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Autore: Lara Ponte    09/09/2014    3 recensioni
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L'ambientazione è una della più classiche del genere SF.
L'umanità ha da tempo lasciato la Terra, ormai in profondo stato di degrado per trasferirsi su altri sistemi planetari. La nuova federazione è gestita da un “Impero Centrale” ma sono tanti quelli che invece preferirebbero che ogni singolo pianeta avesse un governo proprio.
Con alcuni pianeti è già in corso una vera e propria guerra civile e il mio personaggio sarà suo malgrado coinvolto nel peggior genere di affari...
Grazie in anticipo a tutti voi che la leggerete. Enjoy
Genere: Generale, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II



Appena cercai di aprire gli occhi, una luce accecante me li fece richiudere. Mi voltai di lato cercando di capire dove fossi finito. Osservai il mio braccio destro infilzato da aghi e sensori, rendendomi conto di essere in un ospedale. 'Sono vivo...' Riuscii a pensare. Dopo qualche attimo mi accorsi di non essere solo. Un infermiera accanto al letto mi sorrise.
“Andrà tutto bene” Disse.
'I ragazzi...' Avrei voluto chiedere, ma la mia bocca sembrava calcificata. Strinsi a pugno la mano sinistra, volevo sapere se qualcuno tra di loro si fosse salvato ma ero impotente. Forse qualche lacrima sgorgò dai miei occhi, perché all'improvviso li sentii umidi.
“Non si agiti, presto andrà meglio.”
Mi iniettò qualcosa nella flebo, dopo di ché devo essermi addormentato.

“Ce la fa a mettersi seduto?” Questa volta a parlare fu un uomo sulla trentina. Accanto a lui ne era comparso un altro più anziano. Insieme poi mi aiutarono a tirarmi su. Non sapevo quanto tempo fosse trascorso, però stavo meglio. Almeno fisicamente.
“Qualcuno... si è salvato qualcuno dei ragazzi?” Riuscii finalmente a borbottare con una voce che stentavo a riconoscere.
Quello giovane mi strinse forte la spalla, abbassando lo sguardo.
“Mi dispiace signor Castillo. Lei è l'unico.” Fu l'altro a rispondermi.
Quel Dio in cui tanto credeva mio fratello, quel giorno doveva essere troppo occupato per le mie preghiere. Avevo sperato fino all'ultimo che si fosse salvato qualcun altro, ma così non era stato e ancora non riuscivo a credere di essere l'unico sopravvissuto a quella carneficina.
Fui dimesso qualche giorno dopo e mi assegnarono ad una dottoressa che avrebbe dovuto darmi supporto psicologico. Una donna sui trenta di bell'aspetto. Aveva lunghi capelli biondi che portava quasi sempre raccolti e dall'acconciatura spuntava sempre fuori qualche ricciolo ribelle. Per quanto professionale, era stata gentile e disponibile fin dal primo incontro: per i primi due mesi fissò tre appuntamenti a settimana, in seguito avremmo deciso su come continuare la terapia. Intanto ero tornato a vivere in caserma.
Alla mensa mangiavo quel tanto che bastava a sopravvivere, lasciando quasi sempre i piatti a metà. Non riuscivo più nemmeno a contare i giorni. Pensavo soltanto a quello che era successo e continuavo a pormi domande su domande. Alla fine mi feci coraggio e chiesi un appuntamento col capitano della mia sezione. Se c'era qualcuno con cui potevo confidarmi, questo era lui. Aveva seguito la mia squadra fin dal primo giorno, tra di noi lo chiamavamo 'Faccia da orso', per via della folta peluria sul suo volto fin troppo grosso, eppure a dispetto dei suoi modi burberi per me era stato una specie di secondo padre.

