2. Accoglienza
«Che
schifo!».
Due
parole borbottate a denti stretti, quasi sputate dalle sue labbra contratte
come un pesante insulto mentre sul suo viso era dipinta un’espressione di
disgusto mista a noia. Ok, Gislaved era esattamente come se l’era immaginata:
piccola, isolata, e noiosa. “Il posto più in culo al mondo in cui sia mai
stata”, come aveva detto alla sua amica Emma non appena erano scese dal pullman
che dall’aeroporto le aveva portate fin lì. E più il mezzo si allontanava dalla
grande città in cui erano atterrati, lasciandosi dietro grandi e medi centri
abitati, dirigendosi verso quel paese del sud della Svezia, più i suoi dubbi
trovavano conferma. Per poi aggiungere un assoluto ed inconfutabile “come
volevasi dimostrare” non appena le suole delle sue All Star sbiadite ebbero
toccato il ciottolato della piazza principale. Be’, piazza: una fontana
passabile con delle sculture passabile, un municipio nella norma, qualche
banalissimo e normalissimo negozio e un paio di palazzi storici anch’essi
passabili. Da quel poco che aveva visto di Gislaved aveva dedotto che da quelle
parti l’aggettivo superlativo di gradimento potesse tradursi con il suo
“passabile”. Emma, invece, era tutta entusiasta e non faceva altro che
saltellare qua e là eccitata respirando a pieni polmoni la pulita (e fredda,
aggiungiamo) aria svedese. In risposta all’espressione schifata e alle poche
parole annoiate di Vittoria, la ragazza dai lunghi capelli rossi, con qualche
lentiggine sul naso e la cui indole poteva facilmente oscillare tra il tremendamente
timido e l’irreparabilmente sfacciato (Vittoria credeva soffrisse di doppia
personalità), si limitò a darle una forte pacca sulla schiena.
«Suvvia,
piantala con quella faccia da funerale!» le aveva detto con un sorriso a
trentadue denti mentre l’amica per poco non finiva scaraventata a terra. «Ci
divertiremo! Vedrai!».
Divertirsi?
Ahahah. S-I-C-U-R-A-M-E-N-T-E. Nell’arrivare non aveva visto neanche una discoteca, neanche un pub, neanche un centro commerciale, solo
un cinema che, però, sembrava più che altro lo sgabuzzino delle scope e solo una birreria da quattro soldi. Ok,
le sembrava di essere la tipica ragazza di città che arriva in campagna e
frigna come una poppante perché non ha più i suoi giocattoli preferiti. Quindi,
forse era meglio che si desse una controllata. Non si considerava certo una di
quelle ragazzine tutte perfettine che si lamentano per qualsiasi cosa
ventiquattr’ore su ventiquattro, perciò BASTA! Vittoria, piantala di tenere il
brocio e guarda che bel… ehm… che “bel” paese hai di fronte. Due settimane qui
e non vorrai più lasciarlo, assicurato! Ehm… sì… certo. Ok, quella volta era
più forte di lei: non le era piaciuto per niente che i suoi genitori l’avessero
costretta a fare i bagagli e a partecipare a quella stra-maledetta vacanza
studio! Il tutto per poter vantarsi con i loro conoscenti che loro figlia era
un tesoro, qualcosa di assolutamente perfetto, che aveva fatto questo, questo e
quest’altro… e che ora era in Svezia a studiare. Se non fosse stato che anche la
sua migliore amica Emma sarebbe partita, Vittoria era sicura che si sarebbe
barricata in camera sua, bloccando la porta con tutti i mobili che aveva a
disposizione e inchiodando le finestre fino a farla sembrare un bunker. Sarebbe
anche morta di fame e di sete lì dentro pur di non darla vinta ai suoi e dover
alzare bandiera bianca. Ma visto che anche Emma partiva, non le andava di
rimanere nella sua città da sola e quindi aveva acconsentito: anche per
chiudere una volta per tutte il becco a sua madre, che non faceva altro che
rimarcare il fatto che il suo comportamento fosse “del tutto incivile!”. E per
un po’ non avrebbe sentito i suoi strilletti di rimprovero: questo era l’unico
lato positivo.
E
ora? Be’, non le rimaneva che scaricare le sue valige e recitare la parte di
Heidi. In effetti lì in mezzo alle montagne, alle foreste e ai laghi si sentiva
veramente tale; le mancavano sole le pecorelle che fanno “ciaoooooo!”. Perciò,
si fece largo tra i suoi compagni di viaggio seguendo Emma verso i loro
bagagli.
Per
completare il quadro della situazione sarebbe bastato che un orso polare le
attraversasse la strada.
«Sicura
che sia questa?».
«Certo.
Guarda, c’è scritto qui: numero 24».
«Se
lo dici tu…».
