Un super ringraziamento a tutte coloro che non si sono perse per strada, mi fa sempre tantissimo piacere ritrovarvi tra le mie recensitrici.
pazzerella_92, dire che Anya si è resa conto di amare Bill è leggermente eccessivo, almeno per il momento. Però sì, ha ceduto finalmente! Saranno il tempo e i prossimi capitoli a far evolvere la loro storia; non sempre in bene però XD Non può essere tutto rose e fiori, soprattutto con un tipino come Anya!Arina, non ci siamo sentite per due capitoli, ma con il tuo ultimo commento hai recuperato alla grande, sono stata molto felice di leggere il tuo entusiasmo ^^ Anche io sono una grande romanticona e siccome queste cose nella mia realtà non succedono, le faccio accadere in ciò che scrivo! Per quanto riguarda il passato dei gemelli... sono contenta di aver raggiunto questo risultato, se vi siete sentite coinvolte ed emozionate vuol dire che sono riuscita ad avvicinarmi ad un'ipotetica realtà. A dire il vero, mentre lo scrivevo, non mi sentivo come se stessi inventando tutto, ma come se fosse accaduto veramente. Ribadisco però il disclaimer: io non li conosco e non so se capiterà mai l'occasione, è tutto frutto della mia fantasia. Baci&abbracci anche a te!
Frehieit489, meglio tardi che mai sicuramente, benvenuta a bordo ** Aspetto altre tue recensioni u_u
after_all, ti accontento postandoti quest'altro capitolo, w Tom -oh mio eroe!-
miss hiphop, davvero hai lacrimato? *_* che dolce!
Ok, nuovo capitolo, buona lettura e grazie a tutte quelle che hanno la mia storia tra i preferiti, io continuo sempre a sperare nel ritorno delle mie pecorelle smarrite ^^ Soprattutto della critica negativa, the Fighting Temptations, che con le sue recensioni mi ha aiutata molto, forse involontariamente. Attendo ancora di sapere quali sono gli errori che ho commesso e che mi hai indicato nella tua ultima recensione!
18.
Lost Heaven
La sua divisa da lavoro era squallida quanto il posto in cui lavorava.
Charlie
aveva sempre lavorato là, da quando aveva sedici anni faceva
il turno del
pomeriggio e della notte un paio di volte alla settimana, il minimo
indispensabile per sopravvivere. Solo quelle che non accettavano di
farsi
infastidire dai clienti ubriachi facevano il turno del mattino, ma
venivano
pagate poco niente, anche perché il maggiore guadagno erano
le mance e se non
rinunciavi alla dignità, che vedevi puntualmente calpestata
dal primo uomo di
turno, le tue tasche rimanevano vuote.
Era per questo che aveva improvvisamente deciso di cambiare lavoro e da
giorni
sfogliava i quotidiani delle offerte, comprati con le ultime banconote
da un
dollaro che aveva trovato nella tuta blu; il mistero dei soldi che
sbucavano come per magia da quella tuta ancora non lo aveva risolto. Ma
era stato tutto invano, cercavano
solo commesse o dog-sitter o cose del genere: lei odiava i vestiti, i
conti e
aveva paura dei cani di grossa taglia. Perfetto.
Gettò anche la rivista che aveva in mano oltre il divano,
dove si ergeva una
pila di schifezze tra cibo, bottiglie vuote e calzini spaiati. Aveva
deciso di
rimettere in ordine il suo garage e aveva iniziato con lo scrivere una
lista
delle cose da fare, ma aveva mandato tutto al diavolo dopo la prima
mezz’ora
passata a spostare quei quattro mobili che possedeva alla ricerca delle
cose
perdute, per scoprire che una gatta randagia, da tempo, aveva partorito
lì i
suoi micini che, cresciuti, avevano insudiciato tutto
l’angolo in cui la madre
si era nascosta. La gatta se n’era andata con i cuccioli al
seguito, tutti
tranne uno, completamente nero e un po’ spelacchiato.
L’aveva chiamato Bill,
perché il suo essere nero e diverso gli ricordava il
vocalist tedesco, ma
chiamarlo così, dopo un po’, le fece venire il
nervoso, così il gatto diventò
“Tu”.
Con Tu-Bill in braccio, Charlie si alzò dal divano,
strappò dal muro la lista
delle cose da fare e la gettò tra la pila di giornali vecchi.