Percorsi lentamente il corridoio bianco decorato da una semplice banda rossa a metà altezza della parete, cercando le domande giuste. Quando poi aprii l'ultima porta di metallo alla mia destra tutte le questioni mi morirono sulle labbra. 'E questo chi è?' Pensai ritrovandomi davanti uno sconosciuto. Super rasato e in ordine, sembrava appena uscito da un negozio di manichini.
“Buongiorno. Ho appuntamento col capitano Aymerick.”
“Si accomodi. Lei dev'essere Castillo. Io sono il capitano O'Brian. Roger è stato trasferito durante la sua permanenza in ospedale. Da questo momento per qualsiasi cosa, potrà rivolgersi a me.”
La sua finta cortesia mi diede il voltastomaco, ma non lo diedi a vedere. Io non conoscevo lui e lui non sapeva niente di me: in fondo era presto per giudicare.
“Non riesco a capire come sia potuto succedere, signore.”
Le parole uscivano a stento dalle mie labbra, soffocate dalla rabbia che provavo.
“Non è colpa sua. Mi dispiace per ciò che è successo, ma nessuno poteva prevedere quell'imboscata.”
'Stai mentendo bastardo.' Quel pensiero si formò da solo nella mia testa, non capivo perché ma sapevo, sentivo che era vero. Non aggiunsi altro, lo salutai rispettosamente e decisi all'istante che avrei scoperto da solo la verità. Quando mi congedò disse che sarei tornato operativo non appena la dottoressa avesse dato parere favorevole e che fino a quel momento dovevo solo stare tranquillo e rimettermi in sesto. Probabilmente fu l'unica cosa sensata che potesse dirmi.

Ricominciai a mangiare come si deve e chiesi di partecipare alle sezioni di addestramento delle reclute. Un po' di movimento fisico mi avrebbe fatto bene. Durante l'assalto avevo riportato molte ferite ma tutte superficiali. Tutte tranne quella profonda nel mio animo. Quel che era successo non era normale, qualcosa nella mia testa mi diceva di andare fino in fondo. Avevo molti amici in caserma e qualcuno mi doveva dei favori. Ottenni facilmente l'accesso agli archivi e mi misi a studiare i tracciati radar della zona a partire da quelli di un mese prima, ma non vi era traccia alcuna di spostamenti nemici e nemmeno granché di quelli 'amici' se dovevo dirla tutta. Passai in rassegna anche documenti a cui in teoria non avrei potuto accedere, ma non trovai nulla di nulla.

Dopo quasi un mese di indagini a vuoto, cominciai a pensare che la mia fosse solo una paranoia dovuta allo shock, ma una mattina tutti i miei sospetti divennero certezza. Mi ero addormentato su un banco della biblioteca, dove mi trattenevo col mio portatile fino a tardi. Fui svegliato da due persone che parlavano sottovoce convinte di essere sole: il grosso scaffale davanti a me mi nascondeva alla loro vista. Trattenni il fiato cercando se possibile di diventare ancora più invisibile.
Riconobbi subito la prima voce come quella del capitano Aymerick, ma l'altro non avevo idea di chi fosse.
“L'esca ha funzionato a dovere. Ora tutti credono che gli indipendentisti abbiano ripreso le rappresaglie di loro iniziativa e possiamo finalmente intervenire...” Diceva.
“La tua 'esca' ha sterminato una delle migliori pattuglie da me addestrate. L'unico sopravvissuto adesso non vale nemmeno la metà del ragazzo che ho visto crescere! Non avrei dovuto appoggiare il tuo piano. Per cosa poi? Unificare l'impero? Ormai non ci credi nemmeno tu, io vedo solo nuove ricchezze per le dannate fabbriche d'armi...”
“Capisco la tua rabbia, anche a me è dispiaciuto vedere un potenziale eroe diventare un relitto. Ma andava fatto. Non era previsto ci fossero sopravvissuti. Invece ne manca ancora uno all'appello e nessuno sa che dove sia finito.” 'Un altro? Chi?' Mi domandai d'istinto.
“Castillo era figlio di un amico, non meritava questo.”
“Era l'unico che avevamo al momento, non serve a niente rimuginare.”
“Prego Dio tutti i giorni che si rimetta al più presto. La dottoressa Fingard dice che le nasconde ancora qualcosa, quindi per il momento non sappiamo cosa gli passi per la testa. Forse ha dei sospetti e in quel caso, c'è da sperare non dia troppa retta al suo istinto. E dire che sono stato proprio io ad insegnargli a non mollare.”
“Ci siamo trattenuti anche troppo. Pensa quello che vuoi ma abbiamo fatto la cosa giusta. Il generale Smithson ci teneva a ringraziarti con questo piccolo extra.”
Concluse l'altro passando una busta nelle mani di quello che un tempo era stato il mio mentore.
“Dannato denaro...e fottuti medici!” Gli sentii mormorare tra se, mentre l'altro si allontanava. Mi ricordai subito che sua moglie si era ammalata di tumore lo scorso anno e ciò bastò ad evitarmi domande stupide del tipo 'Perché lo aveva fatto?' o simili.
Fino a quel momento avevo cercato nei posti sbagliati, ora sapevo di quali documenti avrei dovuto appropriarmi ed alla svelta pure. Sapevo anche di non potermi più fidare della dottoressa, quindi decisi di recitare la parte del fallito pieno di sensi di colpa.