Vittoria
allungò il braccio per suonare il campanello di una piccola villetta a schiera,
assolutamente identica a tutte le altre della via tranne che per il minuscolo
giardino con una panchina, un alto pino e due piccole aiuole ora spoglie, e il
numero 24 scritto sotto la cassetta della posta. Il loro insegnante d’inglese,
prof. Zanardi, le aveva appena lasciate sulla soglia, dicendo frettolosamente
che quella era la casa in cui avrebbero alloggiato per le prossime due
settimane, per poi andarsene di corsa per accompagnare un’altra coppia di
studenti in fondo alla via. E tanti saluti. Aspettarono altri due minuti buoni
e nessuno si era ancora presentato ad aprire la porta; e questo non giovava
certo all’umore “stellare” di Vittoria, che prese senza tante cortesie dalle
mani di Emma la mappa che le avevano fornito per orientarsi approssimativamente
per il quartiere che era stato loro assegnato. Sì, la casa era quella. Senza
dubbio. Perciò provò ancora a suonare, questa volta con più vigore e senza
riuscire a reprimere un movimento scocciato del piede.
Finalmente,
dopo non si sa quanto tempo, la porta che dava sul breve vialetto si aprì e ne
spuntò una testa di capelli bianchi spettinati che corse loro incontro. Era una
donna sulla settantina, con un paio di grossi occhiali appoggiati sulla punta
del naso che ricordavano molto un gufo; indossava un ridicolo grembiule a fiori
sporco di farina (probabilmente stava cucinando) e delle pantofole di pelo
rosa. Inoltre la sua strana andatura, come se avesse i piedi piatti, la faceva
assomigliare incredibilmente ad una sottospecie svedese di Nonna Papera.
Insomma: la classica vecchietta bizzarra che vive da sola, magari in una casa
piena di gatti e centrini ricamati con motivi floreali e fiocchi. Perfetto, ci
mancava solo la vecchietta arzilla con qualche rotella fuori posto, pensò
immediatamente Vittoria, mentre Emma tratteneva a stento un risolino.
«Oh,
mie care, finalmente siede arrivate! Siete in anticipo o sbaglio?» disse la
vecchia in inglese con un forte accento a metà tra lo svedese e il tedesco.
«Ehm,
veramente no. L’arrivo era previsto per le 10.30 e sono le 10.45» rispose
Vittoria nel suo inglese fluido che a scuola le aveva concesso la media
dell’otto.
«Ah»
borbottò l’altra, come colta alla sprovvista. Ok, confermato: era una
vecchietta svitata, che magari conservava gelosamente nel ripostiglio un album
fotografico di tutte le sue magnifiche torte che avrebbe mostrato loro un
pomeriggio in cui non sapevano che fare.
«Vabbè,
non importa. Entrate, entrate pure, ragazze! Sarete stanche, immagino. Ho
giust’appena preparato il tè; vi va, vero? Ho anche i biscotti alle mandorle».
Così
dicendo la simpatica vecchina si avviò lungo il vialetto, dando per scontato
che le due ospiti la seguissero, mentre Vittoria ed Emma raccoglievano alla
bell’e meglio tutti i loro averi.
«Simpatica,
no?» sussurrò Emma all’orecchio dell’amica.
«Oh,
sì, un tesoro».
L’ultima
cosa che voleva era passare due settimane a casa di una befana gentile che prepara tè alle undici,
completamente sballata, con una cinquantina di gatti che sputano palle di pelo
e il salotto che puzza di cavolo. Be’, pensò trascinando dietro di sé il
trolley, avrebbe potuto andarle peggio, con una befana cattiva che prepara tè alle undici, completamente sballata, con una
cinquantina di gatti che sputano palle di pelo e il salotto che puzza di cavolo.
«A
proposito, scusate la scortesia…» disse all’improvviso Nonna Papera voltandosi
verso di loro quando furono in prossimità della porta. «Il mio nome è Linnéa,
ma chiamatemi pure zia Linn. Voi, invece siete?».
«Emma,
piacere di conoscerla! La sua casa è davvero magnifica!».
«Vittoria…
Piacere…».
«Perfetto,
d’ora in poi per il tempo che starete qui saremo un’unica, grande famiglia.
Contente? Oh, mie care, lasciate che vi abbracci!».
Così
dicendo la vecchietta, pardon zia Linn, si lanciò su di loro con un abbraccio
stritola-costole, che le lasciò a dir poco senza fiato, osando addirittura un
bacio dalle sue labbra rugose, che fece arrossire Emma ed aggravò l’aria da
“non-vedo-l’ora” di Vittoria.
Sarebbero
state davvero un’unica, grande ed amorevole
famiglia.
Però,
Vittoria dovette presto ricredersi sulla natura originale della vecchietta,
infatti appena misero piede in casa furono accolte da un piacevole tempore, ben
diverso dall’odore di cavoli cotti che si era aspettata. Inoltre, quando zia
Linn le fece accomodare nell’accogliente e piccolo salotto poté anche osservare
che in giro non c’era neanche un gatto e che, quindi, la signora non era
neanche una di quelle anzianotte pazzoidi con tremila felini in casa che
miagolano di continuo. E, di fronte a tutto ciò, si stupì di non sentirsi
sollevata dal fatto che la situazione fosse più normale e passabile del
previsto; infatti, riteneva che se non c’erano cavoli cotto o gatti, doveva
esserci qualcosa di ben peggiore: insomma, data l’idole dell’arzilla “zia” non
poteva essere tutto così comune in quella casa! Doveva esserci per forza
qualcosa di anormale, che le desse noia e di cui potesse lamentarsi!
