Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
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Autore: Mary P_Stark    08/09/2014    2 recensioni
Cecily Fairchild è l'insegnante di Inglese nel piccolo paesino costiero di Falmouth, Cornovaglia. Sbrigativa, spigliata, sincera e per nulla vanitosa, è amata dai suoi studenti e apprezzata dai suoi colleghi. Ma, cosa più importante, è Fenrir del Clan di Cornovaglia, la licantropa più forte dell'intero branco. Licantropa che, però, si ritroverà ad affrontare qualcosa per lei del tutto nuovo e inaspettato, e un uomo che la lascerà senza parole per la prima volta in vita sua. Un uomo che, tra l'altro, sembra nascondere una marea di segreti, sotto la sua eleganza e le sue buone maniere. Amore e mistero li accompagneranno verso un'avventura ai limiti del mondo... e forse anche oltre. SPIN-OFF "TRILOGIA DELLA LUNA" - 4° RACCONTO (riferimenti alla storia presenti nei 3 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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 3.
 
 

 
Cordelia, Puck e Titania si recarono in un vicino albergo, per non essere rintracciabili da eventuali staffette elfiche.

Cecily, a tal proposito, si premurò di lasciare con loro tre lupi come ulteriore scrupolo.

Il resto delle sentinelle, tornò nel bosco adiacente Glastonbury e Hugh, fida ombra quale era sempre stata, si accodò alla sua Fenrir e a William per raggiungere il loro albergo.

Sull’ingresso, Hati li salutò per dirigersi furtivamente sul retro – da cui sarebbe entrato per non farsi scorgere dai colleghi della coppia – e Cecily, con un sospiro, entrò al fianco di Darcy.

Non avevano scambiato parola da quando lei aveva ripreso fattezze umane e,  solo grazie a Cordelia, aveva potuto indossare qualcosa per tornare in città.

Certo, spiegare perché indossasse un abito differente da quello con cui era partita, sarebbe stato un po’ difficile, ma era nulla in confronto a quello che le sarebbe spettato fare più tardi.

Spiegare ogni cosa a Darcy.

Naturalmente, Stephenie e Miranda sorrisero divertite nel vederla con un abito differente, e puntarono due occhi curiosi quanto maliziosi su William, che si limitò a nicchiare con abilità.

Lei le mandò debitamente al diavolo e, nel dirigersi verso il piano superiore, sbuffò infastidita prima di imprecare neppure troppo velatamente.

Come aveva fatto a cacciarsi in un guaio così mastodontico?!

Darcy fu lesto a seguirla ma, quando si ritrovarono entrambi sulle scale, lei si irrigidì non poco sotto il suo tocco e disse: “Ti prego. Devo riordinare le idee e, onestamente, non so come farò.”

“Tu? E io cosa dovrei dire?! Sono io, se non erro, quello che ha visto la propria donna diventare un … un… un lupo enorme!” sbottò William, accigliandosi non poco nello stringere con maggiore forza il suo polso.

Entrambi fissarono quel contatto violento tra loro e, subito, gli occhi di Cecily mutarono espressione… e colore.

Fu come veder all’opera un pittore di somma maestria.

Gli occhi non cambiarono semplicemente tono di colore, fusero tra loro le due tonalità per alcuni istanti, come se fossero stati qualcosa di liquido, di fuggevole e, dal blu ghiaccio, passarono al verde pallido.

Lupa e donna si mescolarono dinanzi a lui e, per un istante, desiderò scacciare dalla mente quell’immagine sdoppiata.

Gli serviva avere la testa sgombra, ma sembrava davvero impossibile.

“Ehi, professore, non crede che trattenere a quel modo una donna sia un po’ esagerato, oltre che da maleducati?” disse alle loro spalle un incolpevole Tyler.

Darcy si volse verso di lui con un diavolo per capello, ma fu lo sguardo di Cecily a far impallidire il ragazzo.

“Oh, cazzo!” gracchiò Tyler, fissandola a occhi sgranati.

Un veloce sguardo tra i due riempì i silenzi di entrambi.

Tornato serio, il giovane si accigliò e poggiò una mano su quella del professore, allontanandola da quella di Cecily con fare deciso.

“Devo chiederle cortesemente di scostarsi dalla mia Fenrir, professor Darcy. Non le permetterò di oltraggiarla a questo modo.”

“Che cosa?!” esclamò lui, scostandosi di colpo dalla coppia, quasi avesse visto un fantasma.

Cecily sospirò, infastidita o esasperata, nessuno di loro seppe dirlo con certezza, mentre Tyler si poneva come scudo tra loro due.