Non aveva mai avuto né la voglia, né la
determinazione per riordinare quella
discarica che era il suo garage; solo Mimi, di tanto in tanto, era
riuscita a
mettere un po’ a posto e pulire per terra e spolverare e
svuotare l’armadio per
fargli prendere aria. Mimi aveva la pazienza per queste cose, non lei.
-Vaffanculo- ripetè per la centesima volta Charlie,
ripensando all’amica –Te e
il tuo farti mettere incinta e poi lasciarmi qui per uno sfigato che
tra un po’
non saprà che farsene di una donna gravida brutta e cicciona
in attesa di un
figlio di nessuno- Tu miagolò tra le braccia della ragazza,
affamato.
-E tu, Tu, smettila di piangere che non ho niente da darti da mangiare.
Dovevi
andartene con tua madre e lasciarmi da sola come fanno tutti, tanto
cosa se ne
fanno di me? Peccato che tu sia maschio, così non potrai
rimanere incinto e
attaccarti al primo gatto tedesco che trovi, a lui e ai suoi amici
spelacchiati!-
Charlie posò il gatto poco delicatamente
sull’unico tavolo della stanza e da
lì, questo saltò giù agilmente, per
dirigersi con la coda ritta verso l’unico
giornale non ancora sfogliato. Charlie si bloccò a guardarlo.
-Tu, non azzardarti a fare quello che stai per fare!- lo
avvertì, fissandolo
con odio; il micio non le diede retta e si accomodò sulla
carta stampata,
concentrato. Charlie scattò verso di lui, spaventandolo e
facendolo scappare a
gambe levate con un soffio di protesta.
-Vaffanculo Bill! Volevi farmela sul giornale!- gli urlò la
ragazza, agitando
la rivista miracolosamente intatta verso di lui con fare minaccioso.
Tirò poi
un grosso sospiro, prima di guardarsi intorno e, desolata, piombare sul
divano
mezzo rotto con tutto il peso del suo corpo.
-Parli con un gatto- si disse, amareggiata, prendendo a pugni un
cuscino –con
chi parlerai tra un po’, con il muro?-
Una lacrima le pizzicò il naso e lei la lasciò
cadere giù, fino al tessuto del
divano, dove si allargò formando un piccolo cerchio nero; la
seconda lacrima
prepotente, invece, cadde sopra il titolo di un annuncio del giornale
che teneva
in grembo: Cercasi
personale per assistere gli alcolizzati e i
tossicodipendenti del Volontariato Statale. A seguire,
l’indirizzo della sede,
a due isolati da lì, la paga, piuttosto considerevole visto
che, comunque, si
trattava di una sorta di volontariato, e la nota di chi aveva scritto
l’annuncio: non si richiede alcuna specializzazione
particolare, se non
quella della pazienza e della virtù di saper ascoltare e
affrontare la vita con
persone più deboli di te. Sicuramente chi
l’aveva scritta non conosceva il
cosiddetto mondo del lavoro e i lupi affamati che leggevano quei
giornali.
Charlie sollevò gli occhi dalla rivista con un mezzo sorriso
rivolto al micio
nero che si stava di nuovo avvicinando a lei, chiedendo ancora cibo;
gli
allungò una carezza riconoscente, prima di prenderlo e
stringerlo a sé,
dandogli un affettuoso bacio sulla testolina. Gli occhi nocciola della
bestiola
sembravano rivolgerle la domanda che non si era voluta fare da quando
Mimi era
partita: tu cosa avresti fatto al suo posto? Lo sapeva benissimo, in
fondo:
quello era uno dei casi estremi che avrebbero portato al suo ritorno;
estremi
perché quel ritorno sarebbe stato per sempre, ma per un
potenziale figlio
l’avrebbe fatto, almeno là sarebbe stato al
sicuro. Si alzò dal divano con una
spinta e si diresse verso il frigorifero seguita a ruota dal gatto;
tirò fuori
l’ultima bottiglia di latte quasi finito e lo
versò interamente nella ciotola
di Tu-Bill, con il gatto che le si strusciava tra le gambe.
