Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
Ma sono di proprietà della Marvel ©
Say When
Cinque volte in cui Steve ha rifiutato.
E una in cui ha accettato.
I.
Steve sente il cuore accartocciarsi
nel petto. Non ha ossigeno nei polmoni, soltanto urla che trincera
ostinatamente dietro i denti digrignati; il dolore ringhia attraverso le vene,
il sangue è rovente, corrode carne e nervi, il fiato gli straccia il costato e
le vertebre sono fango. Potrebbe morire tra un secondo, magari è già morto e
tutta quella sofferenza è l’anima che s’alza in volo.
Chissà se in Paradiso c’è posto per
un debole rachitico come lui, si chiede.
Lo scafandro si apre. Respira C’è
luce.
Steve ha rifiutato di essere ancora debole,
un topino di strada smagrito e smunto.
II.
Probabilmente morirà.
Howard glielo ha detto scherzando, ma
neanche tanto. Sa cosa Stark pensa di lui, sa cosa pensano tutti –Tranne Peggy.
Peggy lo considera un uomo capace di spingersi oltre i limiti del Creato per
coloro che ama e Steve vorrebbe solo portarle una rosa dall’India o da qualche
Paese bislacco dall’altra parte del mondo.
Probabilmente morirà, ma tant’è.
Non è qualcosa che gli interessi:
scoprire dove hanno imprigionato Bucky è molto più importante. L’aria è
pesante, i corridoi puzzano di metallo, di sangue, di vomito.
Morirà, se non scappa.
Sia così.
Steve ha appena rifiutato di fuggire.
III.
Il vento grida, gli morde le guance,
gli strappa gli occhi dalle orbite. Le ciglia sono impiastricciate di ghiaccio
e lacrime, non riesce a tenere le palpebre aperte: eppure si sforza, si fa
violenza, le mantiene spalancate, deve, vuole guardare –Ne ha bisogno.
Peggy l’osserva di sbieco dal
ritaglio di giornale, col sorriso che freme ed affiora sulle labbra tinte d’inchiostro.
Sarebbe bastato poco, per avere salva la vita. Non aggrapparsi alla cloche, far
cadere le bombe, sacrificare altri in cambio di un ballo, sabato sera alle
otto.
Steve ha rifiutato di cedere ed è
bianco, adesso, attorno a lui.
IV.
Anche il cielo è diverso nel nuovo
Millennio.
E’ sfrontato, orgoglioso,
irriverente, presuntuoso e d’un azzurro così prepotente che Steve chiude gli
occhi e ritorna coi ricordi al tepore di un orizzonte turchese, lontano anni ed
anni, distante quanto la memoria, quanto la vita.
Lo fa sempre più spesso, ormai, di
guardare avanti a sé ed essere indietro con lo spirito. Cristallizzato in un
mondo in seppia, di mastodontiche feste a West Egg dalla sponda opposta alla
povertà e caldi abbracci materni sotto una coperta ruvida, marrone, che punge e
solletica.
Steve ha rifiutato questo mondo e non
intende transigere.
V.
Dio, sta per vomitare.
La bocca è polvere, la lingua gonfia.
I Chitauri sciamano, arrivano, New York è sul punto di collassare –Un po’ come
le sue convinzioni, come l’apatia totalizzante e la forza di inerzia, l’abitudine
incolore, il rimpianto vivo.
Le fiamme ardono nel petto e Steve combatte,
ancora e di nuovo, come ai vecchi tempi, con più slancio di prima. Perché? si
chiede, Tutto questo non mi appartiene, non voglio appartenervi, perché allora…?
Vede gli occhi di Beth, traslucidi e
grandi dietro la vetrina del bar.
Steve ha sempre rifiutato di
arrendersi e non intende cominciare propria ora.
VI.
L’aria è pulita, la notte splendida.
È un peccato rimanere dentro casa.
Davvero un peccato.
Però c’è così tanto da fare, lì
dentro, non sa nemmeno da dove partire: chiamare il numero sul dossier di
Peggy, ad esempio, potrebbe essere un buon inizio. Forse le porterà davvero una
rosa dall’India, dipende. Può sempre provare. Può sempre partire.
Viaggiare. Vedere. Conoscere.
Ha fatto il pieno di benzina e la
moto attende fuori dal portone.
Il mondo lo ha invitato a
ricominciare e Steve -Steve che non è più debole, Steve che non fugge, non cede,
non s’arrende- finalmente sorride.
E
accetta.