William, ormai al limite, ringhiò: “Anche lui?”

“No, William. Calma i bollori. E’ umano quanto te. Anzi, non proprio come te.”

Le ultime parole, la donna le sottolineò con tono vagamente acido, e Darcy accusò il colpo.

Reclinò il capo e sbuffò, infilando nervosamente le mani in tasca.

A quel punto, fu Tyler a nutrire qualche dubbio su quella strana conversazione e, rivoltosi a Cecily, le chiese: “Che faccio?”

“Perché non porti William al bar dell’albergo, e non gli parli un po’ di chi siamo? Io ho bisogno di una doccia immediata, oltre che di un po’ di tempo per riflettere.”

“Come la mia Fenrir comanda” le sorrise lui, malizioso e ubbidiente.

Cecily scosse il capo e, in silenzio, salì le scale per lasciare a Tyler un compito che, in teoria, sarebbe spettato a lei.

A volte, sapeva essere molto codarda.

 
§§§
 
Raggiunti i divanetti nella zona più tranquilla del piano bar dell’albergo dove alloggiavano, Darcy si accomodò, quasi lasciandosi cadere sui divanetti di alcantara verde scuro.

Tyler, si sedette a sua volta, dopo aver ordinato tè verde per entrambi, e sospirò.

Intrecciate le lunghe dita tra loro, il giovane studiò il viso accigliato del suo professore per diversi secondi, decidendo da dove partire per rendere le cose di facile comprensione.

Sì, come no!

Come se fosse facile parlare di dèi, reincarnazioni, poteri ancestrali e mutazioni.

Alla fine, però, si decise a parlare e, sommessamente, iniziò il suo racconto.

“Immagino che, come ogni bravo inglese, lei conosca le leggende norrene, vero?”

“Più di quanto vorrei, onestamente.”

Tyler sorrise tirato, immaginando senza troppa difficoltà che, quel pomeriggio, doveva essere successo qualcosa di non esattamente bello.

Ugualmente, proseguì.

“Come avrà notato, ho chiamato la professoressa con il nome di Fenrir. E’ un titolo onorifico per identificarla come Capoclan di un branco.”

“E Hati? E i mánagarmr?” domandò a quel punto Darcy, sempre più torvo in viso.

“Cazzo! Ha visto anche Hugh e le sentinelle? Ma che cazzo è successo, oggi?” gracchiò il giovane, senza minimamente badare all’etichetta.

“Ne parleremo dopo… forse. Vai avanti, possibilmente senza parolacce” lo sollecitò Darcy, aspro e secco.

“Oookay. Allora, Hati è il terzo in comando e guardia del corpo di Fenrir e, come avrà immaginato, se lui è terzo, c’è anche un secondo in comando, e prende il nome di Sköll. Conosce Sabine, per caso?”

“Sì.”

Tyler non fu incoraggiato a chiedere altro, visto il tono lapidario del professore, così proseguì nel suo racconto.

“I mánagarmr sono gli alfa più forti e, spesso e volentieri, sono le sentinelle del territorio di un clan. La Cornovaglia è il territorio di Cecily, per intenderci.”

“E tu? Perché Cecily ha detto che sei un comune umano?”

“Esistono tre categorie di persone, all’interno di un clan. I mannari, i neutri e gli umani, o nulli, anche se quasi nessuno usa quest’ultimo termine, perché è vagamente dispregiativo. I primi nascono licantropi, o mutano in età adulta tramite morso o ferita da artiglio. I secondi sono figli di mannari, ma non hanno il gene attivo della licantropia, e non possono mutare né con morso, né con ferita da artiglio. Poi ci sono quelli come me, che non sono neppure neutri, e nascono come semplici umani. Nel mio caso, ad esempio, se un giorno vorrò, potrò essere mutato in licantropo.”

William si passò una mano nervosa tra i capelli e, quando il tè venne servito, ne bevve una dose generosa prima di passare alla domanda successiva.

Avrebbe di gran lunga preferito prendersi una sbronza colossale ma, primo, era in compagnia di uno studente, secondo, doveva essere molto lucido per capire quel gran casino.

“Cosa… da cosa nasce questa… mutazione?” riuscì a domandare Darcy, pur se a fatica.

Grattandosi la nuca con espressione imbarazzata, il giovane borbottò: “Vorrei che ci fosse Lady Fenrir, adesso. Lei potrebbe spiegarlo meglio di me.”

“Spiegati come ti riesce meglio.”