Dopo aver gettato la bottiglia, con un balzo agile, Charlie
afferrò il giornale
e si diresse ancheggiando verso l’uscita di casa,
canticchiando dentro di sé il
motivetto di una canzone e sentendosi una star in squallore, ma che
ancora
brillava dentro; ogni tanto gli venivano questi attacchi di pazzia e si
trovava
a canticchiare “Let me see you stripped, let me
hear you make decisions,
without your television” camminando come una
top-model per casa e facendo ondeggiare la chioma bionda, per poi
piombare sul divano e ridere reggendosi
la pancia. Questa volta riuscì ad arrivare fino alla porta
senza ridere facendo
finta di essere una famosissima cantante e imitando gli sculettamenti
di non si
ricordava più chi, per poi imboccare il vicolo che portava
alla principale con
il sorriso sulle labbra. Bastava poco per farle dimenticare tante cose,
anche
se le sentiva ancora scottare sulla pelle. Svoltato l’angolo,
la voracità della
città l’accolse nella sua tremenda bocca: il
marciapiede era affollatissimo e
appena oltre il bordo rialzato, file e file di macchine rumorose e
puzzolenti
mangiavano l’asfalto con sgommate e frenate varie. Proprio
lì, fermi
all’angolo, un gruppo di skater sedeva per terra addosso al
muro di un palazzo,
i vestiti larghi e sformati già sporchi e impolverati, le
scarpe giganti distrutte
e i capelli lunghi legati in code disordinate o nascoste sotto
giganteschi
cappelli sformati. Le sembrò di riconoscere il tizio con i
ricci neri lunghi
sino alle orecchie ed uno skate consumato in mano; anche lui
sembrò notarla,
per poi sorriderle.
-Matt!- esclamò la ragazza, andandogli incontro mentre si
legava i capelli
biondi in una coda alta.
-Charlotte- si inchinò questo, ridendo.
-Sai che odio che mi si chiami così- rise a sua volta lei,
abbracciandolo con
slancio dopo aver fatto un cenno di saluto agli altri ragazzi
–Come stai? E’ da
tanto che non ti vedo in giro-
-Me la cavo- rispose il moro, scrollando le spalle –E tu? Fai
ancora la
cameriera in quel posto di merda?-
-No, mi sono licenziata due giorni fa. A proposito, sto andando a
vedere per un
nuovo lavoro, ti va di accompagnarmi?- gli chiese Charlie.
-Dove?-
-All’incrocio della tredicesima, al prossimo isolato-
Per tutta risposta, Matt lasciò cadere a terra lo skate con
un rumore secco e
mise un piede sulla pedana nera, salutando con un cenno gli amici, in
apparente
catalessi contro il muro.
-Salta su, baby!- esclamò, invitando Charlie a posizionarsi
sullo skate, dietro
di lui. La ragazza si appoggiò alle spalle del moro,
ridendo: sapeva che ci
sarebbe stato da divertirsi, Matt era un matto con lo skate.
*
Scesero dall’albero con qualche difficoltà in più di quando erano saliti, dato che il giardino si stava rabbuiando nel calare della sera e l’unica luce nei paraggi era quella della veranda. Bill ed Anya percorsero il tratto che li divideva da casa Kaulitz vicini, cercando di inventare delle scuse sul momento per la loro prolungata assenza e tappandosi la bocca a vicenda quando alzavano troppo il tono di voce.
Il ragazzo continuava a ridere, facendosi pestare i piedi da Anya, decisamente più preoccupata di lui; Bill si sentiva libero, pronto ad affrontare chiunque, anche il mondo intero, dopo quello che era successo. Appagato e felice, come un bambino a Natale.
-Ma la vuoi smettere di ridere?- continuava a rimproverarlo sottovoce la ragazza, guardandolo senza capire –Dobbiamo trovare una scusa ed in fretta; non posso andare da tua madre e rispondere alla sua aria curiosa con un “Scusi se siamo spariti, suo figlio mi stava scopando sopra un albero”-
-E’ che sono felice- si giustificò lui, sorridendo ancora.
-Ma abbiamo un problema!- gli ricordò Anya, voltandosi dall’altra parte per non fargli vedere che stava sorridendo anche lei, ma troppo tardi.
