Stu
ténpu
Ch’u
s’è pigiòu a beléssa e u
nòstru cantu
E
u l’à ripurtòu inderée sensa
ciü un sensu
Ma
òua che ghe vedemmu
v
Dumàn
tüttu u cangiàa
Invisibili
– Cristiano de André
(Questo
tempo
Che si è preso la bellezza e il
nostro canto
E ce lo ha riportato indietro senza
più un senso
Ma
adesso che ci vediamo
Domani tutto cambierà)
Epilogo
Genova,
2009
L'età
adulta, quella delle grandi scelte e dei grandi momenti, aveva colto
Gaia e Simone impreparati nei giorni dei due lutti che avevano scosso
le loro giovani esistenze.
A guardarsi indietro, arrivati ormai
entrambi a quarantacinque anni suonati, vedevano netta la linea di
confine tra quello che erano stati prima e ciò che erano
divenuti
dopo.
Ma si sentivano soddisfatti di loro nel pensare che, dopo
tutto, non si erano mai dimenticati di essere se stessi, di inseguire
i loro sogni e di cercare il loro posto in quel mondo che sembrava
odiarli tanto.
Alla fine degli anni Ottanta Antonello ed Elisa
avevano avuto il loro primo ed unico figlio, Alfio, Patrizia aveva
sposato Amedeo ed era incinta della piccola Sara e anche Gaia e
Fabrizio si trovavano vicini al loro sì definitivo.
Una mattina
come un'altra, di quelle che ormai scorrevano troppo veloci tra un
caffè al volo ed un ufficio o un'aula universitaria da
raggiungere
sempre troppo in fretta, i giornali titolarono dell'arresto di un
gruppo terroristico di estrema sinistra e, due settimane, dopo il
nome dell'assassino del procuratore Olivietti era noto a
tutti.
Beatrice e i figli avevano seguito il processo e visto in
faccia l'uomo che aveva distrutto le loro vite.
Nessuno di loro si
era mai confidato con gli altri sui sentimenti che provavano quando
si trovavano nell'aula di quel tribunale, che poi era lo stesso in
cui Alfio lavorava e davanti al quale era stato ucciso, ma Gaia,
proprio come aveva ipotizzato tanti anni prima, si era sentita del
tutto apatica in quei momenti.
Aveva il cuore e l'anima pesanti,
ma se le avessero chiesto cosa li riempiva non sarebbe stata in grado
di dare una risposta.
Al termine del lungo processo, quando ormai
Gaia si era sposata, l'uomo era stato condannato a diversi ergastoli,
tra cui uno proprio per la morte del magistrato.
Con quelle
sentenze il senso comune sperava di mettere fine a quel periodo
oscuro che per troppo tempo aveva inghiottito il paese, ma chiudere
in quel modo una parentesi tanto drammatica, andare oltre dall'oggi
al domani, significava porre una barriera invisibile tra chi quegli
anni li aveva vissuto solo tramite la televisione ed i giornali e
chi, come la famiglia Olivietti, era stata invece, senza neanche
volerlo, parte integrante di quella lucida follia tutt'altro che
rivoluzionaria.
Nell'estate del 1989 Gaia e Fabrizio si erano
sposati, in una calda giornata di fine luglio in una chiesa piccola e
fresca sulle colline intorno a Genova, per poi cambiare completamente
scenario per il pranzo, passato in riva al mare.
Era stata una
cerimonia molto intima, vicino agli sposi c'erano state solo le
famiglie e gli amici più cari
proprio come aveva fatto con
Patrizia anche al matrimonio di Gaia era stato Antonello ad
accompagnare la sposa all'altare.
Era stato un momento toccante,
forse anche più delle promesse che quei giorno si erano
fatti
sull'altare.
Col tempo l'avevano capito tutti, purtroppo; avevano
capito che l'assenza di Alfio non sarebbe stata forte nei giorni
tristi come quello dell'anniversario della sua scomparsa, lo sarebbe
stata nei giorni più felici.
Compleanni, matrimoni, anniversari,
nascite, sarebbero stati quello i momenti in cui più di
tutto
avrebbero sentito la mancanza del Procuratore.
I
tre figli, diventando a loro volta genitori, si erano spesso chiesti
che nonno sarebbe stato quel padre affettuoso e mai troppo severo che
loro avevano avuto la fortuna di avere vicino anche se per poco
tempo.
Avrebbero raccontato ai loro bambini di lui, dell'amore che
gli aveva donato durante quegli anni e del sogno di giustizia che
glielo aveva portato via troppo presto.
Gli anni novanta erano
iniziati, per l'Italia, nel peggiore dei modi.
Tolta la caduta
del Muro di Berlino a novembre del 1989, fatto che aveva nuovamente
sconvolto i fragili equilibri internazionali, il bel paese si era
trovato ad affrontare il crollo dei suoi equilibri e dei partiti che
per quasi quarant'anni avevano fatto il buono e il cattivo tempo.
Erano nati nuovi movimenti, venute fuori nuove personalità
politiche, ma, con non poco qualunquismo e populismo, la gente
continuava a dire che tanto non sarebbe mai cambiato nulla e, giusto
per rendere questa una profezia che si sarebbe auto avverata, nessuno
tentava mai di fare in modo di cambiar qualcosa.