Senza
lasciarle neanche il tempo di finire quei pensieri, zia Linn arrivò con un
vassoio stra-carico di biscotti di ogni tipo e tre belle tazze di caffè
fumante, che posò sul tavolino davanti a loro con un sorriso che quasi raggiungeva
gli enormi occhiali da gufo. No, doveva esserci per forza qualcosa che non
andava!, si disse Vittoria, mentre osservava Emma lanciarsi senza tanti
complimenti sul vassoio. In fondo, in fondo… oh, insomma, no, non era
masochista! Ma non aveva nemmeno la minima intenzione di dare a vedere di
divertirsi o tanto meno di essere a suo agio in quel posto, giusto per non
dare, una volta tornata a casa, alcuna soddisfazione ai suoi genitori che,
vedendola imbronciata come non mai, c’avrebbe pensato due volte la prossima
volta prima di spedirla da qualche parte come un pacchetto postale. In fondo,
la sua vita era nella sua città, in Italia, e quel posto, come qualsiasi altro,
non aveva proprio niente da spartire con lei. Vabbè, pazienza, si disse alla
fine prendendo una delle tazze di tè, prima o poi sarebbe apparsa una buona
occasione per lamentarsi di quel posto.
«Molto
bene» annunciò alla fine la vecchia con uno schiocco delle labbra e posando la
propria tazza. «Credo sia ora che vi faccia un piccolo tour della casa, visto
che sarà come la vostra per le prossime due settimane».
Emma
e Vittoria si lanciarono un’occhiata: Emma, dal luccichio dei suoi occhi, si
poteva intuire che fosse eccitata dalla prospettiva, mentre Vittoria non aveva
ancora abbandonato la solita espressione scocciata che l’accompagnava da quando
erano arrivate.
«Direi
di cominciare dal piano terra: se volete seguirmi, vi mostro il cortile» e si
avviò verso una piccola porta a vetri che conduceva all’esterno con un battito
di mani e un’aria delle arzille.
E
le ragazze non poterono fare altro che seguirla…
«Ma
non sono adorabili?!?».
Questa
fu l’esclamazione di meraviglia di Emma che giunse alle orecchie di Vittoria
appena ebbero varcato la soglia. E la ragazza non poté fare a meno di far
cadere il proprio sguardo sull’oggetto dell’attenzione dell’amica: papere. Tante
papere. Che scorrazzavano indisturbate nel piccolo cortile sul retro: troppe
papere per i suoi gusti. Ecco, finalmente la sua ipotesi trovava accoglienza:
non c’erano gatti, non c’erano cavoli cotti, ma c’erano quelle maledettissime
papere che starnazzavano a proprio agio lì attorno a loro, a guisa di
normalissimi animali domestici.
«Ehi,
care guardate queste sono le nostre nuove ospiti: Emma e Vittoria! Salutate,
su!» esclamò zia Linn rivolta ai… volatiti. «Dunque, ragazze, questa è Katie,
questa Charlotte, questa…».
Ok,
perfetto, finalmente aveva qualcosa di cui lamentarsi: soggiorno gratuito in
casa di una vecchietta svitata che vive con uno stormo di papere di tutti i
tipo e con tutti i nomi.
E
non era sicura che la sua conoscenza con loro avrebbe fatto nascere una delle
amicizie più profonde…
E, finalemente rieccomi con un nuovo cap! Scusate la lunga assenza ma la scuola e tutto il resto non mi hanno lasciato molti spazi liberi per scrivere. Ok, belle accogleinza no? All'inzio questo capitolo doveva includere anche un altro fatto, ma visto che era già abbastanza lungo, ho deciso di dividere le cose: quindi non perdetevi la prossima puntata perchè se ne vedranno delle belle (perfino peggio delle papere, con cui naturalmente approfondiremo la conoscienza). Vi dico soltanto che zia Linn non è la solita vecchietta che vive da solo con i suoi strambi animale, infatti presto ci sarà un nuovo personaggio (vi tengo sulle spine eh? ihihih). Sottolineo, che non sono mai stata in vacanza-studio all'estero quindi mi perdonere qualche imprecisione. Poi, piccola nota sulla lingua: i dialoghi saranno scritti quasi tutti i italiano (anche se vedrò di aggiungere qualche parola in svedese), ma è sottointeso che la nostra protagonista e la sua fida amica parlano in inglese con tutti gli altri personaggi, tranne che tra di loro ovviamente. Ok, spero di essere stata chiara, quindi ringrazio velocemente (perchè vado davvero di fretta e scuserete qualche errore nel testo per questo vero?) Bella4 e Urdi per le loro recensioni, sperando di vederne di altre, e anche tutti coloro che hanno letto.
Recensite, mi raccomando!!!!!