“Deve dare per scontato che i miti sono più di quel che sembrano, e cioè non semplici storie della buonanotte. Fenrir non è solo un titolo onorifico… è il nome del nostro capostipite, e Hati e Sköll sono i figli del dio avuti da una donna umana, in seguito divenuta la prima tra le wiccan, le Sagge conosciute. Onoriamo la progenie del nostro capostipite dando i loro nomi alla Triade di Potere di ogni clan.”

“Ora mi prendi in giro” ringhiò Darcy, più che incredulo. Era quasi furioso.

Ma per chi lo stavano prendendo? Per un idiota?

“Affatto. Io non posso parlare in prima persona, perché non ho avuto un simile onore, ma c’è chi ha visto il capostipite della razza. Egli è qui con noi, cammina su questa terra, e ha le sembianze di Lady Fenrir, per l’appunto.”

William scosse il capo, non potendo credere a nulla di quanto riferitogli, pur se ciò che aveva visto quello stesso pomeriggio lo smentiva ampiamente.

Dèi? Miti che diventano realtà? Genti da altri mondi?

Era tutto dannatamente impossibile.

E il lupo di oggi, come te lo spieghi?, ironizzò una vocetta nella sua testa.

Tyler si passò le mani sul viso, vagamente nervoso, e replicò: “Senta, pensa che non mi sia venuto un mezzo infarto, la prima volta che ho scoperto la verità? Tutti volevano tenermi all’oscuro, per poter farmi vivere un’esistenza tranquilla, ma io non sono stato al gioco. Ho scoperto ogni cosa e, quando ho messo alle strette la professoressa, ho avuto il terrore che mi staccasse la testa a morsi. Invece, è stata così gentile da dirmi quello che ancora non sapevo, e mi ha offerto la sua protezione anche quando sarò a Londra, per gli studi. E’ maledettamente in gamba, come Capoclan, e io le voglio bene e la rispetto, perciò veda di aprirsi un po’, come visione d’insieme, perché quella donna ci tiene un sacco a lei!”

Darcy lo fissò senza parlare, e il ragazzo continuò nella sua filippica.

“Ha messo in croce ogni lupo da qui a Londra, per essere certa che tutti  stessero alla larga da lei e, quando Finn si è avvicinato a scuola, per poco non le è venuta una crisi di nervi dalla paura. Penso che meriti un minimo di comprensione.”

William si piegò in avanti, poggiando gli avambracci sulle cosce e, pensieroso, ripensò a tutti i mille, piccoli particolari che aveva notato durante il periodo passato con Cecily.

Ricollegando ogni cosa, col senno di poi, comprese cosa avesse passato per tenerlo al riparo da una verità così scomoda.

Con un mezzo sorriso, mormorò: “Non voleva ferirmi. Allontanarmi.”

“Veda di ricordarlo” sottolineò Tyler, annuendo con veemenza.

Scrutando il viso serio del giovane, Darcy gli domandò: “Quanto tempo hai impiegato, per venire a patti con questo guazzabuglio?”

“Io me lo sono cercato, perciò ho avuto vita facile. Mi pare di capire che invece, lei, abbia avuto un battesimo del fuoco piuttosto violento.”

“E’ dire poco” ironizzò Darcy, ridacchiando.

“Che voleva dire, comunque, la mia Fenrir, con l’affermazione di prima?”

William si alzò in piedi, lo osservò con aria divertita e, come se nulla fosse, dichiarò: “A quanto pare, sono un mezz’elfo, e mio padre viene da Alfheimr. Sempre per rimanere in tema di stranezze.”

Tyler sobbalzò sul divanetto, impallidendo visibilmente, ma a quel punto Darcy aveva ciò che voleva.

Un po’ della verità che, fin lì, gli era stata taciuta per proteggerlo.

E un principio di emicrania che, presto o tardi, si sarebbe trasformato in un mal di testa d’inferno.

Percorsa la scala scavalcando i gradini a due a due, entrò nella stanza di Cecily – sapeva bene che non chiudeva mai, e ora ne conosceva i motivi – e ascoltò assorto il rumore della doccia.

Senza minimamente starci a pensare, aprì la porta del bagno e, dopo essersela richiusa alle spalle – girando la chiave nella toppa, però – disse: “Quand’è che imparerai a chiudere?”

L’acqua venne serrata e Cecily, oltre le porte satinate della doccia, ringhiò: “Pensi davvero che esista qualcuno, su questa Terra, che possa prendermi alla sprovvista? Onestamente, se non avessi voluto farti entrare, neppure saresti riuscito a mettere mano alla maniglia della porta.”

“Scusa se non conosco ancora così bene i tuoi poteri…” iniziò col dire lui, aprendo la porta della doccia per divorarla con lo sguardo. “… ma rimedieremo, non temere.”