Per la famiglia
Olivietti, però, l'arrivo dell'ultima decade del ventesimo
secolo
era stata colma di gioia, perché tra il '92 e il '94 le due
figlie
erano diventate di nuovo o per la prima volta madri.
Gaia aveva
avuto Claudio nel 1992 e Cristina due anni dopo, mentre Patrizia,
aveva partorito per la seconda volta nell'anno di mezzo, dando alla
luce due bellissime gemelle, Isabella e Martina.
A ormai quindici
anni dalla morte del marito la signora Beatrice si sentiva nuovamente
piena di vita circondata da tutti quei nipotini a cui dare affetto.
Erano rimasti tutti a Genova, vicini alla madre, ai ricordi e tra
di loro, immersi in quotidianità perfettamente normali.
Coppie
che si amavano, bambini felici, malgrado il pezzo di cuore che a
ognuno di loro sarebbe sempre mancato si sentivano ancora vivi e in
grado di continuare.
Simone aveva superato poco per volta il
dolore per la perdita del suo migliore amico, rimanendo anche lui
spezzato a metà.
Aveva inseguito i suoi sogni nel lavoro,
sperando che tutto quell'impegno potesse toglierli il tempo per
continuare a rimuginare su l'accaduto, e quando il pensiero si faceva
troppo forte aveva sempre Gaia, che mai gli aveva negato un abbraccio
senza timore né vergogna quando era stato il momento.
Era stato
proprio lui il primo a sapere delle sue gravidanze, prima ancora del
marito o di Luisa, che comunque che era rimasta la sua migliore
amica.
Non era mai stata certa della correttezza di dire una cosa
simile per primo ad un uomo che non era il padre del bambino, a dire
il vero, ma di certe convenzioni sociali se ne era importata poco,
ché Simone era stato al suo fianco nei momenti peggiori e si
meritava di fare lo stesso in quelli migliori.
Il
ragazzo diventato ormai uomo era stato felice di quel privilegio, ma
poco per volta si era accorto di sentire la mancanza di una figura
femminile al suo fianco, una donna che lo amasse e che,
perché no,
lo rendesse papà.
Non era mai stato però bravo a cercare,
figurarsi a farsi trovare. E man mano che la sua migliore amica e suo
marito si godevano la gioia di essere genitori lui perdeva le
speranze.
Ma alla fine del 1995, per caso, era entrata nella sua
vita Gloria, che aveva otto anni meno di lui ed era di origine
fiorentina, con una forte C aspirata e dei luminosi ricci
rossi.
Neanche lei cercava o trovava, soprattutto perché era
oltremodo disordinata e di solito perdeva.
Simone era
probabilmente stata la sua eccezione alla regola, perché
neanche un
anno dopo il loro primo incontro si erano sposati e il loro amore non
sembrava volersi perdere.
All'inizio del nuovo millennio,
finalmente, anche loro erano divenuti madre e padre, di Davide nel
duemila preciso e di Giorgia tre anni dopo, chiamata così
non certo
per caso.
Dopo un'agonia più lunga di quella della migliore
amica anche lui aveva trovato qualcosa che somigliava alla pace, un
momento di gioia grande come gli occhi blu della sua bambina, presi
da quell'oceano che Gloria teneva incastonato nel viso in due
diamanti.
Malgrado i figli delle due sorelle fossero ben più
grandi dei piccoli di Simone andavano molto d'accordo, soprattutto
perché Isabella, Martina e Cristina non perdevano occasione
per
fingersi mamme di quelli che per loro erano come cuginetti.
Il
dramma li aveva colpiti di nuovo pochissimo tempo dopo,
però, quando
Giorgia non andava ancora all'asilo e un controllo di routine aveva
rilevato qualcosa di sbagliato nei seni di Gaia.
Una situazione
impensata, inimmaginabile.
Interventi e cure avevano guarito la
donna, era vero, ma dopo mesi che mai avrebbe voluto vivere,
perché
pensava di aver sofferto abbastanza, che lei e i suoi cari avessero
sofferto abbastanza.
Ed evidentemente si sbagliava, evidentemente
l'abbastanza non esisteva, non nelle loro vite.
Ma
pazienza, si era detta, alla fine tutto era andato per il verso
giusto e quello era l'importante.
I capelli che le pesanti terapie
le aveva fatto cadere, quei bellissimi capelli neri identici a quelli
che fino a pochi anni prima aveva la madre, erano tornati a crescere
ordinati e curati come lei sempre li aveva tenuti.
Aveva
ricominciato a lavorare, alla fine era riuscita a diventare
insegnante di lingue alle scuole superiori, e aveva cominciato di
nuovo a fare la mamma e la moglie, quei lavori tipicamente femminili
per cui lei molto più di altre donne aveva una naturale
inclinazione.
Perché ne era certa, per quanto la natura volesse
diversamente non tutte erano fatte per quello.
La sua amica
Luisa, ad esempio, che aveva preferito farsi una carriera in banca
invece che una famiglia, anche se poi era nato Matteo e i suoi occhi
quando parlava del figlio si illuminavano come pochi.
Simone
aveva vissuto con apprensione la malattia della sua più cara
amica,
trovando anche quelle briciole di Fede in Dio che con gli anni aveva
perso, pregando e chiedendo aiuto perché forse lui non era
un bravo
Cristiano ma lei sì, lei doveva smetterla di soffrire in
quel modo
atroce, atroce come la sua malattia, e ricominciare a vivere. Ancora
una volta.