-E’ inutile che ti nascondi, stai ridendo!- Bill la prese per le spalle, accusandola divertito e tappando la bocca di Anya con le mani per impedirle di svegliare tutto il vicinato con uno scoppio della sue risa rumorose e cristalline. La ragazza tornò seria, allontanando le dita smaltate di Bill dalle sue labbra, ma continuando a tenerle fra le sue; lasciarono libere le loro mani di intrecciarsi prima di proseguire il loro cammino verso casa, cauti. Ma ormai, non c’era più nessuno. Né sulla veranda, né sotto al gazebo, né sul viale; le macchine di Georg e Tom erano sparite, le sedie erano state portate dentro, il prato era silenzioso e buio.
A quel punto Bill non potè più trattenersi: scoppiò a ridere in modo che tutto il vicinato lo potesse sentire. Erano stati talmente occupati a pensare a come salvarsi la pelle, che non avevano fatto caso al fatto che era tutto silenzioso e tranquillo. Tom e gli altri dovevano essersene andati da un pezzo da qualche parte a bere e festeggiare, cosa non si sapeva. Si figurò suo fratello brindare con la terza Vodka Lemon e farfugliare qualcosa come “casetta” “Bill” “ahaha, questo è –hic- mio fratello”.
Anya incrociò le braccia al petto, sbuffando e trascinando il ragazzo sulla veranda con fare spazientito.
-Sei proprio un bambino- gli disse, scuotendo la testa. Il ragazzo si fermò all’improvviso, obbligandola a voltarsi e immobilizzandola con i suoi occhi castani ridenti e accusatori.
-E’ una vita che me lo dici- le fece notare.
-E continuerò a farlo- lo provocò lei, arrogante.
-Sicura di volerlo fare?- Bill alzò il sopracciglio destro con evidente gusto, sorridendo sornione, tirando fuori il Tom che c’era in lui. Senza farsi notare, solo con l’avanzare della sua figura, stava lentamente spingendo la ragazza contro il muro.
-Sicurissima- ribattè Anya, andando a cozzare contro la parete e ritrovandosi subito Bill davanti al viso, con le mani ai lati della sua testa, che sorrideva convinto.
-Io credo di…- ma in quel momento la porta si aprì di colpo.
-Ah, ecco, mi era sembrato di sentire qualcuno!- esclamò Simone, facendo capolino dall’ingresso della casa.
-Mamma!- esclamò Bill, terrorizzato dall’apparizione quanto mai inopportuna di sua madre in vestaglia e capelli sciolti, pronta per la notte. Si staccò subito dal muro dove aveva inchiodato Anya, imitato dalla ragazza, che aveva perso tutta la sua arroganza e ora si torceva le mani, imbarazzata.
Simone fece una rapida scansione dell’immagine che si presentava ai suoi occhi: dunque, Bill aveva i capelli fuori posto, bè, più fuori posto del normale e la giacca gli cadeva scomposta sulle spalle. Suo figlio non aveva mai un vestito in disordine, neanche un calzino; in più, quegli occhi non potevano mentirle. Anya sembrava tesa, all’erta, il naso vibrante ad annusare aria di possibile tempesta e la cintura del vestito slacciata per metà.
Simone sorrise con non curanza, assumendo l’aria collaudata da “qui-gatta-ci-cova”, per poi assumere quella innocente da “io-non-ho-notato-nulla”. E per perfezionarla al massimo, chiese, senza alcuna ombra di imbarazzo: -Avete fame?-
A Bill cadde la mascella dallo stupore. Se ne era accorta, sicuro, non era mica stupida! Oppure…no? Quella faccia non tradiva niente, pura ignoranza; non l’aveva notato allora. Oppure era un’ottima attrice. No, non aveva notato niente! Sorrise gentilmente a sua madre.
-Cos’è rimasto?- chiese Bill, affamato.
-Della torta. Dovrete essere stanchi, dove siete andati? A fare una passeggiata?- suggerì Simone con noncuranza, facendo entrare i due ragazzi in casa.
-S-sì- annuì in fretta Bill, cogliendo l’occasione –Fino al bosco vicino a casa dei Weiß-
-Sì?- domandò ancora Simone, guidandoli in cucina e facendoli accomodare intorno al tavolo.
Anya, che fino a quel momento era rimasta zitta e aveva seguito madre e figlio come un burattino, sorrise a Simone: -Proprio così. Ci sono delle belle villette qui a Loitsche, sa molto di campagna- commentò, radiosa.