Senza darle il tempo di replicare, entrò nella doccia ancora vestito e, schiacciandola contro il muro, si appropriò delle sue labbra.

Fu famelico, senza alcun cenno di delicatezza, e ottenne esattamente ciò che voleva.

Lei si aggrappò al suo maglioncino di cotone e tirò, lacerandolo come se fosse stato burro.

Presa dalla stessa frenesia che colse lui, lo denudò senza badare alla fine che fece fare agli abiti e, quando Darcy si liberò con un calcio delle scarpe, lei riaprì l’acqua.

Un getto bollente si riversò su di loro e l’uomo, ridendo per un attimo, la sollevò con agilità per poi penetrare in lei con un’unica spinta.

Cecily allacciò le gambe alla sua vita, lasciò che lui la cavalcasse al ritmo desiderato, lasciandosi divorare un pezzo alla volta, in un giro interminabile sulle montagne russe.

Più volte mormorò il suo nome, più volte lo mordicchiò al collo, sulle spalle, ben attenta a non estrarre le zanne per ferirlo e lui, con sempre maggiore impeto, la fece sua.

Ansante e soddisfatto, non si mosse finché anch’ella non ebbe raggiunto la vetta e, quando la sentì morbida e cedevole sotto le sue mani, si ritenne appagato.

A quel punto, però, scoppiò in una risata piuttosto imbarazzata e, roco, le disse contro i capelli: “Scusa. Sono stato un autentico troglodita.”

“Credimi. Ho apprezzato” sospirò lei, con voce tronfia e gongolante.

“Non mentirmi più. Non mi importa se dovrai dirmi che vivi mille anni, o che vieni da Marte. Dimmi ogni cosa, perché io voglio sapere tutto di te, voglio condividere ogni cosa, con te” le ordinò con veemenza lui, stringendola in un forte abbraccio.

“Non volevo spaventarti. Scusami.”

“So perché l’hai fatto e, anche se il modo in cui l’ho scoperto non è esattamente il massimo, fa lo stesso. Ora, però, basta bugie.”

Lei annuì e, trovando la forza di ridere a sua volta, disse: “Solo io potevo innamorarmi di un mezz’elfo.”

Darcy allora si scostò per osservarla in viso, incredulo di fronte alla sincerità di quelle parole e lei, arrossendo suo malgrado, mormorò: “Basta bugie, no?”

Annuendo, William calò sulla sua bocca per un bacio caldo e divorante e, dopo un tempo che parve eterno, scostò appena le labbra per sussurrare su quelle di lei: “Ti amo, Cecily Fairchild, Fenrir di Cornovaglia… la lupa più bella che io abbia mai visto.”

Cecily rise e, più sollevata, lo strinse in un abbraccio che fece ansimare di dolore Darcy.

“Ehi… calma… ho le ossa fragili, io…” gracchiò lui, facendola ridere spensierata.

Lei allora lo lasciò andare e, trascinandolo fuori dalla doccia, gli disse: “Ti racconterò ogni cosa, promesso. E, se potrò, ti aiuterò a capire qualcosa di più anche su di te.”

“Eri a conoscenza dell’esistenza di Alfheimr?”

Cecily annuì e, del tutto seria, ammise: “Non ho messo piede personalmente su un altro mondo, se è questo che intendi, ma so di lupi che sono stati in universi diversi dal nostro e, per poco, non abbiamo rischiato di saltare in aria come una pentola a pressione rotta, a causa di questa visita improvvisa in altri lidi. Ti dirò ciò che so e, più tardi, faremo visita a Titania e Puck per la parte di storia che io non conosco, va bene?”

“E’ sempre così, nella tua vita? Sotterfugi, muoversi di notte e di nascosto, evitare la verità?”

“Con quelli che non ci conoscono, sì” ammise lei. “Potrai sopportarlo?”

“Che il mondo vada all’inferno. Io ho te. Posso sopportare le stesse cose che sopporti tu” dichiarò Darcy, sollevandola tra le braccia per condurla a letto.

Al diavolo la cena, i colleghi, tutto quanto. Voleva fare l’amore con lei, riscoprirla un po’ alla volta, amarla senza più ombre tra loro.

 
§§§
 
Titania sorrise benevola al suo sconosciuto nipote e, mentre Puck se ne stava acciambellato su un cuscino accanto alla finestra della stanza, la donna iniziò a parlare di Alfheimr con Darcy.

Cecily, appollaiata sul davanzale della finestra, a muta contemplazione dell’esterno, si sentì domandare da Puck: “Com’è mutare forma?”