Era durato tutto pochi mesi, era vero, ma quanto
lunghi era apparsi a Gaia e i suoi cari, quante giornate erano
sembrate senza fine tra le visite, le analisi, le cure e i momenti in
cui la donna era stata male, malissimo.
Per Patrizia, Antonello e
Beatrice era poi stato ancora peggio, si erano così illusi
di poter
vivere una vita normale ed erano invece stati nuovamente presi in
giro dal fato.
Fino alla guarigione, però, perché poi avevano
riso di quel destino beffardo che aveva provato a separarli ancora ma
no, non ne era stato capace.
Gaia aveva festeggiato nel vero senso
della parola la sua fine di quella storia, con gli amici ma
soprattutto con la famiglia, con Claudio e Cristina che avevano avuto
fin troppa paura di perdere la loro mamma.
Ma era finita, per
fortuna.
E non sarebbe ricominciata, non doveva farlo.
*****
A
Febbraio del 2009 Genova era stata ricoperta da un'abbondante
nevicata, tanto che per limitare problemi e pericoli un pomeriggio
tardi la giunta comunale aveva deciso di chiudere le scuole per i due
giorni successivi.
Si aspettava per le quarantotto ore seguenti
una diminuzione delle precipitazioni, e se non c'erano stati grandi
disastri fino a quel momento nessuno capiva perché
rischiarli appena
prima e condizioni meteo tornassero alla normalità.
Claudio e
Cristina non avevano potuto essere più felici, anche
perché erano
impegnatissimi in una partita uno contro l'altra alla playstation e
avere due giorni completamente liberti per fare solo quello non gli
dispiaceva affatto.
Per Gaia, invece, non c'era stata differenza;
il primo di quei due giorni lo aveva comunque preso di ferie per
motivi personali.
Si era alzata con calma e sempre con la stessa
tranquillità si era preparata per uscire.
Era ben coperta, il
freddo fuori era ancora pungente, e aveva scelto una grossa borsa,
ben più grande di quelle che era solita utilizzare.
Quando aveva
lasciato la sua abitazione i figlie erano in pigiama ma già
davanti
la televisione e il loro videogioco. Di solito li avrebbe
rimproverati, malgrado fossero ormai abbastanza grandi entrambi, ma
quella mattina aveva altro per la testa.
Aspettò con pazienza i
mezzi pubblici, rallentati anche loro da quel meteo terribilmente
nordico, e quando finalmente arrivò l'autobus che attendeva
si trovò
a dover viaggiare in piedi in mezzo all'umanità
più varia e ad
acqua, neve e fango che si mischiavano sul pavimento della vettura.
Si
portò la sciarpa in alto sul viso, fino a coprire bocca e
naso,
tenendosela stretta davanti alla faccia nella speranza di non
respirare qualcosa di sbagliato. Quel viaggio le era parso lungo
un'eternità, eppure erano i soliti quindici minuti, forse
qualcuno
in più per via del traffico e della strada scivolosa.
I soliti
quindici minuti, quelli che separavano casa sua da casa di Simone, il
luogo in cui era diretta.
Qualcuno avrebbe pensato che a lungo
andare i migliori amici di un tempo fossero diventati amanti, magari
anche una naturale evoluzione di quel rapporto così spesso
provato
dagli eventi della vita.
Ma no, le cose non stavano così.
Gaia
suonò e in breve si trovò davanti Simone, l'unica
persona che
voleva accanto in quel momento.
Migliori amici sempre, da piccoli
e da grandi, nei momenti belli in quelli brutti.
Dalla grossa
borsa con cui era uscita di casa la donna tirò fuori dei
fogli dei
quali si vedeva solo l'intestazione, quella dello stesso ospedale in
cui quasi trent'anni prima era morto suo padre.
Lei non disse
niente, lui non domandò niente.
Si limitò ad abbracciarla e a
scaldare il suo cappotto di calde lacrime, lacrime che forse non
doveva piangere ma che gli fu impossibile trattenere.
Amici nei
momenti brutti, abbracci pieni di affetto anche quando si era
più
vicini ai cinquanta che ai quaranta.
La ragazzina figlia del
Procuratore, divenuta ormai più che donna, aveva scelto di
sprofondare in quelle braccia perché più di tutte
la facevano
sentire a casa.
Amici anche nei momenti brutti, pronti a
sostenersi in quella vita maledetta ancora una volta.
Forse
l'ultima.
****
Era tornato, il male.
Tornato con una violenza e
una cattiveria - o forse sarebbe stato meglio dire malignità
– di gran lunga maggiore rispetto alla prima volta.
Diagnosi
severa, era stato il primo responso dei medici, quello che Gaia aveva
in mano a casa di Simone a Febbraio.
Severa nel senso che due
giorni dopo era stata ricoverata e fin quasi ad Aprile non aveva
più
visto altro che non fossero le pareti bianche dell'ospedale.
Era
tornata a casa poco prima del terremoto dell'Abruzzo.
Nuovamente
era senza capelli, smagrita, col volto di un colore strano tra un
giallo pallido ed un grigio.