-Peccato che ai miei figli non sia mai piaciuto tanto. Preferivano la città- ribattè Simone, sospirando e tagliando due grosse fette di torta alle nocciole per i ragazzi.
-Ah sì?-
Bill guardò le due donne iniziare a parlare di un argomento a caso a cui lui non voleva prendere parte; seguì con gli occhi prima la testa bionda di sua madre servirli con i piatti del dolce e poi Anya sorridere e porgere altre domande cortesi, recitando perfettamente la parte della santarellina. Prese con le mani la torta e iniziò a masticarla lentamente, senza distogliere lo sguardo spento dalle due donne, per poi posarlo sulla finestra, non vedendo il suo oltre. Si sentiva ancora i muscoli piacevolmente indolenziti e le labbra gonfie di morsi; nella sua gola gorgogliava ancora, ormai spento, un gemito che aveva trattenuto e ora gli scombussolava le budella, le stesse budella che sentiva della consistenza della gelatina ogni volta che la memoria fresca gli poneva davanti agli occhi l’immagine dei capelli di Anya tra le sue mani e la curva del suo ginocchio che si stagliava alla luce del sole che tramontava. Sorrise di nuovo come uno scemo, facendo sbriciolare la torta sul tavolo e ringraziando ancora il cielo che sua madre non si fosse accorta di niente. Era davvero una sorta di miracolo.
-Ti puoi sistemare nella camera di Tom, davvero, non c’è nessunissimo problema-
-Veramente, forse è meglio se…-
-No, non ti lascio andare a casa da sola a quest’ora e non ho neanche la macchina per accompagnarti, Gordon è dovuto andare da sua madre, che non sta molto bene e Tom non è in casa, quindi ti fermi qui, non devi preoccuparti di niente-
Bill scosse forte la testa, ritornando in quel momento alla realtà ed esclamando: -Cosa?-
Le due donne si girarono verso di lui con aria di rimprovero e il ragazzo si difese dai loro sguardi alzando le mani e sgranando gli occhi all'inverosimile.
-Che c’è?- osò chiedere, un attimo interdetto.
-Non hai seguito una sola parola di quello che dicevamo! Anya si ferma qui a dormire, visto che non la possiamo accompagnare alla stazione. Starà in camera di tuo fratello- gli riassunse Simone.
-E Tom dove dorme?- Bill corrugò la fronte.
-Se torna a casa, sul divano- gli spiegò Simone, scrollando le spalle.
-Ah- capì finalmente il ragazzo, facendo due più due –Sì, per me va bene-
-Non mi serviva il tuo permesso per invitarla a rimanere- gli fece notare Simone, un po’ contrariata –Vieni Anya cara, ti faccio vedere dove dormirai e ti do un pigiama pulito-
Entrambe uscirono dalla cucina, lasciando il ragazzo solo; incredibile, si erano subito alleate contro di lui. Ad un tratto si ricordò una cosa; trattenne un gemito di disgusto e balzò in piedi, raggiungendo di corsa le due donne che stavano salendo le scale e bloccando loro il passaggio con un balzo agile.
-Ehm- bofonchiò, davanti al sopracciglio di sua madre che si stava alzando pericolosamente; forse era una cosa genetica –D-dunque, in camera di Tomi ci vado un attimo io, ok? Devo, devo sistemare alcune cose, tu intanto falle vedere dov’è il bagno-
Salì si corsa gli ultimi gradini, rischiando di inciampare sul tappeto del pianerottolo e finire con il culo per terra, ma riuscì a raggiungere la camera del fratello incolume. Una volta accesa la luce, il disastro apparve ai suoi occhi: meno male che si era ricordato che proprio in quei giorni Tom si era messo a riordinare la sua camera e riordinare, per lui, aveva un significato alquanto strano, perché tirava fuori tutto quello che trovava nell’armadio, nei cassetti, nei luoghi più impensati e invadeva la camera con abiti, cappelli, plettri, lettere di fan, lanciava le chiavi ovunque e perdeva il cellulare tra i boxer. Poi, dopo aver spalmato anche i muri con tutto il suo disordine, si decideva a rimettere di nuovo ogni cosa alla rinfusa nell’armadio, creando più disordine di prima. Per il momento si era fermato solo alla fase “tiro fuori tutto e mi faccio una bella moquette con le mutande delle mie fan”. La cosa peggiore, però, era il letto perché sì, proprio lì, sulle lenzuola disfatte e il materasso cigolante, Tom aveva sparpagliato la sua collezione di preservativi da cui attingeva tutta la band, dividendoli per colori, profumo e marca.