Qualche giorno dopo mi presentai a Donaegal La Vega. Un conoscente, quasi un amico, di vecchia data. Sua madre era irlandese e suo padre spagnolo come noi, abitavano a due isolati di distanza dalla nostra casa. Aveva i capelli rossi tipici del nord e gli occhi scuri di noi latini. Era sempre stato abbastanza gracile ma molto intelligente. Quando era diventato caporale accettò felicemente il suo ruolo come topo d'ufficio senza mai chiedere nulla di più. Una volta mi chiese un piccolo prestito. Strano a dirsi ma la sua famiglia era ancora più povera della mia. Doveva andare al matrimonio di una cugina e non aveva nemmeno i soldi per noleggiare un abito decente. Glieli regalai senza pretendere nulla in cambio.
Ora abitava da solo in un appartamento dell'esercito vicino agli uffici di rappresentanza. Il suo lavoro spesso lo portava a consegnar scartoffie in giro per la città 'Alla faccia del progresso!', quindi un alloggio in caserma avrebbe soltanto aumentato i costi per gli spostamenti.
“Leandro! Che piacere rivederti, dopo quello che è successo non oso chiederti come ti senti.”
“Sopravvivo...” Tagliai corto, nel varcare la sua porta.
“Come mai qua?”
“Oggi sono io che ho bisogno di un favore da te...e quello che farai oggi non dovrà uscire da questa casa. Ci stai?” Raccontai subito di ciò che avevo scoperto e di come io e i ragazzi fummo usati da esca. Ciò che mi mancavano erano le prove e lui mi avrebbe aiutato a procurarmele.
“In poche parole devo hackerare il sistema e stamparti documenti riservati. Ammesso che ne troviamo...” Sospirò. “Se quello che dici è vero, c'è dietro un bel giro di tangenti. Sei sicuro che troverai un giudice militare disposto ad incriminare un generale?”
“Devo almeno provarci. Al diavolo tutti: hanno fatto di noi carne da macello. Non lascerò che le vite dei miei ragazzi vengano dimenticate.” Mentre parlavo mi resi conto di avere involontariamente pensato una delle citazioni preferite di mio padre:
'Le guerre vanno e vengono, ma i miei soldati vivranno in eterno...' Fino a quel momento non mi ero mai reso conto di quanto ci tenessi a loro, i miei amici, i miei compagni.
Mi appisolai su un piccolo divano di tessuto mentre Donny si dava da fare al suo computer. Mi svegliò dopo tre ore buone dandomi dei colpetti alla spalla e mettendomi in mano dei tabulati telefonici con relativi testi dei dialoghi.
“Queste intercettazioni sono tutto ciò che ho trovato. Probabilmente le tenevano per ricattarsi l'un l'altro.”
“E' più di quanto potessi sperare!”
“Figurati. Vai prima che si faccia tardi.”
A quelle parole diedi uno sguardo al mio orologio: se non mi sbrigavo rischiavo pure un richiamo.