Respirava solo grazie all'ossigeno,
non era più autonoma nel farlo, e per i lunghi spostamenti
aveva
bisogno di una sedia a rotelle poiché le gambe, anche quelle
sempre
più fini, non la reggevano più.
Ma era raro ci fossero per lei
lunghi spostamenti, tolti quelli verso l'ospedale, perché
più il
tempo passava più le veniva meno anche la semplice forza di
pensare
di uscire di casa.
La madre e i fratelli si alternavano per farle
un poco di compagnia, anche se la signora Beatrice, ormai anziana,
non aveva sempre il coraggio necessario a stare al capezzale della
figlia.
Claudio e Cristina provavano a fare ciò che potevano,
nessuno aveva nascosto loro la gravità delle condizioni
della madre,
sapevano che di lì a poco sarebbero potuti rimane orfani.
Come lo
sapevano i cugini, naturalmente, e tutti quelli che li erano vicini
eccezione fatta, per ovvie ragioni, per i figli di Simone, che
volevano un gran bene a Gaia ma erano ancora troppo piccoli per
sopportare una cosa del genere.
Anche se l'uomo aveva deciso che
quando e se la situazione fosse degenerata avrebbe provato a
spiegare ai suoi bambini cosa stava per accadere alla loro zia
acquisita.
Fabrizio, forse il più coinvolto, ancora non si
capacitava di come potesse essere accaduta una cosa simile.
Quando
sua moglie si era ammalata la prima volta era stato un fulmine a ciel
sereno, non aveva nessun tipo di sintomo, semplicemente era andata a
fare un controllo ginecologico di routine ed era saltata fuori la
notizia.
Era agli inizi e il calvario era stato corto e positivo.
Ma quella seconda volta no, non era andata così bene. Gaia
aveva
accusato parecchi sintomi e anticipato con urgenza i controlli che
comunque doveva fare.
Aveva sperato fino all'ultimo che fosse un
errore, che stesse male per altri motivi o che almeno si trattasse di
un'altra brutta e dolorosa parentesi che sarebbe passata in fretta.
E
invece no, malgrado ogni tentativo verso la fine di Maggio la
prognosi era diventata quella che tutti temevano.
A Gaia
Olivietti non rimanevano neanche sei mesi di vita.
****
Giugno era
sempre stato un bel mese, anche perché era il mese in cui
Gaia,
Giorgio e Simone si erano conosciuti, il mese in cui arrivava
definitivamente il caldo, iniziavano le scuole, si mangiavano gelati
e si andava al mare.
Quell'anno era solo un mese, un mese in meno
da segnare su un calendario che ufficialmente non c'era ma tutti loro
avevano ben stampato nella testa e nel cuore.
È difficile vedere
una persona che si ama muoversi per casa come un fantasma, parlare
con una voce sempre più bassa, vederla dormire per la
maggior parte
della giornata con la paura che per qualche motivo smetta di
respirare in anticipo rispetto a ciò che un medico o un
altro hanno
detto.
Claudio e Cristina non erano mai stati studenti modello,
era vero, lui aveva appena finito il terzo anno di scientifico e lei
il primo di pedagogico, ma quell'anno, nel secondo quadrimestre,
avevano dato il massimo, ce l'avevano messa tutta per dare un'ultima
soddisfazione alla loro mamma.
Era tutto ultimo, in quel periodo
maledetto.
L'ultima soddisfazione, l'ultima estate insieme.
A
volte quasi le dispiaceva di averlo scoperto così tardi, se
solo
avesse saputo l'autunno prima quanto il destino si sarebbe accanito
ancora su di lei si sarebbe goduta sapendolo l'ultimo compleanno e
l'ultimo Natale insieme ai suoi cari, ma forse era stato meglio che
le cose fossero andate in quel modo.
Non ci sarebbe stata una
reale gioia in una situazione simile, tanto meglio per chi rimaneva
ricordare la sua felicità in un Natale come un altro, con la
certezza che niente di male sarebbe potuto accadere.
Una mattina
di fine Giugno, dopo aver parlato con il marito e le persone che
curavano costantemente Gaia in quel periodo, Simone si era preso un
giorno di ferie e aveva caricato la sua migliore amica in macchina
per portarla a Loano, lì dove si erano incontrati da
bambini.
La
donna aveva trovato forse proprio nei ricordi la forza per andare,
anche se non sarebbero potuti stare via molto, le sue condizioni
erano quello che erano.
Non era una giornata calda, anzi, il sole
sembrava quello di un giorno di fine inverno, ma meglio
così, poiché
in quel momento a lei giovava più un po' di freddo dal quale
coprirsi per bene che il troppo caldo capace di toglierle l'ultimo
briciolo di forze che ancora le rimaneva.
La spiaggia era deserta,
si erano messi a diversi metri dalla riva su degli asciugamani, come
se fosse una normale giornata al mare.
Lei non aveva avuto il
coraggio di togliersi neanche le scarpe, le pareva che liberare anche
solo un minimo il suo corpo dai vestiti ancora pesanti che lo
chiudevano potesse farle chissà cosa.
Si sentiva così fragile in
quei suoi ultimi mesi, fragile come i sorrisi che stava riservando al
suo migliore amico così caro quella mattina.