Bill prese la loro scatola da terra e iniziò a cacciarceli dentro, tutti insieme, per poi nasconderli in un cassetto di quella che si poteva chiamare la scrivania di suo fratello; raccolse i vestiti a manciate da terra, aprì le ante dell’armadio e ce li lanciò dentro, chiudendo a fatica i cassetti stracolmi. Non sapeva come, ma nel trambusto si ritrovò con un paio di tanga incastrati tra i capelli e riuscì a buttarli nel cestino proprio un momento prima che qualcuno bussasse alla porta.
-Posso?- sentì la voce di Anya entrare dallo spiraglio dell’uscio insieme alla luce del corridoio.
-Sì, sì, vieni- le rispose lui, tirando un sospiro di sollievo. La ragazza entrò, dando un’occhiata intorno e sorridendo rivolta al moro.
-Guarda che non mi sarei spaventata per il casino di Tom, ci sono abituata, non serviva che corressi qui come un matto a riordinare- gli fece notare.
-E’ vero, ma visto che sei mia ospite, ci tenevo a farti trovare un minimo di decenza- sospirò Bill, avvicinandosi alla ragazza –La mia stanza è proprio qui accanto se hai bisogno-
-Non avrò bisogno, grazie Bill- Anya si alzò in punta di piedi, sorridendo sotto gli occhi nocciola del ragazzo e sfiorandogli leggermente le labbra in segno di congedo –Ciao, ciao-
Lo spinse leggermente verso la porta, non dandogli il tempo di reagire e protestare e poi chiuse l’uscio dietro le sue palle, con una risata soffocata. Accese la luce del comodino e si sedette sul letto, tirando fuori da sotto il sedere una manciata di preservativi che Bill si era dimenticato di mettere via; nell’attesa, aprì la finestra e lasciò che l’aria fredda della notte le scompigliasse i capelli e le facesse venire la pelle d’oca, per poi chiudere i vetri e cacciarsi sotto le coperte, come faceva da bambina. Dopo un poco, i rumori che riecheggiavano per casa cessarono: niente più colpi di tosse o rigiramenti nel letto; allora si alzò cautamente, dischiuse la porta ed uscì in corridoio, per poi entrare di soppiatto nella camera di Bill. Si avvicinò al letto dove il ragazzo sembrava dormire beato e gli tappò la bocca, prima di svegliarlo senza pietà; il moro aprì gli occhi, terrorizzato, ma riconoscendola al buio, sorrise contro la sua mano e alzò il lenzuolo, facendole posto nel letto. Anya si accoccolò contro il suo petto magro.
-Non riuscivi a dormire?- le domandò, con la voce impastata di sonno.
-Non ho molto sonno e così ho deciso di venirti a rompere le scatole- gli rispose Anya.
-Bugiarda, sei venuta perché ti mancavo, ammettilo!- la stuzzicò Bill, accarezzandole una guancia.
-Anche per quello-
Bill si sorprese: l'Anya che conosceva non l'avrebbe mai ammesso e, sinceramente, gli piaceva che l'avesse fatto.
-Ehi, ma hai visto che mia madre non ha capito niente? Siamo stati due bravi attori- annuì poi vigorosamente a quell’ultima affermazione, contento, ma Anya si alzò di scatto, sedendosi sul materasso.
-Ma allora sei proprio scemo, non fai finta!- esclamò sottovoce –E’ ovvio che tua mamma se ne accorta no? Ha fatto solo finta per non farci sentire in imbarazzo. Non ti sei reso conto che ci ha reso tutto più facile?-
Bill si grattò il mento, pensieroso e Anya tornò a stendersi al suo fianco.
-Va bè, lasciamo perdere né Bill? Buona notte- tirò il lenzuolo fin sopra alle loro teste e fece sbattere i loro nasi vicini.
-Buona notte Anya- le sussurrò il ragazzo, tra le sue labbra, baciandogliele piano e poi cadendo di nuovo nel sonno.