Volgendo lo sguardo per scrutare il viso del giovane – in apparenza del tutto umano, orecchie comprese – la donna scrollò le spalle e ammise: “Per me è normale ma immagino che, per chi è nato umano e diventa lupo in età adulta, sia una cosa piuttosto strana. Puoi parlarne con una delle mie sentinelle. Parker è diventato lupo a ventitre anni, perciò saprà risponderti meglio di me.”

Puck la ringraziò con un cenno del capo, e in seguito mormorò: “Non abbiamo le orecchie a punta per un motivo molto semplice. C’è chi fece uno scherzo di dubbio gusto, a suo tempo, e questo creò il disguido.”

“Oh, ma…”

Lui sorrise, no, ghignò, e Cecily si ritrovò a ridacchiare.

“Robin Goodfellow, Puck, … qual è il tuo vero nome, elfo? E che legami hai con Shakespeare? E con questo fantomatico scherzo che vi ha appioppato le orecchie lunghe?”

“Puck è il mio vero nome, ma mi presentai come Robin Goodfellow al caro bardo immortale” ammise il giovane, sorridendole divertito. “Molto di ciò che scrisse in ‘Sogno di una notte di Mezza Estate’ è farina del mio sacco… e dei miei scherzi. E qui ci riporta a quello che ti ho appena detto. Diciamo che mi presentai qui con uno dei miei abiti di scena – sono un ottimo attore di teatro, tra l’altro – e qualcuno non capì la differenza tra una maschera e la mia faccia. Gli elfi della luce non hanno le orecchie a punta. I vostri elfi boschivi, le avevano. Due cose completamente diverse. Ma c’era chi, a suo tempo, non notò la differenza.”

Cecily ridacchiò e Titania, nel sentirli parlare del sommo bardo, intervenne.

“Mio figlio ha sempre amato poeti e scrittori, e qui su Midghard si trovava assai bene, in gioventù.”

“Perché? Quanti anni avresti, scusa?” domandò Cecily, dubbiosa.

Puck ci pensò su un attimo prima di dire: “Settemilaseicentosette, giorno più, giorno meno.”

“Otto, mio caro. Non barare” sottolineò Titania, sorridendogli calorosa.

Puck rise. Cecily e Darcy un po’ meno.

Impallidendo visibilmente, la donna borbottò: “Oh, beh… oookay. Domanda che non dovevo fare, a meno di non voler collezionare un mal di testa d’eccezione. Quindi… ti videro i primi abitanti d’Inghilterra, giusto?”

Oui” assentì lui, come se nulla fosse. “Ed è per questo che conosco la vostra razza. Fui spettatore del vostro sorgere tra le genti.”

“Okay, emicrania in arrivo” borbottò la licantropa, accigliandosi non poco.

“Io ce l’ho già” sottolineò William, indicandosi con aria sconvolta.

“Sono successe molte cose, e in poche ore. E’ normale che sia così” dichiarò Cordelia, seduta accanto al figlio.

“Resta da capire cosa fare per mio padre” sottolineò a quel punto l’uomo, tornando a scrutare con ansia il viso preoccupato di Titania. “Non possiamo permettere che rimanga imprigionato nelle segrete di palazzo.”

“A quest’ora, mio marito avrà già compreso quello che abbiamo fatto, e ci starà cercando. Non sarà nell’animo adatto per ascoltarci, purtroppo.”

Il sospiro di Titania fu seguito da quello di Puck, che scosse il capo con fare disgustato.

“E se facessimo intervenire qualcuno di più cazzuto di Oberon, con tutto il rispetto parlando?” intervenne Cecily, sorridendo speranzosa a Darcy.

“Che intendi dire, lady lupo?” le domandò Titania. Non c’era stato verso di farle usare il suo nome.

La regina degli elfi preferiva chiamarla a quel modo, convinta che fosse il sistema migliore per omaggiarla.

Era chiaro che, per lei, il suo essere sia donna che animale, fosse qualcosa di infinitamente incredibile… e da idolatrare.

“Che presentarci ad Alfheimr con una cavalleria di primordine, potrebbe far desistere Oberon dal farci del male, o fargli capire che non può pretendere che Darcy torni in un mondo che non ha mai visto né conosciuto.”

“A chi stavi pensando?” le domandò lui, curioso.

Quando Cecily disse i loro nomi, non un solo volto rimase impassibile.

Titania, addirittura, impallidì visibilmente e, boccheggiando, esalò una parola che la licantropa non comprese, ma che poteva essere benissimo uno scongiuro.

A quanto pareva, Cecily ci aveva visto giusto. Con una squadra del genere, non si poteva sbagliare.


 
  
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