Aveva l'ossigeno
come sempre, e stava chiusa tra le braccia di Simone, non poteva
guardarlo in faccia ma lo sentiva addosso a sé.
Era un abbraccio
puro, il loro, talmente puro e casto da farle ricordare
perché non
avesse mai potuto pensare a lui come un possibile amante o marito.
Stare tra quelle braccia era come stare tra quelle di Antonello,
Simone era per lei un fratello, un amore così grande da non
poter
essere semplicemente fisico né da poter essere dichiarato
eterno da
un contratto matrimoniale.
Non lo amava, il sentimento che
provava per lui andava oltre.
E la cosa era reciproca, tanto che
lui, forse egoisticamente, credeva che la sua sofferenza sarebbe
stata maggiore rispetto a quella di Fabrizio, perché il
marito di
Gaia si sarebbe potuto innamorare ancora, ma lui un rapporto come
quello che aveva con la donna non lo avrebbe mai più avuto
con
nessun altro.
- Te lo ricordi? È stato proprio su questa spiaggia
che ci siamo conosciuti.- Le disse tenendola stretta.
- Già...
Esattamente quarant'anni fa, no?-
Simone annuì.
Quarant'anni
prima non avrebbero mai potuto immaginare come sarebbero andate le
cose, erano solo bambini e come tali volevano vivere le loro vite
felici, sognando un futuro simile ai lieti finali delle favole che
ascoltavano prima di dormire dai genitori.
Invece le cose erano
andate diversamente; prima il papà di Gaia, ucciso
dall'assurdità
di fare il lavoro sbagliato nel posto sbagliato quando lui voleva
solo fare la sua parte nel mondo.
Poi Giorgio, portato via, forse,
dalla sua solitudine, dall'incapacità di chiedere aiuto
quando ce ne
era bisogno.
E in fine lei, che ogni minuto che passava si
avvicinava sempre con più consapevolezza al momento
dell'ultimo
addio.
- L'altro giorno pensavo che tra meno di tre mesi saranno
già trent'anni che papà non c'è
più... e io non sarò vicino a
mamma, Antonello e Patrizia.
Anzi, forse loro saranno tristi il
doppio perché non ci sarò più neanche
io...- Sospirò facendo
scendere qualche leggera lacrima sui suoi lineamenti del tutto
scolpiti e sciupati dalla malattia.
- Ci sarò io, con loro. Te lo
prometto.- Le disse Simone accarezzando con dolcezza il foulard con
cui Gaia proteggeva il capo totalmente privo di capelli.
- Stai
vicino ai miei piccoli... Hanno quell'età in cui ti senti
grande
ma... ma non lo sei, non abbastanza da superare certe cose. E
sicuramente Fabrizio farà del suo meglio, è un
padre meraviglioso,
ma anche lui è distrutto da questa situazione e non credo
possa
aiutarli se non sa aiutare se stesso.-
La donna si strinse tra le
spalle per farsi tenere ancora più stretta dall'amico,
cercando
protezione.
Quando suo padre era morto aveva quasi sedici anni, in
quel momento Claudio ne aveva diciassette e Cristina quindici, sapeva
benissimo cosa sarebbe stato per loro.
Anche se era diverso, era
vero, perché in quei mesi avevano un minimo di tempo per
realizzare
cosa sarebbe accaduto, mentre lei non aveva avuto neanche quello.
Ma
chissà se davvero ci si può abituare all'idea che
una persona che
si ama, un genitore, possa andare via per sempre.
Rimasero in
silenzio qualche minuto, il rumore del mare e dei gabbiani bastavano,
l'aria di salsedine la faceva sentire viva, più viva di come
era
stata negli ultimi mesi.
Quando Simone le aveva proposto di fare
quella breve gita non era stata subito d'accordo, aveva avuto paura
di non farcela fisicamente e mentalmente, perché pensare a
tutto
quello che avrebbe perso da lì a poco non le faceva piacere,
anzi.
Eppure, mentre si trovava lì, a vedere uno dei luoghi che
più le ricordava il periodo più bello della sua
vita, dalla nascita
all'omicidio di suo padre, si sentiva in pace, quasi felice.
- Ho
tirato un bilancio...- Disse dopo poco. La voce era flebile,
affaticata, ma se l'uomo le avesse detto che forse era il caso di
andare a casa era certa che si sarebbe impuntata, stanchezza
permettendo, per rimanere ancora un poco, proprio come se fosse stata
ancora una bambina.
- Della... della tua vita?- Era difficile per
lui parlare di quello che stava accadendo, di come di lì a
poco Gaia
non ci sarebbe stata più.
- Sì, e stavo pensando che forse non
devo avere rimpianti, dopo tutto malgrado quello che è
successo...
malgrado i dolori tremendi che abbiamo sopportato credo di aver
sempre avuto al mio fianco persone meravigliose.
Tu, mia mamma, i
miei fratelli, mio marito e i miei piccoli... è grazie a voi
che
malgrado tutto sono ancora qui, anche se non per molto... forse il
mio unico rimpianto è quello di dovervi lasciare...-
Simone
ebbe un'immensa voglia di piangere, e per quanto si obbligò
a non
farlo non fu semplice per lui non lasciar scendere qualche
lacrima.
La donna si voltò leggermente, facendo un po' di fatica,
e questa volta fu lei ad abbracciarlo, a stringerlo forte per
scacciare le sue paure.