***

Che ingenuo ero stato. Ottenni un appuntamento con un giudice di nome Sanders la settimana dopo. Quell'uomo, ex colonnello, aveva da poco superato i sessanta, gli mancavano quasi del tutto i capelli ed era abbastanza sovrappeso, tuttavia sembrava onesto. Per scrupolo mi presentai a lui accompagnato da un avvocato. Mi ascoltò senza interrompermi per una buona mezz'ora, tenendo sotto al naso i tabulati telefonici. Nonostante le moderne tecniche chirurgiche per migliorare la vista, preferiva usare gli occhiali. Quando fu il suo turno di parlare li posò piano sul tavolo scuro che ci separava facendo attenzione alle lenti.
“Preferisce una risposta sincera, vero?”
“E' per questo che sono qua.”
“Le sue accuse sono gravi, ma a queste cosiddette 'prove' non crederà nessuno. Diranno che sono contraffate e che l'attentato subito le ha fatto perdere la testa. Nel migliore dei casi la faranno passare per uno che da la caccia ai fantasmi.”
“Non si può fare proprio nulla?”
“L'unico consiglio che posso darle è di chiedere il congedo anticipato e di costruirsi una vita come civile.”
A quelle parole osservai la faccia impassibile del mio avvocato, dove sembrava vi fosse stampato il famoso: 'Te lo avevo detto...'

Dopo aver cortesemente ringraziato entrambi me ne andai. La cosa strana era che in quel momento non provavo nulla. Da una parte sapevo già che sarebbe andata così, ma dall'altra mi sentivo svuotato. La sera nel mio alloggio non riuscivo a chiudere occhio. Avevo spento il terminale presto, subito dopo aver versato all'avvocato la cifra pattuita per il disturbo e da quel momento in poi una strana sensazione di pericolo mi si era attanagliata nello stomaco.
Verso le due senti un lieve rumore nella serratura e poi qualcuno nella mia stanza. Rimasi a letto, pronto a scattare fingendo di essere addormentato. Con la coda dell'occhio notati il movimento di una mano armata di pistola: una banale 10mm con silenziatore. Bloccai subito quel polso, facendo cadere a terra il mio attentatore e appeni accesi la luce vidi subito i riccioli biondi della dottoressa. Mi guardò implorante con le lacrime agli occhi.
“Non potevo disubbidire...mi – mi dispiace.” Singhiozzò senza opporsi.
“Chi ti ha mandato?”
“Non puoi rimanere qua. Sanno cos'hai scoperto e vogliono la tua testa.” Disse ignorando la mia domanda e prima che potessi aggiungere altro mi mise in mano il suo pass per l'uscita riservata e mi intimò di correre. L'allarme si attivò pochi minuti dopo, mentre già mi muovevo lentamente nelle ombre del cortile. La voce dell'altoparlante gracchiava stronzate sul fatto che avevo aggredito la biondina e stavo fuggendo impazzito. E dire che ero stato io quello tradito praticamente da tutti.

