andava sempre più in là, spingendosi in acque inquiete popolate solo dalla sua immagine.
Sognava ad occhi aperti il momento in cui l’avrebbe rivista: l’avrebbe abbracciata, stretta contro il suo corpo e l’avrebbe baciata fino a consumarle le labbra.
E Sefora l’avrebbe ricambiata, avrebbe voluto di più, e di sicuro sarebbe stata accontentata: che fossero baci di fuoco o carezze impudenti ne avrebbe avute a bizzeffe.
Avrebbe ubbidito ad ogni sua richiesta, a qualunque desiderio, e Sefora sarebbe stata felice.
“Sì, sarebbe così se lei non mi desiderasse come amica ma come qualcosa di più… qualcosa che da me non vorrà mai”.
E questa certezza sconfortante fu abbastanza per raffreddare i bollenti spiriti.
 
 

 
Correva, correva a perdifiato, correva e non sapeva nemmeno dove.
I rami degli alberi si protendevano verso di lei uscendo dall’oscurità della foresta, sembravano mani pronte a ghermirla e a portarla nel buio più totale.
Ad un certo punto le sue gambe affondarono nelle sabbie mobili, risucchiandola in basso.
Decine di occhi gialli apparvero tra le piante, scrutandola.
Ben presto quegli occhi presero posto su un viso e su un corpo, circondandola di umani dai tratti indistinti, ma più questi si avvicinavano, più prendevano la forma di gente che conosceva: mamma, papà, Damiano, Chan, gli altri licantropi.
La sua forza sovrumana sembrava scomparsa tutta d’un colpo.
«Aiutatemi!» urlava «Aiuto!».
Loro la fissavano con macabri sorrisi, finché i loro tratti stravolti da ghigni malvagi si trasformarono in musi spelacchiati, con zanne storte, nasi troppo corti, orecchie a punta e pelle rugosa.
Era in mezzo a un branco di mannari, e più si dimenava, più le sabbia mobili la portavano in basso, sempre più in basso…
Ormai aveva la testa sotto la fanghiglia, non respirava, non riusciva a muoversi.
Aprì gli occhi e si trovò a penzolare con le gambe attorcigliate a delle liane. Era in una grotta buia, ma ci vedeva lo stesso come fosse giorno.
Sentì un clangore metallico dal fondo della caverna e subito dopo rumore di catene trascinate pesantemente e con fatica.
Aveva paura, le liane la stringevano sempre di più, non poteva muoversi, ma quando la misteriosa figura apparve, le corde che la trattenevano si trasformarono in schegge di vetro, lasciandola cadere a terra.
«Aiutami».
Il volto pallido, la pelle graffiata, gli occhi stralunati…
«Elsa, ti prego… Aiutami!».
 
 





Angolo dell'autrice:
Ok, ok, avevo detto che avrei aggiornato meno spesso, ma non pensavo di metterci così tanto, perciò ho deciso di farmi perdonare con un capitolo un po' più lungo del solito.
Per quanto riguarda il castello diroccato dei vampiri, esiste davvero: si tratta del Castello di Graines, nei pressi dell'omonima città.


Spero che questo capitolo vi sia piaciuto,

Alla prossima!
  
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