- Andrà tutto bene, abbiamo già
affrontato momenti simili ma ne siamo usciti, vedrai.-
L'uomo non
rispose, si limitò a pensare che in quegli altri momenti
terribili,
ad esempio la morte del Procuratore o di Giorgio, erano in due,
c'erano entrambi, mentre quando Gaia si sarebbe spenta lui sarebbe
rimasto solo, per sempre.
No, non se lo sarebbe mai immaginato,
quarant'anni prima, di rimanere l'ultimo sopravvissuto di quei tre
bambini che giocavano su quella stessa spiaggia dove in quel momento,
per l'ultima volta, la sua migliore amica si godeva l'aria pulita.
****
Furono
costretti a muoversi verso Genova meno di un'ora dopo, quando la
donna ebbe un violento attacco di tosse tanto che Simone le chiedette
più volte se non fosse il caso di andare verso l'ospedale.
Ma
lei era stata chiara, non c'era bisogno, semplicemente doveva
riposare.
Avevano passato insieme delle ore meravigliose,
probabilmente il suo ultimo ricordo migliore, però alla fine
dovevano arrendersi allo stato delle cose.
Parcheggiò
precisamente davanti casa sua e l'aiutò a salire.
Non c'era
nessuno, né il marito né i figli, e l'uomo decise
quindi di non
lasciarla sola, non poteva permettersi che accadesse
qualcosa.
Secondo Gaia tutte quelle sue attenzioni erano inutili,
come lo erano quelle degli altri suoi cari. Benché facesse
di tutto
per non dimostrarlo lei soffriva, soffriva nel corpo nello spirito.
Quando chi l'amava provava a fare qualcosa per allungare anche di
una sola ora la sua vita per Gaia era un dolore doppio,
perché per
quanto lo facessero per lei nessuno capiva davvero quale sofferenza
fosse per lei continuare anche solo a respirare in quelle condizioni.
Naturalmente
non aveva il coraggio di spiegarlo, sarebbe stato terribilmente
doloroso per chi la assisteva e lei non voleva fare altro male a
quelle persone che fino alla fine della sua vita avrebbe amato, e
così si mostrava un minimo sorridente e felice di tutti quei
tentativi vani anche più delle tremende terapie che fino a
poco
prima aveva continuato a fare.
Si sedettero nel salotto di casa,
dove c'erano due grosse poltrone molto comode sulle quali la donna
rimaneva spesso anche per riposare perché, oltre tutto, la
tenevano
alta e le permettevano di respirare meglio.
Parlarono un poco
ricordando qualche vecchio aneddoto, erano successe così
tante cose
anche belle in quei quarant'anni.
Ricordarono Giorgio, i suoi
modi di fare, il suo tono di voce che nella mente di Gaia non era mai
sfumato.
Qualche volta le capitava anche di sognarlo, ancora così
giovane, ancora così pieno di vita.
Si domandarono come sarebbe
diventato se fosse sopravvissuto a quel mostro, se si fosse ripulito.
Per come era fatto sarebbe stato in grado di scherzarci su, prima
o poi, Simone ne era sicuro, il suo migliore amico sarebbe stato
così.
Non lo disse a voce alta, ma l'uomo si chiese anche che
reazione avrebbe avuto Giorgio di fronte alla malattia di Gaia e alla
sua ormai prossima dipartita, evento sicuramente ineluttabile a
prescindere dal rapporto che l'altro ragazzo aveva avuto con la
droga.
Forse sarebbe stato coraggioso, forse sarebbe scappato.
In
ogni caso per lei sarebbe stato meno peggio averlo ancora vicino, non
tenere ancora quel tremendo peso sul cuore.
Perché malgrado la maturazione e la crescita tanto Simone quanto la donna avevano continuato, anche inconsciamente, a sentirsi colpevoli di quella morte prematura e forse evitabile.
Mentre
chiacchieravano il discorso cadde, e fu Gaia a farcelo cadere, sul
dopo.
Non tanto su come sarebbero stati dopo i suoi cari e tutti
gli altri, sapevano fin troppo bene cosa volesse dire sopravvivere a
qualcuno, ma il suo dopo, l'eventuale vita dopo la morte.
- Sono
sempre stata Credente e spesso ho parlato a mio padre, o anche a
Giorgio, guardando il cielo. Solo che quando ti tocca in prima
persona è diversa, la paura che dopo non ci sia nulla
è orribile...
Però sai, se qualsiasi cosa ci sia io potessi rivederli
credo che
sarei tranquilla, averli vicino mi basterebbe.
Ma è molto più
probabile che... che saremo solo corpi... ossa... e poi polvere...-
Abbassò di nuovo la voce sulle ultime parole, stanca ed
affaticata.
In quel momento rincasò Fabrizio, accompagnato da
Celina, l'infermiera Sudamericana che si occupava di fare iniezioni e
flebo all'ammalata.
Gaia
fu portata in camera dal marito, doveva mettersi a letto e fare
alcune flebo, i soliti medicinali ed antidolorifici che provavano a
rendere meno dolorosi quegli ultimi mesi con i soliti pochi risultati
soddisfacenti.
Simone la salutò dopo le pratiche mediche,
baciandole dolcemente la fronte mentre Fabrizio abbassava le
tapparelle delle finestre della stanza per consentirle di riposare in
totale tranquillità.