***

E così, in quella notte ormai lontana, divenni un disertore. Vagabondai da un pianeta all'altro sotto non so nemmeno quanti nomi. L'unica cosa che sapevo fare era combattere, o meglio uccidere; così mi guadagnai da vivere facendo il lavoro sporco del cacciatore di taglie. Dopo quasi quattro anni di quella vita, alla fine sono approdato qua sulla Terra, o meglio su ciò ne rimane.
Ancora pochi passi e avrei raggiunto il piccolo bar all'angolo dove quelli come me andavano a ubriacarsi fino a perdere i sensi. Almeno così avrei riposato qualche ora. Nulla invece poteva prepararmi alla sorpresa che mi si parò davanti, appena arrivai al bancone.
Stavo per dire al vecchio Josh di servirmi il suo schifo di vokda, quando lo vidi comparire al mio fianco. Il tempo era stato clemente con lui più che con me. Aveva una sottile cicatrice sul lato sinistro del viso, ma era era esattamente come lo ricordavo. Capelli lisci biondi, ora lunghi e stretti in una coda di cavallo. I suoi occhi azzurri mi guardavano sorridenti e una frase si formò sulle labbra.
“Finalmente ti ho trovato.”
“Madre de Dios... Reeves!” Alla sua vista mi venne quasi da piangere, ma subito mi misi sulla difensiva. Potevo ancora fidarmi di lui? Potevo fidarmi di qualcuno? Chiesi a me stesso, senza distogliere lo sguardo.
“Sembra che tu abbia appena visto un fantasma!” Scherzò lui come era suo solito.
“Dannazione, che cazzo ci è successo? Come hai fatto a sopravvivere?”
“E tu che hai combinato? Ho sentito in giro che prima di fuggire volevi attentare addirittura alla vita di un generale... ”
“Non crederai a queste stronzate, vero? ...tu piuttosto?”
“Dopo che ci hanno bombardato, sono venuti a finire i superstiti. Tu sembravi bello che morto, per questo ti hanno ignorato. Io ho solo avuto fortuna: gli serviva qualcuno vivo ed hanno preso me. Dissero che le mie ferite erano facili da curare e che se avessi collaborato mi avrebbero lasciato vivere.”
“Da quello che vedo, almeno loro sono stati di parola...” Sentenziai senza nascondere la mia amarezza.
“Sono in gamba e non ti immagini quanto Leo. Hanno ragione su tutta la linea. Tutti i pianeti hanno diritto alla loro indipendenza. A cosa serve un impero corrotto? Ad ingrassare le tasche dei soliti pochi facendone morire di fame altri milioni?”
“Quindi ora stai dalla loro?”
“Più o meno. Sono in una truppa di mercenari che appoggia la causa. Appena mi è stato dato il permesso ho cominciato a cercarti per i quattro sistemi. Ma lo sai che sei fottutamente difficile da trovare? Quando ho sentito che eri diretto in questo rudere di pianeta non ho faticato ad indovinare quale città avresti scelto....”
Non lasciai nemmeno che terminasse il discorso che lo abbracciai stretto come un fratello.
“Almeno uno..” Dissi tra le lacrime. 'Uno di loro si è salvato...' Solo questo in quel momento aveva importanza, solo questo pensai.
“Ehy! Così mi metti in imbarazzo!” Scherzò nuovamente lui.
“Ora che vuoi fare?” Mi domandò riportandomi alla realtà. “Vuoi continuare a massacrare poveracci per denaro o vuoi unirti alla giusta battaglia?” Nonostante tutti questi anni, mi conosceva ancora meglio di me stesso. Sapeva che odiavo il lavoro che facevo per vivere. Sapeva che odiavo la vita in cui mi ero cacciato. Forse appoggiare i ribelli sarebbe stata davvero la cosa giusta da fare, eppure in quel preciso istante non me la sentii di rispondere.
“Dammi un po' di tempo...” Fu la sola frase che riuscii a dire.

 

Se qualcuno mi avesse detto allora che da lì a due anni, sarei diventato il nemico numero uno dell'impero, probabilmente sarei morto stecchito dalle risate...





Pensieri a mezz'aria...

Per prima cosa ci tengo a ringraziare le due giudici: Manufury e Releeshahn
che mi hanno permesso di partecipare ai loro due Contest (seppur con lo stesso brano).
Non so perchè, ma la prima ispirazione che ho avuto pensando al tema della guerra è stata quella
sulla storia di un disertore.
Ho quindi provato a ricostruire in pohce pagine, gli eventi che possono portare un uomo a tradire la propria patria.
Per la pubblicazione l'ho suddivisa in queste due parti, per poter dare "un attimo di respiro" durante la lettura.
Ringrazio ancora una volta tutti voi che avete letto questa mini-long.

Salutoni
Lara.
 

 

  
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