I due uomini poi tornarono nel salone ma si
diressero al tavolo, dove l'ospite si sedette aspettando che il
padrone di casa prendesse da bere.
Benché prossimo a rimanere
vedovo perdendo il più grande ed unico amore della sua vita
non
aveva mai pensato di darsi all'alcolismo, aveva Claudio e Cristina
che ancora per poco avrebbe dovuto crescere e tutta la vita costruita
assieme a Gaia non poteva essere mandata al diavolo solo
perché il
suo cuore avrebbe cessato di battere.
Anzi, se c'era un solo
metodo, uno solo per farla continuare a vivere era proprio non
dimenticare neanche per errore tutto quello che c'era prima e andare
avanti come se lei fosse rimasta al suo fianco.
La formula
canonica del matrimonio diceva “Finché morte non
ci separi” ma
lui era certo che il suo amore sarebbe andato ben oltre la semplice
fine della vita fisica e terrena di Gaia.
Indipendentemente da
cosa ci sarebbe stato dopo per lei.
Ma la situazione era
complessa, difficile, dolorosa, e ogni tanto si concedeva un goccetto
in più, magari in compagnia di qualcuno come in quel
momento.
-
Oggi è stata bene.- Raccontò Simone mentre
bevevano. - Fisicamente,
intendo, sembrava leggermente più in forze. Mentre
mentalmente era
proprio come rinata, questa gita deve averle fatto bene. Certo, il
pensiero costante è sempre uno tanto per noi quanto per lei,
e
vorrei vedere, ma l'ho vista felice, felice come non era da tempo.-
- Spero solo che non ci siano effetti collaterali, il medico ha
detto che ora l'unico rischio sono le infezioni che potrebbero...-
Non era in grado di finire la frase, era bravissimo a girare intorno
al fatto che sua moglie, la sua Gaia, presto non ci sarebbe stata
più.
- Potrebbero peggiorare la situazione più in fretta?-
Chiese Simone.
E quella frase era il modo meno doloroso di dire
“potrebbe morire prima”, perché a quei
livelli l'unico
peggioramento ancora possibile era quello. Ammesso che a quel punto
per lei smettere ogni sofferenza fosse davvero peggiorare.
Rimasero
insieme ancora una decina di minuti e poi si salutarono, Fabrizio
accompagnò l'uomo alla porta ringraziandolo infinitamente
per ciò
che aveva fatto quella mattina.
Non aveva mai visto Simone come un
rivale in amore, ma come un aiuto per la sua amata sì, e in
quel
momento per la prima volta provava un minimo di gelosia, forse
perché
c'erano cose che Gaia era in grado di dire solo a lui.
Chiusa la
porta di casa tornò nella camera da letto e si
sdraiò accanto alla
donna che già dormiva.
Non
disse nulla, la accarezzò e basta.
Avrebbe parlato alle sue
foto, alla sua lapide, al cielo convinto che potesse sentirla.
Ma
il calore della sua pelle no, quello non lo avrebbe più
avuto
vicino.
****
Lasciata
casa di Fabrizio e Gaia Simone si era diretto verso il lungomare,
dove Gloria lo aspettava con i bambini per fare quattro passi e
provare a distrarsi un minimo dai terribili pensieri che non lo
abbandonavano mai.
Vedere i suoi piccoli lo rallegrò un poco e,
per la prima volta dopo tantissimi anni, gli venne voglia di andare
in un posto dove non tornava da tempo.
Caricò la famiglia in
macchina e si diressero a Quarto dei Mille, dove avevano vissuto,
lui, Gaia e Giorgio, la loro ultima giornata felice.
Portò Davide
e Giorgia allo scoglio da cui erano salpati Garibaldi e i Mille,
raccontando loro la storia dell'uomo che aveva unificato l'Italia.
Era stato lì con i suoi migliori amici per l'ultima volta
poche
settimane prima di smettere di parlare al ragazzo, pochi mesi prima
di perdere per sempre una parte di sé.
Ricordava perfettamente
come lui, Giorgio, avesse parlato di andare via, di salpare verso un
posto migliore come Garibaldi.
Era paradossale che parlasse di
lasciare l'Italia dal posto in cui l'Italia aveva cominciato a
nascere, ma forse inconsciamente lui già sapeva che avrebbe
lasciato
la vita, non il suo paese, e quel posto migliore che cercava poteva
essere quello dove alla fine era andato.
Dove chissà, forse
presto l'avrebbe raggiunto anche Gaia.
Ripensò al discorso fatto
con lei nel primo pomeriggio, a quell'idea che qualsiasi cosa ci
fosse dopo le sarebbe bastato rivedere chi amava.
Non era male
come idea, pensare che passava dalle braccia di chi amava ed era
ancora in vita a quelle di chi amava ma non c'era più.
Razionalmente,
per Simone, dopo la morte non c'era nulla, ma proprio nulla, eppure
la possibilità di trovare qualcuno era rassicurante, e forse
quando
hai poco da vivere la razionalità lascia il tempo che trova.
-
Papà, papà Davide ha detto che una volta vuole
partire come
Garibaldi! - Lo disse la bambina distogliendolo dalle sue
riflessioni.
- E tu vuoi andare con lui, Giorgina? -
- No.
Solo se ci siete anche tu e la mamma.-
Simone prese in braccio la
figlia. - Ma quando tu e Davide sarete abbastanza
grandi
da poter fare il viaggio di Garibaldi io e la mamma saremo vecchi e
stanchi, non saremo forti come voi.-
- Sarai come la zia Gaia
papà?- Chiese il bambino, che più della piccola
aveva capito come
la donna stesse male.
- Non lo so.- Sospirò l'uomo.
- Ma è
vero quello che ci hai detto? Che forse non la vedremo più?-
Gloria
rimase lievemente in imbarazzo, ai bambini era stato fatto un accenno
della situazione ma loro sembravano aver capito più del
dovuto.
Simone si avvicinò allora al cordone che separava lo
scoglio da mare tendendo la bimba tra le braccia e il maschietto per
dietro le spalle, facendo guardare entrambi verso l'immensa distesa
azzurra che avevano davanti.
- Sì, è vero, presto la zia sarà
per noi invisibile- Gli spiegò. - Ma, sapete, quando una
persona è
invisibile significa solo che non la possiamo vedere. Lei
può ancora
ascoltarci, ci possiamo parlare, e se stiamo ben attenti anche noi
possiamo sentire quello che ha da dirci.-
- Quindi se noi da
grandi faremo il viaggio di Garibaldi senza te e la mamma in
realtà
l'unica differenza sarà che non vi potremo vedere?- Chiese
Davide.
-
Sì, esattamente.-
- Allora va bene, forse.- Disse Giorgia
stringendosi al padre.
Gaia presto sarebbe diventata invisibile,
era vero.
Non avrebbe più visto la sua migliore amica, avrebbe
perso quell'abbraccio che per quarant'anni era stato sinonimo di
casa.
Forse, come sperava, lei avrebbe rivisto il suo adorato papà
e il suo carissimo Giorgio, forse c'era davvero qualcosa
dopo.
Avrebbe rivisto chi amava e tutto sarebbe andato bene per
lei, no?
Simone e tutti quelli che rimanevano avrebbero dovuto
farsi forza pensando che non vederla e non toccarla sarebbero state
le uniche differenze, che l'amore tra loro sarebbe rimasto sempre
immutato.
- Papà se tutti quelli che vanno via alla fine
diventano invisibili non è che poi c'è un posto
dove gli invisibili
possono vedersi tra loro?- Domandò Giorgia forse perdendosi
tra le
sue parole.
Era un suo concetto di Paradiso, probabilmente, e
Simone l'abbracciò forte rispondendo di sì.
- Allora dobbiamo
solo aspettare. - Disse la bambina. - Non è vero che non la
vediamo
più, dobbiamo solo aspettare di essere anche noi invisibili.-
L'uomo
sorrise.
Era certamente così.
E chissà, forse solo loro non
potevano vedere ma lei avrebbe potuto continuare a stargli dietro
ovunque, forte proprio della sua invisibilità.
Tornarono indietro
passando per Piazza Crispi, dove avevano salutato per l'ultima volta
il Procuratore.
Simone rimase alcuni minuti a guardarla e pensò a
quella mattina di settembre di trent'anni prima.
Ripensò alle
ultime parole di Alfio Olivietti.
“Trattatemela bene, è
l'unica che ho ancora piccola.”
Sorrise.
“L'ho fatto
fino alla fine, dottore.” pensò dentro
di sé. “Se
qualcosa ho sbagliato un giorno potrai dirmelo. Ma prima me la farai
abbracciare. Di nuovo, ancora.
Non c'è niente di brutto
nell'essere invisibili, basta non esserlo da soli.
E no, non lo
saremo mai più”.
Fine.
Sarà
quando quell'ultima volta
che la vedi e la senti parlare
quando il giorno dell'ultima volta
che vedrai il sole nell'albeggiare
e la pioggia ed il vento soffiare
ed il ritmo del tuo respirare
che pian piano si ferma e scompare.
Francesco
Guccini – L'ultima
volta
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Si
sono in ritardo di tre mesi, lo so, ma ero stanca distrutta prima
quanto dopo l'intervento e quindi tra una cosa e l'altra ho fatto
passare l'estate, perdonatemi.
Allora, ultimo capitolo, come avevo
preannunciato gonfio di una sua tristezza e sì, lo so, sono
una
brutta persona :( ma eravate stati avvisati.
Sinceramente il
finale non mi piace troppo, lo avevo in mente per bene e me lo sono
scordata -.-” ne ho praticamente scritti tre diversi e questo
è
stato quello che ho preferito, nella speranza possa piacere anche a
voi.
Spero che non abbiate pianto troppo (fatemi sapere u.u) e che
malgrado tutto la storia vi sia piaciuta.
Io vi ringrazio
tantissimo per essere arrivati fino a qua e vi invito ad ascoltare le
due canzoni citate, Invisibili di Cristiiano de Andrè e
L'ultima
volta di Guccini, che credo sia una canzone adatta a riassumere
l'intera storia di Gaia.
Per il resto vi ringrazio ancora
moltissimo per tutto, soprattutto per la pazienza dell'attesa e la
sopportazione della tristezza, e vi abbraccio fortissimo.
Un
grosso bacio a voi tutte/i
;Sun